Salari in gabbia, provocazioni in libertà

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Un coro di no. Taluni ponderati e motivati, talaltri sarcastici ed indignati, tutti fermi ed inappellabili. Siamo di fronte, insomma, alla solita boutade estiva: un tentativo – si direbbe ben riuscito – d'inventare o drammatizzare un problema e presentare un'improbabile soluzione, al solo scopo di ottenere visibilità.

Il governo – per bocca del ministro Sacconi – dichiara trattarsi di un'ipotesi neppure presa in considerazione, per un problema già avviato a soluzione (?) agendo su detassazione e decontribuzione del salario variabile, in linea con il recente accordo interconfederale – orfano della firma d'Epifani – che delinea i nuovi assetti contrattuali.

L'opposizione - come sempre priva d'idee e culturalmente incapace di rapportarsi, o fors'anche solo di capire, il giuslavorista Pietro Ichino che teoricamente dovrebbe avere, nel PD, il compito d'occuparsi della materia - urla e strepita, paventando quelle improbabili penalizzazioni del Sud che solo l'incomprensione per il funzionamento dell'economia rende credibili.

I sindacati presentano, come ultimamente è consuetudine, reazioni contrastanti. Le parole dell'accomodante Bonanni danno per chiarita la contrarietà governativa e definiscono, correttamente, l'idea “illiberale” - dimenticando che tale è, a maggior ragione, pure l'attuale sistema centralizzato – mentre l'irriducibile Epifani si frega le mani: un'insperata occasione per la tanto amata scampagnata tra vecchie glorie a Piazza San Giovanni, in Roma, al nostalgico grido di “sciopero generale!” che fa tanto anni '70 ....

Anche Nostra Signora dell'Astronomia ha detto nein, confermando, peraltro, quella che da tempo è la posizione ufficiale di Confindustria, che non vuole soluzioni dirigistiche ma, poi, mai trova il coraggio di portare sino in fondo tale impostazione. La via aperta dal nuovo accordo con i sindacati - CGIL esclusa - va nella giusta direzione ma con grande timidezza, dal momento che tende a dare ancora troppa importanza - anche in sede di singole aziende - agli organismi di rappresentanza invece che agli individui. Tra l'altro, non poche voci in arrivo dalla mitica “base associativa” apportano un contributo di dissonanze alla sinfonia in esecuzione, nel timore di trovarsi ad aprire le porte ad un sindacato da sempre molto poco presente nelle piccole imprese.

(Quasi) tutti d'accordo, dunque? Così pare, eppure …..

Eppure il problema è reale e la Lega – con il consueto fiuto, tutto politico, per gli umori del territorio di riferimento – l'ha segnalato, pur nel tipico modo mediaticamente dirompente e politicamente scorretto, e pur prospettando una non-soluzione, che si limita a trasferire la rigidità dal livello nazionale ad alcuni sub-livelli che potremmo definire – ricordando Gianfranco Miglio – "macroregionali".

Già, la Lega. Qualcuno sostiene – a torto od a ragione, non importa - che certe uscite siano il frutto d'irrecuperabile incompetenza, fors'anche di crassa ignoranza, se non proprio di desolante incapacità d'intendere e di volere. Comunque, sempre d'ignobile razzismo. Non si può escludere che ci sia del vero in tali accuse, per quanto - vista la qualità delle proposte provenienti un po' da ogni dove - tali caratteristiche appaiano comuni alla classe politica italiota. Probabilmente, però, un simile atteggiamento di contrasto acritico - molto comune nel Paese del muro contro muro perenne ed assoluto, nel quale l'appellativo d'imbecille mai si nega all'avversario politico, rigorosamente senza cercar di capirne le posizioni - impedisce di accorgersi dell'evidenza: trattasi, banalmente, di strategia politica, volta al contrasto di quell'ectoplasma dai confini incerti per schieramento ma misurabili per geografia, che ha preso il poco fantasioso nome di “partito del Sud”. Il tema proposto, cioè, si presta egregiamente a tenere alta l'attenzione ai problemi del Nord produttivo, nel momento dell'attacco alla diligenza portato dagli “indiani”. Il tutto si configura come un altolà al Premier, tanto per ricordare quali siano i limiti entro i quali è possibile muoversi, condito con richiami alle bandiere locali e velenosi dubbi in merito alle missioni militari all'estero. Nemmeno la terminologia è casuale, come sempre, del resto: si parla alla pancia dell'elettorato, al quale si promette la difesa degli interessi comuni al territorio di riferimento, così come vengono - spesso superficialmente - percepiti.

Bene, sgombrato rapidamente il campo dall'aspetto di competizione politica, e dalle motivazioni a monte della proposta, è tempo di entrare nel merito.

I fatti sono noti. Le diverse zone del Paese si caratterizzano per una grande variabilità di situazioni in termini di “costo della vita” - sinteticamente raggruppate nelle consuete macro-aree Nord (talvolta Nord-Ovest e Nord-Est), Centro e Sud - con una evidenza empirica e statistica, in linea di massima, di diminuzione del parametro al calare della latitudine. In Italia, però, vige un sistema di retribuzioni rigidamente determinato in ambito nazionale: la materia è delegata alla contrattazione tra le parti sociali, a livello centrale, che partorisce una pletora di “contratti collettivi nazionali di lavoro”, i quali assumono, peraltro, valore di legge.

In passato – tra il 1946 ed il 1971 – non era così: proprio in considerazione del problema citato, era in vigore una differenziazione territoriale che determinava le retribuzioni in funzione della localizzazione, suddividendo il Paese in alcune zone (inizialmente 4, poi 14, infine 7), in seguito ad un accordo tra sindacato e Confindustria. Tale norma fu abolita - in seguito alle lotte portate avanti, in particolar modo, dalla CGIL – per opera di Giacomo Brodolini, ministro socialista proveniente dalle fila di quel sindacato e talvolta – ahimé – citato quale maestro da Renato Brunetta, forse senza ricordare – chissa? - le pesanti responsabilità del nostro (?) eroe in merito alla promozione di quella paradigmatica ed illiberale esemplificazione di rigida cultura anti-imprenditoriale che prese il magniloquente nome di “Statuto dei lavoratori”.

A prescindere dalla considerazione che ciò avvenne, probabilmente, perché quella stagione era esasperatamente sindacalizzata, rimane il fatto che il sistema allora in atto non funzionava. E non era in grado di funzionare, per i fini dichiarati, se solo si pensi che le differenze di costo della vita non possono essere ricondotte solo all'appartenenza regionale ma, del tutto evidentemente, sono fortemente influenzate anche dalla dimensione cittadina o rurale, dall'aspetto orografico, dalla tipologia economica prevalente, dalla connotazione turistica …... e da una miriade di altre specifiche situazioni, che poco o nulla hanno a che fare con le semplificazione per macro-aree.

Pare logico dedurne, allora, che la strada già inutilmente sperimentata non possa tornare ad essere battuta e che sia necessario trovare nuove opzioni per risolvere un problema, comunque, assai reale.

Abbandonando, dunque, la strana idea di una standardizzazione che fa a pugni con la realtà, formata da millanta singole situazioni,  si direbbe opportuno prendere come stella polare la specifica situazione di ogni azienda, nella sua capacità di stare sul mercato in condizioni di redditività.Già, ma allora nessun senso può avere un contratto collettivo – nazionale o territoriale che sia – per sua natura incapace della flessibilita' necessaria.  Lo scontro, però, è non solo con la perdita di potere - e relative rendite - che ne deriverebbe ad ogni sorta di sindacato, ma anche con quell'idea di lavoro come diritto – con corollario di “giusta (?) mercede” - che permea la cultura dominante, al punto che la stessa Carta fondamentale definisce lo Stivale una curiosa “repubblica fondata sul lavoro”, anziché, ad esempio, sulla libertà …..

In ogni caso, se si decidesse di prendere tale direzione – improbabile, in questo baluardo del socialismo reale all'amatriciana (meglio: alla puttanesca ...), si dovrebbe arrivare ad una sorta di contratto tailor made, cioè tagliato su misura per le singole posizioni, in grado di legare il corrispettivo economico al contributo reale di ciascuno alla creazione di valore per l'azienda.

L'obiezione fondamentale a questo tipo di approccio poggia, solitamente, su una base di solidarismo che vuole supportare i diritti degli “svantaggiati” (qualunque significato si voglia personalmente attribuire a tale termine), i quali otterrebbero condizioni retributive più misere in assenza di solido potere contrattuale, dal momento che i rapporti di forza sarebbero sbilanciati a favore della parte imprenditoriale. Tale ragionamento, però, è figlio del deleterio ed abituale prevalere culturale del “modello superfisso”, secondo il quale ogni questione economica è sempre e solo questione redistributiva: è evidente, invece, che l'aumento della convenienza ad investire in attività d'impresa favorisce nuovi insediamenti, con conseguente maggiore richiesta di forza lavoro, e maggiori salari. Anche nel caso esemplare del meridione d'Italia, la disoccupazione diminuirebbe – così come il lavoro nero, legato a doppio filo all'attuale ingessatura del mercato del lavoro – con benefici effetti sul reddito complessivo prodotto nel territorio.  È il mercato, bellezza ….. verrebbe da chiosare.

In quest'ottica, pare piuttosto ovvio che compito di un esecutivo dovrebbe essere il miglioramento delle condizioni di appetibilità per gli investitori, tramite la riduzione del gap in termini d'infrastrutture e dell'influenza della criminalità organizzata che affliggono il Sud e, in generale, il mantenimento di una situazione di legalità, insieme all'efficienza di alcuni servizi inalienabili, quali la rapida e certa amministrazione della giustizia. Collateralmente, anche togliere lacci & lacciuoli alle libere professioni, semplificare gli adempimenti ed introdurre - pian piano, eh, senza fretta .... - concorrenza nella fornitura di servizi generali al territorio - che so, magari eliminando così gli enormi sprechi d'acqua dovuti alle perdite degli acquedotti, oppure garantendo quel trattamento dei rifiuti che i pletorici organici curiosamente non paiono in grado di fornire impeccabilmente .... - sembrerebbe compito da assumersi. Non, dunque, la determinazione dei livelli retributivi.

Una seconda obiezione, curiosamente portata alla proposta leghista ma non all'attuale sistema centralizzato, riguarda la generale insufficienza delle paghe – specie alle qualifiche inferiori - delle quali sarebbe necessario aumentare il potere d'acquisto, piuttosto che discutere del livello di contrattazione. Questo è tutt'un altro argomento, che ha poco a che fare con il tema in discussione. Il tema è ancora quello del cosiddetto cuneo fiscale, cioè della differenza tra stipendio netto e costo per l'impresa: non v'è che ridurre il prelievo fiscale e contributivo, ma occorre trovare risorse che certamente non possono venire da demagogici aumenti delle aliquote sui redditi oltre un qualsivoglia importo, come più volte proposto da chi nulla capisce delle dinamiche economiche e – si direbbe – poca dimestichezza ha con la banale aritmetica. Qui, le alternative non sono moltissime: a fronte di una riduzione delle entrate fiscali va abbassata la spesa pubblica corrente, formata da stipendi e pensioni. Quindi, nuovo sistema previdenziale a regime da subito – che, tanto, è decisamente anomalo rispetto alle medie europee e la sua immediata riforma rappresenterebbe un'equa misura – e snellimento della macchina amministrativa. Non è il caso, peraltro, di affrontare a fondo anche questo argomento, hic et nunc, per non allargare troppo il discorso. Ancora una volta, invece, è opportuno ricordare che il potere d'acquisto si difende anche riducendo le tariffe dei servizi fondamentali, ch'è come dire alla politica di tener giù le mani dall'economia: vale ovunque, peraltro, anche in quel Nord dove li gestisce pure quella Lega che - son parole del ministro Zaia - è contraria alle liberalizzazioni per timore di colonizzazioni da parte di fantomatici "forestieri". Venissero persino i venusiani, a fornire acqua ed energia .......... chissenefrega, se l'efficienza fosse superiore!

Tornando ai livelli retributivi, è stato fatto correttamente notare che differenze tra Nord e Sud già ci sono, in dipendenza del fatto che le grandi e medie aziende – meglio strutturate e più moderne, quindi dotate di personale con caratteristiche mediamente più elevate – sono collocate in gran parte a settentrione. Ma la grave situazione occupazionale del meridione (perlomeno quella ufficiale ….) rimane chiaro indice di inadeguatezza alle necessità dell'economia locale: se un lavoratore costa più del valore che produce, non ci son santi …. Inoltre, salta agli occhi un problema di non poco conto: la pervasiva presenza della mano pubblica nell'economia – con il rilevante numero di lavoratori caratterizzati da retribuzioni uguali a Trieste come ad Enna, passando per metropoli e villaggi agresti, e la sicurezza del posto di lavoro per la vita - costituisce un'anomalia gravemente distorsiva delle condizioni sul campo. Già ora, infatti, tale fenomeno ha grande evidenza nell'assalto ai posti disponibili.  Come intervenire, allora? Bollando come realisticamente irrealizzabile la soluzione ottimale - che consisterebbe nell'affidamento al mercato di ogni possibile attività, per ridurre ai minimi termini le distorsioni introdotte dalla mano pubblica - si potrebbe immaginare un futuro federalismo compiuto, nel quale le singole amministrazioni siano responsabili delle proprie spese, con risorse ad esse destinate raccolte nel territorio di riferimento, e perciò da utilizzare con oculatezza. Tra l'altro, la seconda ipotesi non escluderebbe la prima (il mercato) ma, anzi, potrebbe favorirla, dal momento che dalla superiore efficienza conseguirebbero minori costi e, quindi, imposte più lievi. In tempi ravvicinati, invece (con il mercato che determinasse, nel modo discusso, i salari privati), un'ipotesi provocatoria ma percorribile potrebbe riguardare un livello di retribuzioni pubbliche guidato dal confronto – su base comunale o, comunque, sufficientemente ristretta da risultare omogenea – con quanto pagato dalle imprese.

Rimane brevemente da considerare ciò che il governo sta facendo – per giudicare ciò che promette fare, pragmaticamente, sarà bene ispirarsi al mitico San Tommaso ed attendere concretezza, dopo gl'immancabili annunci. Passiamo a valutare quindi le azioni che i ministri Sacconi e Tremonti sostengono di aver intrapreso, al fine di risolvere il problema in esame e, più in generale, la difficile situazione economica che, insieme alle richieste di fondi provenienti dal Sud, ha suggerito alla Lega di aprire questo fronte.

Premessa d'obbligo: mai, da altri esecutivi, il mondo produttivo - ed in particolare la piccola impresa - aveva ottenuto l'attenzione di oggi, su iniziativa costante e pressante della PI confindustriale. Ciononostante non basta e non risolve. È pur vero, infatti, che la modesta detassazione (e decontribuzione) del salario variabile (legato al risultato), insieme alle minime condizioni agevolative per la capitalizzazione delle imprese, aggiunte alla mirata detassazione dell'investimento in attrezzature ed alle misure atte a favorire l'accesso al credito, raggiungono un risultato globale non del tutto disprezzabile.  Ma, a prescindere dalla provvisorietà e dalla selettività di alcune norme e dall'aspetto di alchimie contabili di altre, è l'ottica complessiva a non essere corretta. Siamo sempre in presenza di una gentile concessione del principe, timoroso della piazza. Le recenti misure son state varate in reazione al probabile scenario di ordine pubblico conseguente ad un forte incremento della disoccupazione. Non si modifica la concezione dominante che non vuole considerare bene primario la libera iniziativa, sgravata da vincoli insulsi e mirati solo a mantenere il cosiddetto “primato della politica”.

L'ambiente culturale, insomma, rimane il socialismo. Immancabilmente etico e dirigista: d'altra parte, non sia mai che si cada preda dei deleteri effetti di un "mevcatismo" privo d'afflato spirituale.

Amen.

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Commenti

Ci sono 22 commenti

Mah! A parte altre connotazioni che si possono attribuire alla lega, è vero che hanno fiuto politico e sollevao questioni (di pancia) che piacciono al loro elettorato e non solo. Riconosco che questo ha un suo senso ed un suo valore. La capacità della lega nel'aver sollevato la questione salari al sud sta nel fatto che non ha intressi elettorali se non nel Centro-Nord, Chi ha peso elettorale nel Mezzogiorno è ancora peggiore oltre che corresponsabile dello sfascio. Insomma ogni buon demagogo è capace di questo. Né la lega né altri hanno però proposte credibili ed efficaci. Il guaio è questo. Quel che si sente e si legge anche da parte del governo anti-mevcatista è robaccia inutile e tipica di un qualunque gosplan scritto da gromyko.

luigi zoppoli

Affermi che

 

l'appellativo d'imbecille mai si nega all'avversario politico

 

dopo aver rimarcato che

 

L'opposizione - come sempre priva d'idee e culturalmente incapace di rapportarsi, o fors'anche solo di capire

 

Mi sembra del tutto coerente: trovo "privo di idee e incapace di rapportarsi o di capire" un'ottima definizione di "imbecille".

"imbecille" significa essenzialmente "debole di cervello, stupido", ed è una definizione generica e anche un insulto, benché di quelli leggeri.

"priva d'idee e culturalmente incapace di rapportarsi, o fors'anche solo di capire" detto di qualcuno è invece una constatazione di uno stato di fatto. che poi risulti insultante la responsabilità è di chi non ha idee e non sa rapportarsi o capire.....

ottimo l'articolo, utopistiche purtroppo le soluzioni presentate, siamo pur sempre in un paese di socialismo reale, dove l'intelligenza è costretta a dissimulare, a dedicarsi al crimine o a fuggire all'estero.

Interessante.

Tra tutto ciò che ho scritto, Matteo, ti soffermi su di un passaggio e lo estrapoli dal contesto, al fine di forzarne un significato diverso. Cercherò, comunque, di chiarire ciò che mi pare, peraltro, evidente a chi non voglia essere pregiudizialmente contrario.

Trovo la posizione leghista - inutile e persino dannosa - frutto d'incultura economica ma, soprattutto, la ritengo di carattere esclusivamente politico, mirata a raccogliere un consenso "di pancia" presso l'elettorato di riferimento, oltre che a porre paletti all'azione di un governo pressato dalle richieste dei maggiorenti meridionali.

A tale proposta l'opposizione ha risposto spesso sarcasticamente o con indignazione, senza saper avanzare alternative credibili: siamo ancora alle generiche affermazioni che sia necessario aumentare i salari in generale, traendo le risorse - come sempre - dalla mitica lotta all'evasione fiscale (panacea d'ogni male) e dall'aumento dell'imposizione su redditi di fascia alta (meglio: medio-alta). Anche a Firenze, nel corso delle giornate di nFA, il sindacalista Megale (CGIL) batteva su questo tasto, salvo andare in estrema difficoltà quando Michele ed altri, stanchi di sentire simili facezie, gli dimostrarono - quattro banalissimi conti alla mano - che tale ulteriore tassazione avrebbe raccolto cifre risibili. Ecco, privi d'idee significa esattamente ciò.

Quanto a "culturalmente incapace di rapportarsi, o fors'anche solo di capire" tu hai tolto (maliziosamente?) l'oggetto, cioè quel Pietro Ichino che, nel PD, dovrebbe essere la mente pensante in materia e che sembra predicare nel deserto. Inoltre, a prescindere dal giudizio in merito alle analisi del giuslavorista citato, il lemma chiave è "culturalmente": la cultura politico-economica colà storicamente prevalente è incapace di capire le dinamiche economiche e porta le dichiarazioni a fermarsi agli slogans. Dunque, non meglio della Lega ed, anzi, persino peggio in quanto si arriva a negare l'esistenza del problema. Naturalmente, mettendo in campo il consueto "benaltrismo" .......

 

Quella della repubblica fondata sul lavoro mi sembra la solita enunciazione di principio buona per far contento un gruppo di pressione.Piuttosto è l' articolo 4 ad evidenziare quello che dici:

 

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.  Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 

Quanto al resto solo un' appunto: se P. Ichino fosse rappresentativo del pensiero economico del PD i limiti culturali di cui parli sarebbero molto più tenui.

 

P.S. grazie per non aver scritto tutto in corsivo :)

 

Quella della repubblica fondata sul lavoro mi sembra la solita enunciazione di principio buona per far contento un gruppo di pressione.

 

L'alternativa a "una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" sarebbe stata una fondata su Dio e Patria? Perche' l'alternativa valoriale era quella. Infatti, le costituzioni, anche quelle fasulle, si fondano su diritti e liberta' (si vedano i preamboli di varie costituzioni) che sarebbero concetti vuoti se non specificati. E infatti la Costituzione italiana specifica, e anche troppo. Se poi la parola fa venire l'orticaria, e sa di socialista, si noti che anche la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo utilizza un linguaggio simile http://www.un.org/en/documents/udhr/

Mah,

1)     come ha detto già qualcuno, chi urla e strepita è, quasi sempre, la destra. L’intervista linkata a Ichino mostra, semmai, che la sinistra, se è lui che la rappresenta in materia di economia e lavoro, è ragionevole. Fin troppo.

2)     Non riesco a capire perché si continua a parlare di un problema che, per ammissione stessa dell’autore, non esiste. I redditi da lavoro sono già diversi tra Nord e Sud e riflettono, in parte, le differenze di produttività. Che bisogno c’è dunque di politiche retributive differenziate o di altro fumo? Chiedo lumi.

3)     Che ci sia una situazione di asimmetria tra lavoratori e imprenditori mi pare evidente. Non è altrettanto evidente per l’autore di questo commento?

4)     Per dare contratti individuali occorre misurare il “reale” contributo dei diversi lavoratori (ivi compreso l’imprenditore) agli utili di impresa. Sarei grato all’autore di questo commento se me li suggerisse, a grandi linee, o suggerisse riferimenti.  

5)     Se non mi sbaglio, in Italia sono i salari lordi ad essere tra i più bassi dell’OCSE. Se così fosse, non si tratterebbe solo questione di cuneo fiscale, ma proprio di salari.

7)     Mi farebbe piacere un chiarimento riguardo al tema produttività. Non vorrei che si desse per garantita l’affermazione che la produttività la determinano i lavoratori. Mi pare che un ruolo ce l’abbiano anche gli imprenditori. Le loro scelte riguardo al settore di investimento, tecnologia, marketing, etc. etc., contribuiscono in modo determinante ai livelli di produttività. Infatti un’ipotesi è che i bassi livelli di produttività in Italia siano dovuti in buona parte alla cultura dell’imprenditoria italiana, familista, conservatrice, poco innovativa, fissata sull’investimento improduttivo, il mattone, esportatrice di capitali, corrotta e corruttrice. Un'ipotesi piuttosto peregrina ma a volte mi chiedo se non c'è qualcosa di vero in essa.

 

 

Non riesco a capire perché si continua a parlare di un problema che, per ammissione stessa dell’autore, non esiste. I redditi da lavoro sono già diversi tra Nord e Sud e riflettono, in parte, le differenze di produttività. Che bisogno c’è dunque di politiche retributive differenziate o di altro fumo? Chiedo lumi.

 

A me pare che i motivi a favore della differenziazione salariale siano stati spiegati e ri-spiegati, semmai c'e' da capire perche' non vengono compresi.

Innanzitutto i redditi da impiego pubblico sono uguali e non diversi tra Nord e Sud e tali redditi rappresentano parte non trascurabile dell'economia specie nel Sud.

Poi ci sono vari indicatori economici che plausibilmente indicano che i redditi privati del Sud sono piu' elevati di quanto giustificato dalla produttivita' locale: nel Sud Italia si misurano i massimi livelli di disoccupazione tra le regioni OCSE e si stimano i massimi livelli di evasione fiscale tra le regioni OCSE.

Per finire, ti invito a informarti su quanti investimenti esteri pro-capite vengono fatti nel Sud Italia rispetto a quelli che vengono fatti in Lombardia.  Se ricordo bene nel Sud arrivano investimenti esteri ~100 volte inferiori rispetto alla Lombardia, perche' semplicemente non sono redditizi: questo accade anche perche' i livelli dei salari privati sono troppo elevati in rapporto alla produttivita'.

 

Se non mi sbaglio, in Italia sono i salari lordi ad essere tra i più bassi dell’OCSE. Se così fosse, non si tratterebbe solo questione di cuneo fiscale, ma proprio di salari.

 

Ci sono entrambi i problemi, i salari lordi italiani sono tra i piu' bassi dell'OCSE e il cuneo fiscale e' tra i piu' alti dell'OCSE. Tuttavia mentre non esiste giustificazione per l'abnorme cuneo fiscale considerato il livello miserabile dei servizi statali ricevuti in cambio, il basso livello dei salari lordi e' in buona misura causato da una bassa produttivita' (a sua volta conseguenza anche dei livelli miserabili di alcuni servizi statali come ad es, la giustizia, vie di comunicazione, e anche istruzione per diversi aspetti).

 

Mi farebbe piacere un chiarimento riguardo al tema produttività. Non vorrei che si desse per garantita l’affermazione che la produttività la determinano i lavoratori. Mi pare che un ruolo ce l’abbiano anche gli imprenditori.

 

Gli imprenditori hanno un molto diretto interesse a migliorare la produttivita' e lo fanno entro i limiti delle loro capacita', ed entro i vincoli di una regolamentazione statale di qualita' scadente. Purtroppo alcuni imprenditori, specie grandi, invece di perseguire il miglioramento della produttivita' ricercano profitti colludendo con lo Stato in vari modi, per avere mercati protetti e/o oligopolistici, e per fruire di appalti e concessioni dettati da discrezionalita' politica e penalizzanti per i consumatori.

 

 

2 Non riesco a capire perché si continua a parlare di un problema che, per ammissione stessa dell’autore, non esiste. I redditi da lavoro sono già diversi tra Nord e Sud e riflettono, in parte, le differenze di produttività. Che bisogno c’è dunque di politiche retributive differenziate o di altro fumo? Chiedo lumi.

 

Buona parte di quella differenza è ottenuta tramite lavoro nero ed altri trucchetti.Differenziare i minimi incentiverebbe l' emersione di parte dell' economia.

 

5) Se non mi sbaglio, in Italia sono i salari lordi ad essere tra i più bassi dell’OCSE. Se così fosse, non si tratterebbe solo questione di cuneo fiscale, ma proprio di salari.

 

Per i lavoratori meno produttivi aumentare il salario lordo è impossibile, ma si può agire sul cuneo.

 

7) Mi farebbe piacere un chiarimento riguardo al tema produttività. Non vorrei che si desse per garantita l’affermazione che la produttività la determinano i lavoratori. Mi pare che un ruolo ce l’abbiano anche gli imprenditori. Le loro scelte riguardo al settore di investimento, tecnologia, marketing, etc. etc., contribuiscono in modo determinante ai livelli di produttività. Infatti un’ipotesi è che i bassi livelli di produttività in Italia siano dovuti in buona parte alla cultura dell’imprenditoria italiana, familista, conservatrice, poco innovativa, fissata sull’investimento improduttivo, il mattone, esportatrice di capitali, corrotta e corruttrice. Un'ipotesi piuttosto peregrina ma a volte mi chiedo se non c'è qualcosa di vero in essa.

 

Banalmente, se il lavoratore Piero all' imprenditore Ugo rende X, Ugo non sarà mai disposto a pagare Piero più di X (salvo errori di calcolo).Che X sia basso per incapacità di Ugo è frequente  ma irrilevante.Meglio, la bassa produttività delle imprese italiane è un problema (e la causa principale dei bassi salari lordi), ma in fase di contrattazione dei salari si può prendere per data.

E' perfettamente possibile contrattare salari maggiori per le aziende (ed i lavoratori) più produttive, mentre per le meno produttive la scelta è tra bassi salari e chiusura, col nero come via di mezzo.Non è necessariamente un male che le aziende poco produttive chiudano.

P.S. Cosa volevi dire nel punto 3? Forse che le rispettive forze contrattuali sono sbilanciate?

Bergamo (ma non hai un nome?)

  1. L'intervista ad Ichino mostra che, contrariamente a quanto indica il suo ruolo nel PD, egli non rappresenta il pensiero del suo partito in materia di economia e lavoro. Nemmeno mostra, a mio avviso, ch'egli sia ragionevole (perché mai, poi, "fin troppo"?), ma invece che conosca il tema di cui si occupa e che non rifiuti il confronto con la realtà (e l'aritmetica .....). Non altrettanto si può dire per la quasi (?) totalità dei compagni di partito.
  2. Ha risposto magnificamente Alberto Lusiani, le cui parole sottoscrivo. Condivido anche l'integrazione di Marcello Urbani.
  3. L'asimmetria è sempre funzione delle condizioni di mercato, quindi non è detto che sia a favore degli imprenditori ma ha a che fare con la legge della domanda e dell'offerta degli specifici skills. Non credo sia corretto e utile proteggere/sovvenzionare gli incapaci od i nullafacenti: mi sembra molto meglio creare un ambiente culturale favorevole al miglioramento in termini formativi e d'impegno, lasciando le conseguenze di una scelta diversa sulle spalle di chi individualmente la compie. Tra l'altro, un'infinità di casi dimostrano che è possibile tentare un'attività in proprio, quando le condizioni in essere non siano soddisfacenti.
  4. Dovrai rassegnarti: la misurazione non può che essere affidata all'imprenditore, il quale ha tutto l'interesse a valorizzare i collaboratori a suo giudizio più efficaci. Certo, può sbagliare ed anche essere un incapace, ma le conseguenze delle sue scelte errate ricadono sulla sua azienda, cioè sul suo capitale investito. Quindi ha molto da perdere. Inoltre, mi pare perfettamente logico che le aziende penalizzate da decisioni imprenditoriali sbagliate possano chiudere e lasciar spazio ad altre realtà meglio attrezzate per la competizione, oppure essere assorbite.
  5. & 7. Anche qui, AL & MU son stati esaustivi (ma non c'è un 6.?)

 

 

L'opposizione - come sempre priva d'idee e culturalmente incapace di rapportarsi, o fors'anche solo di capire, il giuslavorista Pietro Ichino che teoricamente dovrebbe avere, nel PD, il compito d'occuparsi della materia - urla e strepita, paventando quelle improbabili penalizzazioni del Sud che solo l'incomprensione per il funzionamento dell'economia rende credibili.

 

 

    come ha detto già qualcuno, chi urla e strepita è, quasi sempre, la destra. L’intervista linkata a Ichino mostra, semmai, che la sinistra, se è lui che la rappresenta in materia di economia e lavoro, è ragionevole. Fin troppo.

 

 

La frase di DoktorFranz è un po' contorta ma se la smontiamo diventa più chiara:

 

L'opposizione urla e strepita, paventando quelle improbabili penalizzazioni del Sud che solo l'incomprensione per il funzionamento dell'economia rende credibili.

Opposizione priva d'idee e culturalmente incapace di rapportarsi o di capire il giuslavorista Pietro Ichino che teoricamente dovrebbe avere, nel PD, il compito d'occuparsi della materia.

 

In parole povere se il PD seguisse la strada che Ichino indica farebbe cosa buona e giusta, invece rimane arroccato su polverose posizioni da lotta sindacale anni 70 per evidenti limiti culturali.

 

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" Gli imprenditori hanno un molto diretto interesse a migliorare la produttività"

Hanno interesse a massimizzare i profitti, e essi crescono coll'aprirsi della forbice tra produttività e costi, altrimenti i nostri imprenditori di Biandrate non investirebbero in Romania ma in Francia.

Condivido il suo argomento sull’omogeneità degli stipendi dell’impiego pubblico visavis le differenze nel costo della vita. Tuttavia, visto che differenze esistono nel costo della vita anche tra Pizzo Calabro e Napoli, perché gli stipendi reali del pubblico impiego siano veramente simili da località a località occorrerebbe sviluppare (e aggiornare regolarmente) indici del costo della vita per comune – e mi chiedo se questo gioco, alla lunga, valga la candela.

" investimenti esteri ~100 volte inferiori rispetto alla Lombardia, perché semplicemente non sono redditizi".

Lei sostiene che la scarsezza di investimenti al Sud prova la veridicità dell'ipotesi che i lavoratori del settore privato al Sud sono superpagati. Ma i dati disponibili dicono altrimenti. I salari nel settore diciamo legale sono più bassi, lo dice Bankitalia – veda dopo -- e quelli in nero lo sono ancora di più.

Perciò  la domanda che forse dovremmo porci è perché gli imprenditori di Biandrate non sgomitino per investire a Pizzo Calabro.

" Buona parte di quella differenza è ottenuta tramite lavoro nero ed altri trucchetti. Differenziare i minimi incentiverebbe l' emersione di parte dell' economia."

Cito per esteso dal recente studio di Bankitalia sulle economie regionali.

“A parità di dimensione, la componente aziendale delle retribuzioni è nel Mezzogiorno di 5-6 punti percentuali inferiore rispetto al Nord per gli operai (fig. 7.1a); di 8-9 punti per gli impiegati (fig. 7.1b).  “

Cioè le differenze retributive tra Nord e Sud non sembrerebbero (solo) dovute alla maggiore incidenza del lavoro nero in quest’ultima regione, ma (anche) al fatto che qui salari e stipendi sono più spesso mantenuti ai minimi contrattuali di quanto non sia al Nord.

Riguardo poi alla sua ipotesi che ridurre i minimi contrattuali al Sud farebbe emergere parte dell’economia ora in nero, mi chiedo di quanto dovrebbero ridursi per farlo. Assumendo che il costo dell’illegalità è quasi nullo e che i contributi costituiscono un buon 60% della busta paga, perché la riduzione sia efficace, occorrerebbe pensare a fissarla in un terzo dei minimi attualmente applicati. Mi pare un’opzione di difficile applicazione. Mi chiedo allora perché non esplorare una volta tanto l'opzione bastone, far rispettare la legge, rafforzare gli ispettorati del lavoro, applicare le pene previste per chi assume un lavoratore illegalmente.

 

" Gli imprenditori hanno un molto diretto interesse a migliorare la produttività"

Hanno interesse a massimizzare i profitti, e essi crescono coll'aprirsi della forbice tra produttività e costi, altrimenti i nostri imprenditori di Biandrate non investirebbero in Romania ma in Francia.

 

Alcuni investono anche in Francia (o più probabilmente in Irlanda) perchè puntano ad aumentare la produttività anzichè a ridurre i costi.Dipende molto da cosa producono.

 

" investimenti esteri ~100 volte inferiori rispetto alla Lombardia, perché semplicemente non sono redditizi".

Lei sostiene che la scarsezza di investimenti al Sud prova la veridicità dell'ipotesi che i lavoratori del settore privato al Sud sono superpagati. Ma i dati disponibili dicono altrimenti. I salari nel settore diciamo legale sono più bassi, lo dice Bankitalia – veda dopo -- e quelli in nero lo sono ancora di più.

Perciò  la domanda che forse dovremmo porci è perché gli imprenditori di Biandrate non sgomitino per investire a Pizzo Calabro.

 

E' semplice: la produttività al sud è tanto inferiore da non compensare il minor costo del lavoro.

 

Riguardo poi alla sua ipotesi che ridurre i minimi contrattuali al Sud farebbe emergere parte dell’economia ora in nero, mi chiedo di quanto dovrebbero ridursi per farlo. Assumendo che il costo dell’illegalità è quasi nullo e che i contributi costituiscono un buon 60% della busta paga, perché la riduzione sia efficace, occorrerebbe pensare a fissarla in un terzo dei minimi attualmente applicati. Mi pare un’opzione di difficile applicazione. Mi chiedo allora perché non esplorare una volta tanto l'opzione bastone, far rispettare la legge, rafforzare gli ispettorati del lavoro, applicare le pene previste per chi assume un lavoratore illegalmente.

 

Se il costo dell' illegalità fosse nullo il tuo ragionamento non farebbe una piega.Probabilmente è davvero troppo basso ed intensificare i controlli in certe regioni ad altissimo tasso di sommerso è una buona idea.

In realtà però il costo non è nullo, e ogni impresa sceglie se e quanto farne in base a calcoli propri.Diminuire il costo minimo legale del lavoro diminuisce i costi per l' emersione, per cui ceteris paribus dovrebbe favorirla. Certo che per molti resterebbe sconveniente, e molti altri preferirebbero rischiare, ma alcune imprese che ora sono profittevoli solo grazie al nero si troverebbero in condizioni di poter emergere.Per queste i controlli potrebbero solo imporre la chiusura.

Bergamo, se tu potessi avere l'accortezza di postare i tuoi interventi usando il tasto "replica" sarebbe più chiaro chi è l'interlocutore al quale ti riferisci e più semplice seguire la discussione ed, eventualmente, rispondere ..... :-)

Comunque, posto che non mi pare di essere direttamente oggetto di quest'ultime tue obiezioni (le parole discusse erano di AL & MU), c'è una drammatica (?) rivelazione che ti vorrei fare: sebbene anch'io conosca qualcuno che ha investito in Romania (ed anche qualcun altro che da là è rientrato, per la verità ...), le situazioni sono assai diversificate. Ad esempio, un mio fornitore italiano di macchinari da qualche anno li costruisce in Svizzera, un lontano parente ha aperto da tempo una filiale di produzione in Austria, un amico ha fatto lo stesso in Spagna ed un altro in Baviera ...... solo per citarne alcuni. Mi dispiace di non essere al corrente di episodi riguardanti la Francia (per rimanere nel tuo esempio) ma, a giudicare secondo il tuo metro di valutazione, tutti questi altri devono essere pazzi .... :-)

Inoltre - e qui non saprei davvero se ti riferisci a me oppure no, quindi rispondo - io mai ho parlato di costo della vita per giudicare il livello dei salari pubblici al Sud: semplicemente questi, essendo gli stessi in tutta Italia (a parte alcuni bonuses nelle regioni autonome), al Sud sono vantaggiosi rispetto ai salari privati, che là sono mediamente inferiori. Il paragone corretto sarebbe quello, ed andrebbe monitorato localmente, quindi senza costose e non so quanto affidabili indagini comunali che stabiliscano indici puntuali di costo della vita e che non risolverebbero il problema della distorsione retributiva introdotta dal settore pubblico. Tale monitoraggio, però, è solo un second best, dal momento che la via maestra dovrebbe passare per la responsabilizzazione della pubblica amministrazione locale, la quale dovrebbe essere obbligata a pagare i propri dipendenti solo con le risorse raccolte in loco e senza fare riferimento a contratti nazionali: ciò ridurrebbe automaticamente i livelli retributivi e, molto probabilmente, anche organici spesso pletorici. Si potrebbe persino arrivare ad un'efficienza oggi sconosciuta ed all'utilizzo del mercato per molte funzioni. Ah, la concorrenza .....:-)

Infine, non posso che ribadire - pur concordando che nel meridione i controlli siano, generalmente, alquanto morbidi e che si dovrebbe esser più seri - un'ovvietà: là non arrivano investimenti produttivi da fuori perché non conviene. Le ragioni sono diverse, a partire dalle carenze infrastrutturali e dai problemi di legalità - aspetti sui quali è compito di un governo intervenire - ma passando anche per un costo del lavoro eccessivo rispetto a quanto necessario nelle condizioni reali. Certamente l'abbassamento della soglia legale - meglio ancora la sua eliminazione - migliorerebbe l'appetibilità degli investimenti. Non saprei dire - forse nessuno lo sa fare, forse bisognerebbe provare - quale sia il livello ottimale, anche perché non può che essere diverso per ogni singola realtà: torniamo all'adattabilità dei contratti custom made, impossibile con i contratti collettivi (nazionali o territoriali che siano). Che, poi, si possa ottenere un abbassamento del costo del lavoro agendo sul cuneo fiscale (cioè riducendo la quota di retribuzione rapinata dalla mano pubblica con diverse modalità) anziché sul netto percepito siamo tutti d'accordo, ma è necessario reperire le risorse riducendo significativamente la spesa pubblica corrente, cioè per pensioni e stipendi. Magnifico, è proprio quel che ci vuole, ma torniamo al punto di partenza ....

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Bene, sgombrato rapidamente il campo dall'aspetto di competizione politica, e dalle motivazioni a monte della proposta, è tempo di entrare nel merito.

 

 

In verità il campo è tutt'altro che sgombro: “il partito del Sud” è innanzitutto il partito della Sicilia, è da Miccicchè e Cuffaro che è partito l'attacco, è alla Sicilia che è stato dato, tra l'altro è stato dato quello che con un'altra mano le era stato tolto. Più che uno scontro “politico e territoriale” a me è sembrato un discorso del tipo: “ma come a loro (bossi & c.) sì e a noi no ? vogliamo un po' di soldi per le nostre clientele !” La competizione politica c'entra come i cavoli a merenda, è e sarà una questione di denari da redistribuire alle clientele o finti “risultati” politici da gabbare al proprio elettorato.

 

Per il resto sono d'accordo con te su tutto, anche sul fatto che il governo attuale è il primo che ha in agenda anche le PMI, di cui in genere se ne parlava solo per dirne male (evasori, poco innovativi, troppo piccoli, etc., etc..), e questo già è qualcosa. Peccato per i risultati modesti...

Vengo al mio punto preferito: la differenziazione salariale. Dal mio punto di vista è l'unica base possibile per uno sviluppo del Meridione, stante la scarsità e il basso livello dei servizi offerti dal pubblico, i rischi di una malavita pervasiva, le infrastrutture indegne del Burundi (invito i lettori di Nfa a un week-end sulla Salerno-Reggio Calabria, oppure ad un viaggio in treno da Bari a Napoli (200 km) in 5 ore e via continuando), per cui solo un pazzo o un “pompato” da soldi pubblici verrebbe a investire nel Meridione: tutti gli svantaggi del Burundi e il costo di Oslo, ma via...

 

Io il partito del Sud lo fonderei volentieri, ma solo per recidere quel perfido cordone ombelicale che tiene in vita la peggior classe politica del pianeta Terra: i soldi che lo Stato italiano “pompa” nel Mezzogiorno, che formano un rivoletto che finisce nelle tasche dei politici e dei mafiosi, e che poi torna al Nord sotto forma di acquisto di beni e servizi (Impregilo, sede a Milano, è la Halliburton del Sud, partendo dalla sua controllata Fibe, quella dell'emergenza rifiuti a Napoli, passando dalla SA-RC al monumento all'inutilità del Ponte sullo Stretto). Via i soldi presi ai contribuenti del Nord, via questa inutile classe politica, un Meridione liberista potrebbe essere quello che la Cina è diventato: un'opportunità, e non un peso.

Il vantaggio sarebbe che, comunque, la produttività per addetto delle imprese meridionali è (ancora per poco) più alto di quella cinese, ma solo abbassando il costo del lavoro si aprirebbero queste opportunità. Ma questo (penso) è più il manifesto di Marco Esposito che una base di discussione.

Per ultimo ricordo che Bossi ha detto “si devono alzare gli stipendi dei dipendenti pubblici al Nord”. Di gabbie salariali non ha mai parlato...

Ehilà, Marco ..... :-)

Tornato dall'Ogliastra e finito il Cannonau?

Detto che la competizione politica è una questione di potere (e quindi anche di soldi), che Bossi & Co. han parlato, genericamente, di necessità d'aumento degli stipendi al Nord, che non si capisce che accidenti abbia tale richiesta a che fare con un'ipotetica diminuzione al Sud (cosa che invece - in media, ribadisco, in media - allo sviluppo del meridione servirebbe, insieme a servizi decenti e meno costosi, peraltro, ad a qualche bocca famelica in meno ....), non v'è dubbio che a mangiare siano anche grandi aziende settentrionali: son quelle che sfruttano la collateralità con la politica, quelle che fanno i bilanci - mai magri - con le concessioni ed i mercati protetti. E che, in qualche modo, ricambieranno pure ....

Sono anche quelle che non vorrei avessero voce in capitolo per quanto riguarda le scelte da compiere in una associazione imprenditoriale, che vorrei emarginate o, meglio, fuori dai c......!