La riforma elettorale: note dal margine del campo di battaglia.

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Dove cerco di capire come si stanno riposizionando gli schieramenti nella battaglia sulla riforma elettorale.

Non credo di dire nulla di clamoroso se suggerisco che la riforma elettorale prossima ventura verrà determinata dalla negoziazione tra forze politiche che hanno come principale obiettivo quello di massimizzare seggi e potere contrattuale alle prossime elezioni. Tutte le belle considerazioni fatte nelle varie torri d'avorio sono quindi destinate a restare più o meno marginali al dibattito. A partire da questa osservazione, vediamo di capire come si sta sviluppando la discussione e quali saranno i suoi probabili esiti.

Il dibattito sulla riforma elettorale è stato innescato dalla proposta di referendum, ma questa in buona misura è probabilmente una scusa. Alla fine della fiera, per i referendum non è nemmeno iniziata la raccolta di firme. In un mondo dall'orizzonte corto come quello della politica italiana è quindi sorprendente che ci si attivi con tanto anticipo. Ho già espresso i miei dubbi sul fatto che i referendum riescano a raggiungere il quorum; la situazione è un po' migliorata, nel senso che Forza Italia sembra (il condizionale è d'obbligo) propensa a partecipare al voto. Ci sono comunque buone ragioni per ritenere che i referendum avrebbero efficacia limitata. La principale conseguenza di una vittoria referendaria sarebbe quella di assegnare il premio di maggioranza al partito anziché alla coalizione. Non è sfuggito a nessuno che tale norma è facilmente aggirabile. Di fatto la norma costringerebbe solo i partiti di una coalizione a presentare un unico simbolo elettorale, mantenendo poi intatte le divisioni pre-esistenti; per esempio, nulla vieterebbe agli eletti di una data lista di formare gruppi parlamentari separati.

In realtà non sarebbe difficile evitare il referendum semplicemente modificando gli aspetti più deliranti dell'attuale legge, senza modificarne l'impianto sostanziale. La legge è stata palesemente fatta in fretta e furia da persone ovviamente incompetenti dal punto di vista tecnico. Contiene norme evidentemente incostituzionali (oltre che irrazionali), come l'esclusione dei voti della Val D'Aosta ai fini del computo del premio di maggioranza alla Camera, ed è veramente sorprendente e preoccupante che la Corte Costituzionale non sia intervenuta. L'assegnazione dei seggi al Senato è specificata in modo così confuso che ha dato luogo a conflitti ex post sull'attribuzione dei seggi. I premi di maggioranza regionali sono senza capo né coda. E così via. Una riforma che semplicemente eliminasse le deficienze tecniche dell'attuale legge eviterebbe il referendum e probabilmente otterrebbe largo consenso in Parlamento.

Questo non è quello che sta succedendo. La discussione, al momento ancora aperta, si è invece orientata verso un cambiamento dell'impianto della legge. Perché le forze politiche discutono con fervore e non rimandano semplicemente il problema? La risposta è che alcune forze, in primo luogo l'UDC e Rifondazione Comunista, che inizialmente si poteva aspettare fossero avverse a qualunque cambiamento, hanno visto la possibilità di corposi guadagni. Andiamo per ordine.

L'UDC sta cercando di completare il disegno di reintroduzione del proporzionalismo che aveva iniziato nell'autunno 2005 quando spinse per il cambiamento della legge elettorale. Allora ottennero una robusta proporzionalizzazione del sistema e accettarono (malvolentieri) in cambio il premio di maggioranza. Ora è il momento di eliminare il premio.

La novità è che i centristi si sono resi conto dei potenziali benefici di una clausola di sbarramento 'alla tedesca' del 5%. Nel 2006 l'UDC ha ottenuto il 6,8% del voto alla Camera. Se viene abolito il premio di maggioranza e viene istituito lo sbarramento al 5% l'UDC si potrà sganciare da Berlusconi e potrà trattare da posizione di forza con altre formazioni centriste, a cominciare da Mastella, la costituzione di una nuova forza di centro in grado di raccogliere intorno al 10% dei voti. Per i centristi sarebbe come avere la botte piena e la moglie ubriaca. Diventerebbero forza determinante per la formazione di qualunque governo, dato che è improbabile, almeno nel futuro prossimo, che centrodestra o centrosinistra senza centristi siano in grado di raggiungere più del 50% del consenso popolare. Di più, i centristi sarebbero probabilmente in condizione di scegliere ex post tra i due schieramenti, diventando quindi gli autentici arbitri del governo.

Da un certo punto di vista lo scenario sarebbe, per i centristi, molto meglio che ai tempi della DC. Sarebbe in effetti assai vicino a quella specie di regno di bengodi in cui si trovarono negli anni '70 e '80 i craxiani in molte situazioni locali, in cui la possibilità di allearsi a convenienza con la DC o il PCI garantiva a un partito che difficilmente raccoglieva più del 10% sindaci, assessorati ai lavori pubblici e assessorati all'urbanistica, con tutto quel che ne conseguiva. Inoltre la DC era un partito grande. I capi e capetti centristi sono meno numerosi, e quindi anche le bocche da sfamare sono meno. Quasi tutti i personaggi con un minimo di rilevanza otterrebbero almeno un sottosegretariato.

Una soluzione del genere sarebbe altamente stabile, nel senso che è improbabile che a quel punto si manifestino forze endogene per il cambiamento della legge elettorale. I centristi si opporrebbero strenuamente, e solo un'alleanza tra destra e sinistra potrebbe reintrodurre il principio maggioritario. Dato l'orizzonte delle nostre forze politiche questo è altamente improbabile. Inoltre la presenza permanente al governo consentirebbe ai centristi di aumentare, rafforzare e stabilizzare il proprio consenso mediante ben sperimentati metodi clientelari. Salvo implausibili catastrofi ambientali, tipo crisi fiscale dello Stato, i centristi avrebbero assicurata la permanenza al governo per alcuni decenni. Non appare quindi sorprendente che l'UDC abbia dato la propria disponibilità a discutere.

L'altra novità è la disponibilità allo sbarramento del 5% da parte di Rifondazione Comunista. Anche in questo caso la cosa appare sensata, dal loro punto di vista. RC ha ottenuto il 5,8% alle ultime elezioni. Uno sbarramento del 5% appare rischioso, ma occorre tener conto che Verdi e PdCI hanno ottenuto ciascuno il 2,3%. L'effetto più probabile dello sbarramento sarebbe quindi una riorganizzazione politica dell'area della sinistra radicale. Se si tiene conto che con la ormai inevitabile formazione del Partito Democratico alcune forze usciranno dai DS da sinistra, è probabile che si venga a formare un'unica formazione con un consenso intorno al 10%. Con uno sbarramento del 5% l'attuale forza elettorale permetterebbe all'attuale gruppo di comando di RC di conquistare le posizioni migliori in tale nuova formazione, a spese degli altri. Le recenti dichiarazioni di Giordano sulla necessità di superare l'esperienza di Rifondazione vanno chiaramente in questa direzione.

D'altra parte Rifondazione non ha interesse a rimuovere il premio di maggioranza, dato che senza premio rischiano di diventare possibili alleanze di governo tra i centristi e il Partito Democratico, con esclusione della sinistra radicale. Ma RC potrebbe accettare di pagare questo costo, scommettendo sulla forza elettorale di un nuovo schieramento a sinistra del Partito Democratico egemonizzato dall'attuale dirigenza bertinottiana.

Le altre novità sono minori. La Lega si è apparentemente svegliata e ha capito che una legge alla tedesca la farebbe fuori. È quindi corsa a chiedere soccorso a Berlusconi, finora con risultati poco chiari. Berlusconi è riuscito a dire la cosa più idiota in assoluto ('gli italiani non vogliono il doppio turno perché si stancano a votare due volte') e continua l'atteggiamento ondivago. Ha ovviamente capito il disegno centrista, ma dato che alle prossime elezioni sarebbero comunque suoi alleati, e il suo orizzonte non va più in là, la cosa non lo preoccupa particolarmente. D'altra parte ha paura di essere abbandonato dalla Lega se accede alle domande dell'UDC. Infine, vari politici di Forza Italia hanno cercato di far passare l'assurda nozione che l'approvazione di una riforma elettorale implica che si debba andare a votare immediatamente; è l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere fatto, ma è inutile stare a sparare sulla croce rossa.

AN, DS, e Margherita temporeggiano, cercando di parare il colpo dei centristi. Per AN in verità non ci sono molti dilemmi. Il disegno neocentrista è per loro esiziale, e si batterà per mantenere il bipolarismo. Nel centrosinistra la situazione è un po' più complicata. È forte la tentazione di usare la legge elettorale per imbarcare l'UDC e ottenere un po' di respiro per l'attuale governo al Senato. D'altra parte, è palese che l'interesse di lungo periodo del Partito Democratico richiede il mantenimento del bipolarismo. La divisione qui appare più generazionale che politica. Prodi ovviamente è quello che ha più da guadagnare e meno da perdere da una svendita ai centristi. Invece, se D'Alema e Rutelli permettono ai centristi di diventare l'ago della bilancia si possono scordare di diventare primo ministro, sia nel futuro vicino sia in quello lontano.

Come andrà a finire? Al momento mi sembra che le possilità siano due. La prima è che vincano i centristi e Rifondazione e si instauri il proporzionalismo con sbarramento, forse non al 5% ma al 4% per andare incontro alla Lega. Ognuno può pensare quello che vuole di un ritorno permanente dei centristi al governo, ma io considererei questa una delle peggiore iatture possibili. La seconda è che si raggiunga lo stallo e che si vada al referendum. Se il referendum passasse, cosa non ovvia, ci sarebbe un marginale miglioramento dell'attuale legge, anche se alcuni assurdi aspetti tecnici (come l'esclusione della Val d'Aosta dal computo del premio nazionale) non verrebbero eliminati.

C'è ovviamente la piccolissima probabilità che alla fine, nonostante tutto, prevalgano la decenza e il buonsenso e si faccia una buona legge elettorale. Magari non il mio personalissimo sogno australiano con premio di maggioranza, ma almeno il doppio turno. I'm not holding my breath.

 

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Ci sono 47 commenti

Condivisibile tutto, meno l'affermazione: "i premi di maggioranza regionali sono senza capo né coda". La Costituzione prevede che i senatori siano eletti su base regionale, se si vuole rispettare la sostanza non e' possibile avere premi di maggioranza nazionali. La Costituzione italiana prima della riforma dell'Ulivo conteneva alcune minime prescrizioni vagamente federali, tra cui la competenza regionale della sanita' e appunto le prescrizioni sull'elezione dei senatori. La competenza regionale della sanita' e' stata svuotata di ogni significato facendola amministrare dal governo centrale, per cui l'elezione dei senatori rimane forse l'unico principio costituzionale vagamente federale ancora non stravolto dalla prassi. Personalmente farei di tutto per salvarlo.

Volendo fare una legge proporzionale con premio di maggioranza senza modificare la Costituzione, i premi di maggioranza regionali sono pienamente giustificati. Se fosse stato approvato il referendum costituzionale, sarebbe stato in seguito eliminato il bicameralismo e non ci sarebbe stato bisogno di una maggioranza certa al Senato, per di piu' uguale a quella della Camera.

Per quanto riguarda piu' in generale la legge elettorale, senza modificare la Costituzione e appunto rimuovendo il bicameralismo, e' impossibile fare una legge elettorale che produca maggioranze certe e concordi anche quando l'elettorato e' diviso a meta' come nel 2006. L'unica via d'uscita sensata e' modificare la Costituzione eliminando il bicameralismo perfetto, a quel punto la legge attuale funziona, ed e' difficile far meglio dal punto di vista tecnico di combinare governabilita' e rappresentanza, anche se vanno rimossi i difetti come l'esclusione del voto dei valdostani dal quorum, e personalmente rimuoverei anche le ridicole circoscrizioni estere, consentendo il voto solo agli italiani temporaneamente all'estero, da attribuire alle loro circoscrizioni di appartenenza.

Sottolineo peraltro che considero il proporzionale con premio di maggioranza nazionale alla coalizione un sistema efficace solo da un punto di vista tecnico astratto, ma non mi piace per molti aspetti. Il punto piu' importante e' che a mio parere un sistema maggioritario deve responsabilizzare al massimo chi grazie ad esso vince. Se a vincere e' una persona, come il presidente degli USA, l'effetto di responsabilizzazione esiste: c'e' una persona ben definita, che ha onere e onore del governo su mandato di una maggioranza spesso relativa e non assoluta, qualunque cosa succeda rimane reponsabile delle sue azioni e sara' giudicato di conseguenza. Il premio di maggioranza ad una coalizione di partiti (che in Italia si traduce in un'accozzaglia di partiti) e' quanto di peggio si possa immaginare da questo punto di vista, specie considerando la tradizione storica del trasformismo politico italiano. Secondo me non e' un caso che i paesi di maggiore tradizione democratica come UK, Francia, USA, Svizzera, Olanda, Svezia non abbiano premi di maggioranza a partiti e coalizioni, e solo paesi di incerta esperienza democratica come Italia e Grecia abbiano elaborato questi sistemi.

 

 

proprio dal margine del campo di battaglia e' venuto fuori ieri un bigliettino su cui, a quanto pare, Berlusconi appuntava quelli che per Fassino sarebbero punti inprescindibili della riforma elettorale prossima ventura...

trattandosi di prova non marginale per la tua indagine, cerchiamo di ripartire da li'.

maggioranza nazionale, no a preferenze, si a sbarramento. Gli interessi del nascituro (?) Partito Democratico e di FI mi sembra convergano a meraviglia: uno sbarramento al 5% o al 4% ed il premio di maggioranza nazionale garantirebbero la continuita' del bipolarismo che su questi 2 partiti si regge ed aumenterebbero la governabilita' rispetto al pastrocchio attuale, last but not the least la mancanza di preferenze manterebbe invariato il potere delle segreterie e dunqe massimizzerebe la rendita politica per i capatazz dei vari partiti (su quest'ultimo punto temo sian d'accordo un po' tutti).

proprio per le ragioni che citi nel tuo post, inoltre, una riforma su queste linee troverebbe l'appoggio di AN e di RC (even more, dato che il premio di maggioranza nazionale congelerebbe i centristi). con l'abbassamento della soglia di sbarramento, e qualche milioncino del Berlusca, penso poi che anche la Lega ci possa stare.

veniamo al partito del no: chiaramente l'UDC e poi tutti la composita galassia di micropartitini del centro sinistra. un'opposizione non insormontabile, almeno sulla carta. ma i vari Diliberto e Pecoraro Scanio cosi' come l'atteggiamento dell'UDC (come dimostra il dibattito sul rifinanziamento della misione in Afghanistan) sono sostanziali per la sopravvivenza del governo.

ed allora temo che finche' Prodi restera' a Palazzo Chigi e finche' si continuera' col muro contro muro fra i maggiori partiti sia molto difficile che una riforma del genere possa passare....

 

 

Credo siamo essenzialmente d'accordo sull'opportunità di eliminare il bicameralismo perfetto, ma è completamente irrealistico nelle condizioni attuali. Il problema è che le riforme costituzionali recenti, quella passata dell'Ulivo e quella bocciata della CdL, hanno semplicemente mostrato l'incapacità di entrambi gli schieramenti di produrre qualcosa di buono ed efficace. Non c'è purtroppo motivo di pensare che le cose siano cambiate.

Il problema in parte è stato che nessuno si è limitato a fare piccoli miglioramenti incrementali, puntando invece al Grande Riassetto Istituzionale. Tale riassetto è anche una bella cosa, ma devi saperlo fare. Siccome non è questo il caso, credo che il meglio che possiamo ottenere sono alcuni semplici cambiamenti migliorativi. Nel caso del Senato, sarebbe bello poter direttamente e semplicemente abrogare gli articoli 58 (discriminazione contro i giovani per elettorato attivo e passivo) e 59 (senatori a vita). Visto che di abrogazione secca si tratterebbe, senza troppe discussioni su cosa mettere al posto dei vecchi articoli, forse i nostri politici riuscirebbero a non far danni.

Magari si riesce pure a ridurre il numero dei parlamentari, che il Italia è grottescamente alto. Per il bicameralismo o altre cose più ardite non c'è speranza, si rimetterebbero a discutere dei massimi sistemi e produrrebbero la solita confusa porcheria. Come in tanti altri casi della vita, il meglio è nemico del bene.

Visto che i premi regionali sono l'unico punto di dissenso, parliamo di quelli.

Se diamo retta alla narrativa dei giornali e alle varie dichiarazioni di Ciampi, Calderoli e compagnia, i premi regionali sono stati introdotti dalla CdL perché Ciampi aveva manifestato perplessità sulla costituzionalità del premio nazionale al senato.

Io ammetto che questa non l'ho capita. L'art. 57 è molto ambiguo e afferma solo che 'il senato è eletto su base regionale'. Questa parte dell'articolo è rimasto invariata dal 1948, e per tutto il periodo della prima repubblica si è usato al Senato un curioso sistema che comunque prevedeva in parte l'assegnazione dei seggi usando i resti a livello nazionale (è grazie a tale sistema che forze minuscole come la Lega negli anni 80 o i fascisti di Rauti riuscivano a raggranellare qualche seggio al Senato ma non alla camera). Perché il sistema dei resti a livello nazionale fosse compatibile con l'art. 57 e il premio di maggioranza nazionale no resta per me un mistero. Dubito che ci sia consenso sulla faccenda tra i costituzionalisti.

Una volta bloccato il premio nazionale la CdL sembra aver deciso che tanti premi regionali fossero un second best. Questa è la cosa che secondo me non ha né capo né coda.

La ratio del premio nazionale è quello di garantire una maggioranza parlamentare. Il premio regionale non serve assolutamente a questo scopo, ed è quindi radicalmente diverso da un premio nazionale. Solo un Calderoli può pensare che le due cose siano sostituti (ehi, hanno lo stesso nome, no?).

Il premio regionale è una lotteria con esiti imprevedibili. Infatti, un Dio particolarmente beffardo si è preso il gusto di usare tale lotteria per dare una risicata maggioranza all'Unione nonostante la vittoria in termini di voti della CdL.

Il sistema è di fatto simile all'assurdo sistema usato negli USA per l'elezione del presidente, in cui tutti i voti elettorali di ciascuno stato vanno a chiunque sia arrivato primo in quello stato. Negli USA il premio è quindi del 100%, da noi del 55%, ma la logica è la stessa. In entrambi i casi la vittoria può andare a chi piglia meno voti, è successo in USA nel 2000 e in Italia nel 2006.

Il premio al 55% ha inoltre bizzarrissimi effetti per le regioni più piccole, che non sono poche, visto che la questione degli interi diventa cruciale.

Per capire il problema compariamo due regioni, una con 7 seggi (Friuli, Umbria) e l'altra con 8 (Liguria, Marche). Supponiamo che ci siano due partiti e in entrambe le regioni un partito vinca con il 51% dei voti. Bene, nella regione con tre seggi il primo partito prende 4 seggi su 7 (57% dei seggi) sia con un sistema senza premio che con un sistema con premio. Nella regione con 8 seggi, in assenza di premio i seggi andrebbero 4 a 4. Ma con il premio vanno 5 a 3, ossia il 62,5% dei seggi. Una differenza del 5% è enorme vista la composizione finale del senato. In generale il sistema produce risultati abbastanza diversi a seconda che il numero dei seggi regionali sia pari o dispari. Non c'è alcuna logica in questo.

 

 

 

Il sistema è di fatto simile all'assurdo sistema usato negli USA per

l'elezione del presidente, in cui tutti i voti elettorali di ciascuno

stato vanno a chiunque sia arrivato primo in quello stato. Negli USA il

premio è quindi del 100%, da noi del 55%, ma la logica è la stessa. In

entrambi i casi la vittoria può andare a chi piglia meno voti, è

successo in USA nel 2000 e in Italia nel 2006.

 

Be', e' assurdo se assumi uno stato omogeneo, ma gli Stati Uniti

sono nati come aggregato di stati indipendenti, e al momento della sua

nascita c'era da parte degli stati piu' piccoli il timore (che poi si

dimostro' ampiamente giustificato) che con un sistema piu' proporzionale il loro peso venisse diluito (e la loro autonomia sminuita)

fino all'irrilevanza. Suppongo che le

preoccupazioni di Alberto siano di natura similare.

Domanda ad Alberto: se assumi che la base del diritto di voto e' la residenza e non la cittadinanza, sei d'accordo col dare il voto ai residenti permanenti che sono cittadini stranieri?

 

Non sono un esperto dell'evoluzione dei sistemi elettorali del Senato italiano, ma a me non risulta che ci fossero i resti nazionali. Vedi ad esempio qui. Prima della legge Mattarella c'erano circoscrizioni regionali, divise in collegi. I seggi non assegnati col 65% nei singoli collegi erano suddivisi proporzionalmente ma solo all'interno della regione. La legge Mattarella, rispettando il principio della base regionale, limitava l'assegnazione del 25% dei seggi ai migliori perdenti solo regione per regione.

Ribadisco fino a prova contraria quindi che la prescrizione costituzionale della "base regionale" e' stata sempre fino ad oggi interpretata e codificata nel senso che l'elezione dei senatori doveva esaurirsi all'interno delle regioni senza traboccamenti a livello nazionale. Sul Corriere della Sera di questi ultimi giorni anche un politico o costituzionalista che non ricordo ha sottolineato che al Senato non si sono mai applicati i resti nazionali.

Nella Costituzione Italiana ci sono principi piu' o meno validi, e personalmente non apprezzo la sua prolissita', astrattezza e ambiguita' in diversi punti. Tuttavia penso sia importante agire nel rispetto sostanziale delle regole, e per me almeno (ma vedo che molti costituzionalisti hanno opinioni simili) la Costituzione richiede un Senato eletto su base regionale senza "contaminazioni" a livello nazionale.

Stabilito questo, continuo a ritenere il sistema dei premi regionali sicuramente criticabile ma del tutto legittimo e ragionevole. Le alternative erano tra sistema proporzionale, o dare il 100% dei seggi a chi prevaleva regione per regione, piu' o meno. Quali altre alternative c'erano, volendo avere un sistema piu' proporzionale nell'ambito costituzionale? Perfino lasciare il maggioritario probabilmente avrebbe condotto ad una maggioranza discorde. Peraltro, capisco e in parte concordo sui molti difetti segnalati, ma non mi sembrano superiori a quelle di sistemi elettorali come quello USA che funzionano da secoli senza problemi.

Aggiungo che personalmente mi darebbe molto fastidio che le prescrizioni costituzionali fossero scavalcate, per es. col premio nazionale sostenuto da Berlusconi, o in ogni altro modo. So peraltro di essere in assoluta minoranza, nel Belpaese, dove c'e' una certa abitudine a vedere leggi e principi stravolti o negletti in ogni applicazione pratica.

 

 

Scusate vorrei lanciare la seguente provocazione: siamo poi cosi' sicuri che il nodo per garantire un sano bipolarismo riducendo la rilevanza delle ali estreme dello schieramento sia davvero la legge elettorale? Forse si', fino ad un certo grado, pero'. Voglio dire in Italia e in Francia la cosa strana e' che ci sia ancora un 10% della popolazione che si dichiara comunista. Che questi elettori siano poi rappresentati in Parlamento e' una conseguenza piu' o meno diretta della esistenza di elezioni democratiche (one man, one vote) a prescindere dal sistema elettorale. Ed ora ecco la mia teoria che se volete si riallaccia ad alcune vecchie idee elitiste di Pareto e di Mosca: le societa' in cui le ali estreme non esistono o non sono cosi' forti sono quelle in cui il principio "one man, one vote" viene in qualche modo compensato da altre regole, leggi che consentono a chi ha censo piu' elevato di essere piu' influente. Societa' cioe' (quali quelle anglosassoni) in cui il vecchio principio liberale della societa' civile che almeno in parte funziona come societa' per azioni (chi ha piu' censo ha piu' voti, perche' in qualche modo sopporta piu' rischi e ha probabilmente un maggiore senso di responsabilita') trova ancora espressione. Come? Semplice: leggi che liberalmente consentono il finanziamento privato ai partiti politici. Davvero pensate che gli USA non abbiano estremisti e radicali tra i loro cittadini? Non e' molto piu' pratico pensare che le idee piu' estreme non trovino finanziamenti da parte di chi vuole poter contare su rappreesentanti politici meno "rischiosi"? Non e' forse anche questa una spiegazione al fenomeno per cui proprio in questi paesi (quelli anglosassoni) la partecipazione politica di certi ceti sociali e' sempre piu' bassa? Provate a pensare anche ai seguenti punti: se avesse potuto finanziare direttamente un proprio partito conservatore, berlusconi secondo voi avrebbe comunque tentato la discesa in campo? Pensate altresi' che Debenedetti finanzierebbe un Bertinotti se potesse usare il suo patrimonio liberamente per finanziare in modo trasparente la politica? La mia conclusione che piu' che una buona legge elettorale serve l'introduzione della liberta' di finanziamento privato ai partiti politici.

 

Trovo molto interessante questo tuo articolo, ed anche quelli che lo hanno preceduto. Tra l'altro l'argomento sta diventando di strettissima attualità in quanto la Commissione affari costituzionali del Senato, presieduta da Enzo Bianco, stà per licenziare (la presentazione in aula é prevista per i primi di luglio) una proposta di legge in materia elettorale.

Il dibattito, tuttavia, é mancante in un aspetto che reputo estremamente importante, soprattutto ora che la politica economica del Governo deve essere particolarmente attenta ad intercettare la ripresa in atto. Si tratta delle connessioni tra il sistema elettorale ed i meccanismi di decisione in materia di indirizzi generali di politica economica e di finanza pubblica.

Il disegno istituzionale del processo di bilancio e le regole che ne disciplinano lo svolgimento (parlo del processo di bilancio dello Stato, ma il discorso é valido, ad un livello differente, anche per i processi di bilancio delle Regioni e degli Enti locali) devono essere in grado di coordinare adeguatamente le decisioni dei policy makers nella direzione della disciplina fiscale. In altre parole devono essere in grado di indurre i policy makers a cooperare per fare in modo che il deficit di bilancio si mantenga entro limiti accettabili (diciamo il 3 per cento del PIL) ed il debito pubblico, se troppo elevato, si riduca progressivamente fino ad arrivare a livelli tali (diciamo intorno al 60 per cento del PIL) da consentire di ammortizzare senza traumi eccessivi decisi aumenti dei tassi di interesse. Acquisita questa capacità, é importante che gli indirizzi di politica economica, sia di breve che di medio-lungo termine, siano adeguati alla situazione macroeconomica e che le decisioni di finanza pubblica (relative all'ammontare complessivo delle entrate e delle spese, alla destinazione delle spese e alle fonti delle entrate) siano coerenti con gli indirizzi di politica economica.

Per conseguire un buon coordinamento dei policy makers, e fare in modo che essi collaborino fruttuosamente, in breve per fare in modo che il processo di bilancio sia efficiente nel senso sopra richiamato, sono seguiti, in Europa e nei principali paesi industrializzati, due approcci alternativi: l'approccio della delega e quello del contratto. Nell'approccio della delega il processo di bilancio é strutturato in modo tale da attribuire ad uno dei ministri, generalmente il Ministro delle finanze, il compito di coordinare gli altri ministri (di spesa). A tale scopo il Ministro delle finanze é dotato di una serie di poteri che gli consentono di svolgere tale ruolo, sia nella fase della predisposizione del progetto di bilancio (in particolare il potere di determinarne effettivamente il contenuto, anche se nell'ambito di una dialettica collaborativa con gli altri ministri) che nella fase della implementazione. Le possibilità di emendare il progetto di bilancio da parte del Parlamento sono limitate. Nell'approccio del contratto, invece, il coordinamento é rimesso ad un accordo, politicamente vincolante, concluso all'inizio del processo di bilancio tra i partiti che formano la coalizione di Governo, attraverso il quale vengono stabiliti degli obiettivi fiscali molto dettagliati (sia in termini di spese e di entrate complessive, che di spese dei singoli ministeri o di determinate categorie di spese quali le spese per assistenza sociale, le spese per la sicurezza, le spese militari, ecc.). In questo caso il Ministro che si occupa della predisposizione della bozza del progetto di bilancio non fa altro che riunire in un unico testo le proposte degli altri ministri, eventualmente controllando che vengano rispettati gli obiettivi fiscali stabiliti nell'accordo.  

Ora mentre l'approccio della delega si adatta bene a governi mono-partitici (nei quali la gerarchia di governo riflette, sostanzialmente, la gerarchia di partito) oppure a governi formati da coalizioni annunciate di partiti, l'approccio del contratto consegue risultati migliori in presenza di governi formati da coalizioni non annunciate, che si sono formate dopo le elezioni. Questo schema si ritrova abbastanza fedelmente all'interno dell'Europa ed anche in Italia si può notare chiaramente come a ciascuna riforma elettorale ha fatto seguito una riforma del processo di bilancio nella direzione prevista dalla teoria. In particolare dopo la riforma in senso semi-maggioritario del 1993 e dopo che il nuovo sistema elettorale ha prodotto coalizioni annunciate sufficientemente stabili, il che si é avuto solamente con le elezioni del 1996, il processo di bilancio é stato modificato adottando l'approccio della delega. Attraverso due successivi interventi legislativi il Ministero del Tesoro, il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica ed il Ministero delle Finanze sono stati uniti dando luogo ad un unico super-ministero, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, che assomma tutti i poteri dei ministeri precedenti. Inoltre al Ministro dell'Economia, con la c.d. legge blocca spese del 2002, sono stati attribuiti poteri molto penetranti durante la fase della implementazione del bilancio. Di contro dopo la riforma in senso proporzionale del 2005, e la necessità di una maggiore collegialità delle decisioni che ne é derivata, il Ministro dell'Economia ha dovuto cedere parte dei propri poteri (si ricorderà il trasferimento del Dipartimento per le politiche di sviluppo dal MEF al nuovo Ministero dello Sviluppo Economico, ed il trasferimento della Segreteria del CIPE e del Nucleo di Consulenza per l'Attuazione delle Linee Guida per la Regolamentazione dei Servizi di Pubblica Utilità alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) e condividere alcune importanti decisioni in materia di finanza pubblica con l'istituzione (finanziaria 2007) della Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica.

La nuova legge elettorale, pertanto, potrà rendere necessarie modifiche più o meno rilevanti al processo di bilancio dello Stato. Qualora si tornasse ad un sistema elettorale dal quale derivino governi con coalizioni non annunciate sarà necessaria una riforma sostanziale del processo di bilancio, tale da consentire il coordinamento delle decisioni attraverso l'approccio del contratto. Se venisse accentuato il carattere proporzionalistico dell'attuale sistema, restando annunciate le coalizioni, si dovrà procedere ad interventi tutto sommato di dettaglio tali da consentire una maggiore collegialità delle decisioni. Infine se si tornasse ad un sistema decisamente maggioritario, che oltre alla presenza di coalizioni annunciate preveda incentivi per i partiti ad unirsi e quindi renda meno necessarie le attuali strategie di differenziazione, allora si tornerà ad accentrare i poteri di bilancio in capo al Ministro dell'Economia e a dare più poteri al Governo rispetto al Parlamento durante la fase della approvazione del progetto di bilancio e della legge finanziaria.

 

 

In questi giorni di estrema confusione, mi sono voluto rileggere gli ottimi pezzi di Sandro di qualche mese fa' sul sistema elettorale. Mi sembra che le due novita' dello sgangherato panorama politico nazionale (PD e dissoluzione della CdL) rendano improvvisamente vantaggioso per i due maggiori partiti il doppio turno. Perche' WV e SB insistono sul proporzionale? Non si sono accorti che cosi' continueranno ad essere ricatatti dal centrista o dal rifondarolo di turno? Dato che credo, come Sandro, che il doppio turno sia meglio, qualcuno li avvisi o mi spieghi perche' non ci hanno pensato.

 

 

Avversione al rischio?

Italica propensione alla pastetta?

Consapevolezza che, con il doppio turno, candidato che perde e' fuori per sempre?

Rinuncia esplicita a qualsiasi metodo d'elezione "diretta" dell'esecutivo (altrimenti, il secondo turno a che serve)?

Stupidita'?