Le quattro (vere) anomalie del Patto di Stabilità interno

/ Articolo / Le quattro (vere) anomalie del Patto di Stabilità interno
  • Condividi

Il Patto di Stabilità interno per le amministrazioni locali viene spesso accusato di impedire agli enti locali di "spendere i soldi che già hanno in cassa". Questo messaggio ha un certo effetto mediatico, ma è errato almeno in un senso fondamentale. E' tuttavia vero che il Patto è uno strumento oscuro, inefficiente, eterogeneo ed iniquo. In questo articolo traccio i contorni di una possibile riforma in grado di superare questi limiti. Tale riforma è essenziale per ridisegnare un rapporto ottimale ed efficiente tra finanza pubblica nazionale e locale.

Dal 1997 l'Italia adotta un meccanismo di coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli istituzionali (il Patto di Stabilità "interno") con l'obiettivo di distribuire su tutti i livelli in cui si articola la pubblica amministrazione lo sforzo derivante dalla necessità di rispettare i vincoli fiscali imposti dall'appartenenza all'Unione Monetaria Europea (il Patto di Stabilità “esterno”). In sostanza, il Patto di Stabilità interno (d'ora in poi PSi) e' uno strumento per far partecipare tutte le amministrazioni pubbliche non-statali (quelle locali in primis) agli obblighi di finanza pubblica che l'Italia deve rispettare in sede europea.

Con intensità crescente negli ultimi anni, il PSi e' stato da più parti criticato, fino a diventare uno dei pochi argomenti di merito esplicitamente menzionati nella campagna elettorale. Quasi tutti gli esponenti degli schieramenti in competizione, infatti, sono unanimo nell'invocare un allentamento del PSi al fine di dare ossigeno agli investimenti dei Comuni. La critica principale rivolta al PSi è infatti quella di essere irrazionale in quanto impedirebbe ai Comuni di "spendere i soldi che hanno già in cassa". Questo è allo stesso tempo vero e falso. È vero perché da qualche anno il saldo-obiettivo per i Comuni è calcolato secondo il criterio della competenza mista: competenza giuridica per la parte corrente, e cassa per il conto capitale. Quest'ultimo, dal lato delle uscite, corrisponde in massima parte agli investimenti in opere pubbliche.  Essendo basato sulla cassa, ed avendo alcuni enti locali in passato impegnato in competenza ingenti spese, il vincolo di cassa sugli investimenti genera automaticamente l'accumularsi di residui passivi (che sono somme impegnate ma non erogate), cioè opere pubbliche già finanziate e spesso anche già avviate o addirittura completate, ma che non possono passare alla fase della liquidazione a causa del vincolo sulla cassa.

La discrasia tra competenza e cassa è acuita dal fatto che l'indebitamento, ossia una delle due principali fonti di finanziamento degli investimenti pubblici, non viene conteggiato tra le entrate rilevanti per il computo del saldo del PSi. Le somme così finanziate, dunque, non possono essere erogate a meno di un peggioramento del saldo. In pratica è come se un individuo comprasse un gran numero di prodotti alimentari ma avesse poi un vincolo su quanti ne possa effettivamente mangiare, essendo a dieta. Probabilmente starebbe tutto il giorno davanti allo scaffale pieno, interrogandosi per quale motivo abbia comprato tutto quel ben di Dio senza poi poterlo consumare. Probabilmente non si chiederebbe come mai ha comprato – a debito – tutta quella roba, ma lancerebbe semplicemente strali contro la dieta che gli impedisce di goderne i frutti. Tuttavia l'affermazione secondo cui dall'attuale configurazione del PSi discenda  automaticamente un blocco degli investimenti  è anche falsa. Per quanto riguarda il rispetto del saldo-obiettivo, il  PSi non distingue tra parte corrente e parte in conto capitale. Nulla vieta ad un Comune che voglia salvaguardare i pagamenti dei propri investimenti di effettuare l'intera manovra di aggiustamento sulla parte corrente, riducendo gli impegni di spesa sotto il livello delle entrate accertate (o aumentare queste ultime sopra il livello delle spese impegnate). Questo implica un avanzo di parte corrente che può essere destinato al finanziamento degli investimenti l'anno successivo o all'abbattimento dello stock di debito. Ma molti amministratori locali sono restii ad intraprendere questa strada, perché il taglio della spesa corrente implica un’azione costosa sia in termini di tempo (una vera revisione della spesa non si improvvisa in due minuti) sia in termini politici (il livello eccessivo di spesa corrente spesso serve a remunerare interessi di lobby e ad acquisire consenso politico). Nulla vieta agli enti locali, inoltre, di rimpinguare le entrate rilevanti ai fini del Patto, per esempio accelerando le dismissioni patrimoniali. Tuttavia, anche trascurando la fase estremamente complicata del mercato immobiliare, il vincolo di cassa ancora una volta torna a mordere: per essere rilevante ai fini del Patto, infatti, non basta un'immobile pubblico all'asta (il che darebbe luogo ad un accertamento di entrata) ma occorre incassare materialmente la somma (che genera un incasso di liquidità).

Anche se la critica più comune e abituale può essere in qualche modo attenuata, il PSi rimane, nella sua formulazione attuale, uno strumento incredibilmente inefficiente. Questo accade essenzialmente per quattro  ragioni, che è meglio comprendere se si vuole impostare una disciplina nuova e più utile.

  1. All'interno del comparto degli enti locali della pubblica amministrazione vi è un'incomprensibile eterogeneità in merito alla definizione del vincolo: mentre per comuni e province e' specificato in termini di saldo, per le Regioni e' espresso in termini di tetto alla spesa.
  2. La metodologia per il computo del saldo-obiettivo da raggiungere ogni anno per Comuni e Province è a dir poco bizzarra. Per trovare il saldo-obiettivo occorre ogni anno moltiplicare una determinata percentuale (definita di volta in volta dalla Legge di Stabilità) per la media della spesa corrente realizzata dell'ente in un determinato triennio. Per prima cosa non si capisce perché mai un vincolo sul saldo debba essere calcolato facendo riferimento ad un aggregato di spesa. In secondo luogo, non si capisce da dove arrivino le percentuali che la Legge di Stabilità fissa. Infine, il meccanismo di media mobile sul triennio – benché migliore del riferimento ad una singola osservazione – penalizza in modo del tutto ingiustificato gli enti che in uno di quegli esercizi finanziari abbiano osservato un anomalo e isolato incremento di spesa, magari per ragioni meramente contabili. Per fare solo un esempio, il passaggio da tariffa e tassa per il servizio di raccolta rifiuti (che più di mille comuni dovranno compiere quest’anno con l’introduzione della Tares) gonfia artificialmente la spesa corrente, ma solo perché il denaro che prima i contribuenti pagavano direttamente al gestore del servizio ora transita dai bilanci dei Comuni.
  3. Il saldo-obiettivo del PSi al momento non è del tutto coerente con il saldo del Patto di Stabilità "esterno" sul quale la Repubblica italiana viene valutata in sede europea. Quest’ultimo infatti è l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni calcolato secondo la metodologia del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 95), che differisce dal saldo rilevante ai fini della "Procedura per i Disavanzi Eccessivi" solo per quanto concerne la contabilizzazione all’interno della spesa per interessi dei flussi netti determinati da strumenti derivati.  L’indebitamento netto è calcolato secondo il criterio della competenza economica: significa che entrate e uscite non sono registrate nel momento in cui sorge la relativa obbligazione giuridica (criterio di competenza pura), né in quello in cui vi è l’effettivo scambio di liquidità (criterio di cassa), bensì nel momento in cui il valore economico della transazione è creato, trasformato, scambiato, trasferito o estinto. In pratica si tratta dello stesso criterio adottato dalle imprese quando registrano nel conto economico i costi e i ricavi: una spesa o un'entrata sono contabilizzate nel bilancio 2013 se e solo se producono effetti economici entro il 2013, indipendentemente dal sorgere di un obbligo giuridico o dall’effetto movimento finanziario. Il saldo del PSi, invece, è calcolato secondo un’originale "competenza mista": la parte corrente viene valutata per competenza pura, mentre la parte in conto capitale (al netto delle partite finanziarie) viene contabilizzata per cassa. Il percorso di avvicinamento tra i due saldi è da tempo previsto sulla carta ed include, tra le altre cose, la riforma della contabilità pubblica che dovrebbe, salvo rinvii, entrare in vigore per tutti gli enti locali nel 2014. Ma ciononostante, al momento non vi è quella perfetta corrispondenza che consentirebbe di individuare automaticamente il contributo di un qualsiasi ente della pubblica amministrazione alla formazione dell'indebitamento netto, che sarebbe l'obiettivo del PSi.  Anche perché il tutto sembra essere circondato da un impenetrabile alone di mistero che aleggia tra Ragioneria Generale dello Stato e Istat.
  4. L’anomalia del PSi non consiste tanto nella sua formulazione (che, come detto, dovrebbe servire semplicemente a ribaltare su ogni Comune lo stesso saldo su cui l’Italia viene valutata in merito agli obblighi di finanza pubblica), quanto nel modo in cui viene usato all’interno del processo di ripartizione quantitativo dello sforzo di aggiustamento fiscale tra i vari livelli di governo. Per dimostrarlo, ipotizziamo per un attimo che il punto 3. appena discusso non esista, e che quindi il saldo del PSi rappresenti esattamente il contributo dei Comuni alla formazione della grandezza fiscale rilevante in sede europea. Per l’anno 2013 il saldo-obiettivo che l’intero comparto dei Comuni deve realizzare è pari a 4,5 miliardi di euro. I trasferimenti dello Stato (il Fondo Sperimentale di Riequilibrio) si attestano intorno ai 4 miliardi. Anche se volessimo quindi adottare l’approccio del ministro Giarda (che scorpora l'intero ammontare dei trasferimenti statali per individuare il concorso all'indebitamento netto) scopriremmo che i Comuni sono già in surplus di mezzo miliardo. In realtà non ha alcun senso scorporare l’intero ammontare dei trasferimenti, come è evidente ora che la Legge di Stabilità 2013 ha sancito lo scambio tra quota statale dell’IMU e trasferimenti stessi. Il Fondo Sperimentale di Riequilibrio infatti viene azzerato, e sostituito da un (ancora del tutto oscuro) Fondo di Solidarietà Comunale il cui scopo essenzialmente è adottare un meccanismo orizzontale tra Comuni di perequazione delle differenze di base imponibile IMU. In questo caso, secondo l’opinione di molti, il comparto comunale si troverebbe in surplus di 4,5 miliardi di euro. In ogni caso, qualunque punto si voglia scegliere lungo l'intervallo 0,5-4,5 miliardi, si ha come risultato che il comparto comunale trasferisce risorse al comparto statale, nel cammino verso il pareggio di bilancio. Lo strumento del PSi quindi, indipendentemente dalle inefficienze evidenziate in precedenza, viene utilizzato per scaricare sui Comuni l’aggiustamento fiscale che la finanza statale non riesce, non può o non sa fare. Di questo squilibrio avevo gia' parlato in un precedente post su nFA.

Riassumendo, anche se non è necessariamente vero che il PSi impedisce, di per se', gli investimenti, si tratta comunque di uno strumento incerto (per le Regioni funziona in un modo, per i Comuni e Province in un altro), oscuro (partorisce percentuali senza alcun senso economico), inefficiente (non ribalta sulle amministrazioni locali la stessa grandezza rilevante in sede europea) e ingiusto (scarica sugli enti di prossimità i sacrifici che l’amministrazione statale non vuole o non riesce a fare).

Per concludere, traccio i contorni di una semplice proposta di riforma. Basterebbe definire un saldo "euro-compatibile" (tale cioe' che aggregando si rispetti il Patto di Stabilita' "esterno") e ristrutturare l'intero assetto della finanza pubblica locale attorno a due soli obiettivi: uno di stock (il rapporto tra debito ed entrate correnti di ogni ente dell’amministrazione locale) e uno di flusso (il saldo euro-compatibile di surplus/disavanzo). Ad oggi esistono decine di vincoli su decine di grandezze – dalla spesa per il personale, alla spesa per interessi – la maggior parte dei quali sono assolutamente privi di senso. Così come davvero ha poco senso continuare a guardare al risultato d’amministrazione dei bilanci degli enti locali, che ancor oggi è un misto di gestione di competenza e di gestione in conto residui. Secondo alcune stime, i residui attivi di dubbia esigibilità sarebbero pari a 15 miliardi, vale a dire un punto di Pil.  Questo sistema a due obiettivi dovrebbe essere esteso a tutta la pubblica amministrazione, senza le incomprensibili eterogeneità e ambiguità che invece oggi prevalgono. Gli obiettivi quantitativi per ciascun comparto dovrebbero, infine, essere assegnati sulla base dell’attuale contributo del comparto stesso alla formazione delle grandezze di finanza pubblica nazionali (debito e deficit) su cui la Repubblica Italiana è valutata all’Ecofin.

Indietro

Commenti

Ci sono 3 commenti

Per chi, come me ha un livello di istruzione non elevato, articoli come questo risultano assolutamente criptici.

non troppo criptico.

ma non c'è niente di meglio che porre domande chiare e senza complessi: a volte la divina provvidenza si manifesta in discussioni collettive molto proficue.

altre volte no, e il metodo può sembrare troppo aleatorio.

Perchè è stato disegnato in questo modo un po' contorto? In genere c'è un motivo anche se poi lo si può condivedere o meno....