Per qualche felafel in più

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Mi avevano chiesto un contributo sulla Primavera Araba da pubblicare su l'Imprenditore, la rivista dei piccoli industriali che aderiscono a Confindustria. Ho colto l'occasione per ribattere su un punto che mi sembra fondamentale: la crescita macroeconomica, se disgiunta da un assetto istituzionale che favorisca la diffusione dei benefici e delle opportunità a vasti strati della popolazione, genera malcontento e risentimento. Nei giorni scorsi in Egitto le proteste si sono intensificate e gli scontri di piazza sono ripresi. Visto che le mie riflessioni ritornano d'attualità le ho riprese e condensate in questo post.

I paesi arabi dove la rabbia è esplosa in modo più virulento avevano superato abbastanza bene la crisi globale, se si guarda ai dati  macroeconomici, grazie alle riforme strutturali intraprese negli anni precedenti.

Alcuni di questi, Tunisia ed Egitto in particolare, ma anche la Siria dove le rivolte continuano, e la Giordania dove le tensioni covano, avevano raggiunto risultati notevoli, con crescita del Pil, negli anni anteriori alla crisi, tra il 5 e l’8 percento. La Libia era in pieno boom grazie al petrolio. E dopo una breve parentesi di rallentamento (senza recessione) nel 2010 la ripresa si stava consolidando. E allora perché la rabbia e le rivendicazioni sociali sono scoppiate proprio quando sembrava che il peggio fosse alle spalle?

La liberalizzazione economica produce enormi guadagni di efficienza e produttività. Spinte da deregolamentazioni, privatizzazioni e apertura ai capitali stranieri le forze di mercato liberano energia accumulata e compressa per lungo tempo, specie in settori dominati per decenni dalla manomorta pubblica, banche, società elettriche, linee aeree, alberghi e quant’altro.

Questi successi però celano un’insidia. Le riforme economiche sono solo condizione necessaria per assicurare il benessere e lo sviluppo di lungo periodo. Vanno complementate con un altro e più difficile processo che io definisco (con una venatura di linguaggio marxiano) accumulazione di capitale istituzionale. Senza un sistema legale che protegga efficacemente i diritti di proprietà, senza un fisco equo e semplice, senza regole precise per la condotta degli affari, senza istituzioni che tali regole facciano rispettare, senza un controllo rigoroso sulla corruzione, senza una moderna corporate governance si riesce a migliorare la performance di crescita per qualche anno, ma si inocula il germe di distorsioni destabilizzanti.

In sostanza accade che a beneficiare delle liberalizzazioni siano quelli con i legami giusti, le parentele altolocate, le connessioni ai centri di potere, la disponibilità di liquidi, i professionisti con le competenze di punta (IT, finanza, ingegneria) o semplicemente quelli di mano lesta che riescono a piazzarsi al posto giusto nel momento giusto. L’apoteosi di questa degenerazione si verificò in Russia al tempo di Yeltsin quando gli oligarchi si sostituirono ai burocrati sovietici, spesso cambiando semplicemente casacca e foggia del cappello.

I privilegi ottenuti con mezzi opachi (o fin troppo chiari) sono il combustibile della rabbia. La classe media stenta ad emergere, la corruzione si trasforma in un modello di vita, le infrastrutture si congestionano e i prezzi, soprattutto degli immobili, salgono intaccando gli standard di vita dei più. Le disparità e l’esclusione generano il brodo di coltura dell’ostilità verso le riforme, e, soprattutto verso i riformisti considerati il grimaldello politico della rapina sociale.

La Tunisia, dove si è innescata la miccia, offre un esempio lampante: il reddito pro-capite stava accelerando, gli indici di competitività puntavano verso l’alto e addirittura nei sondaggi il 56 percento degli intervistati si dichiarava convinto che l’economia stesse migliorando. Ciononostante la percezione delle proprie personali condizioni di vita peggiorava: tra il 2009 ed il 2010 la percentuale di chi riteneva che il governo avebbe lasciato liberi gli individui di iniziare un’attività in proprio era sceso dal 72 percento al 63 percento e analoga caduta si registrava nelle risposte sulla facilità di ottenere credito o sulla qualità dei servizi pubblici (istruzione, trasporti e sanità in primo luogo). Anche l’opinione pubblica egiziana esprimeva nei sondaggi una simile frustrazione.

Ovviamente anche dai palazzi del potere si accorgevano del problema. Ma i corrotti per tamponare il malcontento sanno solo immaginare di ricorrere alla corruzione o se preferite alla distribuzione, sotto forma di rendite parassitarie o di sussidi, dei nuovi introiti fiscali o dei proventi delle privatizzazioni. In Egitto per esempio i salari dei dipendenti pubblici furono raddoppiati tra il 2005 ed il 2009, mentre in Siria e Giordania nello stesso periodo pensioni e salari pubblici aumentarono del 50% (dati presi dalle Appendici Statistiche dei Rapporti del Fondo Monetario Internazionale).

Ma queste politiche comportano due rischi: a) una volta concessi i benefici è politicamente impossibile ridurli e quando la crescita rallenta i conti dello Stato deragliano; b) la spesa tende a favorire alcuni gruppi o interessi speciali così da esacerbare il risentimento degli esclusi o di quelli che si vedono preclusa la mobilità sociale dalle oligarchie.

I sacrifici richiesti dalle liberalizzazioni economiche possono essere accettati nella ragionevole speranza di un miglioramento per sé o quantomeno per i propri figli, ma se si sparge solo l'illusione senza che la maggioranza veda migliorare le proprie condizioni (e anzi si ingrossa un sottoproletariatto urbano che attratto dal miraggio della città finisce per vivere di espedienti ai margini della società) un giorno o l’altro una scintilla provoca l’esplosione della polveriera sociale. Nell’anno di grazia 2011 è stato l'atto disperato di protesta contro poliziotti corrotti di un ingegnere ridotto a fare l’ambulante abusivo in una remota località della Tunisia a far detonare una gigantesca accumulazione di rabbia.

Se le rivolte scardineranno (almeno in parte) le corruttele e porteranno ad una distribuzione più equa del potere, si potranno liberare energie intellettuali e imprenditoriali di cui chi non vive o opera in questa parte del mondo probabilmente ha scarsa consapevolezza. Personalmente io sono molto ottimista, anche se non mi aspetto che questo processo di rimozione delle incrostazioni di un potere dispotico, incompetente e arrogante sia breve. Durerà almeno un decina di anni tra oscillazioni e sbandamenti (un po’ come avvenne in Europa dell’Est). Ma coloro che stanno giocando una partita delicatissima e incerta per far attecchire i semi di una società aperta e di un’economia libera e ben regolata andrebbero sostenuti dall’Europa, che invece è assente sul campo (a parte la Nato in Libia). In sintesi bisogna assistere immediatamente i movimenti che si ispirano ai valori liberali e mettere a loro disposizione mezzi e competenze tecniche.

È patetico che ora che si presenta l’occasione per mettere in moto un circolo virtuoso tale da alleviare povertà e sottosviluppo nel nostro cortile in Italia, si discuta in forme isteriche di qualche migliaio di profughi.  E non del destino che alcune centinaia di milioni di nostri vicini stanno cercando di forgiare nel nostro quasi completo disinteresse.

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Commenti

Ci sono 42 commenti

 

È patetico che ora che si presenta l’occasione per mettere in moto un circolo virtuoso tale da alleviare povertà e sottosviluppo nel nostro cortile in Italia, si discuta in forme isteriche di qualche migliaio di profughi.  E non del destino che alcune centinaia di milioni di nostri vicini stanno cercando di forgiare nel nostro quasi completo disinteresse.

 

Quoto in toto.

Almeno dovrebbero pensare alle azioni di quelle centinaia di milioni se la forgia fallisse.

Se preoccupano trentamila profughi, basti immaginare cosa succederebbe in caso di guerra civile in Egitto.

A me la situazione descritta ricorda in maniera inquietante l'Italia...

L'analogia non e' casuale

anch'io ho pensato la stessa cosa leggendo l'articolo!

Il potere corrotto, ìnadeguato ed incapace è il cancro sia nei paesi di cui parli sia qui in Italia. Basta riflettere su quanto si fa o meglio non si fa e si dice in materia di immigrazione.

Ottimo articolo, di cui condivido ogni parola.

Il tragico è che, come ha già osservato qualcuno, questo quadro esce dalla penna di un italiano che mostra di sapere molto bene di cosa parla, e non è certo per caso.

GD

I senso del discorso di Scacciavillani è che la crescita non basta se non avviene nel quadro di uno stato di diritto - per dirla all'inglese, in un'organizzazione sociale non sottoposta alla rule of law.

L'Italia, come gli altri Stati membri dell'UE, è uno stato di diritto, almeno sulla carta. Ma non è detto che rimanga tale nel futuro: già abbiamo segni contrari, dalla facilità con cui si adottano norme che intaccano i diritti dei cittadini e delle imprese, all'atteggiamento ribellista per cui gli enti locali possono ostacolare l'attuazione di opere decise legittimamente e condivise dalle principali forze politiche o frapporre ostacoli alla soluzione di gravi problemi (rispettivamente TAV e immondizia napoletana), all'interpretazione alternativa del diritto da parte dei magistrati che ritengono loro compito promuovere uno sviluppo diverso ...  

Lo stato di diritto e' la cinghia di trasmissione delle opportunita' ai meritevoli. 

I senso del discorso di Scacciavillani è che la crescita non basta se non avviene nel quadro di uno stato di diritto - per dirla all'inglese, in un'organizzazione sociale non sottoposta alla rule of law.

Giusto. Ma lo stato di diritto è anche quello in cui la proprietà del singolo non è violabile nemmeno mediante l'adulterazione della moneta operata dallo stato. Tra l'altro questa è proprio l'essenza di un regime fiat. E mi sa che almeno lo scoppio delle rivolte è stato il risultato per quanto inintenzionale dell'operato di Bernankenstein tenuto conto che i redditi reali di quelle popolazioni risentono molto piu' dei nostri dell'andamneto dei prezzi del cibo

Sarà pur vero che gli italioti non reagiscono a violazioni apparentemente piu' evidenti delle libertà civili ma non riconoscere quella che ho evdeinziato è ricadere nei loro stessi vizi. Parimenti immischiarsi in guerre altrui o infilarvisi senza essere stati aggrediti dovrebbe essere riconosciuto come un'ulteriore violazione di quei principi. E mi sa che qui non c'è nessuno pronto ad ammetterlo 

 

Andiamo OT sulle opere decise e condivise dalle principali forze politiche: l'atteggiamento ribellista contro il nucleare in germania è i lunga data, ma alla fine ha vinto. Non è proprio la stessa cosa dei movimenti no-Tav, ma su questi penso che incida anche la sfiducia nella classe politica. Molti pensano che ogni grande opera pubblica sia oltre che un cantiere edile anche un cantiere di mazzette e favori a grandi gruppi industriali. Che volete, quando si ha le mani sporche...

 

Senza un sistema legale che protegga efficacemente i diritti di proprietà, senza un fisco equo e semplice, senza regole precise per la condotta degli affari, senza istituzioni che tali regole facciano rispettare, senza un controllo rigoroso sulla corruzione, senza una moderna corporate governance si riesce a migliorare la performance di crescita per qualche anno, ma si inocula il germe di distorsioni destabilizzanti.

 

La stessa cosa ho letto in un libro di Hernando de Soto (Il mistero del capitale, Garzanti, 2001) che sembra descrivere le condizioni non solo di paesi "sottosviluppati" ma anche di paesi, come l'Italia, "in via di sottosviluppo". Anche in Italia si approssima una rivolta?

 

Anche in Italia si approssima una rivolta?

 

Son dubbioso perchè la storia italica mostra che ci lamentiamo tanto ma, poi, sopportiamo fantozzianamente di tutto.

Inoltre (dammi pure del cinico disfattista) mi sembra che le (poche) proteste italiane siano spesso nella direzione opposta, cioè volte a difendere privilegi e antimeritocrazia.

Vedi: cobas latte, riforma Gelmini, oppure città in piazza per difendere società di calcio che avevano evaso l'Irpef completamente ecc ecc

Io non ci vedo poi molte analogie con l'Italia.

C'è inoltre una differenza, a mio parere, fondamentale tra i paesi del Nord-Africa (etc) e l'Italia: l'Italia sta invecchiando, mentre questi Paesi hanno un'enorme quantità di giovani.

 

C'è inoltre una differenza, a mio parere, fondamentale tra i paesi del Nord-Africa (etc) e l'Italia: l'Italia sta invecchiando, mentre questi Paesi hanno un'enorme quantità di giovani.

 

Questo lo sappiamo bene, è stato già detto infinite volte anche qui. L'analogia sta nel fatto che sia in Italia che in N Africa le opportunità per i giovani sono scarsissime, e in gran parte per le stesse ragioni così ben indicate da Scacciavillani.

GD

 

Veramente un ottimo articolo. Complimenti

Certo che se questa è la primavera araba rimpiangeremo lo zio di Ruby...

Purtroppo nel medio oriente, e in molti paesi arabi, il negazionismo è molto diffuso e libri come "I protocolli dei saggi di Sion" circolano come storicamente attendibili.