Il posto fisso e' monotono

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Cosi' ha detto Monti a Matrix. Non l'avesse mai fatto. Un putiferio. Se avesse letto i commenti su Il Fatto quotidiano ad un mio articolo un paio di anni fa, avrebbe capito che non era cosa. Io, felice di aver trovato un alleato - e quale alleato! - mi consolo. E ripropongo le mie considerazioni, da Il Fatto Quotidiano, 13 Aprile 2011 - cosi' come la mia risposta ai commenti il 22 Aprile.  

Il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2011: Si può essere precari e felici (negli Usa)

La manifestazione dei precari di sabato ha evidenziato ancora una volta le difficili condizioni di lavoro di coloro che, in Italia, non godono di protezione contrattuale e l’inefficienza del nostro mercato del lavoro che si manifesta appunto nel suo eccessivo dualismo: protezione estesa per alcuni e minima per altri. Molti commentatori reagiscono proponendo una soluzione “morale”: estendere le protezioni a tutti. Spesso abbinata a dichiarazioni da lotta di classe, lavoratori contro padroni.

Come sarebbe bello se fosse così facile. Ai precari manca sicurezza? Diamogliela. Dove prenderla? Dai padroni (o dai ricchi, o da chi non paga le tasse, e via discorrendo). Lo dico con ironia, naturalmente, ma piacerebbe anche a me vivere in un mondo in cui la redistribuzione del reddito potesse risolvere ogni problema. Non è così purtroppo, estendere la protezione del lavoro – garantire contratti a tempo indeterminato con solide garanzie contro il licenziamento – a tutti o quasi si può fare, ma a un costo: un’ulteriore riduzione del tasso di occupazione, soprattutto dei giovani e delle donne. È brutto da dirsi ma è così: più si protegge il lavoro, minore è il numero dei lavoratori protetti (a meno di non avere salari molto più bassi). Proteggere costa, riduce la produttività del lavoro e quindi l’occupazione del lavoro stesso a parità di salario. So che, messa così, è una affermazione apodittica e che chiunque sappia come trovare o massaggiare un dato proverà a contraddirmi, a mostrare che la Svezia garantisce protezione e occupazione e la Gran Bretagna all’opposto non garantisce né protezione né occupazione. Non è così, mi spiace. Ma entrare in una disamina seria dei dati non è possibile qui, perché voglio provare a fare un ragionamento più “leggero”. Chiedo al lettore di credermi, quindi, di concedermi per una volta il principio di autorità, accettare la mia provocazione e continuare a leggere.

Ma torniamo ai precari. Dovrebbero essere contenti? Meglio precari che disoccupati, dopotutto. Assolutamente no. Un lavoro precario in Italia è una sciagura. Hanno completamente ragione. Perché se si perde, il lavoro precario, si è rovinati, in Italia. Perché lavori precari ce ne sono pochi e lavori protetti ancora meno. Proviamo a immaginare un mondo diverso. Un mondo in cui di lavori precari ce ne fossero a iosa: finito uno se ne trovano altri, diversi, altrove. In questo mondo essere precario non è affatto male, specie per un giovane, magari con poca istruzione: il pizzaiolo per sei mesi, il barista per due (che lavorare la notte è bello ma stanca), il massaggiatore per un anno; un periodo a Milano, uno a Venezia, uno a Urbino e uno a Londra…

Mi rendo conto di quanto anche solo ipotizzare un mondo di questo tipo possa sembrare assurdo e che chi oggi in Italia cerca di tenersi stretto il lavoro al call center possa essere addirittura insultato da questo mio ragionamento. Non ho nessuna intenzione di insultare nessuno. Ma li vedo tutti i giorni ragazzi giovani (spesso anche italiani), che fanno esperienze sul mercato del lavoro a questo modo. Cambiano lavoro in continuazione e si stabilizzano lentamente, alcuni attraverso attività imprenditoriali, altri cercando lavori più protetti. Sto parlando degli Stati Uniti (o meglio, di New York), naturalmente. Ma non sto sostenendo che il mercato del lavoro negli Stati Uniti sia il migliore dei mercati del lavoro possibili. Anzi. È un inferno da molti punti di vista. Ma la questione del precariato non esiste. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi del precariato. Della mancanza di assicurazione sanitaria, sì, sempre. Della disoccupazione ogni tanto, specie nei periodi di crisi come questo. Ma mai del precariato. Mai dei giovani che non riescono ad avere sicurezza sufficiente per metter su famiglia. Non esiste nemmeno la parola “precariato”. almeno non con il significato peggiorativo che ha in italiano.

E non sto parlando solo di lavoro manuale. I professori universitari, per esempio, prima di avere lavori fissi e protetti, hanno lavori precari. Cambiano università continuamente: perché si stufano di stare in città noiose, perché cambia la loro situazione familiare, perché vogliono essere più vicini a qualcuno con cui fanno ricerca… e perché l’università dove lavorano li manda via. Girano, per anni. Il lavoro fisso (si chiama tenure per gli accademici) è un obiettivo importante, naturalmente. Ma non è che senza non si vive o non si crea famiglia. Perché precariato non significa rischiare di perdere lavoro, ma al massimo trovarlo in un’altra città o in un’università meno prestigiosa. Parlo anche per esperienza. Ho tenure, adesso; ma sono stato precario per circa 10 anni girando Stati Uniti ed Europa, senza mai sentirmi precario. La stessa cosa si può dire per medici, avvocati, operatori finanziari.

Per arrivare a un mercato del lavoro di questo tipo è necessario ridurre la protezione del posto di lavoro, permettere alle imprese di licenziare per ragioni economiche, ad esempio. Mi rendo conto che possa apparire un po’ un salto nel buio. Capisco anche che possa essere inattuabile, nelle presenti condizioni in Italia. Mi riferisco sia alle condizioni economiche (l’eccessiva partecipazione dello Stato inefficiente nella vita economica) che a quelle culturali (in cui il desiderio del “posto fisso” è scolpito quasi indelebilmente nella mente di molti). Però so anche che se non si arriva a un mercato del lavoro di questo tipo i problemi dei precari sono irresolubili. Non c’è via d’uscita, purtroppo: più si protegge una parte dei lavoratori, più gli altri ne fanno le spese. Chi dice il contrario, o non capisce o è in malafede. Nel caso italiano, di solito, è in malafede.

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I commenti sono stati cancellati. Ma il loro tenore si puo' dedurre dalla mia risposta pochi giorni dopo. 

Il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2011:   Nove risposte sul precariato made in Usa

Sapevo che le idee esposte avrebbero provocato reazioni anche fortemente negative. Alcuni lettori – che ringrazio – hanno provato a difendere le idee del post ma sono stati facilmente subissati dalla massa di insulti. Le cose che ho scritto sono definite castronerie, spocchiosità, caz…, panzane, deliranti, ridicole, un tanto al chilo, qualunquiste, scempiaggini, bischerate, vecchie e abbandonate, da bar, e – insulto degli insulti – la stessa zuppa di Boldrin.

Di me si dice che sono un famigerato, sacerdote, sciacallo, con aria da vate dell’economia, dall’alto del suo scranno universitario, professorino, pseudo-professore, servitore delle multinazionali. Mi si accusa di prestarmi (dietro compenso?) a sostenere teorie molto apprezzate dalle lobby delle multinazionali, di essere un firmatario bushista della lettera contro la riforma sanitaria americana, e addiruttura di accordare favore alla liberalizzazione della vendita di armi da fuoco. Per la cronaca, nessuna delle tre accuse è corretta. E infine mi si dice “va in mona”, espressione veneta che però mi è sempre piaciuta e mi ricorda l’infanzia.

Non mi lamento degli insulti (più di quanto non abbia implicitamente già fatto) e rispondo in gruppo a varie tipologie di commentatori.

1. Quelli che mi confondono con Boldrin. Che tutti i veneti siano uguali?

2. Quelli che richiedono dati e sono profondamente offesi dal mio riferimento al principio d’autorità, in un paese dove tale principio è (mai esplicitamente) richiesto da qualunque deficiente abbia una cravatta o millanti letture marxiane. Tornerò con un post coi dati. Ma anticipo: guardate alla correlazione tra la protezione del lavoro e il tasso di occupazione per età e sesso (sono giovani e donne a pagare le condizioni del mercato del lavoro in Italia).

3. Quelli che in Italia si può licenziare. L’Italia è uno dei paesi sviluppati in cui il lavoro è più protetto e in modo più inefficiente. Innanzitutto perché la protezione si estende indipendentemente dal merito, a tutti. E poi perché la protezione è del posto di lavoro, non del lavoratore; così che posti di lavoro economicamente inefficienti sono mantenuti e il lavoratore non è protetto sul mercato alla ricerca di un nuovo lavoro. Ebbene sì, sto parlando degli ammortizzatori sociali.

4. Quelli che Bisin riconsegni il dottorato, venga a studiare, torni a fare il ricercatore… Ma siamo matti! Con tutta la fatica che ho fatto. Mica sono nato nella buona società italiana, io, che sennò avrei fatto il professore in Italia: posto fisso e studi marxisti.

5. Quelli che facciamo pagare le tasse agli evasori, prendiamocela con le aziende che licenziano e scaricano sulla collettività, e con le libere professioni protette. Completamente d’accordo, su tutta la linea.

6. Quelli che è tutta colpa della globalizzazione, cioè dei cinesi (come il ministro Tremonti). Noi famigerati di Noisefromamerika.org ci abbiamo addirittura scritto un libro per argomentare che hanno torto. A modico prezzo in tutte le librerie.

7. Quelli che Bisin non sa cosa significhi essere precario. Non ho avuto lavoro fisso per 10 anni (più 5 di dottorato). Sarà che il precariato degli altri è sempre più verde del proprio!

8. Quelli che, quanto prende il precario Americano? Negli Stati Uniti il lavoro precario tende ad avere salari superiori a quello fisso (perché richiede la remunerazione del rischio di perdere il lavoro). In Italia non è così perché il lavoro precario è sfruttato dalle imprese che devono offrire rendite al lavoro fisso (incluse le imprese pubbliche che infatti fanno uso enorme del lavoro precario).

9. Quelli che il paragone non tiene: magari stessimo negli Stati uniti o in Gran Bretagna dove c’è una gran domanda di lavoro. Vi siete mai chiesti perché?

Infine, vorrei ringraziare il Fatto e mandare in mona quello che suggerisce che io sia pagato dalle multinazionali e il sociologo che pontifica senza avere ancora capito cos’è un mercato. 

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Vedo che promettevo un post coi dati. Qualcuno me lo aveva ricordato ma me lo devo essere scordato una seconda volta. Bisognera' proprio farlo. 

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Commenti

Ci sono 115 commenti

Titolare di posto fisso dall'età di 26 anni, in un settore naturalmente e giuridicamente protetto dalla concorrenza straniera (e giustamente).

RR

Ha detto:

"I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfida"

Monti è del 1943, non è giovane neanche per gli standard italiani.

Capisco che il pulpito da cui viene la predica abbia la sua importanza ma non esagererei.  I tempi sono cambiati, in Italia e nel Mondo.

Non esiste nemmeno la parola “precariato”. almeno non con il significato peggiorativo che ha in italiano.

posso suggerire "Nickel and dimed" della Eherenreich? il problema non è solo il precariato in senso temporale, è pure il sottosalario. Senza contare che magari nel 2006 ci poteva essere il cuscinetto del credito facile e del debito personale alto anche per i NINJA, adesso magari no.


Poi, il posto fisso nella stessa azienda non necessariamente è monotono, esiste anche la carriera (mia madre era passata da operaia all'imbottigliamento a tecnico di laboratorio), oppure il lavoro si svolge con tecnologie differenti (sono entrato in biblioteca quando il catalogo online stand-alone di una sola biblioteca era il top dell'automazione, l'accesso era ancora col catalogo a schede, il sistema operativo era il DOS 3.30 e internet non c'era, o il motore di ricerca d'elezione era Altavista. Mentre passare da un lavoro a bassa qualifica a un altro senza imparare niente, guadagnando poco, senza il tempo di aumentare la propria professionalità, quello sì che può essere monotono.


In quanto all'art. 18 "pernicioso per lo sviluppo", c'è poca evidenza empirica, vedi uno non pregiudizialmente avverso alla sua modifica come da ultimo Schivardi su Lavoce


In quanto al pizzaiolo, barista e massaggiatore... perché non "pescatore, cacciatore e critico critico", come disse anni fà  un tale?  a me fa venire in mente pizze bruciate, caffè che sa di macchina e vertebre fuori posto...

Ma cosa c'entra nickel and dimed col precariato?

Ti assicuro che pizza e caffe' sono ottimi - e le vertebre perfettamente accudite. Il posto fisso non li migliora (caffe', pizze, e vertebre) - anzi e' l'opposto, in genere.

il tizio che mi fa i massaggi ogni tanto per cervicale, sciatica e altri acciacchi ci si è preso una laurea breve o una specializzazione e fa solo quello da un bel pò, e il caffè lo prendo a un bar dove ci lavorano i proprietari da una vita, per cui il posto fisso almeno non peggiora. Non so per le pizze...

Bellissima la citazione Marino_bib, davvero bellissima grazie. La rappresentazione di Marx-Engles del lavoro in una economia capitalista

 ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere

contrapposta al lavoro in una societa' comunista: 

ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.

Eh gia', l'amerika, in cui il pizzaiolo ha fatto prima il carpentiere e l'investement banker apre un ristorante deve essere la societa' comunista dei Marx-Engels - certo non quella italiana dove se uno becca un bel lavoro al call center il suo unico obiettivo (e di chi ne "difende gli interessi") e di tenerselo tutta la vita. 

certo non quella italiana dove se uno becca un bel lavoro al call center il suo unico obiettivo (e di chi ne "difende gli interessi") e di tenerselo tutta la vita. 

Aggiungerei: in Italia magari non si riesce ad aiutare a "tenerselo tutta la vita" ma sicuramente si riesce a "scoraggiarti" dal cambiarlo. Penso che il sistema di caste indiano sia più flessibile :-)

Sono d'accordo con quanto esposto da Bisin negli articoli, però, ecco, magari Monti avrebbe fatto meglio a stare zitto, stavolta, o a spiegarsi meglio. è assurdo che un presidente del consiglio faccia simili gaffes. In un periodo di crisi politica ed economica come quello attuale quella frase è un pugno in faccia a tantissimi precari.

Perchè la consideri una gaffes?

Vogliamo dei politici che continuino a raccontarci favole irrealizzabili per blandirci, facendoci perdere tempo (per poi dar la colpa ai cinesi), oppure qualcuno che dica le cose come stanno? Così da potersi regolare nella vita e battersi per cose concrete, ad esempio: un diverso tipo di ammortizzatori sociali, regole diverse per accedere ai mutui ecc ecc

Alberto, ma tu *non* dici che il posto fisso è noioso! Dici che la precarietà è necessaria ad alcuni processi economici. Dici che il posto fisso ha dei costi. Mi sembrano due cose ben diverse.

 il posto fisso è noioso!

non è che chi ha un posto fisso non lo possa cambiare anche una volta l'anno

ma lo fa se lo ritiene migliore e non perchè obbligato

Va detto che la recente congiuntura economica ha portato alla nascita di forme di precariato tout court anche negli Stati Uniti; in proposito si veda questo programma della National Public Radio dedicato alla 'gig economy' (dove gig sta per lavoretto). Il fatto che questo fenomeno sia associato alla recessione dimostra chiaramente che la causa della precarietà è la rigidità dei salari e delle condizioni di lavoro nell'economia formale.  Come segnala l'economista Scott Sumner, chi rimane tagliato fuori da mansioni più produttive e desiderabili nel mondo del lavoro vero e proprio è costretto a cercare soluzioni alternative.

Mi sembra che la discussione in Italia abbia cominciato a girare a vuoto. Molti "giovani" della mia generazione non aspirano già da tempo alla protezione assoluta dell'art. 18. A un lavoro decente invece sì.

Invece di dire "il posto fisso è monotono" oppure "cambiare lavoro è bello", bisognerebbe cominciare a parlare di come migliorare quello che c'è. Che ci sia bisogno di una riforma degli ammortizzatori sociali, quello credo che ormai sia accettato da tutti, perché la cassa integrazione così com'è non favorisce di certo il lavoratore che sta per essere licenziato perché l'azienda va male. Tutti sappiamo che la cassa integrazione è quasi sempre solo l'anticamera del licenziamento.

Insomma, bisognerebbe separare quella che è la "protezione del lavoratore", da quella che è la "protezione del posto di lavoro" come giustamente dice Bisin.

Invece, sul post in questione ho una domanda da fare a Bisin.

Una cosa è fare il precario per 10 anni e poi ottenere una agognata tenure. Una cosa è essere licenziati a 55 anni e cercare disperatamente un lavoro in competizione con i ventenni. Io negli USA ho visto troppi anziani mettersi dietro le cassiere dei supermercati per aiutare i clienti a imbustare la spesa.  E quindi: va bene la mobilità, ma non ci sarebbe magari bisogno di una protezione crescente nel tempo per evitare tragedie familiari in tarda età?

sono d'accordo, si vedono spesso anziani in lavori umilianti negli Stati Uniti. E non e' un bel vedere. Ci sono tanti fattori; non ultimo che la fragilita' della famiglia. 

il discorso di bisin fila che è un piacere. Credo che adottare la proposta Ichino (anche Boeri anni fa propose qualcosa di analogo) rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla situazione attuale. però. Però a me sembra il modus operandi già visto in passato con le liberalizzazioni. Si parte da dichiarazioni roboanti per partorie il topolino, con il problema oggettivo che se stavolta alle parole seguiranno i fatti, quanto non fatto con le liberalizzazioni e costi della politica lascerebbero il fianco scoperto alle critiche . Semplificando: perchè noi si e loro no? Avrebbe dovuto esser più coraggioso ed includere tutto nello stesso decreto, ma magari sbaglio io.

Chi dice il contrario, o non capisce o è in malafede. Nel caso italiano, di solito, è in malafede. 

Non saprei. Parlando con molti amici, studenti universitari e dottorandi in fisica e altre materie scientifiche, mi rendo conto che spesso è ignoranza. C'è pochissima comprensione dei trade-off che certe scelte implicano. Il modello superfisso la fa da padrone...

Non ho mai sentito nessuno lamentarsi del precariato. Della mancanza di assicurazione sanitaria, sì, sempre. Della disoccupazione ogni tanto, specie nei periodi di crisi come questo. Ma mai del precariato. Mai dei giovani che non riescono ad avere sicurezza sufficiente per metter su famiglia. Non esiste nemmeno la parola “precariato”. almeno non con il significato peggiorativo che ha in italiano

Vorrei farti una domanda: negli Usa il lavoratore precario con contratto da 7 ore pagate che lavora per 9-10 ore, si lamenta o no?

Se si lamenta, in che modo?

deve essere una doimada retorica, questa. ma non l'ho capita. cosa vuol dire.  se uno lavora di piu' di quanto specificato nel contratto di solito  e' per far carriera. oppure perche' c'e' la coda fuori e lavora sotto minaccia di licenziamento. 

Nessuna obiezione sulla necessità di un mercato di lavoro flessibile.

Oltretutto ci sono indagini che dimostrano che nei paesi dove un sistema flessibile funziona il posto fisso è ritenuto davvero monotono e non desiderabile.

Allo stato attuale però in Italia non avere il posto fisso significa avere un lavoro con buona parte dei diritti ( sciopero, orari umani, diritto di replica ai superiori etc ) fittizi, con condizioni di lavoro peggiori rispetto ai colleghi a TI, e la cui perdita prefigura un lungo tempo di disoccupazione senza ammorizzatori sociali.

Una condizione umana su cui non credo che far battute sia né utile né di buon gusto.

concordo. i due mondi, quello con le protezioni in cui il precario e' rovinato se perde lavoro - e quello senza, in cui e' facile perdere lavoro (o lasciarlo) ma anche ritrovarlo - sono proprio due mondi (due equilibri diciamo noi). per saltare da uno all'altro ci vogliono politiche di liberalizzazione dei mercati e una transizione - che puo' anche essere non facile da oltrepassare. 

Mi riferisco sia alle condizioni economiche (l’eccessiva partecipazione dello Stato inefficiente nella vita economica) che a quelle culturali (in cui il desiderio del “posto fisso” è scolpito quasi indelebilmente nella mente di molti)

Per quanto riguarda quelle culturali, il mammismo italiano (leggi le polemiche sui bamboccioni e recentemente sugli sfigati) implica che chi abbandona il protettivo nucleo familiare lo faccia solo se trova altrettanta protezione fuori. Per esempio con un posto fisso, meglio se statale.  La cultura del posto fisso secondo me  ha tutta l'aria di essere una prosecuzione della Sindrome di Peter Pan

e gli sfigati.Io sarei favorevole ad un sistema che disincentiva il fuoricorso perchè 1)sono un costo per lo stato dato che non restituiscono l'investimento fatto su di loro 2)occupano posti rendendo meno efficienti i servizi a chi è in corso 3)sveglierebbe qualche addormentato.

detto questo però, a me pare evidente che quella di Martone è una sonora cazzata: il signore in questione non ha alcun diritto di dare giudizi morali sulle scelte personali di chicchessia.

C''è una gran bella differenza tra il disincentivare una pratica dannosa per la collettività ed esprimere il proprio disprezzo per chi la opera. Martone se ci tiene a fare il moralizzatore e a diffondere il suo verbo salvificotra gli italiani dovrebbe provare a farsi eleggere sotto altro incarico (decidete voi quale)

tra l'altro nelle risposte che dà sul suo sito

www.michelmartone.org dimostra di non averlo proprio capito qual'è il vero punto, dato che insiste con le stesse argomentazioni

per tornare a monti - mi pare si possa fare più o meno lo stesso discorso, anche se la cazzata mi sembra meno sonora-ma tale rimane-, perchè una cosa è dire che la flessibilità del lavoro serve, e mi pare serva, e un altra è dire che la vita con il posto fisso è noiosa.

Se sia noiosa o meno non è affare del sior monti, che come pdc ha altro ruolo che quello di maestro di vita.

amen

A me quell'uscita da parte che uno che prima ancora di cominciare a lavorare si è fatto nominare senatore a vita  (evidentemente una scranno di senatore con i relativi emolumenti per tutta la vita e senza neanche il fastidio di farse eleggere non è "monotono") mi ha fatto venire in mente quella di Maria Antonietta a proposito delle brioches. E mi ha fatto venire voglia di tirargli un modellino in marmo del duomo di Milano. Tanto per rimanere nel campo dei tecnici, Carlo Azeglio Ciampi non era senatore a vita quando è andato a fare il Presidente del Consiglio, e quando è stato eletto Presidente della Repubblica ha pure rinunciato all'appannaggio.

La frase intera é:

”I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita. E’ più bello cambiare e accettare nuove sfide purché siano in condizioni accettabili. E questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è ipertutelato e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci”


Che ha un significato diverso rispetto al solo "il posto fisso è noioso"

secondo me il problema e' proprio questo, capire cosa si intende per "condizioni accettabili", altrimenti si rischia di parlare a vuoto. Ha senso il post di Alberto Bisin quando parla del posto fisso, proprio perche' e' un post, meno senso ha l'affermazione generica di un premier su un argomento cosi' importante; per fare tali affermazioni bisognerebbe quantomeno essere un po' piu' precisi e spiegare cosa si intende per condizione accettabile, perche' una frase detta in questo modo puo' voler dire tutto e niente.

Che ha un significato diverso rispetto al solo "il posto fisso è noioso"

 

E' stato riportato correttamente "monotono", non "noioso", però segnalo che il Vocabolario Treccani lo mette in correlazione, anche forte...

RR

Bisognerebbe sempre non confondere flessibilità con precarietà.

In Italia i due termini sono ormai sinonimi.

Due, mi sembrano, le cose rimarchevoli affermate da Bisin.

1) la protezione è del posto di lavoro, non del lavoratore;

2) Negli Stati Uniti il lavoro precario tende ad avere salari superiori a quello fisso (perché richiede la remunerazione del rischio di perdere il lavoro).

In Italia, invece, la discussione sembra tutta focalizzata sul mantenere o meno l'Art. 18.

Ma perchè il lavoro sia flessibile bisogna che prima ci sia, il lavoro.

Anche in Italia le imprese innovative, se hanno prodotti e mercato, assumono senza preoccuparsi dell'art. 18.

 

 

vi riporto un commento di una mia amica, che mi sembra particolarmente azzeccato:

la parte del problema che da' fastidio a me e' che la frase il posto fisso e' noioso non vuol dire niente se non mi spieghi "as opposed to what"

perche' as opposed to laurearsi con 110 e lode e lavorare a nero e/o in un call center, ma vfnc...

as opposed to un mondo di opportunita' in cui lasciato un lavoro ne trovi un altro e a 50 anni non sei finito ma potresti scoprire la tua vera passione e start a new career, a vabbe', allora si che e' noioso

e se mi stai dicendo, dietro la battuta, che vuoi lavorare per passare a questo nuovo equilibrio, mi sta pure bene, ma me lo devi dire. Altrimenti, io ipotizzo che stiamo nell'equilibrio di adesso, non in quello del mondo di opportunita'.

p.s. quando ho suggerito alla mia amica di postare questo commento mi ha risposto:

"come studiarono loro in un vecchio post, noi femmine ci rompiamo le palle di polemizzare su nfa, poi l'idea di litigare con qualche troll mentre potrei farmi lo shampoo mi deterre"




una cosa non riesco a capire, dall'alto della mia ignoranza, relativamente al tema. D'accordo con il fatto che gli articoli 1 e 18 dello statuto dei lavoratori sono una protezione del posto di lavoro, piuttosto che del lavoratore, ma non riesco proprio a capire come ciò si correli con la possibilità di raggiungere l'efficienza allocativa, dato che tali articoli prevedono già la possibilità di licenziamento per cause economiche (crisi dell'azienda o decisioni in merito alla ristrutturazione), che per altro a me paiono anche molto lasche, dato che consentono a molte grandi imprese di distribuire grandi dividendi e super-bonus ma contemporaneamente di licenziare/esternalizzare (ma ciò ha più a che fare con la morale che con la scienza economica, anche se poi la legislazione dovrebbe curare anche questi aspetti), ossia per cause c.d. OGGETTIVE oltre che per le cause c.d. SOGGETTIVE, ossia il comportamento del singolo lavoratore (scarsa produttività, comportamento in contrasto con il regolamento aziendale etc) che si sostanzia nelle famose TRE lettere di richiamo (che, diciamoci la verità sono piuttosto una farsa, visto che basta anche un ritardo di 10 minuti per farti una lettera). Inoltre è anche consentita la libera recessione del contratto (ovviamente dopo un accordo sulla buonuscita) come in tutto il resto del mondo. Il problema è che l'azienda è costretta ad affrontare pesanti spese legali (come anche il lavoratore)? Rendiamo più efficiente la giustizia.

Il problema dell'Italia non è l'eccessiva protezione degli insider (come dimostrano i licenziamenti a iosa messi in atto, anche giustamente, in questa fase della crisi e l'ampio ricorso alla CIG), ma la totale assenza di tutela per gli outsider, che crea eccessiva frammentazione del reddito e sfruttamento, nonché l'incapacità di proporre e mettere in atto una seria politica industriale, di investimento (anche pubblico) efficiente, investendo sulle risorse proprie del nostro paese: il territorio, l'arte, l'innovazione, i giovani.

Mi piacerebbe conoscere in che contratto nazionale 3 lettere per ritardi di 10 minuti bastano a licenziare.

aumentare la protezione degli outsider di oggi non impedirebbe affatto la nascita di una nuova generazione di outsider domani. Impedire che ciò avvenga per legge produrrebbe un ulteriore perdita di competitività del nostro sistema produttivo.

La considero una gaffe perché nessun giovane si aspetta il posto fisso, una retorica del genere è portata avanti solo dai sindacati, dalla sinistra radicale, da una parte del PD e dai centri sociali. I giovani sanno benissimo che non avranno mai un posto fisso, quello che vogliono è la possibilità di trovare un lavoro decente: ma con quest'uscita montiana (che era OVVIO che i giornali cogliessero al volo) abbiamo buttato alle ortiche la possibilità di discutere nel merito, perdendoci in tanti bei segoni mentali sul posto fisso o non fisso. Peccato.

Sei stato chiarissimo.  Partendo da questi presupposti allora l'uscita Montiana potrebbe non essere una gaffes (aggiungo il presupposto che non è un cretino e sembra sempre pesare molto le parole).

Quindi potrebbe anche aver voluto dare questo argomento, propro in questa forma e in questo momento in pasto ai giornali.

Al motivo ci devo ancora pensare :-) ma, volendo vedere dei collegamenti, anche l'altra "gaffe" governativa di qualche giorno fa (quella sugli sfigati) fa passare un messaggio simile. Magari è un caso.

Credo che il tono con cui è stata formulata l'affermazione sia suonato offensivo, più che il contenuto. Come se i giovani italiani fossero dei lagnosi alla ricerca del posto fisso entro 3 km da casa, così magari ci puoi tornare nella pausa pranzo. Il tono era francamente quello di un privilegiato. Sappiamo tutti che in Italia il mercato del lavoro è ingessato, e pensare di smuoverlo con posizioni di parte (abolizione dell'art. 18, etc.) e con boutades di questo tipo è ridicolo. Da un governo serio si attendono proposte serie, che sino ad ora, mi dispiace, galleggiano nel limbo. 

Credo che il tono con cui è stata formulata l'affermazione sia suonato offensivo, più che il contenuto

Il fatto è che non c'è alcun contenuto. E' possibile che Mario Monti non sappia che lo Stato per funzionare ha bisogno di medici, poliziotti, magistrati, insegnanti, funzionari, amministrativi, etc, che sono tutti lavori tradizionalmente monotoni? La dichiarazione di Monti cosa dovrebbe voler dire, che in futuro ci sarà il medico di famiglia precario? L'artigiano che svolge l'attività da una vita, di un mestiere imparato dai genitori, imparato dai nonni, dovrebbe abbandonare il suo posto fisso perché monotono? Spero di no, il made in Italy è in grandissima parte artigianato generazionale. Se ci pensi un attimo la dichiarazione di Monti non ha contenuto, è solo una provocazione bella e buona.

C'e' anche il gruppo facebook, aperto qualche anno fa:
www.facebook.com/group.php

Comunque da ex-giovane precario non posso concordare con l'opinione generale. Ci sono molti in Italia "precari" per scelta. Da lavoratori nel settore alberghiero a consulenti informatici.

Il problema e' che richiede un cambiamento di mentalita', muoversi per cercare il lavoro dove c'e', imparare, riqualificarsi ecc.

Io capisco che non e' ancora possibile in Italia per un laureato in Lettere o in Economia per esempio trovare un lavoro precario qualificato, non tutti almeno. Ma questo sarebbe un altro problema penso.

- Quando fa notare che ”I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è ipertutelato e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci” MM fa un'osservazione empiricamente corretta e ne trae anche una conclusione adeguata all'attuale situazione italiana. Ossia, SE vogliamo mantenere a posto fisso quelli che gia' ce l'hanno, con salari, prebende e vantaggi di cui godono, ALLORA occorre occorre mantenere nel precariato piu' abominevole e sottopagato gli altri, per compensare il costo totale. Non c'e' ascesa degli uni senza mobilita' degli altri e, se aspettiamo che i superprotetti vengano "eliminati" dalla demografia, aspettiamo ancora troppi anni e facciamo crollare il sistema economico oltre che scatenare la rivolta. sociale.Su questo non ci piove, non e' un concetto particolarmente nuovo e, senza dubbio alcuno, se si fosse limitato a spiegare questo dando esempi pratici (e, vedi sotto, facendo operare il suo governo perche' i peggiori casi di immobilismo parassitico si cominciasse ad eliminarli) non solo non avrei nulla da ridire ma lo appoggerei. Applaudirlo, come fanno alcuni, mi sembra servile, anche perche' arriva buon ultimo a spiegare cose che alcuni di noi si son scottati di spiegare in tempi molto meno "favorevoli" a questa prospettiva.

- Quando invece sentenzia:"Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita."  dice una falsita' che, perdippiu' puzza di ipocrisia e snobbismo. Dice una cosa falsa perche' una delle ipotesi base su cui tutta la teoria economica della scelta e del benestare e' basata e' che le nostre funzioni di utilita' sono concave, quindi preferiamo stabilita' del consumo/reddito/sforzolavorativo nel tempo all'opposto. QUINDI il posto fisso, le garanzie, la carriera piena di certezze e tutto il resto NON sono noiosi, almeno non nell'unico senso rilevante che e' quello alternativo. Ossia, sono meno noiosi e molto piu' graditi della loro alternativa, che e' il licenziamento continuo, l'ansia, l'insicurezza, la carriera che non c'e'. Il fatto che, siccome siamo eterogenei ed alcuni di noi sono meno avversi al rischio di altri, alcuni di noi scelgano carriere piu' rischiose (che magari rendono di piu') non vuol dire NULLA: SE quelle carriere piu' rischiose non generassero maggiori soddisfazioni sia professionali, che personali, economiche COL CAVOLO che le sceglieremo. L'accademico medio una tale banalita' la dovrebbe sapere, specialmente se economista, sia perche' (nonostante i rischi iniziali) la tenure arriva piuttosto presto (prestissimo, nel caso di MM, che deve essersi annoiato da morire negli ultimi 40 anni ...), sia perche' molti di noi hanno rinunciato, a suo tempo, a rischiosissime carriere a GS e paraggi che avrebbero implicato piu' soldi ma meno posto fisso, eccetera, eccetera. Tutte banalita', le guali rendono la frase meno scusabile, specialmente da uno che fa dell'aplomb e dello stile una specie di medaglia sul petto ...

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Quando cerca di aggiustarla, aggiungendo: "E’ più bello cambiare e accettare nuove sfide purché siano in condizioni accettabili." si rende un po' ridicolo, perche' emette una vuota tautologia. OVVIAMENTE e' piu' bello cambiare se quanto mi offrono e' accettabile: se non lo fosse non cambierei e se cambio dev'essere che lo preferisco, o no? Ma il dibattito NON e' sulla questione se e' piu' bello fare carriera saltando di successo in successo verso il non farla. Il dibattito, che occorre vincere ANCHE non umiliando gli sfigati e quelli nati peggio, e' se in media sia preferibile un mondo dove si corre anche il rischio di essere licenziati controvoglia ma c'e' possibilita' di ritrovare un lavoro rapidamente e si viene anche premiati (economicamente) quando si e' produttivi ad un mondo come l'attuale, in Italia. Per vincere questo dibattito affermazioni del genere non aiutano, anzi confondono le acque.

 

Morali:

1. Un buon economista non dovrebbe mai confondere l'analisi positiva con quella normativa. Che occorra mobilita' e flessibilita' e che sia necessario correre rischi occupazionali che 40 anni fa erano meno necessari, e' un fatto, ossia la conseguenza dell'analisi positiva. Che per svariati gruppi sociali questo sia meglio di quanto avveniva prima perche' e' meno "noioso" e' falso ed e' una falsa implicazione normativa dell'analisi positiva. 

2. Un buon politico, come MM chiaramente vuole essere se non gia' e' da molto tempo, sta attendo a non confondere le preferenze che dichiara di avere (come m'annoia il posto fisso) con quelle che la sua vita rivelano (non credo serva mi dilunghi su questo).

3. E, di nuovo, un economista e politico attento alla logica dovrebbe fare attenzione a non confondere la utilita' attesa con quella realizzata ... Quando si entra nel mercato del lavoro l'utilita' ATTESA (ossia la media, calcolata sopra tutte le possibili realizzazioni di una carriera) e' minore se il rischio di perdere il lavoro frequentemente e non volontariamente e' alto. Quindi, all'aumentare del rischio, l'utilita' attesa tende a diminuire. Anche se fosse vero che i guadagni attesi medi (in termini monetari e professionali) crescono al crescere del rischio che ognuno affronta e' perfettamente possibile che l'utilita' attesa diminuisca. Ma il punto di fondo e' che, all'aumentare del rischio, saranno parecchi quelli che, nella realizzazione concreta della loro carriera, NON saranno fortunati. Ossia, avranno carriere misere, con pochi soldi, poche soddisfazioni, eccetera. E' divertente scoprire, l'ho appena scoperto in questi giorni, che questo e' vero ... indovinate un po' di chi? Dei professori universitari americani ... Questo implica che chi, come MM o anche come l'MB che qui scrive, ha avuto una carriera buona o addirittura ottima (ex post) dovrebbe evitarsi lo snobbismo altezzoso di dare dei "noiosi" a quelli che, essendo stati piu' sfigati nella loro realizzazione concreta, preferirebbero, ex-post, aver scelto carriere con minor rischio.

Quest'ultimo punto, me ne rendo conto, e' piu' soggettivo di quelli precedenti, quindi sono meno disposto ad argomentare per difenderlo anche perche', avendo scelto io una carriera abbastanza piu' rischiosa di quella media dei miei colleghi, non mi sento "istintivamente" molto vicino ai pavidi. Ma e' rilevante comunque visto che il dibattito in corso e' ANCHE redistributivo e non solo di efficienza. E, in questioni redistributive, cio' che conta sono le realizzazioni e non i valori attesi perche' sono le realizzazioni che la gente valuta e sulla base delle quali fa le proprie scelte politiche. Quindi NON e' buona cosa predicare il rischio prima di aver cacciato dai loro posti fissi e supergarantiti le migliaia di privilegiati di lusso che li occupano da decenni e che sembra continueranno ad occuparli. Bassa retorica per bassa retorica: non parlo degli operai FIAT ma dei Michel Martone di questo paese.

- Quando invece sentenzia:"Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita."  dice una falsita' che, perdippiu' puzza di ipocrisia e snobbismo.

Per una volta concordo pienamente con Boldrin.  Del resto il fatto che in paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito (dove, almeno in prima approssimazione, non operano le distorsioni provocate dal dualismo tra insider e outsider) il lavoro meno sicuro sia pagato di più, dimostra chiaramente che la sicurezza del lavoro è considerata un fattore di qualità, non certo di 'monotonia'.  Con le sue considerazioni, Monti sembra prendersi gioco di tutti quelli che oggi sono verosimilmente tagliati fuori dai lavori più produttivi e gratificanti, e fa paradossalmente l'interesse di quegli insider, privilegiati e percettori di rendite di cui a parole vorrebbe ridurre la tutela.  L'errore di valutazione mi pare evidente.

Non potevi dirle meglio!

Concordo al 100%.

E mi fa specie poi che un economista\politico confonda "posto fisso" (che NON significa necessariamente impiegato alle poste) con "monotonia".

Personalmente sono 10 anni che lavoro,senza aver mai cambiato "posto" (azienda si, tra spin off, JV, acquisizioni...), eppure ho fatto nel tempo cose diverse. Che richiedevano competenze e responsabilità differenti.

E molti miei colleghi nei "dinamici" US hanno avuto carriere analoghe.

Sono completamente d'accordo.

Il problema del posto fisso e della sua monotonia è un non problema nel senso che se ci fosse la possibilità di cambiare e di avere un'abbondaza di offerte di lavoro nessuno si porrebbe il problema del posto fisso.
Il mio lavoro è diventato monotono? ho perso interesse in quello che sto facendo? ho problemi con i miei colleghi? non c'è più intesa con il mio datore di lavoro? sono ai ferri corti con qualche manager o qualche capetto che mi rende la vita difficile? la mia azienda vuole ristrutturare? è arrivato il figlio ignorante del padrone e vuole cambiare tutto con un colpo di spugna facendo fallire l'azienda? voglio più soldi? voglio meno soldi per avere più tempo?
Allora cosa c'è di meglio che un sano addio, cancellare tutto prima che la situazione degeneri.
In abbondanza di offerte di lavoro il posto fisso è un non problema. Non ci sarebbe nemmeno l'art 18 il dipendente se ne andrebbe prima.
Toccare l'art 18 in Italia adesso significherebbe permettere ai manager attuali di mettere in atto una serie infinita di vendette trasversali che avranno come risultato l'espulsione di centinaia di lavoratori scomodi fastidiosi e non allineati.

La schiera di incapaci e raccomandati, gente che occupana posizioni rilevanti in azienda che è spesso a fianco dei nostri imprenditori, avrà carta bianca per applicare la regola aurea: fare in modo che nessun collega possa minare la loro posizione privilegiata.
L'inapplicabilità di un sistema moderno di relazioni lavorative in Italia può essere riassunta in questi punti:

1) L'assenza totale di criteri di valutazione e di reclutamento della forza la lavoro, di meritocrazia interna alle aziende, di un sistema di gestione dei risultati: l'assenza dell'idea stessa di risultato.

2) Scarsa conoscenza delle effettive competenze del personale in azienda, incapacità di valorizzarle, ricorso continuo a consulenti esterni ritenuti maggiormente qualificati con assurdo aggravio di costi.

3) Difficoltà nella mobilità lavorativa a livello nazionale e anche locale per mancanza di servizi alla famiglia, nidi, scuole per l'infanza, trasporti pubblici e di una vera politica per la casa.

4) Totale mancanza di pianificazione e di investimenti a lungo termine con ovviamente ritorni economici positivi a lungo termine.

Il confronto fra posto fisso e non fisso che si fa normalmente non e'  tra due posti identici, uno in cui si puo' essere licenziati e uno no; si immagina (un po' vagamente, ammetto) il posto fisso come il posto alle poste, 9-5, senza carriera possibile.... mentre quello non fisso come un posto rischioso in cui uno puo' essere licenziato ma puo' anche far carriera. 

Forse questo confronto si fa nella teoria. Ma nella pratica realtà, i giovani di oggi (mi ci metto pure io, che a 36 suonati sono un "diversamente giovane") fanno il confronto tra loro (precari) e chi fa lo stesso identico lavoro (spesso fatto peggio) ma è garantito.

«Le differenze nei regimi di protezione dell’impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di occupazione dei vari paesi» (European unemployment: the evolution of facts and ideas, Economic policy 2006) (cito di seconda mano, da Brancaccio).

Se questo è vero, la tesi del prof. Bisin, secondo la quale la protezione degli uni danneggia gli altri, è errata.

O ci sono dei dati a provare la correlazione, oppure non si può usare un argomento simile. Non credo che Blanchard sia accusabile di avversione ideologica contro la flessibilità del lavoro.

Se non sbaglio lo stesso Blanchard si è occupato più volte di questo tema, con risultati talora difficili da interpretare; vedi ad esempio The Role of Shocks and Institutions in the Rise of European Unemployment: the Aggregate Evidence.

Uno dei problemi è che le possibili fonti di distorsione nel mercato del lavoro sono molteplici.  Non è affatto scontato che una protezione del lavoro eccessiva influisca sull'occupazione nel lungo periodo, piuttosto che ad esempio contribuire a ridurre la produttività e il reddito dei lavoratori stessi, e/o favorire lo sviluppo di un'economia parallela di attività autonoma meno regolamentata.  Al contrario esistono altri fattori (ad esempio la determinazione delle retribuzioni o gli incentivi creati dalle politiche di assistenza sociale) che possono avere un'impatto più diretto sull'occupazione.

Per di più lo stesso Blanchard (nella citazione da lei riportata) chiarisce che "[e]mployment protection is probably one of the main factors behind the long unemployment duration in Europe;" (corsivo aggiunto).  Quindi, l'effetto della protezione del lavoro è che il lavoratore disoccupato resta tale per più tempo, anche se al tasso di occupazione concorrono piuttosto altri fattori.

Videoforum su repubblica. Monti risponde in diretta ai lettori.

Vorrei capire un po' piu' in dettaglio cosa si intende per

permettere alle imprese di licenziare per ragioni economiche

perche'  è una frase generica che puo' significare molte cose, 

se non si entra nel dettaglio. Grazie

Una precisazione:quello che non mi quadra è che ci sono decine di esempi in italia di aziende che

chiudono definitivamente o portano all'estero parte o tutta la produzione o riducono gli organici

e io questo lo definisco licenziare per ragioni economiche,percio' in teoria e in pratica quel permesso le aziende lo hanno gia. 

se si debba per forza obbligarle di trasferirsi all'estero o chiudere, piuttosto che tenere in vita quei posti di lavoro che potrebbero e vorrebbero tenere. 

Avanzo un'osservazione da nuovo utente, profano e per nulla versato nella materia economico-finanziaria: la prospettiva di un mercato del lavoro che presenti una maggiore flessibilità bilanciata da un'offerta lavorativa abbondante e qualificata (e qualificante) sarebbe certamente da discutere, in vista di un superamento dell'odierna asfittica situazione italica. ma credo che il problema inerente un'affermazione di quel genere da parte di una figura istituzionale con responsabilità di governo, risieda essenzialmente nel fatto che allo stato, non esistono in Italia (come rilevato dall'autore) condizioni tali da poter rendere auspicabile una flessibilità virtuosa: chi ha uno o più privilegi continua a tenerseli stretti sostanzialmente indisturbato dai governi degli ultimi 50 anni a questa parte. vero è che la frase di MM, che ha innescato una polemica enorme ma, come qui accade spesso, sterile, è stata estrapolata da un discorso più complesso che conteneva alcune precisazioni e attenuazioni; vero anche che per vedere i risultati dell'operato dell'attuale governo occorrerà che passi ancora un po' di tempo. ma una tale affermazione, sic stantibus rebus, non può che risultare profondamente irritante, al limite dell'offensivo, per chi si rapporta con un mondo del lavoro avaro e bloccato.

m

Mario, la prospettiva di un mercato del lavoro più flessibile con maggiori opportunità non è da discutere, ma è AUSPICABILE, perlomeno per le persone giovani come me (35 anni) e più giovani di me, io lo odio questo sistema che nel migliore dei casi ti ingabbia o nel peggiore dei casi ti esclude o ti condanna al precariato perpetuo. Ti faccio un esempio con la mia storia: a 19 anni vengo assunta a tempo indeterminato per il gruppo FS, grazie ai miei meriti scolastici e l'ottima conoscenza di due lingue straniere (un raro caso di meritocrazia). Sei mesi dopo decido di licenziarmi (stupidamente, ma l'ho capito dopo) per proseguire i miei studi universitari e non incastrarmi per sempre nel posto fisso, per poter cambiare nella vita e fare nuove esperienze, immaginavo già da allora più percorsi possibili ed opportunità, ero troppo avanti per la mentalità di allora, ma non lo sapevo perché avevo sempre viaggiato molto e con una mentalità molto europea e poco italiana. Finiti i miei studi universitari la strada è stata tutta in salita in Italia, è nato il precariato e ci sono finita dentro per un po', ho fatto diversi lavori: insegnante di lingue, traduttrice, interprete, persona che accompagna studenti all'estero, organizzatrice di congressi fino ad approdare ad un lavoro da impiegata "fisso". Dopo 6 anni di lavoro da impiegata vorrei cambiare perché appunto mi annoio (quanto ha ragione Monti), vorrei poter crescere, fare carriera, migliorare la mia posizione economica, imparare cose nuove. Tutto questo è impossibile in Italia a 35 anni, nessuno molla il proprio posto fisso e il mercato è completamente ingessato condannando alla depressione i più bravi e meritoveli. Probabilmente fra 30 anni le cose saranno finalmente diverse, io purtroppo mi sarò giocata la mia vita in questo Paese, i miei figli forse vedranno le cose che avrei desiderato vedere io. 


ma certo contessa, facciamo come in America, con una spaventosa percetualedi poveri non disoccupati o precari ma lavoratori

dove tutti sono docenti universitari che girano qua e là per stare vicini ai propri cari o ai colleghi

a scemoooo!

io so cosa vuol dire andare al mercato ortofrutticolo la mattina alle quattro, mettersi con altri poveracci contro un muro e aspettare quello che arriva e sceglie "tu col cappellino, tu con la giacca rossa..."

questo sì è eccitante, altro che il posto fisso!! l'adrrenalina ti va su.............e se tornando a casa trovi un professore universitario (alle 5.30? difficile!) tivien vogliadi dirgli che compiangi lui, e le sue fissazioni idiote.

Le persone a basso reddito che negli Stati Uniti lavorano a giornata svolgendo mansioni non qualificate, in Italia non troverebbero mai un lavoro regolare e finirebbero a lavorare in nero sfruttate dal caporalato.  Il lavoro nero esiste anche negli Stati Uniti, ma in misura molto minore e riguarda soprattutto clandestini, anche perché i cittadini poveri che svolgono lavori regolari godono di una integrazione al reddito.  Peraltro negli Stati Uniti la qualità della vita è molto migliore a parità di lavoro, e anche la povertà è un fenomeno molto relativo e legato soprattutto a cattivi stili di vita.

cito

"Peraltro negli Stati Uniti la qualità della vita è molto migliore a parità di lavoro, e anche la povertà è un fenomeno molto relativo e legato soprattutto a cattivi stili di vita."

forse hai solo sbagliato secolo

nell'800 sidiceva infatti che i poveri sono tali perché spendono tutto quel che hanno per ubriacarsi.

non ti vergogni?

chiudo questi due thread.. non ha granche' senso rispondere.

Capisco che l'editore abbia deciso di chiudere i thread di cui sopra, ma qui si rischia di banalizzare un problema per certi aspetti gravissimo, che è stato discusso anche nel New York Times (nel 2012, non nel XIX secolo).  Uno dei problemi è che gli USA non si possono valutare con lo standard dell'Italia.  Loro sono una società molto più meritocratica della nostra, e il lato "cattivo" della meritocrazia è lasciare semplicemente indietro chi per un motivo o un altro non riesce ad emergere.  (Proprio per questo molti americani anche liberisti sostengono l'importanza di avere delle politiche di assistenza sociale ben congegnate.)  L'altro problema è che qualcuno dovrà pur farsi carico di istruire questa parte della popolazione a prendere parte produttivamente alla società.  Il sistema educativo non lo fa, e la questione rischia di diventare politicizzata, in quanto i più bigotti vedono in questo un'occasione per propagandare i propri valori tradizionalisti.

L'articolo riassume bene e con onesta' intellettuale il problema del mercato del lavoro italiano.

Mi piace anche il secondo pezzo.

Mi restano pero' alcuni dubbi: riuscira' Super Mario ad incidere sulla mentalita' italiana e a cambiare qualcosa nel mercato del lavoro di questo paese?

Il paese mi sembra veramente in ritardo se confrontato con altri paesi europei piu' avanzati. Pero' la gente e' pronta ad un cambiamento di questa portata?

Mi sembra ci sia ancora molta resistenza ideologica soprattutto da parte dei sindacati.

Ad oggi le uniche cose che si sono sentite ricorrentemente sono l'abolizione dell'art. 18 o, come ha detto oggi la cancellieri, gli italiani che vogliono stare vicino a mamma e papa' (che sono uno dei pochi ammortizzatori sociali che funzionano). Nessuno parla di come modificare gli ammortizzatori sociali o di come modificare i servizi pubblici offerti ai cittadini per rendere sensata una riforma cosi' importante. Non ti sembra normale che in questo modo aumentino le perplessita', e che cio' dipenda da come si sta affrontando il problema piuttosto che dalle resistenze ideologiche dei sindacati?

Ci sono diverse cose che non condivido del post. Una su tutte, quella sui professori marxisti italiani. Vorrei che fossero nominati, perché sinceramente non ne vedo. E vedo pochi keynesiani, o sraffiani. un qualsiasi eterodosso lo si trova a fatica nelle facoltà.  Il pluralismo non è certo il lato forte dei dipartimenti di economia italiani.

Ma quello su cui vorrei conoscere il parere dell'autore è questo articolo di cui riporto il link.

www.emilianobrancaccio.it/2012/02/03/la-maggiore-precarieta-non-riduce-la-disoccupazione/

E' brutto ridurre l'attività scientifica di una persona ad un' etichetta, specie se non è rivendicata dall' interessato. In questa sede si preferisce discutere  questioni specifiche piuttosto che classificare economisti come gli entomologi fanno con gli insetti.

Tempo fa qui si è discussa una "lettera degli economisti" di ispirazione marcatamente eterodossa, firmata da oltre 100 economisti(1) accademici italiani, il che dimostra che certe posizioni hanno seguito, ma non autorizza ad etichettare nessuno dei firmatari.

Quanto all' affermazione di Brancaccio riportata sopra, non ho le competenze per discuterlo nei dettagli a parte un po' di buonsenso, che mi dice:

1)Il grafico riportato ha come datapoint i paesi, e mette in correlazione medie ponderate su 25 anni. Le differenze tra i vari paesi non si limitano all' indice di protezione del lavoro, non mi pare dica molto il fatto che la correlazione sia debole.Sarebbe più interessante vedere come si comportano le due variabili nello stesso paese nei 25 anni suddetti.

2) L' argomento per cui la flessibilità riduce la disoccupazione si basa su due ipotesi:

  a) la protezione del lavoro ha un costo

  b) esiste un insieme non vuoto di posti di lavoro che al datore rendono meno del costo per proteggerli

Finchè non mi mostrano un ragionamento e dei dati che negano credibilmente (a) o (b) resto convinto che la protezione del lavoro aumenta la disoccupazione (meglio, riduce il numero degli attivi). Se poi il gioco valga la candela è un'altro discorso, il buon senso non basta più.

(1)credo che in realtà alcuni non siano economisti in senso stretto, ma comunque professori o ricercatori in discipline vicine all' economia.

PS ho cancellato un commento trollesco di lorenzos.

@lorenzos: non abbiamo nessuna remora a bannare i troll e nessuna pretesa di democrazia. Se vuoi argomentare fa pure, i flamebait sei pregato di tenerli per te.

Mi pare che fu Calamandrei ad affermare che, prima di cominciare ad esercitare le sue funzioni, un giudice dovrebbe obbligatoriamente trascorrere almeno una settimana nelle patrie galere.

e così, prima di mettersi a parlare di lavoro, i signori professori e ministri dovrebbero almeno provare sulle proprie carni di che cosa si tratta

loro, che per lavoro intendono fare delle chiacchierate o passare qualche ora sui libri (so di che parlo, ho tenutodei corsi anch'io, ad adulti - maestre elementari e prof delle medie sono altra cosa)

loro che al massimo rischiano di cadere dalla sedia o un po' di mal di testa provino a fare i turni di notte alla catena, o stare ore a inserire dati

Strano poi che tutti coloro che stanno un po' su pensino di averlo meritato, e che ci sia poca meritocrazia......

io penso che in realtà di geni ce ne siano veramente pochi, e altrettano di perfetti cretini... tutto il reato è aurea mediocrità, dalla quale si emerge quasi solo per caso, o per destino

(ma c'è anche quella che entra a 19 anni alle ferrovie perchè ha bei voti e sa due lingue)

@- per il prof marcello urbani si chiama argomentazione solo quello che lo è per lui

niente prof, sig.

Un problema che mi pare non sia stato ancora toccato nè dall'articolo nè dai commenti riguarda la flessibilità del lavoro e la possibilità di accedere al prestito bancario. 

Esaminando i dati che ho reperito in rete (fondazioneabacus.it) emerge che nel 2003 l'indebitamento italiano era pari al 25% del pil, quello americano 82% e la media UE 42%.

una diversità piuttosto pronunciata che può essere spiegata dalla bassa propensione delle famiglie italiane di prendere denaro a prestito. Questa considerazione risulta essere, a mio avviso, coerente col fatto che "La cifra più elevata per i prestiti si riferisce ai mutui per comprare casa: la quota più elevata a novembre 2004 corrispondeva a oltre la metà dell’indebitamento complessivo"  poichè per l'acquisto di un bene molto costoso come la casa l'accesso al credito risulta essere l'unica via percorribile. 

Tuttavia l'enorme differenza quantitativa tra italia e usa non può essere spiegata solo dal lato della domanda, ma ritengo che in buona parte sia pure spiegata dalla maggior difficoltà di accesso al credito che si ha in Italia rispetto che negli Usa. E questo mi sembra in buona norma confermato da quanto successo durante la crisi subprime. 

Fatta questa dovuta premessa mi ricollego al tema di discussione evidenziando come dato il regime bancario italiano siano richieste garanzie più solide per accedere a un mutuo, garanzie che comprendono, tra le altre, anche il posto fisso.

"per chi è assunto a termine: la richiesta di garanzie collaterali, leggi fidejussioni, è imprescindibile per chi vuole accendere un mutuo prima casa. Ad esempio un precario che si rivolge a Unicredit per accendere un mutuo non può richiedere una somma superiore a 200mila euro, oppure una cifra che superi il 70% dell’ammontare totale, deve inoltre percepire una retribuzione da almeno 36 mesi e deve essere occupato per almeno 180 giorni l’anno. Condizioni che decadono se il precario in questione è in grado di trovare una persona che garantisce per lui, leggi genitori. Per il credito al consumo, invece, c’è meno elasticità: senza garanzie di terzi non è possibile richiedere finanziamenti o carte di credito, se non per un periodo uguale alla durata del contratto, in assenza di fidejussioni." (fonte http://www.linkiesta.it)

Inoltre il tasso applicato ai prestiti di chi non ha un posto fisso è generalmente più elevato... della serie "piove sempre sul bagnato".

Quindi, in ragione dei dati sopracitati, viene da pensare che contemporaneamente a riformare il lavoro sarebbe necessaria una regolamentazione bancaria che vada di pari passo.

Non c'è bisogno di riformare anche il sistema bancario.

 

Il mercato del lavoro italiano odierno è un pantano, dove il precario una volta perso il posto fa molta fatica a trovarne un altro.

 

Per questo motivo non si fa credito ai precari.

 

In un mercato del lavoro più dinamico (e con ammortizzatori sociali adeguati) il problema non si pone più. Se è facile trovare (e cambiare) lavoro e se nei periodi di disoccupazione il reddito è in qualche modo garantito, alla banca non interesserà nulla del tipo di contratto. Forse comincerà ad avere peso il titolo di studio e/o la preparazione ed esperienza, cioè la capacità di trovare lavoro più velocemente.

 

In America sono andati a game all'aria perché il credito era facile per tutti (semplificando molto suvvia), vogliamo, per legge, la stessa situazione anche qui?

 

Il problema non sono (solo) le banche che non prestano ai precari o a chi ha reddito basso, ma il fatto che sempre più persone siano precarie (all'italiana) e con un reddito basso!

Ne parlava anche Boldrin su l'inkiesta.

Non regala niente nessuno, ma con un sostegno al reddito dei precari tra un lavoro e l'altro e maggior concorrenza tra le banche la musica sarebbe diversa.

Praticamente Bisin dice: "Quant' è bello il lavoro a tempo determinato nei paesi civili !". Già, ma l' Italia che c' entra ?. E' ovvio che si guardi con desiderio al posto fisso, per motivi (in)culturali, ma anche per come è costruito questo paesone: nessuno di noi ha voglia e tempo di fare una rivoluzione culturale, ed il politico nostrano mai si è preoccupato di comporre gli interessi per raggiungere un progetto di società chiaro, ma ha sempre contentato chi strillava di più. Conoscete la barzelletta della differenza tra teoria e pratica ? Ecco: Monti e Bisin in teoria hanno ragione, ma in pratica tortissimo.

per il momento non ci sono proposte concrete sul tavolo da parte del governo quindi la discussione è del tutto accademica. tra la proposta ichino e la possibilità di licenziare previo indennizzo poco più che simbolico, c'è la stessa differenza che c'è tra il giorno e la notte. Aspettiamo almeno la presentazione ufficiale del decreto.

Continuo a ritenere che separare gli interventi in più decreti sia stato un errore, così come ritengo che la timidezza mostrata con le liberalizzazioni* presterà il fianco a più di una critica se  invece stavolta agisse con incisività.

*ok comunque meglio di quanto fatto in passato da chi diceva di ispirarsi a principi liberali.

MI permetto di porre un'altra domanda. Non è invece maggiormente probabile un collegamento tra il grado di libertà sul mercato del lavoro e la distribuzione della produttività? e che, quindi, la quantità di lavoro sia dipendente, non dal posto fisso o meno, quanto piuttosto da livello di domanda aggregata?

il caso americano, che si prende in esempio, mostra una distribuzione della produttività molto sfavorevole al lavoro, un aumento molto modesto dei salari in termini reali e, appunto, una grande libertà sul mercato del lavoro.