Perché il DDL Gelmini non è (era?) tutto da buttar via

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E’ scritto male, lascia ampia libertà al Ministero di fare disastri ed è stato fortemente peggiorato nelle varie stesure – fino agli ultimi sciagurati emendamenti. Ma contiene la parola magica: valutazione.

 

La stragrande maggioranza dei miei colleghi  ritiene il DDL (Disegno, non decreto – tanto per la precisione) Gelmini pessimo ed i ricercatori stanno protestando  vigorosamente, dichiarando che affosserà per sempre l’università pubblica. La loro linea è passata nei media, almeno in parte. Resistono solo il Sole (e questa è prova della nequizia del DDL, scritto su dettatura della Confindustria) e, in parte, il Corriere. Nelle università  piccoli gruppi di carbonari dicono, nel segreto di telefonate (si spera non intercettate) che in fondo il DDL non è così male. Io ho sostenuto, in più occasioni, la versione originale – ed anche quella uscita dal Senato – come primo passo nella giusta direzione. Ora sono  molto più perplesso, dopo l’emendamento che crea 9000 posti di associato subito.

Forse al lettore medio le mie opinioni interessano poco o niente, ma vorrei spiegare  cosa trovo positivo. Tre cose – l’abolizione delle facoltà, la riduzione del potere dei professori nel governo accademico e la VALUTAZIONE. In realtà tutto si basa su quest’ultima. Senza una valutazione efficace, gli altri  due servono a poco o sono addirittura controproducenti. Quindi mi concentrerò sulla valutazione – anche perché mi sembra ci sia molta confusione. Ci sono in giro dei professionisti della valutazione che scambiano la presenza di un comitato di autovalutazione, con o senza esperti esterni, per la valutazione vera.  O anche simpatici gruppi  di professionisti della valutazione che vanno in giro per l’Europa a bere e mangiare a spese delle università controllando che le università abbiano codici etici ed amenità del genere.

Qui si parla invece di valutazione della produzione scientifica – di quello che i docenti pubblicano nelle riviste scientifiche (o, in alcuni settori, negli atti dei convegni o in libri). Questa valutazione deve essere, per funzionare, automatica, collettiva e punitiva. Andiamo nel dettaglio.

a) automatica. Bisogna usare parametri oggettivi, tipo l’Impact Factor medio, l’indice di Hirsch, etc. Ovvero misure dell'impatto di una pubblicazione basate su citazioni da parte di altre pubblicazioni. Dove tali parametri non ci sono (come a Lettere o a Legge) bisogna crearli.  Scrivo questo perfettamente consapevole che questi indici non funzionano bene e quindi vi prego di evitare lunghe discussioni sui loro difetti. Le alternative sono  peggiori. O si lascia ai commissari ANVUR l’intero compito – come fanno gli  inglesi col RAE- o li si obbliga a chiedere un report da referees scelti da loro –come fatto nella prima valutazione CIVR del 2005. Il secondo processo è lentissimo. Tutti e due lasciano ampio spazio ad arbitri e trucchetti -  tipo scegliere l’allievo dell’autore come referee dei lavori di chi si vuol favorire e una nota belva come referee di chi si vuole colpire. Invece, i parametri automatici non sono manipolabili facilmente, in quanto dipendono dalle decisioni di soggetti esterni (p.es. gli  editor delle riviste americane). Inoltre, calcolare questi indici è facilissimo e quindi si risparmiano tempo e soldi e si può ripetere la valutazione ad intervalli brevi, anche ogni anno.

b) collettiva. Il DDL prevede invece una valutazione individuale, seguita dalla perdita degli scatti e dall’estromissione dalle commissioni in caso di fallimento. Purtroppo, una valutazione individuale serve a ben poco. In primo luogo, per molti professori (p.es. medici) gli scatti di stipendio sono finanziariamente irrilevanti. In secondo luogo, è facile per un barone un minimo spregiudicato procurarsi pubblicazioni costringendo i colleghi più deboli (associati, ricercatori, assegnisti) a mettere la propria firma sui loro lavori. Invece in una valutazione collettiva (a livello di SSD o Dipartimento) il requisito essenziale  è la presenza nel dipartimento di qualcuno in grado di scrivere lavori di buon livello. Si noti come una valutazione automatica permetta di considerare tutti i lavori di tutti i professori del Dipartimento (o del SSD) e non solo un campione, come necessario per ovvi motivi di quantità, in valutazioni tipo CIVR.

c) punitiva. I risultati devono determinare un calo dei finanziamenti per le università peggiori, e possibilmente non simbolico.  Solo premiare le università migliori è insufficiente.  Cambiare comportamenti ben consolidati  è faticoso e difficile. Un incentivo monetario può non essere sufficiente  in quanto si traduce al massimo in più borse di studio e più fondi di ricerca – aspetti che gratificano solo indirettamente i docenti. Invece un calo delle risorse, se significativo, può mettere in difficoltà un ateneo, dati i costi fissi del personale. E’ quindi necessario inserire una norma che permetta agli atenei, in caso di calo del FFO, di aumentare le tasse agli studenti o di prepensionare i professori che non raggiungano una soglia minima di produttività. Naturalmente, in questo caso, sarebbe necessario dare ampia pubblicità ai nomi dei prepensionati. Potrebbe essere una sanzione utile soprattutto per le facoltà professionali: far sapere a tutti che il prof X è stato prepensionato per inadeguatezza può fargli perdere clienti.

Veniamo ora al punto essenziale: la valutazione, se fatta con i tre criteri esposti, distrugge la gerarchia accademica. Questa affermazione può essere sorprendente per chi è abituato ai comportamenti pregressi dei professori italiani. I professori italiani (e non solo italiani) sono abituati ad un sistema gerarchico predeterminato e fissato dai concorsi. Chi è ordinario lo è per sempre e quindi  comanda fino alla pensione. La soluzione sindacale (docente unico) è ancora peggiore perché garantisce la carriera a tutti una volta entrati. Si avrebbe quindi il peggiore dei mondi  possibili – selezione baronale e carriera automatica. Perché la valutazione cambierebbe le cose? Mi spiego con un esempio, che mette anche in luce i difetti del DDL.

Ipotizziamo che un Dipartimento debba assumere un ricercatore. Supponiamo, per farla breve, che ci sia un solo ordinario, il Barone, non molto bravo e ormai poco interessato alla ricerca. Nella sua infinita saggezza, può decidere chi assumere (lo so, ci sono i concorsi, ma tanto si sa che si possono manipolare). Può scegliere fra Federico, allievo fesso ma fedele, Mario, altro allievo, ma abbastanza brillante ed indipendente, Camillo, bravo ma allievo di altra università e Leopoldo, AmeriKano geniale con PhD ad Harvard.  Federico è servile, disposto a far lezione al posto del Barone, ma sa solo ripetere quello che il Barone ha scritto vent’anni prima – roba pubblicabile solo nei Quaderni del Dipartimento. Mario è più bravo e quindi  può garantire un flusso di pubblicazioni nelle maggiori riviste italiane, con qualche articolo in riviste internazionali. Camillo è uno ottimo studioso, che promette di pubblicare regolarmente sulle riviste internazionali di buon livello e, magari, di piazzare qualche articolo sulle riviste top. Infine, Leopoldo è un genio pazzo ed arrogante, che ha già pubblicato una serie di articoli sulle due riviste più importanti e ha in corso progetti di ricerca molto innovativi. Ma ha un debole per la cucina della mamma e quindi non ha voglia di  accettare l’offerta generosissima di Singapore e vorrebbe tornarsene in Italia. Ora, domanda: chi sarà il  prescelto dal Barone?

Dipende dal quadro legislativo
a) con la legge attuale, il Barone non rischia nulla. Barone è e nessuno può sindacare il suo comportamento. La stragrande maggioranza sceglierà un suo allievo (gli allievi sono piezz’e core) – diciamo metà Federico e metà Mario. Una piccola minoranza (un decimo?) di “onesti” sceglierà Camillo, perché bravo. Nessuno sceglierà Leopoldo. Perché prendersi in casa un pazzo arrogante?
b) se venisse approvato il DDL Gelmini la situazione cambierebbe perchè il Barone dovrebbe produrre qualche pezzo di carta per mantenersi gli scatti e, soprattutto, il diritto di stare in commissione. Inoltre una piccola parte del FFO sarebbe distribuita (anche) sulla base della ricerca. Tutto dipende da quali criteri l’ANVUR userà per giudicare. Può darsi che accetti tutto, anche i Quaderni di Dipartimento –e allora Federico andrebbe bene. Ma se all’ANVUR arrivasse un commissario di area AmeriKano (al precedente CIVR successe ad economia), Federico sarebbe inutile. D’altra parte, una volta assunto, Federico è di ruolo, e non ha i soldi per assumere un altro ricercatore. E’ un rischio: scommetto che la maggioranza dei professori “normali” punterebbe su Mario. Ma quelli più avversi al rischio sceglierebbero Camillo, che “garantisce”  pubblicazioni sufficienti in qualsiasi scenario plausibile, anche se l’ANVUR fosse appaltato ai redattori di nFA.  Non tutti lo farebbero, perché Camillo non è allievo diretto, e quindi ha idee proprie e potrebbe non voler co-firmare (o magari potrebbe preferire co-firmare col proprio maestro). Ancora zero preferenze per Leopoldo. Chi andrebbe a chiedergli di co-firmare? E poi non sarebbe credibile che il Barone, che non ha pubblicato nulla negli ultimi dieci anni, improvvisamente iniziasse a scrivere articoli geniali. Un minimo di pudore…
c) una valutazione pura e dura. Federico è fuori gioco perchè non è in grado di pubblicare. La scelta minima è Mario. E’ però rischiosa: se tutti i Dipartimenti scelgono i loro Mario, l’allocazione dei fondi si gioca su differenze minime, e si rischia di subire tagli. Meglio puntare su Camillo. Qualche Barone può farsi tentare dall’ipotesi Leopoldo. E’ arrogante, ma garantisce di proiettare il Dipartimento al top italiano – o quasi – e quindi un aumento del FFO.

E’ ovvio che passando da a) a c) la qualità media dei nuovi assunti migliora. Primo risultato. Secondo risultato: il Barone ha dei vincoli esterni nella sua scelta, non dettati dall’interazione con altri Baroni. Questo è in contraddizione con il potere assoluto dei professori di prima fascia, uno dei principi fondanti dell’accademia italiana. Nota per i lettori: il fatto che alcuni o anche molti o persino tutti (nelle mitiche facoltà scientifiche) usino il loro potere “bene” promuovendo i Camillo invece che i Federico o i Mario non è rilevante in questo contesto.  Un tiranno “buono” rimane un tiranno, e poi il suo regno è transitorio. Magari il suo successore si rivela pessimo. Terzo risultato: il potere baronale all’interno del Dipartimento non è più assoluto. Certo, il Barone controlla la futura carriera del ricercatore, ma nel breve periodo, il finanziamento del Dipartimento dipende dalla produttività del ricercatore, posto che il Barone da solo non è in grado di pubblicare. Magari Mario, da allievo fedele, continuerà ad essere (giustamente) ossequioso, ma Camillo e soprattutto Leopoldo no. Loro non hanno legami affettivi col Dipartimento, e potrebbero trovare facilmente un posto in Italia, in qualche Dipartimento disperato alla ricerca di pubblicazioni. E’ una minaccia molto più credibile di quella di andare all’estero. In questo senso, la valutazione è utile anche per la carriera dei ricercatori ed associati bravi. Ora i Camillo già in ruolo devono andare a mendicare un posto al  Barone o sperare in ope legis, più o meno mascherate, che però favorirebbero anche i Federico. Se ci fosse una valutazione seria, potrebbero minacciare credibilmente di andarsene. Quarto risultato: si creano incentivi per il controllo reciproco fra docenti. Se i finanziamenti del mio Dipartimento, e quindi, entro certi limiti, la mia carriera futura dipendono dalla produttività scientifica dei miei colleghi, avrò un interesse a controllare che lavorino ed a scegliere quelli che lo sanno fare.

In questa linea l’abolizione delle facoltà e la loro sostituzione con Dipartimenti omogenei per settore scientifico è utile per coordinare le strategie di assunzione. E’ ovvio che l’ANVUR dovrà comparare tutti i matematici pisani con i loro colleghi di altre università e quindi il Dipartimento di Matematica deve controllare la qualità dei matematici assunti ad ingegneria. E’ anche utile la presenza di esterni negli organi decisionali. Tanto più la valutazione è efficace, tanto più è necessario prendere decisioni dolorose. I professori, per indole e lunga abitudine, tendono a non farlo, nei confronti dei loro colleghi. Il regime elettivo attuale tende ad escludere dalle posizioni di vertice gli innovatori radicali.

Alla fine, la domanda da un milione di dollari. I timidi cenni alla valutazione presenti nel DDL sono sufficienti? O, in altre parole, la sua approvazione, e la costituzione dell’ANVUR potrebbero essere il primo passo di un circolo virtuoso e quindi ragione sufficiente per appoggiare il DDL nonostante i suoi difetti? Non lo so. Molto dipende dal funzionamento dell’ANVUR che è difficile prevedere. Certo, alcuni segnali non promettono bene. Le procedure per la seconda valutazione della produttività (CIVR) e per la selezione dei commissari ANVUR slittano continuamente. I docenti, o almeno la parte mediaticamente visibile di loro, si oppongono al DDL e i politici tentano di soddisfarne le pretese. Non ho ancora perso le speranze, ma sono molto più scettico di tre mesi fa. Un’occasione che stiamo perdendo.

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Commenti

Ci sono 122 commenti

Rispondo prontamente alla domanda da un milione di dollari: no!

Il problema e' che con un governo perennemente sull'orlo di una crisi di nervi ed una classe politica con la testa gia' alle elezioni e' quasi impossibile che venga approvata una riforma coraggiosa, in grado di scalfire il potere di baroni e baronetti.

Anzi e' probabile che non venga approvata alcuna riforma o, peggio, che la riforma venga approvata in una qualche sua versione piu' o meno pasticciata, ma,  a causa delle burrasche politiche,  rimanga priva di quei regolamenti e decreti (e soldi!) indispensabili per innescare il circolo virtuoso che descrivi.

Questo ultimo caso, a mio avviso, sarebbe un disastro completo (son troppo pessimista?)

P.S. A proposito del milione di dollari: ho vinto?

 

 

P.S. A proposito del milione di dollari: ho vinto?

 

E tu pensi che se io avessi un milione di $ lo metterei in palio per una domanda del genere?

 

che la riforma venga approvata in una qualche sua versione piu' o meno pasticciata, ma,  a causa delle burrasche politiche,  rimanga priva di quei regolamenti e decreti [...]

Questo ultimo caso, a mio avviso, sarebbe un disastro completo (son troppo pessimista?)

 

Domanda ingenua: ma non è già un disastro completo? Cosa succederà nel 2013 quando, stando alla legge Moratti, il ruolo di ricercatore TI sarà messo ad esaurimento?

Credo proprio che noi ricercatori dovremmo far calare un attimo il polverone e riflettere più razionalmente sul DDL Gelmini. Io concordo con l'autore che non è tutta una schifezza ciò che c'è dentro, anche se trasuda incompetenza (o compromessi?) da tutte le parti. Come Giovanni Federico fa giustamente notare. e anche se alla nostra categoria tira un brutto scherzo.

Secondo me il punto veramente cruciale è un altro: non ci sarà un altro governo con i numeri per proporre una riforma dell'Università. Questa è l'unica e ultima occasione. Cioè, non che io possa prevedere il futuro (mica sono, che so, un economista... :-)), ma se l'esperienza passata conta qualcosa, questo governo Berlusconi ha goduto di un credito popolare e di un margine di voti alle due camere che mai si erano visti, e che difficilmente si ripeteranno.

Quindi, considerato che di meglio non si può proprio chiedere, era proprio il caso di assassinarla questa riforma? In questi giorni non sto dormendo sonni molto tranquilli al riguardo.

Kaapitone,

 

Quanti rimpianti avremo quando sarà finita la giostra della stragrande maggioranza dei seggi alle due camere? Questo è emblematico dello spreco! Avere tutto sto ben di dio a disposizione per poi non combinare niente di intelligente!!

La riforma Gelmini farà difficilmente strada perché: 1) lei non è stata scelta per portare concetti nuovi al suo ministero. Deve solo ripettere le scelte fatte dal 3 Mountains...

2) non ha voce in capitolo per quanto riguarda i finanziamenti affidati all'istruzione pubblica.

Per questi vari e non meno detestabili motivi, in effetti, si sta profilando lo spreco generazionale pazzesco dell'Università ridimensionata. Possibile che con tutti questi cervelli in giro per il mondo non ce ne siano un pò di più nel parlamento, a ragionare col cervello e non con le indicazioni indiscriminate del partito?

 

Io penso che i punti apprezzabili del DDL fossero:

1) trasferimento delle competenze sulle sanzioni disciplinari dal CUN ai singoli atenei;

2) Scatti stipendiali subordinati alla valutazione;

3) Maggiore autonomia dei Dipartimenti;

4) Ripartizione del FFO in base a parametri che rilevino la qualità di ricerca e didtattica.

Il problema è che non vedo, a questo punto, come scorporare questi punti (che potrebbero riscuotere ampio consenso) dal resto del DDL (che mi pare molto più discutibile).

Insomma, tu dici che non ci sarà una seconda possibilità. A me sembra che ormai non ci sia nemmeno una prima possibilità.

Seguo con attenzione il travagliato e vacillante cammino del DDL S.1905, ora arrivato alla Camera per la seconda lettura. E mi chiedo chi ne è il ghost writer, escludendo totalmente che il ministro in questione abbia competenze e strumenti culturali sufficienti per poter veramente intervenire in materia.

Ebbene, nonostante l'art.1 del ddl annunci per l'ennesima volta che l'università si occupa di formazione e ricerca per il bene supremo della repubblica, noto che la formazione (aggiungo: elevare il livello della formazione universitaria) non è mai sostanzialmente menzionata, se non con generici impegni a "migliorare la qualità" ecc.ecc. Molti ritengono che il livello qualitativo dell'istruzione universitaria italiana sia penosamente basso, ma questo tema non sembra stare a cuore a chi ha scritto il ddl Gelmini; suppongo quindi che nulla cambi rispetto alla 270/2004. Una riprova? Si parla continuamente di dipartimenti e quasi mai di facoltà o di corsi di laurea, cioè quelle che sono convenzionalmente le strutture formative di un'ateneo. La didattica, la didattica: possibile che nessuno se ne interessi mai?

Vorrei commentare nel merito anche il sistema di valutazione della ricerca (ovviamente novità positiva) ma purtroppo sul sito della camera non è possibile accedere alla voce 'testo ed emendamenti' quindi rischiamo di commentare cose vecchie. Leggo anche di allarmanti emendamenti all'art. 20 (insegnanti a contratto) firmati da autorevoli esponenti del PD, ma aspetto di leggerli.

 

Si parla continuamente di dipartimenti e quasi mai di facoltà

 

...beh, la ragione è che la riforma Gelmini abolisce le facoltà, intendendo i Dipartimenti come la sede della ricerca E della didattica. Cosa per altro molto in linea col resto del mondo e secondo me appropriata.

Più in generale, la didattica è una brutta gatta da pelare. Come si fa a valutarla, e come si convince un corpo docente a "insegnare meglio"? Cos'è "meglio"? Sono convinto che il DDL Gelmini si concentri sulla ricerca perché è più facile da trattare.

E' proprio vero che il DDL abolisce le facoltà? Ecco che cosa ho scritto diversi mesi fa su questo argomento. Non credo che l'iter parlamentare del DDL lo abbia modificato in questo ambito.

Chi legge il DDL, senza tener conto degli attuali rapporti di forza all’interno degli atenei non dovrebbe aver dubbi: le facoltà saranno soppresse e i docenti saranno inquadrati in dipartimenti costituiti dai docenti di settori scientifico disciplinari affini. Dipartimenti, intesi come aggregazioni di settori scientifico disciplinari saranno responsabili, nella loro area di competenza, di tutta l’offerta didattica, per tutti i corsi di laurea,  e, conseguentemente, agli stessi  dipartimenti saranno affidate le valutazioni di merito per le promozioni ed il reclutamento dei docenti nei settori di loro competenza. Questo tipo di organizzazione dipartimentale è quella, tipica delle università americane, cui sembra ispirarsi il DDL.

       Ma è veramente coerente il DDL con questo tipo di organizzazione? Non totalmente. Si introducono infatti “strutture di raccordo denominate facoltà o scuole, con funzioni di […] coordinamento del funzionamento dei corsi di studio e delle proposte per l’attivazione o la soppressione dei corsi di studio ”. Queste strutture intervengono anche sulle “proposte in materia di personale docente avanzate dai dipartimenti”. Insomma le “strutture di raccordo” sembrano proprio una reincarnazione delle attuali facoltà, private, però, del Consiglio di Facoltà. E’ possibile, se non probabile, che, dati gli attuali rapporti di forza all’interno delle sedi, si parta proprio dalla determinazione queste strutture, e non dai settori scientifico-disciplinari di competenza, per costituire i dipartimenti che ad esse fanno capo. In pratica, i docenti sarebbero ancora inquadrati in una “struttura”, e l’appartenenza ad un dipartimento potrebbe valere solo come un’ulteriore etichettatura.

      Non c’è dubbio, infatti, che le attuali facoltà e i loro presidi cercheranno di risorgere nel nuovo ordinamento. Questa “resurrezione” darebbe luogo ad una organizzazione complessa e deresponsabilizzata, il contrario cioè di quello che, a parole, si propone il DDL. Docenti dello stesso settore finirebbero in dipartimenti diversi, che raccolgono, per far numero, settori eterogenei. In particolare le scelte relative al reclutamento del personale docente di un settore sfuggirebbero alla competenza e alla responsabilità di tutti i professori ordinari dello stesso settore appartenenti alla sede, come, solo apparentemente, prevede il DDL.

      Vale la pena di fare qualche esempio concreto. Supponiamo che, in una grande sede universitaria,  due facoltà importanti, come la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali e la Facoltà di Ingegneria, riescano a risorgere, proponendosi come nuove “strutture di raccordo”. All’interno della “Nuova Facoltà di Scienze” potrebbero facilmente costituirsi, ad esempio, un dipartimento di matematica, un dipartimento di fisica ed un dipartimento di chimica. I numeri minimi di ordinari per la costituzione dei dipartimenti, imposti dal DDL, non consentirebbero la costituzione di tre dipartimenti con le stesse competenze all’interno della “Nuova Facoltà di Ingegneria”, si potrebbe però costituire un dipartimento delle “Scienze di base per l’Ingegneria” che raccolga i docenti di chimica, fisica e matematica, attualmente inquadrati nella facoltà di Ingegneria. Per il reclutamento di nuovi docenti e ricercatori a tempo determinato, di chimica, fisica e matematica della “Nuova Facoltà di Ingegneria” sarebbe competente questo dipartimento, per quanto disomogeneo, e le commissioni per i concorsi per posti di un settore di chimica, matematica o fisica, potrebbero, a norma dell’Art. 9, comma 2, punto c) del DDL, escludere i colleghi della “Nuova Facoltà di Scienze”, e quindi la maggioranza dei docenti dei settori interessati. Anche le proposte di chiamata previste dallo stesso comma e articolo, al punto f) sarebbero espresse da un dipartimento eterogeneo che potrebbe esclude la maggioranza dei docenti competenti del settore. Questa soluzione, certamente contraria allo spirito del DDL, non è esplicitamente esclusa da nessuna delle norme ivi contenute,  ed, in molti casi, è quella più facile da adottare. Significa però che il DDL avrebbe effetto negativo o nullo sull’organizzazione delle facoltà e dei dipartimenti, con l’aggravante di prevedere concorsi (e non solo chiamate)  con commissioni interamente locali.

      Esempi analoghi potrebbero essere fatti per molti settori presenti attualmente in facoltà diverse. Ad esempio per i settori delle Scienze Giuridiche, presenti nella Facoltà di Giurisprudenza, ma anche in quelle di Economia e Scienze Politiche, e per i settori dell’Economia, presenti nella Facoltà di Economia, ma anche in quelle di Giurisprudenza, Scienze Politiche e Statistica.

      In definitiva, se non si chiarisce, innanzitutto, che docenti dello stesso settore non possono appartenere a dipartimenti diversi (come sembra dire, ma non dice esplicitamente, il DDL) è probabile che siano le Facoltà, e, al loro interno, piccoli gruppi, arroccati in dipartimenti di comodo, scientificamente disomogenei,  a prevalere. Ci sono molte forze che spingono in questa direzione. Prima di tutto il potere che attualmente detengono facoltà e presidi e che certamente non vorranno mollare. In secondo luogo il desiderio di molti professori di non confrontarsi o mescolarsi con “colleghi” attualmente appartenenti ad altre facoltà. I giuristi delle facoltà di Giurisprudenza si ritengono superiori ai giuristi delle facoltà di Economia, i quali, reciprocamente, temono l’interferenza dei giuristi di Giurisprudenza nelle loro scelte di reclutamento. Lo stesso succede per matematici e i fisici delle facoltà di Scienze che si ritengono superiori a matematici e fisici delle facoltà di Ingegneria, mentre questi ultimi temono l’arroganza e la prepotenza dei colleghi di Scienze. Insomma, se si valutano le forze in gioco, è facile prevedere che il DDL sarà interpretato in modo che nulla cambi, se non in peggio, nella organizzazione dei dipartimenti e delle facoltà.

 

Ho già espresso più volte le mie opinioni in merito ai criteri bibliometrici per la valutazione scientifica. Mi limito qui a citare un documento tecnico della International Mathematical Unione e dell'International Institute of Statistic, che dvrebbe essere almeno preso in considerazione (per confutarlo?)

www.mathunion.org/fileadmin/IMU/Report/CitationStatistics.pdf

 

Ho già espresso più volte le mie opinioni in merito ai criteri bibliometrici per la valutazione scientifica. Mi limito qui a citare un documento tecnico della International Mathematical Unione e dell'International Institute of Statistic, che dvrebbe essere almeno preso in considerazione (per confutarlo?)

http://www.mathunion.org/fileadmin/IMU/Report/CitationStatistics.pdf

 

Ho la sensazione di aver risposto in passato, ma approfitto della seconda chance.  Le critiche ai criteri bibliometrici sono bene accette ma lo sono ancora di piu' se sono accompagnate con proposte alternative su come valutare il ritorno sociale della spesa per universita' e ricerca a livello individuale, dipartimentale, dell'universita' di uno Stato nel suo complesso. Una valutazione e' necessaria, come dimostra il livello insoddisfacente del sistema universitario italiano, caratterizzato da una sostanziale assenza e/o inefficacia degli effetti di qualsivoglia valutazione.

Io sono convinto che i criteri bibliometrici siano imperfetti e che come per ogni altro indicatore quantitativo richiedano il tradizionale grano di sale nell'interpretazione, tuttavia ritengo che possano essere ragionevolmente accurati per valutare l'attivita' di un Dipartimento composto da una pluralita' di ricercatori per un periodo di 5+ anni, anche per un periodo inferiore se il numero delle persone e' sufficientemente elevato.  Mi sembra che anche l'IMU e l'IIS in fin dei conti accettino l'uso dei criteri bibliografici, a patto che si riconosca che hanno pur sempre margini di incertezza e imprecisione. Cito:

 

We do not dismiss citation statistics as a tool for assessing the quality of research  - citation data and statistics can provide some valuable information. We recognize that assessment must be practical, and for this reason easily‐derived citation statistics almost surely will be part of the process. But citation data provide only a limited and incomplete view of research quality, and the statistics derived from citation data are sometimes poorly understood and misused. Research is too important to measure its value with only a single coarse tool.

 

Per complementare gli indicatori bibliografici ritengo sia utile accompagnarli da peer review che possono essere basate sia sull'analisi di esperti della produzione scientifica sia da semplici sondaggi di opinione condotto da numersi campioni casuali scelti tra le universita' di riconosciuta fama mondiale diverse da quelle esaminate.  L'analisi statistica comparata di vari indicatori potrebbe anche produrre metodi piu' raffinati per stimare la produzione scientifica attraverso gli indicatori bibliometrici.

 

Caro Federico,

continuo ad essere d'accordo con AFT. A parte la difficoltà attuale nell'istituire parametri di misurazione automatica sufficientemente robusti per tutte le discipline, compito immane. A parte questo piccolo problemuccio, una valutazione completamente automatizzata è ingannabile e aggirabile con semplicità disarmante. Un sistema complesso si adatta immediatamente alle regole; nel caso in esame, si assisterebbe immediatamente all'apertura di journal compiacenti dall'IF alto in ogni disciplina. Cosa che in parte è già successa e che continuerà a succedere.

Ti racconto una storiella. Il journal IEEE Transaction in Industrial Electronics ha sempre avuto storicamente un IF basso. Da due anni a questa parte, invece, l'IF ha avuto un notevole e improvviso balzo verso l'alto. Che è successo? E' arrivato un nuovo editor? E' incrementata drammaticamente la qualità dei paper?

Ma no. Quello che è successo è che da due anni a questa parte al momento della submission del tuo paper ti invitano a compilare un questionario. Dopo parecchie domande generiche, arriva la serie di domande chiave: "How many citation in your paper?" "How many citations to papers published in the last two years?" "How many citations to papers published in this journal?" "How many citations to papers published in this journal in the last two years?"

Sembra brutto mettere 0 nelle ultime due caselle, vero? Non si sa mai che l'editor la prenda male. Fatto sta che il 99% dei ricercatori torna indietro a modificare il paper per inserire pubblicazioni più o meno attinenti a paper del journal. E l'IF si impenna!!

E se ci pensi bene: quale stimolo economico impedisce alle case editrici come Elsevier o la stessa IEEE di aprire sempre nuovi journal? E' chiaro che in tutto il mondo il numero di ricercatori è enormemente aumentato negli ultimi 15-20 anni. Soprattutto, c'è un numero enorme di ricercatori indiani e cinesi in cerca di gloria. E' il publish or perish, baby, questa gente ha bisogno di pubblicare, e tanto, per fare carriera. E quindi preme fortemente per l'istituzione di nuovi journal, nuovi simposi e conferenze, nuove opportunità di pubblicazione. E poi essere editor è prestigioso, lo metti nel curriculum. E allora è semplice. Vai da Elsevier e proponi l'apertura di un journal per una nuova branca, magari insieme a un gruppo di amici: oppure una special issue per un journal esistente. Vedrai che raramente ti diranno di no. Nota che la maggior parte dell'income viene da fondi pubblici. Quale forza economica impedisce a queste case editrici di prosperare in maniera non completamente corretta? Sai che giro di affari ha la Elsevier, vero? Ci sono mercati in espansione che aspettano di essere conquistati!

Valutazione automatica? IMHO it's flawed, forget about it.

No, no e no.

Sono in totale e scornato disaccordo con questo argomento. Siamo tutti d'accordo che non può esistere l'indice perfetto, che gli indici bibliometrici hanno solamente un valore statistico e non possono essere applicati ciecamente in ogni singola circostanza. Ma questa è una banalità.

Nel sistema italiano è esperienza comune di moltissimi precari e giovani ricercatori l'essere costretti a dire molti sì a professori di prima fascia i cui indici bibliometrici possono essere tipo un decimo dei tuoi. Gente che magari non sa spiegarsi in inglese (e in italiano stenta) e il cui nome all'estero genera espressioni facciali confuse del tipo "davvero esiste un tale con quel nome nel mio campo?"

Queste nullità decidono del tuo futuro di precario, e del futuro dell'Università tutta. Cominciamo a introdurre l'uso dei parametri bibliometrici per uscire dalla palude. Poi ci sarà tempo di affinare un metodo che non sia solo vagamente razionale, ma addirittura buono. Ma i parametri bibliometrici saranno sempre meglio della selezione del mediocre servile che è oggi la norma in molti dipartimenti.

Caro Lipari,

 

 

Valutazione automatica? IMHO it's flawed, forget about it.

 

potrei  risponderti tecnicamente, ma francamente non me la sento. O capisci il problema o non lo capisci. Evidentemente sei in un altro settore dove sono tutti santi ed il problema non lo capisci, visto che assumo tu sia in buona fede. Io ho provato a spiegarlo, ma si vede che non ci sono riuscito. Too bad. Tenetevi il sistema italiano e i baroni. Ma poi non vi lamentate se Tremonti lesina i soldi e se i concorsi universitari finiscono sui giornali.

Comunque, io sono ordinario e nel 2012 posso andare in pensione.

Saluti

 

 

 

Nella mia disciplina, è certamente meglio usare i criteri bibliometrici, per quanto imperfetti, piuttosto che non usarli. Si riuscirebbe almeno a far fuori quel 50% con IF e citazioni vicini a zero. Comunque, anch'io sono (ero?) ordinario e in pensione ci sono già.

 

Sunto:

Si pongono domande (vorrei sommessamente ricordare che le domande sono il motore della discussione, e la discussione e' la strada che ci fa avvicinare alla verita': per questo non dovrebbero esistere domande proibite, e non bisognerebbe spazientirsi con chi le pone, e non bisognerebbe censurare le discussioni: poi, certo, se uno insegna che 3+3=33 deve essere rimosso: su questo punto ritiro una mia posizione precedente, dove avevo tirato un po' la corda per eccesso di zelo, troppo preso dall'argomento, e avevo scritto una mezza scemenza: chiedo scusa).

Si forniscono fonti bibliografiche che mostrano che le critiche all'uso di indicatori bibliometrici non vengono solo da alcuni accademici italiani (i quali, secondo alcuni commentatori, sarebbero viziati perche' vivrebbero in un paradiso), ma hanno invece un orizzonte internazionale.

(Dalla bibliografia e' escluso Citation Statistics, dell'International Mathematical Union, in collaborazione con ICIAM e IMS, gia' citato da altri commentatori).

Le prime domande sono quindi:

non sarebbe il caso di prendere atto di tutte queste critiche, che vengono da un orizzonte internazionale, invece di affrettarsi ad adottare questi indicatori bibliometrici?

Non sarebbe il caso di farsi venire in mente (cercare) qualche soluzione migliore?

E l'onere della ricerca di soluzioni migliori deve per forza pesare interamente su chi avanza le critiche?


1.

Bisogna usare parametri oggettivi


ma esistono (e' possibile che esistano) parametri oggettivi su questi temi?

su questa domanda, propongo la lettura di un interessante articolo di Giorgio Israel

http://gisrael.blogspot.com/2010/10/la-cultura-non-si-misura.html

Israel precisa, in questo articolo, a scanso di equivoci, che lui non e' contro la valutazione, e promette ``In un prossimo capitolo potremmo spiegare cosa si può fare di serio.''

I'll stay tuned.


2.

Ovvero misure dell'impatto di una pubblicazione basate su citazioni da parte di altre pubblicazioni.


ammesso, e non concesso, che esistano parametri ``oggettivi'' su questi temi, e' sicuro che ``oggettivo'' coincida con ``bibliometrico''? e (ammesso e non concesso che esistano parametri ``oggettivi'') i parametri bibliometrici sono sufficientemente  oggettivi?

3.

...Dove tali parametri non ci sono (come a Lettere o a Legge) bisogna crearli...


suggerisco la lettura di

Journals under Threat: A Joint Response from History of Science, Technology, and Medicine Editors. Science in Context (2009), 22: 1-4 Cambridge University Press

journals.cambridge.org/action/displayAbstract

4.

...Scrivo questo perfettamente consapevole che questi indici non funzionano bene e quindi vi prego di evitare lunghe discussioni sui loro difetti. Le alternative sono  peggiori...


le alternative sono state veramente provate tutte?

5.

...i parametri automatici non sono manipolabili facilmente...

ma questa tesi non e' forse stata smentita da alcuni studi?

ad esempio

5.1

Aardvark et al.: quality journals and gamesmanship in management studies. Journal of Information Science. Journal of Information Science  December 2007   vol. 33  no. 6  702-717

jis.sagepub.com/content/33/6/702

vedi anche

5.2

Integrity Under Attack:
The State of Scholarly Publishing
By Douglas N. Arnold. SIAM NEWS. Volume 42/Number 10 December 2009


www.siam.org/news/news.php

5.3

Do Pressures to Publish Increase Scientists' Bias? An Empirical Support from US States Data. Daniele Fanelli.

www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0010271

5.4

Why the impact factor of journals should not be used for evaluating research. Per O Seglen. BMJ 1997;314:497.

www.bmj.com/content/314/7079/497.1.full

5.5.

e un intero numero della rivista

Ethics in Science and Environmental Politics

www.int-res.com/abstracts/esep/v8/n1/

Grazie per le interessanti citazioni e materiale. Le faccio, per l'ultima volta, poi rinuncio, una domanda. Supponiamo che lei sia in un deserto senz'acqua. Vede un'oasi. Ci sono alcuni cammellieri che bevono. Beve anche lei o chiede prima che vengano fatte le analisi per controllare che l'acqua sia perfettamente potabile secondo gli standards della sua nativa Svezia?

 

e la VALUTAZIONE

Non è che scrivendolo in maiuscolo aiuti molto. Anche Craxi si gargarizzava da mane a sera con la parola RIFORMISMO, ma poi bisogna vedere bene che cosa era codesto riformismo.

Ho già cercato di fornire qualche elemento per far comprendere come né la Gelmini né il ddl Gelmini siano gli inventori della valutazione dell'Università, e dell'ANVUR, anche se c'è stato un tentativo miserello di farlo credere. Un tentativo maldestro, che dice più qualcosa su chi ci ha provato che sull'oggetto della questione.

Del resto, se si deve attribuire una qualche paternità all'introduzione della valutazione nell'Università "in forma istituzionale", bisognerebbe casomai attribuirla a Carlo Azeglio Ciampi, che nel complesso dei provvedimenti che costituivano la Legge Finanziaria del '93 (per l'anno 1994) istituì i Nuclei di Valutazione, in un contesto segnato dal passaggio da un itemized budget ad un sistema di autonomia di bilancio delle singole Università. Non una cosa pienamente riuscita, peraltro, ma comunque la storia è quella (cioè parte da lì).

Sull'ossessione della valutazione come strumento pervasivo per la ripartizione del Finanziamento Ordinario (cioè pensata e realizzata per quel fine) non torno in questo post, però segnalo quanto scrive nell'appena pubblicata Independent Review of Higher Education Funding and Student Finance commissionata dal Governo britannico (e di cui sentiremo parlare da oggi per i prossimi mesi, in quanto propone di rivedere le fees e tutto il sistema di finanziamento del sistema) il Panel presieduto da Lord Browne of Madingley - certamente un "mercatista" - a proposito di "misure" e incentivi [pag. 29]:

 

Higher education in England has a reputation for high quality. Student satisfaction is high, high enough that England is one of the few countries in the world that feels able to survey students and publish the results. But the system should not be complacent about quality. Student satisfaction has not improved significantly in recent years. Our competitor countries are investing more in quality and introducing other reforms. So we have considered how to sharpen the incentives for quality in our higher education system.

One option is to link funding to a measure of quality. However, there is no measure that we have seen that could function effectively across the whole range of institutions and courses. There is no ‘national curriculum’ for higher education. Looking at student outcomes by institution can be misleading as these reflect which students the institution selected as much as the value added by the institution.

Even if an appropriate measure could be found, it would create a new administrative burden. Institutions might focus on the measurement process rather than on their students. In our proposals, we are relying on student choice to drive up quality. Students will control a much larger proportion of the investment in higher education. They will decide where the funding should go; and institutions will compete to get it. As students will be paying more than in the current system, they will demand more in return.

 

Questo basti, per ora.

RR

 

 

 Nota per coloro che non conoscono la situazione inglese. Il rapporto Browne si occupa del finanziamento della didattica, che in GB è separato da quello della ricerca (gestito dal HECFE attraversi il RAE poi REF). L'obiettivo è trovare un modo di ridurre i contributi statali immediati, e propone di trasformarli in prestiti agli studenti, da ripagare dopo la laurea. Quindi la lunga citazione è del tutto irrilevante per il problema della valutazione della ricerca di cui si occupa il post. Fra l'altro l'obiettivo del governo inglese, secondo il Times è un taglio di 4.2 miliardi di £, pari all'80% dei contributi statali a fondo perduto per la voce didattica (teaching) e di 1 miliardo di £ per la voce ricerca. Poi vediamo cosa succese

Nota per coloro che non conoscono la situazione inglese. Ho già dato in un altro post dei riferimenti per chi voglia studiare il finanziamento del sistema universitario inglese. Viene detto dualenon perchè siano finanziate "separatamente" la didattica e la ricerca, ma perchè il contributo statale è distribuito da una parte con un finanziamento strutturale delle singole istituzioni, per mezzo delle Agenzie come l'HEFCE e le altre 3 sorelle regionali, e dall'altra con un finanziamento ai progetti di ricerca, cospicuo ma selettivo secondo le regole della peer-review delle proposte presentate da singoli o gruppi di ricerca.

Il finanziamento strutturale, che è "ordinario", come diremmo noi, e che loro chiamano recurrent, è assegnato per Sovvenzioni Indivise [Block Grants] a ciascuna Università, che potrà farne quello che vuole. E' solo per il calcolo del Grant che viene in rilievo l'analisi delle diverse attività dell'Università, in base ai compiti che ci si attende essa svolga (istruzione, ricerca, innovazione). In questo senso, e solo in questo senso, si può parlare di finanziamento "della ricerca" all'interno del Finanziamento Ordinario. Il punto è: ci deve essere un metodo di calcolo, ed una relativa politica del finanziamento.

L'attuale metodo di calcolo discende da una precisa politica di finanziamento delle istituzioni che prevede il concentramento della capacità di ricerca in modo differenziato sul territorio nazionale, promuovendo quindi la diversificazione dei profili istituzionali fra i due modelli di research-intensive University e teaching-led institutions. E' questa politica che va discussa e accettata (assieme ai presupposti giuridico-istituzionali e alle conseguenze), prioritariamente alla messa in opera del metodo di selezione e del calcolo del finanziamento. Quindi, mentre il calcolo delle risorse per l'attività di insegnamento è fatto con l'utilizzo di costi standard per studente, quello per le attività di ricerca non utilizza più, a partire dalla fine degli anni '80, i costi standard, ma è guidato dal profilo di qualità della ricerca prodotta nell'Università negli anni precedenti, in base alle valutazioni del RAE.

Quindi non si tratta di "premi" alle università, come la sgangherata politica italiana ha invece usato inquadrare la questione del "7% dell'FFO", ma di politica del finanziamento ordinario. Ho fatto tutta questa pappardella per tentare di mettere un filo logico, ancorchè tagliato a fette, nel discorso politico, per chi volesse ancora dichiararsi amante della logica, si intende.

RR

 

...pubblica un articolo che non mi sembra dica castronerie:

www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-10-20/lasticella-giusta-luniversita-063927.shtml

pochi semplici concetti, ma coerenti con la realtà... e giunge a una conclusione che condivido: pur nella marea dei suoi difetti, il DDL Gelmini è una occasione che stiamo perdendo.

Concordo con il nucleo del post, ma mancano alcuni dettagli perchè le considerazioni fatte abbiano una rilevanza pratica.

1) La premialità ed il merito nella legge sono presenti solo a parole. In base ai comportamenti passati si può desumere che non ci sarà la volontà politica di tradurre le (vaghe) parole in fatti. Ed anche le parole non sono così positive: ad esempio l'art.5 comma 5 prevede di dedicare un MASSIMO del 10% dei fondi alla valutazione ex-post del reclutamento. Essendo in Italia massimo 10% vuol dire ben che vada il 5%, altrimenti buona parte degli atenei italiani (che sono scarsi) protestano.

2) Ipotizziamo di avere un sistema di valutazione buono per ciascun SSD (o macrosettore), come li aggreghiamo questi dati? Sullo stesso sito ISI-thompson-reuters c'è scritto che non è possibile confrontare indici di discipline diverse. Facciamo un rank italiano e poi combiniamo, ma che peso diamo a ciascun settore? Confrontiamo con il panorama internazionale? Ma allora per le discipline "nazionali" tipo letteratura italiana essere al top è tautologico.

 

 

 

2) Ipotizziamo di avere un sistema di valutazione buono per ciascun SSD (o macrosettore), come li aggreghiamo questi dati? Sullo stesso sito ISI-thompson-reuters c'è scritto che non è possibile confrontare indici di discipline diverse. Facciamo un rank italiano e poi combiniamo, ma che peso diamo a ciascun settore?

 

 

Aggreghiamo per il numero di professori del settore nell'università, con fattore di ponderazione per il costo medio della ricerca a seconda del settore.

 

2) Ipotizziamo di avere un sistema di valutazione buono per ciascun SSD (o macrosettore), come li aggreghiamo questi dati? Sullo stesso sito ISI-thompson-reuters c'è scritto che non è possibile confrontare indici di discipline diverse. Facciamo un rank italiano e poi combiniamo, ma che peso diamo a ciascun settore? Confrontiamo con il panorama internazionale? Ma allora per le discipline "nazionali" tipo letteratura italiana essere al top è tautologico.

 

I dati si possono trattare in due modi almeno.

Nella mia proposta (simile a quella di Universitas Futura, adesso non ho tempo di controllare) lo Stato decide la somma totale da investire in ogni settore disciplinare, poi all'interno del settore i fondi vengono ripartiti secondo la valutazione interna al settore stesso.

Alternativamente, se si desidera utilizzare la valutazione anche per influenzare come gli stanziamenti della ricerca  vengono ripartiti tra settori disciplinari diversi, si puo' utilizzare la valutazione di SSD, un numero, sottrarre una media ragionevole, per esempio quella dei Dipartimenti della stessa disciplina dei Paesi OCSE, o per semplificare la media di Germania, Francia, Spagna e UK, e dividere la differenza per la deviazione standard.  A questo punto si ottengono indicatori normalizzati con varianza uno (nell'universo statistico di riferimento) che possono essere utuilizzati per fare confronti di massima tra discipline diverse.

Nel lavoro citato altrove di D.King sulla produttivita' scientifica delle nazioni, il numero di citazioni viene diviso per il numero di citazioni medie della disciplina, e inoltre viene usato un fattore correttivo per il tempo trascorso dalla data di pubblicazione.  Cio' rende confrontabili discipline scientifiche diverse. Quindi se lo si desidera, e' possibile fare confronti ragionevoli anche tra discipline diverse, almeno per dati sufficientemente aggregati.

b) collettiva. Il DDL prevede invece una valutazione individuale, seguita dalla perdita degli scatti e dall’estromissione dalle commissioni in caso di fallimento. Purtroppo, una valutazione individuale serve a ben poco.

Come ha già avuto modo di ricordare in altro post, la legislazione che introduce una qualche forma di valutazione individuale della produzione scientifica, collegandola agli scatti stipendiali, è quella introdotta dal c.d. "emendamento Valditara" al d.l. 180:

Art. 3-bis

Anagrafe nazionale dei professori ordinari e associati e dei ricercatori

1. A decorrere dall'anno 2009, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono individuati modalità e criteri per la costituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, presso il Ministero, di una Anagrafe nazionale nominativa dei professori ordinari e associati e dei ricercatori, contenente per ciascun soggetto l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte. L'Anagrafe e' aggiornata con periodicità annuale.

Art. 3-ter

Valutazione dell'attività di ricerca

1. Gli scatti biennali di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, destinati a maturare a partire dal 1° gennaio 2011, sono disposti previo accertamento da parte della autorità accademica della effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche.

2. I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, su proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca.

3. La mancata effettuazione di pubblicazioni scientifiche nel biennio precedente comporta la diminuzione della metà dello scatto biennale.

4. I professori di I e II fascia e i ricercatori che nel precedente triennio non abbiano effettuato pubblicazioni scientifiche individuate secondo i criteri di cui al comma 2 sono esclusi dalla partecipazione alle commissioni di valutazione comparativa per il reclutamento rispettivamente di professori di I e II fascia e di ricercatori.

Al momento non è ancora operante, perchè non è ancora in piedi l'Anagrafe della Ricerca (sebbene sia in fase di avanzata formazione - ed è a quella che faceva riferimento e.g. il Rettore Frati quando parlava di fannulloni, qualche tempo fa), e poi perchè a tutt'oggi gli scatti stipendiali del personale accademico risultano bloccati per i prossimi 4 anni...

Però volevo mettere in risalto un altro fatto. La valutazione "collettiva" è tale nello schema dei c.d. premio-punificatori all'italiana perchè essi, anche qui, vorrebbero (o dicono di voler) copiare il sistema di finanziamento britannico, che non considera, nel RAE, valutazioni individuali, ma si basa su Unità di Valutazione costitute da aree di ricerca omogenee, che è possibile far corrispondere press'a poco ai Dipartimenti. 

Ora, anche qui ci sono fatti giuridico-istituzionali importanti che vengono (dovrebbero venire, se vogliamo fare le persone serie) poste all'attenzione. Il primo è che nel sistema Universitario britannico, le singole istituzioni sono Fondazioni, e non Enti Pubblici, e i loro dipendenti, ergo, non sono dipendenti pubblici. Il finanziamento pubblico è quindi un finanziamento all'istituzione, che ha piena autonomia di bilancio e di gestione del personale proprio perchè non è un Ente Pubblico. Trattasi di una major difference rispetto al sistema italiano. il Finanziamento delle Università britanniche va quindi pensato, per aiutare il lettore italiano a capire/concepire la cosa, come il finanziamento dei famosi 230 Enti culturali del Ministero di Bondi (tipo la Fondazione Arena di Verona o la Fondazione Craxi). Il Governo se ne frega dei singoli dipendenti delle Università, per il semplice motivo che non sono propri dipendenti. Del resto il Ministro Bondi non deve fregarsene dei dipendenti della Fondazione Arena di Verona, o Fondazione Craxi, per il medesimo motivo; lui finanzia le Fondazioni in quanto fanno certe attività.

Tuttavia a livello di singola istitituzione esiste in UK una valutazione diffusa, e anche individuale, che viene in rilievo in diverse occasioni, compatibilmente con la tabella stipendiale generale che costituisce la griglia salariale. Se qualcuno non fa ricerca, ad un certo momento l'Università stessa se ne accorge, e puo' anche mutare il carico di lavoro istituzionale giocando sulla libertà contrattuale. Oppure se la persona è irrecuperabile in toto, lo può anche licenziare. Oppure, se si apre un processo di redundancy, perchè al Dipartimento sono stati tagliati i fondi, queste sue prestazioni verranno in considerazione, appunto, individualmente. Senza contare che i Professori (ordinari) hanno anche contratti molto individuali. Insomma l'auspicato "collettivismo" dei premio-punificatori rischia di porre la questione su un terreno distorto se non si capisce quale sia l'architettura istituzionale, i relativi vincoli e le prerogative dei diversi livelli, nel sistema.

Dubito che tutto ciò venga minimamente preso in considerazione, ma io lo scrivo lo stesso per tentare di mettere un filo logico, ancorchè tagliato a fette, nel discorso politico, per chi volesse ancora dichiararsi amante della logica, si intende.

RR

 

 

 

So what, come dicono gli inglesi?

 

…astenersi da retorici richiami alla cultura della valutazione, alla deontologia professionale, al senso di responsabilita' dei docenti e amenita' di questo genere…


come dire che se il problema e' che manca l'etica, non lo si può risolvere invocando proprio ciò che manca (l'etica)

good point

no, when you think about it it's not a good point

perché se il problema e' cha manche l'etica, nemmeno lo si può risolvere mettendoci al suo posto una macchina automatica, perché le macchine automatiche non sanno pensare, mentre i Baroni la cui etica lascia a desiderare sanno pensare eccome, e trovano facilmente il modo di continuare a fare cose poco belle con l'ausilio di queste macchine automatiche (vedi fonti citate in un precedente intervento: ad esempio

Aardvark et al.: quality journals and gamesmanship in management studies. Journal of Information Science. Journal of Information Science  December 2007   vol. 33  no. 6  702-717

jis.sagepub.com/content/33/6/702

dove la parola chiave e' gamesmanship


vedi anche

Integrity Under Attack:
The State of Scholarly Publishing
By Douglas N. Arnold. SIAM NEWS. Volume 42/Number 10 December 2009

www.siam.org/news/news.php

Do Pressures to Publish Increase Scientists' Bias? An Empirical Support from US States Data. Daniele Fanelli.

www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0010271

Why the impact factor of journals should not be used for evaluating research. Per O Seglen. BMJ 1997;314:497.

www.bmj.com/content/314/7079/497.1.full

e un intero numero della rivista

Ethics in Science and Environmental Politics

www.int-res.com/abstracts/esep/v8/n1/)

…In ogni caso, aspetto da voi matematici alternative agli indici bibliometrici. Tutti voi siete bravissimi a criticarli, ma non aveta ancora prodotto uno straccio di idea che funzioni e che sia automatica, cioe' che non comporti una valutazione soggettiva da parte di Baroni. A questo proposito, aggiungo che gli esperti stranieri non sono una soluzione. Tutti i Baroni hanno un amico all'estero a cui chiedere, in cambio di una vacanza in Italia, di sottoscrivere le proprie decisioni in merito alle promozioni…


1. Israel (loc.cit.) ha promesso un capitolo secondo con alcune proposte concrete. Vediamo cosa ha da dire.

2. Come dice la relazione finale del gruppo di lavoro congiunto dell'IMU, IMS, e ICIAM, a qualche livello e' inevitabile che ci sia un intervento umano e quindi soggettivo, anche se ci piace pensare che non sia soggettivo. La stessa cosa la fa notare Israel e molti altri. Temo proprio che questo sogno di tipo Leibniz di una macchina che pensa per noi (calculemus!) sia ancora lontano. Del resto a me questa visione fa pensare a quel film di fantascienza, come si chiamava? Brazil, si chiamava Brazil. Terribile.

Con questo non voglio dire che allora siamo condannati. E nemmeno voglio difendere o dare modo, a chi e' abituato a fare cose poco belle, di continuare come prima. E non voglio dire che sono contro la valutazione. E non voglio dire che la qualità scientifica si debba giudicare su altro che non sia ciò che uno ha scritto. Ma che questo processo si possa ``automatizzare'' e rendere ``oggettivo'' e' stato messo in dubbio da tante parti. Cauchy ha bocciato il giovane Galois all'esame di ammissione (alla scuola politecnica, mi sembra). Galois gli parlava del logaritmo come di un omomorfismo dal gruppo moltiplicativo dei numeri positivi al gruppo additivo di tutti i numeri (positivi e negativi, razionali e irrazionali) messi insieme, e Cauchy non capiva che cosa questo giovane gli stesse dicendo.  E' stato il suo un giudizio soggettivo o oggettivo? Siamo oggi in grado di concepire un procedimento automatico e oggettivo per evitare il ripetersi di questi incidenti? E Cauchy non era in cattiva fede. Non e' che dovesse far passare un suo protetto mediocre al posto di Galois.

3. non si capisce perche' l'onere di trovare soluzioni migliori debba ricadere interamente su coloro che avanzano alcune critiche

io non ho interessi nascosti da difendere, come non li ha chi si e' innamorato di questi indici e crede che siano la soluzione (a parte naturalmente gli azionisti della ditta che produce questi indici: costoro hanno interessi da difendere, e sicuramente sono contenti se l'uso di questi indici si estende a tutto il mondo)

dunque nessuno in questa discussione ha interessi nascosti da difendere: in un dialogo platonico, disinteressato, nessuno e' attaccato a una idea aprioristicamente, e se qualcuno gli fa notare che l'idea non e' convincente, la risposta in genere non e': allora dimmi tu qual'e' la verita'; la risposta e': cerchiamo tutti insieme una soluzione migliore;

 

Io come dice Carminat sarò supponente e sgarbato, ma perchè non leggete i post? Io ho scritto

 

Bisogna usare parametri oggettivi, tipo l’IF medio, l’indice di Hirsch etc. Dove non ci sono (come a Lettere o a Legge) bisogna crearli.  Scrivo questo perfettamente consapevole che questi indici non funzionano bene e quindi vi prego di evitare lunghe discussioni sui loro difetti. Le alternative sono  peggiori.

 

Aggiungo che, come già detto in altro post, o in una risposta, io ho passato parecchie ore della mia vita a costruire un indice per lettere su incarico della SISSCO (la società di Storia Contemporanea), non basato sulle citazioni ma sulla sede di pubblicazione. Quindi l'accusa è ingenerosa. Ed a questo punto, francamente, rinuncio. Mi rifiuto di continuare, mi arrendo, alzo bandiera biance...Se voi non capite quale è la situazione al di fuori della vostra isola felice, non ci posso fare nulla. Aspetto con curiosità i brillanti contributi di Israel o Suo o di chiunque altro.


I timidi cenni alla valutazione presenti nel DDL sono sufficienti? O, in altre parole, la sua approvazione, e la costituzione dell’ANVUR potrebbero essere il primo passo di un circolo virtuoso e quindi ragione sufficiente per appoggiare il DDL nonostante i suoi difetti?

La parola "valutazione" compare 40 volte nel testo, ed "ANVUR" 13. Senza contare il fatto che sul tema della "qualità ed efficienza del sistema Universitario" è prevista anche una delega legislativa che verrà scritta dagli uffici del Ministero, evidentemente.

Come ho già scritto diverse volte, il pronunciare molte volte la parola "valutazione" e "ANVUR" non significa automaticamente saperne granchè di valutazione e di ANVUR, e poi nel frattempo abbiamo avuto un altro segno della considerazione in cui verrà tenuta questa nuova Agenzia: il 22 settembre, cioè 2 giorni dopo la chiusura della presentazione delle candidature per il Consiglio Direttivo, il Ministro ha emanato un nuovo delirante decreto sui "requisiti necessari dei corsi di studio", che riprende e modifica, con i suoi 6 Allegati, degli altri deliranti decreti in questa materia predisposti negli anni scorsi con l'ausilio del CNVSU.

A questo punto ci si chiede che cosa la facciamo a fare l'ANVUR, se il suo compito sarà ridotto a studiare e tradurre per il volgo questi quintali di norme già sfornati da organi politici.

Non ci siamo, chiaramente. Anzi è proprio uno sberleffo, direi, nel momento in cui l'ANVUR deve partire con un nuovo assetto istituzionale.

RR

 

 

http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_24/un-paese-fuori-corso-editoriale-francesco-giavazzi_b658834c-df3d-11df-ae0f-00144f02aabc.shtml

 

 

 

Esattamente cosa vi e' di errato a far pagare l'universita', visto e considerato che lo stesso gruppo (madri/padri) paga per mandarli a Yale?

Assolutamente niente, salvo la demagogia italica. Si possono anche fare dei prestiti, come in UK.

Ma quell'editoriale è uno dei peggiori di Giavazzi. Si concentra su un problema marginale, come la proliferazione dei corsi di laurea, spesso in sedi decentrate. Sembra che sia colpa degli enti locali, a cui le povere università non sanno resistere. In realtà è l'opposto: sono le università (o, più precisamente, i Baroni) a spingere per aumentare il numero dei corsi nella speranza, spesso riuscita, di mettere a posto  i propri allievi. Gli enti locali sono colpevoli di connivenza, con i politici alla ricerca di una photo-opportunity per se e di qualche posto di bidello per i propri concittadini.

http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_24/un-paese-fuori-corso-editoriale-francesco-giavazzi_b658834c-df3d-11df-ae0f-00144f02aabc.shtml

Ancora un disastroso editoriale di Francesco Giavazzi, che riesce a combinarne di tutti i colori anche oggi. Dice Giavazzi:

Per alcune famiglie si tratta della prima generazione che può continuare gli studi dopo la scuola.

Alla fine del commento vi rivelo chi ha detto queste cose diversi anni fa.

In tre anni 4.500 professori, il 12% del totale, sono andati in pensione. Molti dei corsi che insegnavano non ci sono più perché, tranne casi rari, chi è andato in pensione non è stato sostituito. Il motivo è che i tagli ai finanziamenti pubblici hanno fatto sì che nella quasi totalità degli atenei la spesa per stipendi oggi superi il 90% delle risorse, soglia al di sopra della quale non si può più assumere nessuno.

Esagerato! Quest'anno (2010) gli Atenei sopra il 90% sono 7, e il motivo della "non sostituzione" di svariati Professori sta in questo, che intanto per implementare il "metodo Giavazzi" per lo svolgimento delle tornate concorsuali dei posti banditi illis temporibus (2008) ci sono voluti mesi e mesi di elucubrazioni procedurali condite da algoritmi non propriamente pane quotidiano degli azzeccagarbugli che stanno al Ministero, e poi, soprattutto, che le regole per il turnover e lo stretto contingentamento di punti-organico fra le fasce (per legge tremontiana) hanno ritardato, o stanno ritardando, le chiamate di vincitori e idonei alla fascia superiore. Peraltro non si sa ancora quali siano le allocazioni precise dell'FFO per il 2010...

I ricercatori sono 24 mila. Fino a ieri due su tre insegnavano, sebbene una legge sciocca ma ancora in vigore dica che dovrebbero fare solo ricerca, non insegnare.

Ma guarda un po', la "legge sciocca" è lo stato giuridico che definisce i doveri d'ufficio dei ricercatori, la 382/80 (e sue modificazioni successive sul punto). Si trattava di formare una fascia di personale ricercatore ma non docente, che avrebbe messo ordine nella carriera di tante figure precarie (borsisti, assegnisti, contrattisti) che si aggiravano per le Facoltà negli anni '70 [cfr. anche la storia di Giovanni Federico]. "Peccato" che si finì col farne un ruolo a tempo indeterminato, per un colpo di mano in Commissione parlamentare - ma questo che c'entra con i doveri d'ufficio? La legge può essere modificata solo per il futuro, in questi casi (future assunzioni, si intende), poichè anche i ricercatori sono funzionari pubblici della specie più pura. Soluzioni alternative per "spostarli" in una terza fascia docente (con l'incentivo del titolo professorale e qualche soldo in più) sono sempre state osteggiate in passato, in quanto indicate come ope legis da un variegato fronte di oppositori... dove è vissuto Giavazzi in questo periodo?

Che nell'università ci siano troppi professori è un fatto.

Eh, no, chiarissimo, che nell'università ci siano troppi professori è una valutazione, che peraltro non coincide con quella di chi, dal Governo o dall'opposizione, ha proposto l'emendamento per i famosi nuovi 9.000 Associati. Del resto poche righe più sopra il Giavazzi aveva scritto che "Quest'anno oltre un terzo dei ricercatori non farà lezione: altri corsi che non partono, spesso i più avanzati poiché i più vicini alla frontiera della ricerca.". Quindi mancanodocenti, invece...

La responsabilità è di quei sindaci e presidenti di Provincia, di destra, di centro e di sinistra, che hanno ottenuto che si aprissero università ovunque, e che in ciascuna si avviassero corsi di triennio, biennio e dottorato.

Tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, quando anch'io mi aggiravo nelle aule universitarie, c'erano articoli di tenore ben diverso, sui giornali. Infatti ci si lamentava di aule sovraffollate, lezioni nei cinema, domanda studentesca non soddisfatta. Ricordo di aule ad Ingegneria strapiene di 300 studenti, e gente che si portava il binocolo, oltre che lotte furibonde per la "prenotazione" della prime file. A Fisica eravamo più fortunati, eravamo in 120 matricole. Gli psicologi erano quelli che facevano lezione nei cinema.

La risposta del corpo docente, con l'aiuto di una lieve modifica allo status giuridico dei ricercatori, fu l'ampliamento del numero dei corsi, e poi dei corsi di laurea, per (tentare di) adattare l'offerta alla domanda. Si diceva, e secondo me non sbagliando (stante il quadro giuridico del sostanziale libero accesso), che era meglio far seguire corsi "umani" agli studenti, seppur non tenuti da cattedratici "insigni" piuttosto che costringerli alle peripezie e alla pseudo-frequenza (questo valeva evidentemente per alcuni corsi di laurea, e per i primi anni: dopotutto la parola liceo non è affatto brutta, e non è nemmeno estranea al concetto di Università...). C'era un piccolo problema: si stava cominciando a sfruttare i ricercatori anche come docenti (su base volontaria, si intende, e comunque sovente anche pagata), ed ampliando il ricorso a docenze a contratto esterne, ma questo sembrava un problema minore, allora. Dello stesso genere di strategia faceva parte il "portare la montagna a Maometto", con l'apertura di sedi distaccate. Infatti in quegli anni stava cominciando a lievitare in modo pazzesco il prezzo degli affitti per studenti, e la situazione del welfare studentesco per gli alloggi non era diversa da quella odierna, come Giavazzi può leggere in questo documentato articolo su lavoce.info. Va aggiunto che l'apertura di sedi non comportava, tipicamente, oneri per l'Università, in quanto erano gli accordi con gli Enti locali e con appositi consorzi di imprenditori che foraggiavano i nuovi siti. Infine, va rilevato, su questo tema, che la maggiore autonomia, a conclusione del percorso 1989-1999, e in particolare quella didattica del 1999, portava "naturalmente" a far giocare gli Atenei su un terreno di offerta "di mercato", della quale Giavazzi non si dovrebbe stupire visto che Egli perora l'autonomia e la competizione - e l'America dovrebbe conoscerla.

Il problema si è creato con la perdita di controllo dei vari "fattori produttivi" in un contesto misto, da una parte con numerosi vincoli centrali sullo stato giuridico e la gestione del personale, e dall'altra con la mancanza di vincoli ad es. sulla retribuzione di queste docenze "non istituzionali", cioè non esigibili da PO e PA ma richieste vieppiù a ricercatori e contrattisti vari, sulla qual cosa non spendo ulteriori parole per non cadere nella pena di parlare di calcoli precisi da varie parti e connivenze degli stessi ricercatori e contrattisti sfruttati.

Se a errori ripetuti per decenni si vuol rimediare in un giorno c'è un solo modo: chiudere i corsi di laurea.

Ah, sì? Peccato che abbiate perorato per anni l'autonomia didattica e organizzativa degli Atenei, e questa, come abbiamo detto, è stata concessa. Cosa facciamo, torniamo indietro? Dove stanno gli studenti in questo ragionamento? Assenti?

C'è una cosa, invero, che doveva essere fatta e non è stata fatta. A fronte della maggiore autonomia concessa, non si è messo in piedi alcun sistema di valutazione serio, interno ed esterno, che potesse evidenziare per tempo lacune e smottamenti (e soprattutto dare indicazioni qualitative e puntuali, anzichè tabelle statistiche spesso fuorvianti). Sono stati spesi anni nella definizione di requisiti numerici per i corsi di studio, che, nelle parole di esperti degli stessi comitati ministeriali che si sono poi succeduti, hanno finito per rappresentare un benchmark al ribasso, cioè di adeguamento formalistico "estensivo" di tali pratiche piuttosto che restrittivo (toh!). Dov'era Giavazzi in questo periodo?

E per finire: ma chi l'ha detto che questa offerta didattica sia sbagliata? (lo è, ma dove? Forse non concordiamo tutti quanti nell'identificare gli errori) Conosce Giavazzi l'offerta didattica della formazione terziaria degli altri Paesi? Come è fatta? Come funziona?

La legge riconosce che i corsi devono essere ridotti, le università snellite, alcune chiuse.

La legge riconosce questo? Beh, a dire il vero c'è un nuovo delirante decreto ministeriale del 22 settembre sui requisiti dei corsi di studio che interviene in questa direzione. Peccato che si continui a conteggiare i ricercatori (contra il loro stato giuridico) nel computo dei requisiti necessari di docenza di ruolo per tenere aperti i corsi, leggere per credere l'Allegato B. Ma i ricercatori stanno mandando all'aria questo piano dichiarandosi indisponibili alla docenza... di tutto questo neanche una parola dal Giavazzi.

Allora si abbia il coraggio di spiegare alle famiglie che non possiamo più permetterci un'università quasi gratuita, cioè rette che coprono meno di un terzo del costo degli studi.

Li manderanno nel resto d'Europa, cosa più che saggia. Ah, tranne in UK, yup, adesso lì qualche amico di Giavazzi ha suggerito di abolire il cap. Ne vedremo delle belle. La Scandinavia gongola.

RR

 

P.S.: chi aveva detto quella cosa sulle famiglie dei laureati che si rallegravano per il primo figlio dottore? Un altro intellettualissimo, ovviamente! Quell'Umberto Eco che oggi viene a lamentarsi della moltiplicazione dei dottori, dopo essere stato lui, con un articolo dei primi anni del decennio, la "causa giustificatrice" del decreto della Moratti che ufficializzò l'uso del titolo anche per le nuove lauree triennali...

 

 

Alcune osservazioni di questo articolo (cfr url indicato supra) non sono sciocche.

In particolare il mutamento di quadro nel veder l'educazione (terziaria, dopo "elementare" e "medie") come non un bene da amministrare pubblicamente, macome un mercato autodeterminantesi a seconda della domanda espressa da studenti.

Immagino i corsi su LADY GAGA (qui molto richiesti.)

In termii generali non sara' male che il legislatore decida: e' l'universita' piu' simile al trattamento dei sinistrati da terremoto o alla chirurgia che massimizza il seno?

Il commento segnalato è solo una delle spie che segnalano una forte delusione verso la direzione di marcia tratteggiata dal Governo Conservatore-Liberale, in un settore dove - come si sarebbe detto in altri casi e in altri momenti - non c'era niente di rotto da riparare. Invece Lord Browne, piazzando la sdraio per scrivere il Rapporto sulla spiaggia gestita dalla nuova maggioranza, ambisce a fare l'ideologo di un major restructuring, di cui peraltro non sono ancora noti i dettagli proprio perchè non sanno bene che pesci piagliare neanche loro a questo punto.

Ne vedremo delle belle.

RR

Cosa ne pensate della delega alla Provincia di Trento dell'Università di Trento?

Per molti potrebbe essere la prova di un futuro "federalismo universitario" che coinvolgerà tutti gli atenei italiani. Qui in Trentino il dibattito è "abbastanza" sostenuto, ma sarebbero utili anche pareri e confronti esterni..

giovannistraffelini.wordpress.com/2010/03/18/universita-tra-autonomia-e-responsabilita/

Grazie!

 

Cosa ne pensate della delega alla Provincia di Trento dell'Università di Trento?

Per molti potrebbe essere la prova di un futuro "federalismo universitario" che coinvolgerà tutti gli atenei italiani.

 

Mi sembra un'ottima cosa, almeno per tutte le province italiane con standard civici e di buona amministrazione comprovati migliori di quelli presenti a Roma, quindi per la maggioranza delle 100+ province italiane.  Se non sbaglio l'universita' di Trento gia' possiede da tempo margini di autonomia maggiori degli altri Atenei, e sembra averne fatto ottimo uso, sempre se non sbaglio supera moltissime universita' italiane all'apparenza ben piu' blasonate.

Grazie per l'interessante segnalazione e per il dibattito. Ci ritornerò presto sul mio blog.

Per l'intanto noto che che la "localizzazione" trentina è una forma di secessione condivisa del sistema universitario nazionale, che rende de facto Trento simile ad uno Stato degli Stati Uniti, che possiede e gestisce la propria Università.

Ci torno presto, neh...

RR

Qui si parla invece di valutazione della produzione scientifica – di quello che i docenti pubblicano nelle riviste scientifiche (o, in alcuni settori, negli atti dei convegni o in libri). Questa valutazione deve essere, per funzionare, automatica, collettiva e punitiva.

E noi parliamo intanto della valutazione e del finanziamento di progetti di ricerca, e della relativa peer-review. C'è una pianticella spuntata a sorpresa nel ddl, e che intendiamo innaffiare.

RR

Oltre a questo non sarebbe meglio progettare i corsi di laurea a partire dalle competenze richieste dal mondo del lavoro non in base alle lotte politiche interne alle università. Come se invece di progettare una nuova auto fossimo ancora a dare, ad ogni riforma, una rinfrescatina ad una duna. L'intuizione che può avere un buon professore che fa consulenza non sostituisce lo studio delle competenze richieste dal mondo del lavoro tramite interviste estensive seguite magari da questionari. E università vicine potrebbero fare le indagini assieme perché più o meno la regione è la stessa. E le aziende collaborerebbero sarebbero più che contente di lavorare per avere laureati che rispondano di più ai loro bisogni.

Sono cose note che poche università fanno.

 

www.istruzione.it/web/ministero/cs210111_bis

www.istruzione.it/web/ministero/cs210111

commenti?

 

Leggo dal comunicato MIUR

 

Il regolamento pone fine ai concorsi truccati e introduce l’abilitazione nazionale secondo criteri meritocratici e di trasparenza, i principi cardine del ddl Gelmini che vuole così colpire baronie, privilegi e sprechi.

 

Se non erro e' almeno la terza volta (in tre anni) che il Ministro sostiene di aver emanato un provvedimento che debella definitivamente i concorsi truccati. In realta' si tratta sempre solo di piccoli passi (che spesso non vanno nemmeno nella direzione giusta).

Ho l'impressione che l'abilitazione scientifica nazionale (aperta) sia comunque ancora piuttosto lontana, persa in una nebbia che non si diradera' presto. Ed ho l'impressione che queste veline governative servano solo alla Gelmini, per dare l'impressione di star facendo qualcosa (bunga-bunga a parte).

Staremo a vedere.

 

In primo luogo mi sembra che molti di questi nomi non fossero nella lista dei 15 proposti dal comitato di selezione. La cosa è alquanto soprendente, anche se presumo abbia un fondamento legale.

In secondo luogo, mi sembra una lista disciplinarmente molto squilibrata

- un ingegnere

- un fisico

-un medico

-un veterinario

- due economisti (Kostoris e Bonaccorsi, che si occupa prevalentemente di valutazione)

- un sociologo dell'educazione

Nessun giurista, nessun letterato. Mi domando come faranno a stabilire requisiti minimi etc. in settori che non conoscono.

Per quanto riguarda le persone, noto  che nella lista dei top scientist della VIA compaiono Fantoni (561) e Benedetto (563) tutti e due con H-index 32. Secondo le stime di Paolo Rossi, per un fisico ordinario "anziano" 32 è un indice abbastanza alto ma non eccezionale.

 

 

 

 

Fantoni e Bendetto sono nella lista dei top scientists - al 561 e 563 posto, con h-indexes 32. Gli altri no.

 

A proposito di H-index , ecco gli indici dei quattro vincitori della medaglia Fields per il 2010 (il premio è assegnato ogni quattro anni). Il calcolo è stato fatto sulla base della banca dati della American mathematical Society (MathScinet) che è molto affidabile, perché è basata su una banca dati degli autori (e non dei nomi di autori). Altre banche dati darebbero probabilmente risultati diversi per via di omonimie o piccole variazioni nella ortografia del nome (ad esempio la banca dati della AMS distingue Elon Lindenstrauss da suo pardre Joram che è un  matematico molto noto per i suoi risultati sulla geometria degli spazi di Banach,  sua sorella Ayelet, pure matematica, e sua madre Naomi che si occupa di informatica. Non parliamo poi di possibili omonimie per NGO...)

ELON LINDENSTRAUSS  H-index 10

NGO BAU CHAU H-index 8

STANISLAV SMIRNOV H-index 9

CEDRIC VILLANI  H-index 21

 

 

Grazie, Alessandro.

Aggiungo che vale la pena di dare un'occiata anche ai settori nei quali si inquadra la produzione delle medaglie Fields 2010.

Per esempio Cedric Villani (H=21) e' abbastanza chiaramente un'analista; sarebbe invece piu' difficile classificare altri: per esempio Smirnov (H=9) si occupa di sistemi dinamici (come anche Lindenstrauss) ed ha una produzione impressionante, difficilmente riconducibile ad un unico settore (fisica matematica? probabilita'? analisi? geometria complessa?) .

In questi casi quindi l'H-index sembra essere piu' una misura di quanto la produzione scientifica sia organica ad un gruppo ben organizzato piuttosto che un'indicazione obiettiva del valore scientifico.

PS: bisogna inoltre capire se l'H-index si calcola in modo stretto (considerando solo le  citazioni di articoli pubblicati su rivista, provenienti da articoli gia' pubblicati) o in modo largo, ovvero considerando le citazioni di articoli  (ma anche preprint)  provenienti da altri articoli (o preprint).
Quello che hai calcolato tu e' l'indice stretto, mentre ho l'impressione che in genere nel calcolo si includano anche i preprint.

 

Ottenuto con publish or perish:

25 papers; citations 54; cites/authors 47,75; h 4

Direi che per una idoneità ad associato potrebbe essere sufficiente

Non ho alcuna  simpatia per la Ribolzi (che non conosco, e la cui nomina guardo con sospetto); tuttavia penso che  per dare un giudizio bisognerebbe forse confrontare questo numero con i "numeri" tipici del settore a cui appartiene.