Oren su potere e fantasia

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Per chi tra voi volesse sollevar il volto dal lavoro o dalla nausea sorgente dalle vicende italiane (ultima, segnalata da Brusco, la rinnovata perniciosita' della sifilide fascista) consiglio assai di leggere: Power, Faith, and Fantasy: America in the Middle East: 1776 to the Present, di M. Oren, un interessante studio sul rapporto tra gli Stati Uniti e il cosidetto o "medio" o "vicino" oriente

Il volume, che credo non esista (o non esista ancora) in Italiano, e' la documentatissima storia di un fenomeno che ha colpito molti.

Gli Usa hanno tutte le ragioni, storiche, culturali, economiche, e cosi' via per esser fortemente antisemiti, nel senso di anti-ebraici. Eppure sono stati, dai tempi della amministrazione Wilsoniana il solo sostegno reale al progetto Zionista. Nonostante i fenomeni devianti ed eccentrici (debitamente noti e segnalati dai nomi delle piazze in Jerusalem) come Meinertzhagen o Wingate, la classe politica britannica e' ferocemente pro-araba, per ragioni che hanno molto a che fare con gli impegni coloniali e assai meno con le gonne svolazzanti del Colonnello piu' famoso di Hollywood-on-the-Wadi-Rum.

Oren svolge un lavoro egregio nel mostrare come vi sia un senso assai preciso in cui gli Americani, e non gli Inglesi, mancando di orientalismo videro per un periodo lunghissimo (che non e' finito) la “restaurazione” del diritto degli ebrei alla terra promessa da dio – per gli scopi di questo scritto: “ebrei” significa individui di religione giudaica; “zionista” significa aderente a una delle formazione politiche nazionaliste del 19mo e 20mo secolo che proposero di trasformare Yishuv in uno stato.

Oren svolge un ottimo lavoro che senza dubbio da piu' “spina dorsale” a chi sostiene che molte posizioni prese da amministrazioni USA in medio oriente sono condizionate da una forma di ossessione religiosa (derivante appunto dall'idea che la restaurazione del territorio promesso agli ebrei sia compito che i cristiani devono assumere per “accelerare” la seconda venuta di Mosiach), la quale nulla ha a che fare con gli interessi economici, o strategici occidenali o piu' specificamente americani.

Due aspetti interessanti: in nessuna area del volume, dettagliatissimo, vi e' menzione alcuna della influenza della fantomatica lobby “ebraica”, e nemmeno sono menzionati casi in cui il (non piu' neonato) stato di Israele ha usato strategie aggressive. Il secondo aspetto e' stato aspramente criticato (da New York Times, in Marzo del 2007, vedi New York Review of Books 03-11-2007) in quanto Oren e' un militare (della riserva). Tutte sciocchezze perche' lo sono tutti in Israele.

Il volume e' ricchissimo di scoperte che hanno un po' il fascino della carta ammuffita: quanti, non il sottoscritto certamente, sapevano che George Bush pubblico' un libro dal titolo: “La valle della visione, ovvero le ossa secche di Israele rianimate”? Si tratta di George Bush, professore a NYU, nel 1844 (si', e' un lontano parente dei due recenti presidenti USA.)

Consiglio a tutti il volume di Michael Oren, o almeno a chi abbia interesse ad un aspetto della intricatisssima questione del “nostro” (noi chi? I bianchi? I cristiani? I ricchi?) scontro con i wogs (WOG, or the western oriental gentleman) che gira intorno al diritto o meno di uno dei popoli semiti a vivere nel fazzoletto di terra detto Israele o Palestina, o tutti e due.

Visto che immagino saro' accusato di nascondermi dietro ad un velo di minuzie storiche, l'ultima sortita delle forze di pace nella regione prese forma alcuni anni fa con l'iniziativa assai progressiva della piu' arcaica delle societa' locali. La famiglia reale di Al Saud, (i cui figli regnano da quando mori' Abdul Aziz) ha proposto a Israele una specie di grande compromesso in cui viene ceduta una parte della terra agli ebrei (teoreticamente di proprieta' di Umma Islamica e data come waqf agli stati), in cambio di Jerusalem (est) e il ritiro da quasi tutti i territori illegalmente occupati dopo il 1967.

Gli arabi mostrano una grande difficolta' a comprendere il principio che chi perde, paga dei costi per la sua sconfitta. Nondimeno il progresso e' notevole. Un re musulmano vero, difensore della fede etcetera, dice in modo chiaro che si puo' avere una entita' statale affidata agli ebrei in "loco". Punti difficili: il cosidetto diritto del “ritorno”, e la guerra civile tra i Palestinesi.

Ovviamente la famiglia teme le infiltrazioni che trasformeranno Hamas in Hizbullab e di gran lunga preferisce uno stato palestinese laico a uno stato shia. Ovviamente gli Israeliani fino a quando non vedono nero su bianco, con la controfirma del presidente degli Stati Uniti, che nessuno accampa piu' un diritto al “ritorno”, non si fidano di nessun “piano”.

Ho le mie opinioni sul tema, ma prima di esprimerle preferisco studiarmi meglio il piano Saudi, che per il momento e' stato rigettato da tutti come “impossibile”.

Per chi persegua interessi di questo genere, un ulteriore consiglio, forse guidato da affinita' professionali. Il modo migliore per veder la questione come la vedono i Palestinesi e' leggere Sari Nusseibeh “C'era una volta un paese: una vita palestinese”. Che il parere di Dr. Nusseibeh sia altamente minoritario, non implica, ai miei occhi, che abbia torto.

En passant, per chi vada da turista a visitare il santo sepolcro, chi apre la porta e' un Nusseibeh, della sua famiglia, non un cristiano di nessuna setta, e non un ebreo, di nessuna appartenenza.

 

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