I numeri della docenza universitaria: considerazioni a partire da una storia straordinaria

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Cosa mostrano i dati su ingressi e uscite dai ruoli della carriera universitaria negli anni 2000-2008, ed il danno di non disporre di una valutazione della ricerca

I dati sugli ingressi e le uscite dai singoli ruoli della carriera universitaria negli anni 2000-2008 chiariscono bene la portata della rivoluzione aperta dai concorsi locali della riforma Berlinguer (1999). La Tabella acclusa li mostra insieme alle consistenze di fine anno 1999 e 2008. [Un caveat: vi sono alcune discrepanze all’interno dei dati dalle fonti MIUR-CNVSU, ma il loro ordine è modesto e riguarda soprattutto i primi anni 2000]. Gli ingressi nei ruoli di ordinario ed associato sono distinti in “passaggi” dai/dal ruolo inferiore e “nuovi ingressi” (di persone cioè precedentemente esterne all’università). Le “uscite” includono i passaggi ai ruoli più elevati e le cessazioni (esplicitate in apposita colonna) del rapporto con l’università (pensionamenti, etc).  Dunque: alla rilevante crescita complessiva (+ 25% , nonostante la flessione del 2007-08) si è unito uno straordinario processo di ricambio, concentrato  nei primi anni della applicazione della riforma e alla vigilia del ritorno al vincitore unico nel terzo bando 2005. Gli ingressi sono il risultato di 23 tornate concorsuali svoltesi dal 1999 al 2005. La riforma stabiliva 3 idoneità su ciascun concorso nel primo biennio e 2 successivamente. Alle 3  idoneità del primo biennio si deve la particolare crescita degli anni 2000-02. Gli ingressi tornano poi a crescere quando il timore di un mutamento delle regole concorsuali – ossia il passaggio al vincitore unico – fa riesplodere il numero dei bandi. Il ministro Moratti passa effettivamente (dopo 4 anni dal suo insediamento al ministero!) al vincitore unico nella terza tornata concorsuale 2005, i bandi crollano e comunque i concorsi per ordinari e associati sono fermati alla prima tornata 2006, nella attesa di una revisione di tutta la materia. Gli ingressi di ordinari e associati nel 2007-08 sono residui da problemi-lungaggini di concorsi precedenti.

 

Professori Ordinari - PO

 
 

Ingressi

 
 

Uscite

 
 

Passaggi da PA  a PO

 
 

Passaggi da RU a PO

 
 

PO nuovi ingressi

 
 

Ingressi totali PO

 
 

PO Usciti

 
2000 

2435

 
 

79

 
 

47

 
 

2561

 
 

443

 
2001 

2185

 
 

87

 
 

47

 
 

2319

 
 

458

 
2002 

1598

 
 

42

 
 

101

 
 

1741

 
 

499

 
2003 

351

 
 

3

 
 

14

 
 

368

 
 

541

 
2004 

575

 
 

10

 
 

22

 
 

607

 
 

486

 
2005 

1614

 
 

33

 
 

40

 
 

1687

 
 

494

 
2006 

1089

 
 

11

 
 

43

 
 

1143

 
 

574

 
2007 

360

 
 

8

 
 

33

 
 

401

 
 

626

 
2008 

150

 
 

3

 
 

13

 
 

166

 
 

858

 
 

totali

 
 

10357

 
 

276

 
 

360

 
 

10993

 
 

4979

 
 

Professori Associati - PA

 
 

Ingressi

 
 

Uscite

 
 

Passaggi da RU a PA

 
 

PA nuovi ingressi

 
 

Ingressi totali PA

 
 

PA Usciti

 
 

PA Cessati

 
2000 

1688

 
 

367

 
 

2055

 
 

2867

 
 

432

 
2001 

2741

 
 

516

 
 

3257

 
 

2645

 
 

460

 
2002 

2164

 
 

488

 
 

2652

 
 

2034

 
 

436

 
2003 

384

 
 

33

 
 

417

 
 

825

 
 

474

 
2004 

804

 
 

191

 
 

995

 
 

991

 
 

416

 
2005 

2286

 
 

623

 
 

2909

 
 

2056

 
 

442

 
2006 

1386

 
 

326

 
 

1712

 
 

1600

 
 

511

 
2007 

424

 
 

136

 
 

560

 
 

917

 
 

557

 
2008 

182

 
 

80

 
 

262

 
 

743

 
 

593

 
 

totali

 
 

12059

 
 

2760

 
 

14819

 
 

14678

 
 

4321

 
 

Ricercatori RU

 
 

Ingressi

 
 

Uscite

 
 

RU Nuovi ingressi

 
 

RU Usciti

 
 

RU Cessati

 
2000 

1847

 
 

1932

 
 

165

 
2001 

3365

 
 

2997

 
 

169

 
2002 

3173

 
 

2363

 
 

157

 
2003 

174

 
 

645

 
 

258

 
2004 

1804

 
 

1044

 
 

230

 
2005 

3366

 
 

2528

 
 

209

 
2006 

2747

 
 

1710

 
 

313

 
2007 

1367

 
 

856

 
 

424

 
2008 

2593

 
 

566

 
 

381

 
 

totali

 
 

20436

 
 

14641

 
 

2306

 
 

Docenti per ruolo

 
 

PO

 
 

PA

 
 

Ru

 
 

Totale Docenza

 
1999 

12911

 
 

17780

 
 

19627

 
 

50318

 
2008 

18939

 
 

18261

 
 

25569

 
 

62769

 
Fonte : MIUR-CNVSU

 

La mole delle promozioni di questi anni ha modificato radicalmente la composizione di ordinari e associati, nelle cui categorie la componente dei vincitori dei concorsi locali diventa assolutamente (associati) o nettamente (ordinari) prevalente. Se si considera poi che nel 2009 4.202 ordinari e 1.227 associati erano di età compresa tra 66 e 75 anni [ordinari: 3.328 tra 66-70 e 874 tra 71-75; associati: 1.193 tra 66-70 e 34 tra 71-75], è facile affermare che i concorsi Berlinguer domineranno nel prossimo triennio la docenza universitaria e, vale aggiungere, la sua governance. Su cosa si è sviluppata la massiccia ope legis di questi anni? Temo che non tutto risulti ancora chiaro.

Tre fattori hanno cooperato. Le triple, doppie idoneità hanno costituito un incentivo perverso a concorsi preconfezionati (sia su candidati ottimi che su candidati indecenti) e a ingressi in ruolo al di fuori di ogni vero piano di crescita. Ma la pessima regola concorsuale, da sola, non spiega per intero ciò che è avvenuto. Di pari importanza nel decennio è stato il ruolo e il potere che l’autonomia ha dato alle corporazioni che popolano la nostra università. L’autonomia ha  avviato una competizione tra le corporazioni assolutamente nuova,  estesa ad ogni snodo della vita universitaria. La enorme quantità di bandi di concorso di questi anni, come peraltro la quantità di nuove lauree o la frammentazione degli insegnamenti, sono il risultato esattamente di questo. Con l’aiuto di una regola concorsuale fasulla, buona parte della mole dei bandi ad personam è stata creata per finalità solo corporative, di affermazione e di espansione del territorio delle singole corporazioni. Esattamente così sono nati bandi per vincitori programmati a cui nessuno avrebbe mai pensato prima e che nessuno avrebbe mai osato richiedere nella prospettiva di una reale competizione nazionale; ed esattamente così sono entrati a far parte di commissioni di concorso persone che nessuno si sarebbe sognato di votare in una commissione nazionale.  Infine, una autonomia senza incentivi e senza penalizzazioni ha privato di remore i calcoli corporativi e gli interessi personali e ha offerto il contesto più favorevole alla irresponsabilità delle decisioni.   Ricercatori sostanzialmente scelti da un singolo professore, il “professore di riferimento”, e una quantità di ordinari ed associati creati, senza competizione,  nelle modalità sopra accennate sono il complessivo risultato del decennio.

A questo scenario occorre oggi riparare e con questo scenario occorre oggi fare i conti. Riparare e fare i conti significa soprattutto tagliare e premiare, ossia ridurre e far crescere. Purtroppo manca la sola arma per realizzare ciò: un operante sistema di valutazione della ricerca, un sistema che possa dirci cosa c’è oggi nell’università italiana. L’esercizio CIVR commissionato dal ministro Moratti con l’obiettivo di graduare i finanziamenti è fermo – come è stranoto – al triennio 2001-03. Quali che siano stati i limiti di quel primo esercizio, o anche eventuali errori, il danno di non averlo proseguito , ampliato, messo a punto, è enorme. Ed è enorme soprattutto se si tengono presenti le patologie con cui si è largamente affermata nell’ultimo decennio la selezione della docenza. Non voglio qui perorare la necessità di valutazione, ma sottolineare inconsistenze, problemi e danni del non disporne.

Mi soffermo su tre aspetti. La Finanziaria per il 2009, accanto a consistenti tagli programmati al FFO, ha posto un fortissimo vincolo al turnover per il triennio 2009-2011. Il vincolo è modificato nel gennaio 2009: è attenuato al 50 % del personale docente cessato nell’anno precedente ma con l’ulteriore imposizione di un vincolo sul restante, disponibile 50%: il 60% almeno di questa somma deve andare a ricercatori a tempo indeterminato e  determinato e non più del 10%  all’assunzione di ordinari. Ora, è evidente che vincoli al turnover possono essere uno strumento per penalizzare. Realisticamente è l’unica via per “ridurre”, ove si sia valutato che vi sono motivi per ridurre.  La non disponibilità di aggiornate valutazioni non ha nemmeno posto il problema di impostare tagli ai finanziamenti dell’università in modo selettivo. (Naturalmente qui sto prescindendo dalla adeguatezza o meno dei finanziamenti complessivi). Un vincolo indiscriminato, che penalizza tutti nella stessa misura, politicamente può forse costar meno  ma è terribilmente inefficiente in un sistema la cui eterogeneità è diventata profonda e talora abissale.

Il secondo aspetto riguarda l’apertura del ministro Gelmini all’inserimento di quote premiali nel FFO. Nel FFO 2009 la quota premiale è stata il 7% e il 50% di essa è stato ancorato ai risultati CIVR. Risultati, però, vecchi di 6 anni. Quanto varrà il CIVR nella quota premiale del FFO 2010? Il decreto FFO di quest’anno non vi è ancora, ma alcuni bene informati parlano di un 33% da attribuire ai risultati CIVR. E cosa sarà per il 2011, chiunque sia il ministro? E’ ovvio che il peso della valutazione 2001-2003 non può che tendere a zero se ad essa si rimane.

Ma la conseguenza forse ora più grave della non disponibilità di una aggiornata valutazione della ricerca si lega alle attuali tensioni sulla riforma Gelmini. Mi riferisco alle forti proteste dei ricercatori, proteste espresse peraltro in modo e con obiettivi alquanto differenziati. Alcune di queste proteste hanno ricevuto appoggi da segmenti o persone di grande valore dell’università italiana. Ora, che il lavoro di ricerca, e di didattica, di valenti ricercatori sia gratificato in termini di avanzamenti di carriera e di retribuzione non è solo una sacrosanta aspirazione dei valenti ricercatori, ma è un requisito necessario di un sistema universitario che funzioni, che sia in grado di attirare valenti ricercatori. Abbiamo letto, si è parlato del progetto di uno stanziamento, legato in qualche modo alla riforma, per concorsi che rispondano alle proteste dei ricercatori. Nulla si sa, o nulla ho colto, sulle modalità cui si pensa per questi concorsi (riservati? sarebbe terribile!) o sulla entità dello stanziamento. Il punto che voglio sottolineare è che l’assenza di una valutazione della ricerca priva di una essenziale base informativa ragionevoli decisioni su un investimento di questo tipo. Il pericolo è che la sua dimensione e le sue caratteristiche siano solo il risultato di una contrattazione politica. Attenzione poi: il fatto che la legislatura si chiuda , non elimina per nulla il pericolo. Il tema si riproporrebbe esattamente in una nuova legislatura.

Una ultima considerazione. L’attività valutativa del CIVR è stata assai breve e priva di una significativa incidenza sui finanziamenti all’università. In questi anni si è perso tempo prezioso, abbozzando un organismo onnivalutativo, l’ANVUR, dalla cui concreta operatività rimaniamo ancora alquanto lontani. Qualunque sia l’organismo operante, di valutazione ce ne sarà proprio bisogno, considerato anche che l’abilitazione a lista aperta – la nuova regola sulla quale tutte le parti politiche sono d’accordo – promette di mantenere una competizione concorsuale non dissimile da quella dell’ultimo decennio.

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Commenti

Ci sono 149 commenti

Qualunque sia l’organismo operante, di valutazione ce ne sarà proprio bisogno, considerato anche che l’abilitazione a lista aperta – la nuova regola sulla quale tutte le parti politiche sono d’accordo – promette di mantenere una competizione concorsuale non dissimile da quella dell’ultimo decennio.

Sulle forme di reclutamento con l'uso dell'abilitazione ho scritto qui.

Per il resto mi dispiace che si riduca tutto alla solita manfrina delle promozioni di massa (sul merito delle scelte è un altro discorso). Con chi vogliamo fare i corsi, dati gli obblighi giuridici esistenti? Avevo tracciato un quadro storico parlando della protesta dei ricercatori qui.

Sulla parte della ripartizione "premiale" dell'FFO 2010 relativa alla ricerca tornerò presto.

RR

 

 

Attenzione poi: il fatto che la legislatura si chiuda , non elimina per nulla il pericolo. Il tema si riproporrebbe esattamente in una nuova legislatura.

 

Certo. Pero' se il DDL non passa salta anche l'anticipazione della messa ad esaurimento dei ricercatori. Si avrebbe quindi almeno un po' di tempo per preparare una transizione basata sulla valutazione (fino al 2013, non e' poco).

Invece proprio la necessita' di arrivare alle due fasce con una marcia a tappe forzate (come vorrebbe MSG per presentarsi alle elezioni con una dote - per quanto farlocca) rappresenta il principale fattore di rischio ope legis.

 

Un'analisi piu' dettagliata su reclutamento e carriera fatta da Paolo Rossi, con anche dati disaggregati per macroaree, si puo' trovare qui:

Le dinamiche di reclutamento e di carriera del personale docente

 

 

 

 

grazie. interessante e ben fatto

I dati sulla crescita dei singoli ruoli della docenza nelle 14 aree CUN, a seguito dei concorsi Berlinguer,  segnalano potere e operosità delle corporazioni niente affatto uniformi. Io non ho toccato questo aspetto, anche nella convinzione che la lettura delle notevolissime differenze nei tassi di crescita delle 14 aree e soprattutto le conseguenze di queste differenze meritano una apposita riflessione.

Per ora, aspettiamo cosa accade domani.


Per qualche sofisticato gioco politico (sofisticato nella loro testa, a me sembra demenziale oltre che banale) quelli di FLI stanno giocando ad essere partito di lotta e di governo.

Ragione per cui salgono sui tetti ma poi cercano di spiegare a quelli sui tetti che la loro condotta parlamentare è buona [come foto e video linkati qui sopra provano]; votano con l'opposizione su emendamenti alla riforma però sostengono che è una buona riforma senza dirci perché. E via così ...

Ecco, a me piacerebbe capire non tanto quale sia l'impianto strategico di FLI (sono realista e NON chiedo l'impossibile) ma almeno quale sia la loro posizione concreta sulla riforma e cosa ritengano occorra fare con l'università.

Lo stesso vale, ovviamente, per gli altri partiti.

L'impressione è che si sia alla demagogia più generalizzata e che non solo questa riforma sia una cosa ambigua e fondamentalmente non risolutrice ma che NESSUNO abbia la più vaga alba di cosa fare, altro che rincorrere i vari gruppi d'interesse quando iniziano a protestare ... ed intanto Voltremont taglia, perché è alla frutta e non ha più una lira. Ma questo è un altro discorso ...

 

Per qualche sofisticato gioco politico (sofisticato nella loro testa, a me sembra demenziale oltre che banale) quelli di FLI stanno giocando ad essere partito di lotta e di governo.

 

Più o meno quel che ha fatto (con profitto) la Lega: centrali nucleari sì (ma non in Veneto), lotta alla partitocrazia marcia romana (ma quando c'è da incassare ...) etc. I futuristi hanno imparato, e si muovono ormai con disinvoltura.

 

Ragione per cui salgono sui tetti ma poi cercano di spiegare a quelli sui tetti che la loro condotta parlamentare è buona [come foto e video linkati qui sopra provano]; votano con l'opposizione su emendamenti alla riforma però sostengono che è una buona riforma senza dirci perché. E via così ...

 

D'accordo al 100%.

 

Ecco, a me piacerebbe capire non tanto quale sia l'impianto strategico di FLI (sono realista e NON chiedo l'impossibile) ma almeno quale sia la loro posizione concreta sulla riforma e cosa ritengano occorra fare con l'università.

 

Quello strategico, non so. Quello tattico è certamente quello di continuare a rosolare il Berlusca. Mary Star ha portato la pattuglia di governo in un pantano, e i vietkong futuristi ne hanno approfittato per tendere imboscate a raffica.

Temo però che poi i futuristi finiranno per far passare un DDL pateracchio, se non altro per assecondarele pressioni di Confindustria. Se Fini si è smarcato quest'estate, è anche perché è discretamente spalleggiato da Confindustria, che ritiene Mr. B inaffidabile e ormai bollito (e vorrei vede').

 

Lo stesso vale, ovviamente, per gli altri partiti.

 

Il PD è un mistero glorioso. Vendola probabilmente era a suo agio. Tonino passa all'incasso (giustamente). Comunque, che volete farci: è questo il magico mondo mediatico in cui viviamo.

 

L'impressione è che si sia alla demagogia più generalizzata e che non solo questa riforma sia una cosa ambigua e fondamentalmente non risolutrice ma che NESSUNO abbia la più vaga alba di cosa fare, altro che rincorrere i vari gruppi d'interesse quando iniziano a protestare ...

 

Anche qui sono d'accordo, ma i tetti c'entrano poco. La prima spacciatrice di demagogia è l'ineffabile Mary Star, che cerca di farci credere che questa sia una riforma meritocratica (anche se in tutti i punti che riguardano merito e valutazione il DDL rimanda a decreti e regolamenti di là da venire).

 

ed intanto Voltremont taglia, perché è alla frutta e non ha più una lira. Ma questo è un altro discorso ...

 

Le lire per le scuole private (anzi, paritarie - sennò Bagnasco s'inkazza) ci sono, mi sembra. E anche per le università private. E si parla pure di trasformare le università telematiche (tipo quella del signor CEPU) in università vere (alla faccia di proclami di non proliferazione). Quando ci penso mi viene quasi il sospetto che ci sia dietro un lucido piano che ha l'unico scopo quello di farci incazzare ;)

E comunque, se i soldi scarseggiano, è anche perché sono stati gestiti male, talvolta in contiguità col malaffare (ma questo, per l'appunto, è un altro discorso).

 

Il problema è sempre il solito: questa legge è pessima, ed è stata molto peggiorata nel corso del dibattito parlamentare. Ma almeno parla di valutazione. Le alternative sono i) lo status quo ii) una legge condivisa dalle componenti del mondo universitario (politically correct per dire quello che vogliono i sindacati ed i gruppi di professori organizzati). Il primo è un casino che non funziona, come tutti dicono. La seconda non può funzionare.

La prof Potestio, da persono saggia ed esperta, ha usato un linguaggio molto cauto. Io sono brutto, sporco e cattivo e quindi uso un linguaggio brutale. Il blog dimostra chiaramente che la riforma Berlinguer è stata usata dai professori per aumentarsi lo stipendio (promozioni interne) e per assumere i propri allievi (aumento di un quarto del loro numero a parità del numero di studenti). Qualsiasi riforma condivisa etc. sarà primariamente finalizzata ad aumentare lo stipendio (attraverso promozioni semi-automatiche) e/o il numero dei professori. Il tutto, come dice Napoilitano, per l'investimento in ricerca. Un aumento degli stanziamenti non è molto probabile e comunque nessun aumento possibile (dell'ordine di qualche centinaia di milioni di euro) sarebbe sufficiente per soddisfare tutti. Il meccanismo è semplice: ipotizziamo che ciascun professore ordinario abbia nel corso della sua carriera, n allievi che vuole piazzare. Per mantenre la spesa rale per stipendi costante (trascurando amenità come gli scatti automatici e ipotizzando che l'aumento ISTAT serva solo a coprire l'inflazione - ed è stato superiore), bisognerebbe che solo 1/n degli allievi diventassero ordinari. Se anche n=2, solo metà dei ricercatori potrebbe fare carriera.

 

non capisco

a me pare che se si vuole mantenere costante la spesa per stipendi pur con avanzamenti di carriera occorra semplicemente mantenere costanti gli organici per livello.

Un P.O. esce ( pensionamento o altro ) un ricercatore diventa P.O. ed un nuovo ricercatore viene assunto.

Se invece si vuole aumentare il numero di P.O. e diminuire quello dei ricercatori , sempre a spesa costante , non si assume il nuovo ricercatore e se il suo costo è del ricercatore  k quello di un P.O. ogni P.O. che esce permette la promozione di 1+K ricercatori 

Poiché il costo medio di un ricercatore confermato è circa la metà di quello di un P.O. TP ( QUI ) due P.O. che escono lasciano  il posto a 3 ricercatori. ( se mantengono la stessa classe di stipendio )

Se si vogliono accelerare gli avanzamenti a risorse costanti ( solo nell'ambito dell'Università ) bisogna ridurre l'età di pensionamento dei P.O. ma i costi totali per la P.A. aumentano per il > numero di pensioni erogate.

 

Il meccanismo è semplice: ipotizziamo che ciascun professore ordinario abbia nel corso della sua carriera, n allievi che vuole piazzare. Per mantenre la spesa rale per stipendi costante (trascurando amenità come gli scatti automatici e ipotizzando che l'aumento ISTAT serva solo a coprire l'inflazione - ed è stato superiore), bisognerebbe che solo 1/n degli allievi diventassero ordinari. Se anche n=2, solo metà dei ricercatori potrebbe fare carriera.

 

L'ipotesi della spesa reale costante (come frazione del PIL) e' effettivamente l'ipotesi che appare piu' realistica per il futuro.  Per enti di ricerca come l'INFN mi pare che valga gia' da un decennio, ma dovrei controllare. Con questo vincolo, non si possono pagare piu' dei ricercatori e docenti oggi esistenti, con gli stipendi attuali soggetti ad aumenti reali paragonabili agli aumenti del PIL, che significa un taglio del 7% reale nel 2009, seguito da un incremento medio forse dell'1% medio reale nei prossimi anni. Al lordo dell'inflazione, quindi in termini di euro correnti, va aggiunto un ~2% di inflazione per ogni anno.

Premesso questo, tuttavia, ci sono diversi modelli che consentono di rispettare i vincoli finanziari.

Ad un estremo si puo' mettere il modello in cui il 41% viene assunto come ricercatore e rimane tale fino al pensionamento (non correggo qui per il fatto che i ricercatori vanno in pensione a 65 anni), il 29% viene assunto a 35 anni come associato e vi rimane fino alla pensione, il 30% viene assunto come ordinario e vi rimane fino alla pensione.

All'estremo opposto si puo' mettere il modello piu' o meno comune nelle universita' USA, specie quelle statali, in qui quasi tutti gli assistant professor fanno carriera, e in questo caso la carriera media in Italia potrebbe essere ricercatore a 35 anni, associato a 49.3 anni, ordinario a 59.4 anni.

Rimane il fatto che in media ogni ordinario non puo' ambire a portare ad ordinario piu' di un allievo.  Ma mi pare che questo sia lo standard medio dei sistemi universitari maturi dei Paesi avanzati dove c'e' universita' di massa da ~10-30 anni e il numero di docenti universtari e' in prima approssimazione stabile nel medesimo periodo.

 

 

Il problema è sempre il solito: questa legge è pessima, ed è stata molto peggiorata nel corso del dibattito parlamentare. Ma almeno parla di valutazione.

 

Parole, parole, parole.
[ooops! ho sbagliato bottone, come la Gelmini ... che vergogna! questo post è in risposta a quest'altro, di GF]

Secondo te, quale probabilità ha il DDL di cambiare effettivamente qualcosa? (In meglio, intendo)

 

Le alternative sono i) lo status quo ii) una legge condivisa dalle componenti del mondo universitario (politically correct per dire quello che vogliono i sindacati ed i gruppi di professori organizzati). Il primo è un casino che non funziona, come tutti dicono. La seconda non può funzionare.

 

Non sono d'accordo. Se si vuole fare una  riforma (qualunque riforma sia), non si può rimandare le parti qualificanti ad un futuro così incerto.

Di riforma si potrà ricominciare a parlare seriamente, ma solo dopo la notte dei lunghi coltelli.

Farlo prima vuol dire approvare un testo monco, che non risolve nulla ma aggrava i problemi che vorrebbe risolvere.

 

 

 

Di riforma si potrà ricominciare a parlare seriamente, ma solo dopo la notte dei lunghi coltelli.

 

 

Bene. Allora sfido te e tutta la Rete 29 Aprile ad un dibattito. Dimentichiamo la legge Gelmini. Voi portate la vostra riforma ideale e la discutiamo. A Pisa dove volete e quando volete. Ma voglio un testo vero, non le solite tre banalità retoriche sul merito e la valutazione che avete sul vostro sito. Come si valuta, chi valuta, come si promuove, chi decide, come si finanziano le università, come si passa dal sistema attuale etc  E voglio una riforma a costo zero o almeno una quantificazione plausibile dei costi aggiuntivi.

 

 

Ma l'idea di un'iniziativa trasversale non è cattiva.

Occorrerebbe, più che altro, farsi ascoltare da altri players ...

La gente di alta qualita' e' smovibile? Gli Ambrosetti, per dire, o i Tabellinii, o persino gli Eco ...

 

L'ennesimo convegno di vecchi baroni? Non fa per me, grazie.

Ok, ok, non prendetevela, mi sono espresso male.

Stavo solo pensando in modo concreto a come, se fate una controproposta, si potrebbe farla rendere visibile attraverso la grande stampa. Ho messo tre nomi a caso in tre aree diverse che, se firmano una proposta forse il Corriere la nota ... beh, più Eco che gli altri due ed Ambrosetti meno degli altri, temo ...

Anyhow, come non detto. Idea del piffero effettivamente!

Pero' il problema di come forzare chi decide a confrontarsi con proposte serie rimane. L'intero dibattito nel mondo politico e' incastrato dentro parametri folli, totalmente folli.

  L’articolo di Paola Potestio è molto interessante, e documenta molto bene il disastro avvenuto a seguito dei concorsi “locali”, voluti dal Ministro Berlinguer. E’ necessario chiedersi se il DDL che oggi verrà approvato alla Camera, è in grado di modificare il reclutamento. La risposta è no, almeno fino a quando non sarà operante una valutazione efficace.    

  Le parti apprezzabili del DDL, lo spiraglio aperto sulla meritocrazia, la valutazione degli Atenei e dei Docenti, sono tutte di là da venire, richiedendo per l’attuazione un grandissimo numero (forse 27) di decreti. A quando? Vi è poi il problema della valutazione: le modifiche introdotte dal DDL possono essere ragionevoli in presenza di una penetrante valutazione: degli Atenei, dei Dipartimenti e dei singoli docenti. Tutto ciò è molto lontano dall’essere realizzato.    

   Con la legge si pretende di combattere immediatamente il malaffare ed il nepotismo, elevati a sistema di gestione  dai “baroni”.    Peccato che questi ultimi non esistono più da molti anni: ai baroni di una volta si sono sostituiti mediocri politicanti, che, pur appartenendo alla numerosa schiera dei professori universitari, trovano la politica accademica, lo scambio di favori, ed i vantaggi del potere più gratificanti della didattica e della ricerca. Si tratta di una vera “nomenklatura”, che i meccanismi elettivi e  gli astuti compromessi rendono inamovibile.

   Paradossalmente, il DDL amplifica i poteri di questi politicanti. Le pallide modifiche introdotte nella governance aumentano i poteri  del Rettore; poteri già oggi eccessivi, e che sono  una delle principali cause del degrado dell’istituzione. Restringendo poi il numero dei componenti gli organi decisionali, senza peraltro modificare i meccanismi della loro formazione, diverrà più appetibile il potere, che potrà essere esercitato con maggiore arroganza.

   L’altro aspetto rilevante, il reclutamento, non fa che peggiorare l’esistente. L’idoneità, come insegna l’esperienza di mezzo secolo, non verrà negata ad alcuno; la selezione verrà demandata alle scelte locali, ricostituendo  - in pratica – una situazione che sembrava superata, quella dei vituperati  “concorsi locali”. Così, anche qui si potrà esplicare nella forma più brutale il potere delle nomenklature che reggono gli atenei.

 

La protesta contro il ddl Gelmini si fa' sentire. Solamente di oggi (fino alle 13:42) vi sono 74 news flash che riguardano le manifestazioni in tutta italia, consultabili qui. Riporto qualche flash sotto... spero che non andranno a dire che solo 1% degli studenti protesta o che questa riforma "la vogliono gli italiani"....

(Aggiornato alle 13:42 del 30 novembre 2010)

13:42 Padova, bloccata la stazione
13:38 Bologna, manifestanti lasciano autostrada
13:31 Montecitorio, ortaggi, uova e bottiglie contro polizia
13:27 Milano, chiuse e riaperte tre stazioni metro
13:26 Roma, studenti al Pantheon con caschi e sciarpe
13:18 Genova, occupata Sopraelevata
13:12 Vendola: "Gelmini annuncia un miliardo, ma fondi 2010 dove sono?"
13:08 Catania, bloccata per un'ora la stazione
13:05 Trieste, occupati binari della stazione
13:04 Milano, ricercatori sul tetto della Bicocca. Occupata stazione Greco
13:01 Roma, studenti di nuovo verso Montecitorio
12:58 Bologna, trenta chili di letame davanti a sede Pdl
12:56 Cagliari, corteo blocca il traffico
12:53 Studenti a piazza Venezia: "Siamo tutti nipoti di Mubarak"
12:51 Bologna, occupata A14
12:47 Palermo, chiusi i varchi al porto
12:44 Campobasso, occupata facoltà di Agraria
12:41 Occupata autostrada Salerno-Reggio Calabria
12:35 Sacconi: "Studenti pensino a studiare"
12:34 Bari, occupato il Petruzzelli
12:26 Bologna, studenti occupano ingresso autostrada
12:25 Governo battuto su emendamento Fli
12:22 Napoli, uova e immondizia contro portone Unione degli industriali
12:19 Studenti lasciano Montecitorio e vanno verso Piazza Venezia
12:18 Diliberto: "Blindare Roma è offesa e provocazione"
12:16 Milano, tensione tra forze dell'ordine e studenti
12:14 Teramo, studenti occupano radio Ateneo
12:11 Milano, studenti tentano blitz al Comune
12:08 Palermo, tensione tra automobilisti e manifestanti
12:06 Di Pietro: "Gelmini è dama salva-baroni"
11:58 Pisa, traffico in tilt. Studenti verso stazione
11:55 Chiti: "Gelmini avrebbe dovuto ascoltare i rettori"
11:53 Studenti occupano scalinata San Pietro in vincoli
11:48 Brevi scontri a Genova
11:46 Roma, studenti su Campidoglio: "Via la polizia"
11:44 Camera, passa emendamento anti parentopoli
11:43 Napoli, in testa a corteo striscione per Monicelli
11:38 Udine: "Atenei come Pompei"

 

 

Ho appena inviato al Corriere della Sera una lettera di commento al fondo di oggi sulla riforma Gelmini firmato da Giavazzi. So, per esperienza, che le lettere che criticano uno scritto di un commentatore non sono pubblicate se non c'è l'autorizzazione del commentatore criticato. Perciò trascrivo la lettera qui di seguito.

 

L'appassionata difesa del DDL Gelmini da parte del prof. Giavazzi (Corriere 30 novembre) merita qualche commento. Ha ragione Giavazzi quando afferma che se sarà confermato per i prossimi anni un finanziamento equivalente a quello del 2010, i costi non indifferenti del DDL potranno essere affrontati (sfruttando i pensionamenti). Tuttavia le università saranno costrette a spendere male la loro dotazione ed il Ministero sarà costretto a distribuire male i fondi tra le diverse sedi. I fondi disponibili infatti saranno spesi per promuovere a professore associato tra 15.000 e 20.000 ricercatori di ruolo, e saranno spesi, quindi, per le sedi e le facoltà dove ci sono più ricercatori. La legge prevede infatti una "abilitazione nazionale" alle funzioni di professore associato che sarà meritatamente conseguita da almeno 15.000 ricercatori, non essendo previsto nessuno incentivo per le commissioni ad essere men che generose. I ricercatori abilitati faranno pressione nelle loro sedi per essere promossi ad un ruolo per il quale risultano abilitati da una commissione nazionale e del quale già svolgono attualmente le funzioni. Sarà impossibile per le €sedi resistere a queste pressioni, ed impossibile per il Ministero riallocare i fondi risparmiati con i pensionamenti per tener conto degli attuali forti squilibri nella distribuzione del personale. Nella sostanza questi squilibri saranno peggiorati. Molto meno costosi sarebbero i pochi cambiamenti nello stato giuridico dei ricercatori necessari per adeguarlo ai compiti effettivamente svolti dai ricercatori. I fondi recuperati dai pensionamenti potrebbero allora essere spesi per reclutare giovani dove esistono effettive esigenze didattiche, tenuto conto che recenti cambiamenti nella formazione dei concorsi a ricercatore (cambiamenti promossi proprio dal prof. Giavazzi) hanno reso questi posti accessibili anche a persone esterne all'ambiente scientifico della sede che bandisce il concorso. E' ben strana l'opinione secondo la quale se si aboliscono i concorsi le scelte "in sede" delle persone da assumere eviteranno il localismo che affligge il sistema universitario italiano. Abbiamo già l'esperienza del comportamento del "membro interno" delle commissioni di concorso. Non si capisce perché una commissione formata esclusivamente da "membri interni" dovrebbe comportarsi meglio.

Infine il Ministro già dispone (dal 1994) del potere di distribuire il Fondo di Finanziamento Ordinario secondo criteri "di merito". Non c'è bisogno di confermare questo potere con una nuova disposizione di legge, che a causa del suo ingente costo, finirà invece per diminuire la disponibilità di fondi che possono essere distribuiti con criteri di "merito". Persino l'autonomia finanziaria delle facoltà di medicina, auspicata da Giavazzi, è possibile nell'attuale cornice legislativa, promuovendo ad esempio "fondazioni" sul modello della "Fondazione Policlinico di Tor Vergata", che possano evitare il trasferimento ad altre facoltà dei costi delle facoltà di medicina (che, invece, per i loro servizi sanitari di alta qualificazione dovrebbero assicurare addirittura profitti alle sedi universitarie come spesso avviene negli Stati Uniti).

 

AFT

 

 

Sandro, condivido.

L'articolo di Francesco sul Corriere di oggi è francamente umiliante. Per la sua intelligenza, intendo. Molto più on the point Roberto Perotti sul sole. Temo proprio che FG, avendo deciso quasi tre anni fa di scommettere su MSG, Schiesari e, soprattutto, questo Rocca che è il convitato di pietra dell'intero DDL, abbia deciso che deve comunque difendere questa cosa anche se ciò che il parlamento sta partorendo è un aborto di riforma ...

Se non dispiace ti cito (ho anche cambiato le tue fonts, che rendevano la lettera invisibile all'occhio umano ... usare il bottoncino HTML, professò! :-))

Dal Sole 24 ore...

 

Poco dopo solo i no e le astensioni di diversi deputati del Pd, che si sono spaccati, hanno evitato che il governo venisse battuto per la seconda volta su un emendamento dell'Api, che ha raccolto il sostegno anche di Futuro e libertà. Il testo, proposto da Marco Calgaro e Bruno Tabacci, mirava a a finanziare contratti di ricercatore a tempo indeterminato ricorrendo ai fondi per il finanziamento pubblico ai partiti.

 

..siamo alle solite. Non ho idea se l'emendamento fosse buono o cattivo (devo ammettere che ormai non ci capisco più niente), ma è chiaro che l'aver toccato il finanziamento ai partiti ha fatto scattare un dissenso bipartisan.

Considerando che i finanziamenti ai partiti in Italia sono esorbitanti l'emendamento era evidentemente positivo.

Mi permetto di allegare anche un bel "bravi coglioni" ai deputati PD... Tra qualche mese probabilmente si vota e questi geni non perdono occasione per perdere potenziali consensi... Patetici.

Seguo con interesse i dibattiti su noisefromamerika e ultimamente mi sono soffermato a lungo a riflettere sulle opinioni espresse in questo sito (e, da alcuni di voi, sulla stampa) in merito alla riforma universitaria.

Credo sia irrituale per questo sito, ma vi pongo una questione personale, anche se penso abbia ampie connessione con il dibattito generale sullo stato dell'università italiana.

La questione, senza farla troppo lunga, è la seguente: faccio il ricercatore (confermato, quindi con tanto di contratto sine die) ma da alcuni anni pubblico poco o niente. Sto lavorando ad alcuni progetti, probabilmente interessanti, ma promettenti da troppo tempo. In buona sostanza, secondo criteri meritocratici sono, professionalmente parlando, un mediocre. Intendiamoci, faccio con coscienze, e credo discretamente bene, didattica (circa 130 ore l'anno); prendo seriamente anche l'attività di ricerca, ma sto girando a vuoto da troppo (tralascio, perché non rilevanti qui, le mille interpretazioni possibili sul motivo per cui sono giunto a una situazione di stallo).

Ora, accade che io sia d'accordo con la necessità che ci siano meccanismi che premino i migliori e, da quanto capisco, la riforma Gelmini approvata ieri alla Camera non va propriamente in questa direzione. Probabilmente, in futuro potrei far parte dell'ampia schiera dei beneficiati dall'ope legis, senza essere il più impresentabile.

Ma, per come vedo le cose, non mi pare giusto.  

Ad oggi, quindi, ho due alternative:

1) Mi dimetto (un buon lavoro lo posso trovare piuttosto rapidamente. Avrebbe ovviamente un costo elevato, per me, lasciare l'università); creerei qualche difficoltà alla Facoltà per la copertura dei miei insegnamenti (non ci sono altri nel mio raggruppamento disciplinare), ma per queste cose non è mai morto nessuno...;

2) Continuo a provarci (con la ricerca intendo), "sperando" che prima o poi qualche risultato arrivi, che lo stallo passi. Bastano gli attestati di stima di alcuni colleghi o sapere che c'è "di peggio"? E' serio? Lo dubito fortemente.

La terza alternativa, mi pare al momento non ci sia: ossia la presenza di una quota di personale impegnata prevalentemente nella didattica.

In sintesi, la meritocrazia, come ha scritto Boldrin sul Fatto tempo fa, ha un costo, ossia stanare i mediocri. Eccomi qui: che fare?

 

 

La proposta piu' sensata che ho letto negli ultimi tempi e' questa.

Penso inoltre che il grado di successo di una qualsiasi riforma dipende anche da quanto riesce a valorizzare il proprio personale.

Se posso rispondere, devi decidere tu. In fondo il posto di Ricercatore non è poi così male. E' sicuro,  pagato discretamente (un RUC alla fine della carriera arriva a 2700-2800 netti, che non sono poi così male) offre una libertà notevole (senza cartellino, senza una gerarchia ufficiale etc. Non so se puoi trovare di meglio nel privato.  Ma sei così sicuro di essere un mediocre in rapporto alla media dei tuoi colleghi italiani (non a quelli di Harvard)?

Più in generale, credo che tutti i "riformatori" siano d'accordo sulla possibilità di diversificare le università ed i compiti all'interno di esse - fra professori più impegnati nella didattica, nell'amministrazione e nella ricerca.  Servono molto anche le prime due categorie. Nulla vieta di pagarle anche bene e di dare loro un potere notevole (un buon direttore di Dipartimento è utilissimo anche se non produce papers geniali). Solo che le scelte di promzione dovrebbero essere esplicite e guidate dalla logica della competizione fra atenei per migliorarsi, non dal caso (c'erano dei soldi e abbiamo promosso X che ci sta simpatico) o dai meccanismi baronali (il mio allievo deve fare carriera perchè io sono il barone) o dalla logica pan-sidacalista (tutti devono fare carriera e diventare ordinari).

Non la conosco e per questo mi sento di dirle il punto 1.

Ha un costo enorme mi rendo perfettamente conto, ma perché rimanere nel mediocre tutta una vita?

Ci ha provato ed è andata male, la vita è una sola, provi da un'altra parte che poi sono le vacanze al mare con la famiglia quelle che contano! (e si sa che costano)

In ogni caso buona fortuna.

Hey che abbiamo qui? Un ricercatore con una morale! Se ti vede Giavazzi gli viene un colpo...

Io la penso così. Ogni sistema universitario del mondo ha avuto una transizione da un sistema con dei clientelismi a uno più razionale in cui viene premiato il merito. In Italia siamo in attesa di questa transizione... forse con questa riforma la vedremo cominciare? Dubito molto, ma come diceva un Guglielmo, ci sono più cose in terra e in cielo di quante possiamo immaginare.

Quindi la figura del ricercatore che non sfonda ma non si può licenziare la si è vista ovunque nel mondo. Che fine hanno fatto? Semplicemente non hanno fatto carriera, sono rimasti ricercatori a vita (o l'equivalente).

Io al posto tuo farei così: eviterei di tramacciare per avere una promozione e lascerei agli altri giudicare se me la merito. Se arriva, bene. Se non arriva, forse non ero all'altezza, o forse non ero abbastanza ammanicato. Ma il sistema non l'hai creato tu, non l'ho creato io! E la responsabilità delle scelte gestionali (tipo, cosa facciamo dei ricercatori che no sfondano) non è mia, non è tua. C'è gente pagata per risolvere questi problemi, non farò io questo lavoro per loro, non gratis comunque.

Io al posto tuo farei così? Più di preciso, io al posto tuo STO facendo così. In bocca al lupo, secondo me le cose più importanti sono le gite con la famiglia e la coscienza pulita. Licenziati solo se puoi vivere di rendita!

Il problema tutto italiano è che un ricercatore mediocre (anche se il concetto di mediocrità è relativo) non ha molti sbocchi lavorativi.

Se sei uno che ha passato 3 anni a fare ricerca economica, è difficile che tu possa trovare un lavoro in cui applicare le tue conoscenze. Conosco bene il settore della consulenza economica (Concorrenza, Regolazione etc etc.), è un settore in espansione e sarebbe uno sbocco naturale per chi ha una preparazione post-graduate in economics. Il problema è che in Italia nessuna delle socità del settore oserebbe mai aprire un ufficio (troppo rischio e approccio troppo orientato sul legale) mentre in Inghilterra, Spagna e Francia il mercato tira molto.

Molto han già detto gli altri commenti in risposta, ma due cose o tre vorrei aggiungere.

Anzitutto, mai confondere i problemi sistemici con quelli individuali. Per la medesima ragione per cui non è il caso di suicidarsi donando tutto ciò che si possiede e guadagna ai celebri bambini del Biafra, nemmeno è il caso di licenziarsi solo perché il sistema universitario italiano è organizzato male. Cosa fare è una scelta tua, dipende dalle alternative e, anzitutto, da ciò che ti appassiona ed interessa.

In secondo luogo è perfettamente possibile tu sia uno bravissimo. Se il sistema italiano fosse basato sulla concorrenza fra università e dipartimenti sarebbero i tuoi colleghi più senior, motivati a migliorare la qualità del dipartimento, a decidere sulla base dell'info a loro disposizione (parleranno con te, andrai a seminari, eccetera) se vali o meno. Senza far nomi, conosco molte persone che scrivono poco ma sono altamente considerate dai loro colleghi. Magari non sono famose nel mondo come altre che scrivono un paper al mese, ma chi le conosce sa cosa valgono. In un sistema decentrato e di mercato, come quello americano, queste persone vengono apprezzate e trovano il loro posto ed il loro dipartimento e le loro soddisfazioni ed anche il loro ben lauto stipendio. Una ragione, fra le tante, per cui la follia del tutti uguale, valutazioni pubbliche, concorsi, classifiche, conte di pubblicazioni ed impact factors e troiate del genere fa solo male all'università ed alla ricerca.

In terzo luogo, magari non sei Lord Kahn (uno morto, quindi menzionabile, che scriveva pochissimo ma che gli economisti di Cambridge (UK) tenevano in high esteem per i suoi commenti, critiche, eccetera) ma sei uno scienziato decente ed un ottimo insegnante. In un sistema libero, stile USA, diventi un lecturer o un senior lecturer o vai in un liberal arts college. E ti passi la vita facendo quella poca ricerca che ti va di fare, pubblicando ogni tanto, divertendoti comunque ad insegnare ad alto livello e, se hai fortuna, a studenti motivati. Guadagnando, ad occhio e croce, ciò che Giovanni calcola un ricercatore confermato guadagni in Italia con una certa anzianità. O anche di più.

Ecco, queste sono le ragioni "umane" ed "esistenziali", se così vogliamo chiamarle, per cui la concorrenza, che i sistemi aperti e liberi inducono, fa bene alla gente e che i sistemi chiusi, burocratici e formalmente meritocratici invece non possono replicare. Anzi, come mostri tu, pongono la gente per bene in situazioni addirittura di conflitto morale. Avevo proprio scritto, credo, in quel articolo su Il Fatto che la concorrenza è molto più "buona" ed "umana" della meritocrazia. Tu me lo confermi.

La tua situazione assomiglia molto a quella in cui mi sono trovato io qualche anno fa. Per questo, mi permetto di darti un (unico) consiglio diretto e mostrarti un esempio. Il consiglio e`: agisci. Da una situazione di stallo si esce in un unico modo: facendo qualcosa. Cosa fare puoi deciderlo solo tu, se continuare come ricercatore o dedicarti alla didattica o cambiare mestiere. Se non lo decidi tu, qualcun altro lo fara`per te e l'esito finale sara` pessimo. Se decidi di continuare a fare ricerca,  un piccolo segreto (che nel mio caso ha funzionato) e` questo: scegli le persone non gli argomenti, gente di qualita` che faccia cose che ti sembrano interessanti, ed inventati un modo per lavorarci insieme (qualcosa saprai pur fare, immagino). E tieni sempre presente questo esempio. Su wiki non c'e' tutta la storia, la trovi qui. Pur dimostrando talento fin da piccolo, questo signore a 35 anni aveva pubblicato un solo paper, e neppure troppo interessante. Dopodiche`, con John von Neumann, Alan Turing, Leslie Fox, e qualcun altro ha inventato l'informatica.

In attesa del testo completo, emendato e licenziato dalla Camera , c’è qualche paradosso di contorno alla riforma Gelmini che merita di essere richiamato.

 

Le proteste degli studenti. Diffusissime, forti, talora con accenni di sommossa e comunque sempre con grande passione. Riflettendo con un amico su queste proteste (in particolare su un telegiornale Rai3 che con solennità mandava immagini della protesta senza illustrazione o commento e quando poi si inseriva il giornalista nessuna chiarezza in più su quelle immagini si aggiungeva), ci è venuta spontanea una domanda: ma per cosa sono scesi in piazza migliaia di studenti? Qual è il legame tra questa agitazione e la riforma Gelmini? In realtà nessuno ce lo ha fatto capire, a iniziare dagli studenti. E nessun giornalista ha anche solo tentato una spiegazione. Per nostro conto, non abbiamo trovato risposte, e la situazione ci è sembrata alquanto paradossale. Tanto più paradossale, aggiungo  io, se la si confronta con l’assenza di reazioni al 3+2 e alle sue applicazioni, valutati molto male dalle centinaia di studenti che ho avuto modo di incontrare.

 

L’opposizione del PD. La fiera opposizione del PD alla riforma, con finale ascesa sui tetti, ha anch’essa del paradossale. Non aveva il PD elaborato un progetto di riforma del tutto analogo al progetto Gelmini?

 

Il presidente di Confindustria. Il Sole di oggi informa : “..la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha rivolto ieri un nuovo appello per varare al più presto la riforma”. Ella in effetti, in tante occasioni, ha pressato il Governo perché chiudesse sulla riforma. Anche qui c’è un aspetto paradossale.  Io non ho mai letto critiche prese di posizione della Presidente Marcegaglia sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Non escludo che mi sia sfuggito qualcosa. Se così fosse, rimarrebbe indubitabilmente il fatto che la riforma Gelmini è stata molto più presente nelle sue dichiarazioni dell’art. 18. Né peraltro ho mai letto dichiarazioni della Presidente sulle professionalità richieste dall’industria e non soddisfatte dal nostro sistema formativo. Di nuovo, se mi è sfuggito qualcosa, non si tratta comunque di cavalli di battaglia della Presidente. Al di della propensione, così diffusa, a far qualcosa di diverso dal proprio lavoro, non è paradossale tutto questo? Per quanto riguarda poi le convinzioni della presidente Marcegaglia, non stupiscono affatto: in fondo la conoscenza di come ha funzionato e funziona l’università pubblica italiana è sicuramente piuttosto limitata anche in chi ha partorito il progetto.

Io con gli studenti ci ho parlato, anche in assemblea.

Penso che il timore di fondo sia quello di andare verso un sistema dove le rette sono piu' alte, dove non ci sono piu' borse di studio per merito ma prestiti d'onore. In poche parole un sistema simile (almeno nella struttura) a quello USA ma con le condizioni al contorno italiane.

Certo: ci sono molti studenti che contestano in maniera estremamente ideologica (si lamentano della "privatizzazione del sapere" quando in realta' il rischio piu' immediato e' la lottizzazione politica dei CdA), e questo e' un punto di debolezza della protesta.

Modi e tempi di questa riforma fanno inoltre sospettare che ci sia della malafede da parte del Governo; sospetto che cresce quando sentiamo Maria Stella Gelmini che, come un disco rotto, ripete la solita favola degli sprechi accertati (mi dicono che ieri sera a porta-a-porta ha riesumato l'asino dell'Amiata).

Il sospetto arriva all'apice quando sentiamo che il Ministro, dopo essersi stracciata le vesti per la proliferazione degli atenei, ora apre la porta al riconoscimento degli atenei telematici.

Insomma, i paraddossi sono molti, e non tutti di contorno: non capisco quale sia il vantaggio di approvare un DDL che sulle parti che dovrebbero essere qualificanti (merito, valutazione) e' desolantemente vuoto. A me sembra tutto un grande imbroglio, anche se non riesco a trovare una risposta convincente alla domanda: cui prodest?

In questa Italia siamo tutti allenatori di calcio e tutti vogliamo dire la nostra in settori che non conosciamo.... Confindustria  e studenti. Non sarà che "La riforma Gelmini come la Protezione civile SpA" ha solleticato e spazientito tutti, sopratutto gli studenti che saranno gli utenti prossimi venturi e che a forza di dire cose palesemente e grossolanamente fasulle s'è persa ogni stima?

Consiglio di leggere questa lettera di una studentessa rivolta a SB che spiega una parte della protesta degli studenti.

 

Le proteste degli studenti.

 

Io ho provato a chiedere un po' in giro ed ho ricavato qualche informazione dalle varie email che ho ricevuto e dai discorsi che ho sentito. In generale gli studenti protestano contro i "tagli" (che ci siano stati o meno) alle spese per l'Universita', senza sapere esattamente in cosa consistano e dove vadano a colpire. Alcuni parlano di 8 miliardi di euro di tagli alle universita'.Altri ce l'hanno con la "privatizzazione" dell'universita' che questa riforma comporterebbe.

Ho assistito alla manifestazione di ieri in centro a Bologna e non e' che i manifestanti mi siano sembrati degli studenti, ma le solite "facce da corteo". Un passante sconosciuto mi ha guardato e letta un'espressione di disgusto sulla mia faccia mi ha detto "studenti? Di quelli li' non ce ne e' uno che sappia cos'e' un congiuntivo".

Ho provato a chiedere agli studenti che conosco perche' non protestano perche' i corsi universitari non li preparano al lavoro, per cui prima di essere produttivi per chi li assume passano alcuni mesi, se non anni e sono quindi pagati una miseria perche' sono un costo molto alto (oltre a non produrre, necessitano di un addestramento, che implica spostare qualcuno che gia' produce ad insegnargli per qualche mese) e non si ripagano se non nel lungo periodo (ma spesso, una volta imparato a lavorare, cambiano azienda/studio, magari portandosi via dei clienti). A quanto ho capito pochissimi studenti si rendono conto di quanto gli costa l'investimento in universita' e del tempo che impiegano in seguito a imparare a lavorare e non hanno idea di quello che troveranno fuori dalle facolta', per cui non sono in grao di giudicare la qualita' e l'utilita' dell'istruzione ricevono.

Se si prova a dire ai docenti che stiamo formando dei disoccupati e che bisogna cambiare la preparazione degli studenti, anche da colleghi giovani mi sento rispondere "ma i miei studenti trovano lavoro subito". Il che puo' anche essere vero, ma con paghe da miseria.

Il clou l'ho raggiunto quando mi e' stato risposto da un altro docente con cui mi lamentavo della preparazione che forniamo agli studenti: "come non si trova lavoro nel mio settore, l'anno scorso uno dei miei studenti e' stato assunto da una importante compagnia". Uno. Allora siamo tranquilli che stiamo lavorando bene, continuiamo cosi', che non ci sono problemi.

Altra obiezione che mi sento fare e' che in nostri studenti che vanno nelle universita' estere primeggiano, senza tenere conto che chi va all'estero ha motivazioni molto forti, per cui primeggia non grazie all'istruzione ricevuta ,ma perche' ha voglia di sbattersi piu' degli altri.

Infine una nota di malinconia: un amico che lavora in Svizzera mi ha chiesto uno stagista che parlasse tedesco. Non l'ho trovato. Ma nell'occasione ho saputo che uno studente stagista che fa 6 mesi presso la sua compagnia riceve l'equivalente di 18.000 euro (che sono un pacco di soldi anche in Svizzera). Perche' lavora ed e' produttivo da subito. Mi spiace solo che io non parlo tedesco, senno' ero gia' la'.

Ci sono in giro dei corsi accelerati di tedesco che siano validi?


Mi sembra ovvio che la legge Gelmini sia il detonatore per una protesta più generale, contro il governo, la politica dei tagli (solo annunciati peraltro), la crisi etc.  E non solo fra gli studenti. D'altra parte è sempre stato così nella storia, dalla rivoluzione USA al Sessantotto (si parva licet).  Piuttosto mi sembra che le continue dichiarazione della Marcegaglia siano mediaticamente disastrose, in quanto rafforzano l'idea che la legge sia stata scritta sotto dettatura della Confindustria e per gli esclusivi interessi degli industriali (quali industriali e quali interessi non si è capito)

 

 

Altra obiezione che mi sento fare e' che in nostri studenti che vanno nelle universita' estere primeggiano, senza tenere conto che chi va all'estero ha motivazioni molto forti, per cui primeggia non grazie all'istruzione ricevuta ,ma perche' ha voglia di sbattersi piu' degli altri.

 

Questo e' uno dei tanti falsi miti che circolano in Italia.  Gli italiani vanno all'estero come numero e competono all'estero come qualita' come i giovani degli altri Stati, non c'e' nessuna eccellenza italiana nelle statistiche sul "brain drain" cioe' giovani qualificati che vanno all'estero.  Cio' che caratterizza l' Italia, ovviamente in negativo, e' che a fronte di un numero di italiani qualificati che va all'estero, mentre nei Paesi avanzati arriva in cambio dall'estero un numero paragonabile di giovani qualificati dal resto del mondo, in Italia non arriva praticamente nessun giovane qualificato dal resto del mondo, per la chiusura corporativa di universita' e ricerca (salvo poche eccezioni), e per la mediocrita' e il piccolo numero delle imprese private, particolarmente quelle grandi rispetto agli altri Paesi.

pochissimi studenti si rendono conto di quanto gli costa l'investimento in universita' e del tempo che impiegano in seguito a imparare a lavorare e non hanno idea di quello che troveranno fuori dalle facolta', per cui non sono in grao di giudicare la qualita' e l'utilita' dell'istruzione ricevono

Concordo: anche nella miaesperienza di insegnare ad Ingegneria Gestionale a Pd-Vi ho notato e toccato con mano i guasti di una gestione autocratica (insita nel dna dell'università italiana) dei curricula, che distacca dalla formazione per il lavoro. Persino qui dove il lavoro te lo danno subito.

Ma già sin dal momento della laurea, ho trovato che gli studenti (O una loro elite?) sapevano abbastanza bene perche' i 2\3 dei corsi eran da gettare o mal impostati, e cosa invece mancava loro (TUTTE le discipline non ingegneristiche, e molte applicative). Un sistema non-autocratico e cogestionale potrebbe porre i già laureati come RAPPRESENTANTI DELLA DOMANDA.


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Se le conferme realistiche sono 80% il rapporto prof/ric diventa 35yn / 8n = 35/8 * 80% = 3.5 mentre il valore attuale è circa 2. Questa riforma aumenta i professori e diminuisce i ricercatori, la piramide rovesciata.

 

Negli USA in media funziona proprio cosi', gli assistant e anche gli associate sono meno dei full professor, piu' o meno in rapporto al numero di anni medio di permanenza nel ruolo.  La riforma va nella direzione corretta secondo me, ma non e' chiaro ancora quale sara' il rapporto dei confermati ad associato.

In ogni caso questi sono piu' dettagli formali che altro, cio' di cui ci sarebbe bisogno veramente e' concorsi e progressioni meritocratiche, valutazione stringente e con conseguenze economiche sui risultati dei Dipartimenti, insomma incentivi reali a far bene, e se possibile bastonate a chi promuove familiari e portaborse servizievoli ma incapaci.

Per quanto riguarda la spesa totale, si puo' mantenerla costante diminuendo il numero totale di assunti, tenendo anche conto che la maggior parte di essi avra' obblighi didattici per un numero maggiore di anni rispetto ad oggi (e mi pare anche al livello di ricercatore) mentre ora i ricercatori non hanno alcun obbligo di insegnare.  Va tenuto anche presente che non ci sara' automatismo come in passato sugli scatti stipendiali e il disegno di legge delega prelude ad una revisione della scala stipendiale, che in Italia e' particolarmente ripida sia tra un ruolo e l'altro e sia per la componente di anzianita'.

Ho letto l'articolo di Michele sul fatto insieme ad alcuni commenti. Il lettore medio del fatto quotidiano è un misto tra Vendola e Beppe Grillo.

Si può trovare l'articolo da qualche parte online? stando all'estero non riesco a comprare il fatto

Una ipotesi che non riesco a valutare.

che effetto avrebbe la celebrata eliminazione del valore legale dei titoli (lauree, dottorati, etc.)?

dur articoli di oggi la presentano come toccasana (ad esempio su "espresso")

Quasi nullo. Mi spiego.

 Per il pubblico: l'eliminazione del valore legale non andrebbe a modificare la disciplina dell'ammissione ai singoli concorsi (non ho dati, a naso direi che e' nel pubblico che si riversa una buona parte dei laureati italiani). 

 

Nel privato:  la situazione rimarrebbe tale e quale.

E' molto probabile che un  datore di lavoro attento  sia aggiornato  sui programmi e quindi sia ben capace di  discernere un beota da uno in gamba senza che lo Stato debba stare li' a puntare il dito. Senza dimenticare l'eventuale colloquio.

Orpo se avrebbe conseguenze: gli esami di ammissione per titoli vedono assegnare lo stesso punteggio a votazioni prese in universita' a cui cirrspondono livelli di preparazione ben differenti.

Non varebbe iu' la pena i trasferirsi presso universita' dal voto alto facile (mentre oggi ne vale pienamente la pena, se uno vuole andare a lavorare nel pubblico).

Sarebbero piu' pesanti i concorsi, piu' approfonditi.

Nel privato gia ora una laurea presa al politecnico di Torino ha un peso diverso di quella presa alluniversita' Kore di Enna. SI sancirebbe ufficialmente questa differenza, in  modo da premiare le universita' che insegnano qualcosa e punendo i laureufici, esattamente il contrario di quanto sta accadendo ora.

 

 

SI sancirebbe ufficialmente questa differenza, in  modo da premiare le universita' che insegnano qualcosa e punendo i laureufici, esattamente il contrario di quanto sta accadendo ora.

 

Quote

No e ti spiego perche'.

Orpo se avrebbe conseguenze: gli esami di ammissione per titoli vedono assegnare lo stesso punteggio a votazioni prese in universita' a cui cirrspondono livelli di preparazione ben differenti.

Non varebbe iu' la pena i trasferirsi presso universita' dal voto alto facile (mentre oggi ne vale pienamente la pena, se uno vuole andare a lavorare nel pubblico).

Sarebbero piu' pesanti i concorsi, piu' approfonditi.

 

 

Si tratta di un problema legale. Palma parla di  "eliminazione del valore legale" e non di "modifica delle procedure concorsuali".


Il primo intervento  potrebbe anche non presentare problemi da un punto di vista giuridico,  una Legge Ordinaria e via. Il secondo desterebbe non pochi problemi, in primis non credo ci si riesca con una sola legge, in secundis  la non irrilevante questione della legittimita' costituzionale di una tale norma. 

Chi si trasferisce in un'universita' facile con l'intenzione di entrare nel settore pubblico lo fa anche per risparmiare tempo, il concorso "stuorto o muorto" come si dice a Napoli, lo dovra' sostenere. Per fare l'uditore giudiziario ad esempio non occorre neanche una votazione minima, la situazione puo' ovviamente variare.

In conclusione:  in assenza di una revisione completa del sistema, con la sola eliminazione del valore legale  del titolo non ci fai tanto.

 

Nel privato gia ora una laurea presa al politecnico di Torino ha un peso diverso di quella presa alluniversita' Kore di Enna. SI sancirebbe ufficialmente questa differenza, in  modo da premiare le universita' che insegnano qualcosa e punendo i laureufici, esattamente il contrario di quanto sta accadendo ora.

 

Il tuo " sancire ufficialmente la differenza" e' una ridondanza. Io parlo di effetti, Palma (un omonimo :P) che vuole un ingegnere "azzuto" avra' molte probabilita' di   trovarlo a Milano o a Torino, idem con Napoli, Statale, Roma o  Padova  laddove avesse bisogno di  un avvocato (stroking e-penises).

Palma, volgarmente parlando, se ne sbattera' del dato ufficiale, non gli serve, compie le proprie scelte gia' adesso senza dover ricorrere alla classifica ufficiale per giunta  proveniente  da uno Stato ipocrita come il nostro, considerando  poi l'inverosimiglianza dell' ipotesi, una hall of fame di tal genere richiederebbe una dose di autocritica  ben rara in Italia.

Ferma restando  la necessita' di una valutazione avente ad oggetto il merito individuale piuttosto che la provenienza dell'esaminato, i colloqui servono a questo. Meglio mettersi gli occhialetti speciali e giudicare la gente per le medagliette e le mostrine che porta altrimenti.

 

insaziabilita' e' un gran romanzo di un filosofo-pittore-logico e "mattarello"  (Nienasycenie  di Stanislaw_Ignacy_Witkiewicz)

In esso si narrano grandi storie di come si ottenga sottomissione tramite una pillola del murti-bing -- legger per credere.

come mai il Prof. Frati figlio non si vergogna, magari sia per se stesso che per  il prof. Frati padre, o la prof. Frati madre?

di certo la facolta' di medicina ha la ricetta del murti bing-

 

Gentile prof. Palma,

Dal suo punto interrogativo deduco che lei non ha mai incontrato il prof. Luigi Frati. 

ipse dixit

 

Se riuscirà a portarla a casa sarà una riforma che farà entrare il ministro Gelmini nella storia dei ministri più coraggiosi del nostro paese
QUI

Sul Corriere della Sera di ieri 22 dicembre appare un articolo di Francesco Giavazzi che contiene il seguente passo:

"Anche aver trasformato le università telematiche in normali università private non è necessariamente uno scandalo. L'open university inglese è un'istituzione seria ed utile. Le nostre telematiche sono per lo più delle truffe: promuovere un insegnamento a distanza qualificato sarà uno dei compiti della valutazione"

In effetti una valutazione delle università telematiche c'è già stata. E' contenuta nel Decimo rapporto sullo Stato del Sistema Universitario redatto dall'attuale organismo di valutazione delle università e cioè il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario e disponibile in rete (www.cnvsu.it)  dal dicembre 2009. La Parte IV del rapporto, da pag.139 a pag. 147 è dedicata alle università telematiche. Il titolo di questa parte è appunto "Focus sulle università telematiche". Le conclusioni raggiunte da questa valutazione sono vicine a quelle di Francesco Giavazzi anche se non si parla esplicitamente di truffe. Il risultato della valutazione è stato però l'inserimento delle università telematiche tra le università non statali che godono di un finanziamento statale (in virtù di una leggina dei primi anni novanta appoggiata da tutti i partiti. Votò contro se ben mi ricordo solo il sen. Edoardo Vesentini della sinistra indipendente).  C'è ragione di ritenere che conclusioni analoghe eventualmente raggiunte dalla fantomatica ANVUR avrebbero conseguenze diverse? Vorrei ricordare che per quanto autonoma possa essere lo ANVUR è il ministro alla fine che dispone i finanziamenti.