Non e' un paese per ricercatori

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La Newsletter di dicembre 2012 dello European Research Council (ERC) fornisce dati utili per confrontare la performance delle "eccellenze" accademiche all'interno dell'Unione Europea. L'Italia, manco a dirlo, non fa una bella figura. Anzi fa una doppia brutta figura.

L'ERC e' una istituzione comunitaria che eroga finanziamenti consistenti (intorno a 2 milioni di euro a progetto) in tutti i campi del sapere sulla base di criteri rigorosamente meritocratici: ciascun progetto viene rivisto da molti referees (tra 5 e 7), su due turni di valutazione e le procedure sono gestite da commissioni formate da accademici con curricula di altissimo livello e reclutati in tutto il mondo.

A pagina 3 della Newsletter compare questa figura.

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La figura rivela che dei circa 3000 finanziamenti concessi a partire dal 2007, un totale di 190 (il 6% circa) sono stati allocati a ricercatori attivi presso istituzioni italiane, nelle discipline delle scienze naturali, fisiche, sociali e umanistiche. Questo valore e' poco sopra quello spagnolo (un paese un po' piu' piccolo), e poco sotto quello di Svizzera e Olanda (due paesi molto, molto piu' piccoli). Il numero dei progetti allocati in Germania (un paese la cui popolazione e' molto meno del doppio di quella italiana) e' il doppio del nostro, cosi come in Francia (circa 410). Oltre il triplo dei progetti giunti in Italia sono stati allocati nel Regno Unito (quasi 700). Questi numeri forniscono un quadro comparativo sulla performance delle eccellenze. Questa e' la prima brutta figura. E' vero che questo indicatore non dice nulla, di per se', sulla qualita' media dei ricercatori, ma considerato il modo in cui funziona la ricerca scientifica sarebbe sorprendente se la performance delle eccellenze non fosse positivamente correlata a quella del resto dei ricercatori. 

La stessa Newsletter contiene, a pagina 11 un interessante focus sui ricercatori italiani. Sebbene il numeri di progetti proposti da ricercatori che lavorano in Italia e finanziati dal 2007 siano 190, i finanziamenti allocati a ricercatori di nazionalita' italiana sono 296: di questi, 170 sono arrivati a italiani che lavorano in Italia mentre 126 a italiani  che lavorano all'estero. Per contro, gli stranieri che hanno portato un finanziamento presso strutture italiane sono solo 20. Un conto e' presto fatto: dei 425 milioni di euro di finanziamenti vinti dai nostri connazionali, solamente 276 sono arrivati in Italia. Questa e' la seconda brutta figura.

Riassumendo, se i grant ERC sono un indicatore della qualita' della ricerca e delle strutture amministrative che la supportano,  allora l'universita' italiana produce poca ricerca eccellente, meno di Svizzera e Olanda, la meta'  di Germania e Francia. I ricercatori italiani fanno molto bene, ma oltre il 40%  degli assegnatari dei grant ne usufruisce in un altro paese. Cioe' molti nostri talenti se ne vanno (il che, per certi versi, e ' normale) senza che riusciamo ad attrarne da fuori (il che e' patologico).  

Chissa' se almeno questo dato puo' essere un punto di partenza condiviso per analizzare cause e pensare ai rimedi o se invece qualcuno lo riterra'  coerente con l'ipotesi che, tutto sommato, l'universita' italiana funziona decentemente.

Nota della redazione: l'autore del post e' modesto e non ha accennato al fatto che ha recentemente vinto un Advanced ERC grant. Congratulazioni a Francesco e in bocca al lupo per la sua ricerca.

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Commenti

Ci sono 21 commenti

Se non dai da mangiare ad un atleta, non meravigliarti se non corre. Chi può, sta fuggendo dall'Italia. Gli ultimi concorsi di I e II fascia sono stati banditi nel 2008. L'anno prossimo, si profila il dissesto economico di buona parte (metà?) degli atenei italiani (http://www.roars.it/online/2013-lanno-del-dissesto/). È probabile che molti degli italiani che hanno vinto i grant ERC siano stati formati dall'università italiana, ma che stiano fuggendo da un paese che da anni sta perseguendo la deliberata distruzione del suo sistema universitario (nFA ne sa qualcosa?). Verreste a spendete il vostro ERC in una nazione dove viene dato credito a Luigi Zingales?

 

 

Ci sono un miliardo e quattro di cinesi e un miliardo di indiani che vogliono vedere Roma, Firenze e Venezia. Noi dobbiamo prepararci a questo. L’Italia non ha un futuro nelle biotecnologie perché purtroppo le nostre università non sono al livello, però ha un futuro nel turismo

 

 

Sotto: Zingales dispensa le sue ricette.  Persino Briatore sembra allibito.

http://youtu.be/HUAFbAFYNBc?t=1h46m59s

L'italia NON da alcun credito a Luigi, infatti. La logica, la logica, De Nicolao. 

 

Solo quei fascistelli di Chicago lo fanno. Tutto si tiene allora.

De Nicolao! Piuttosto amara, mi sembra. Se l'Italia non riforma radicalmente (tra l'altro) l'Università nel senso che Zingales auspica, nessuno sarà interessato alle nostre biotecnologie mentre molti continueranno a interessarsi a Roma, che sarà anche molto meno cara. E' così difficile capirlo?

Mi dispiace Giuseppe, queste tecniche non fanno onore alle tua capacità. So bene della tua polarizzazione politica ma, nonostante questo, bisogna conservare quell'equilibrio di valutazione che è necessario per contribuire, tutti assieme, alla ripresa economica, sociale e etica del Paese.

Mi sono dovuto ascoltare buona parte della puntata di quel furbacchione (e immeritatamente molto ricco) di Santoro per capire il contesto dell'affermazione di Zingales e debbo dire che il ragionamento non è così disdicevole. E' semplicemente una possibile soluzione (che casomai non condividi) in alternativa agli sprechi per la conservazione di attività improduttive. Come ti ho detto anche pochi giorni fa dopo il consiglio di dipartimento e quando abbiamo preso il caffè assieme, sarebbe necessario che ROARS e tutti gli universitari comincino a chiedersi quale è il ritorno dell'investimento e il contributo dell'Università e della ricerca per la società.

Ti ho dato miei scritti che sollecitano in quella direzione. E' il ritorno dell'investimento e la customer satisfaction quella che ci deve guidare e non la presunzione di essere utili e l'assunzione di fare cose giuste. Invece di criticare Zingales fai proposte costruttive e inizia, usando anche ROARS, quel difficile processo che spiega alla gente (con i fatti e non con le parole) dell'importanza della conoscenza per uscire dalla crisi che ci soffoca. Ti ho anche mandato il pdf del libro "The Effective Executive". Questa polemica che tu inneschi è il classico esempio di cattivo uso del tempo.

Buon Natale!

E' chiaro che è tutto un complotto anglotedesco  e che noi non dobbiamo misurarci in una gara in cui i criteri sono scelti da altri per favorirli, come è avvenuto per l'euro. 

  Nell'articolo si parla di grants conferiti a ricercatori italiani correlando il loro numero con la popolazione del paese.  Mi sembra che un minimo di logica suggerirebbe di correlarli col numero dei ricercatori del nostro Paese (che sappiamo essere pochi rispetto alla popolazione) oppure correlare il numero dei grants conferiti con il numero  delle richieste fatte da ricercatori italiani.  

  Per i grants dati a ricercatori italiani che lavorano all'estero la questione è più complessa. Questo se si vuole ragionare seriamente senza portare avanti la solita tesi, tanto cara ai redattori di questo giornale

Il numero di ricercatori formati in Italia che vincono un ERC all'estero rafforza l'opinione che il sistema formativo italiano sia di alta qualità. Il problema principale è che il sistema della ricerca è sottodimensionato, e lo è perché gli attori economici non sono all'altezza, non forniscono né idee né finanziamenti e finiscono per condizionare negativamente un personale politico privo di cultura e di sensibilità.

Quando Zingales afferma che l'Italia deve puntare sul turismo perché l'università italiana non può competere sulle biotecnologie dice una doppia castroneria: primo perché l'Italia ha dipartimenti all'avanguardia sia nelle biotecnologie che nelle scienze dei materiali; secondo, perché non conosco paesi che puntando sul turismo siano riusciti a "fermare il declino", o anche solo a renderlo meno precipitoso.

Scrissi un articolo un po' di mesi fa dal titolo "Che futuro ha un paese in cui i tassisti hanno più peso dei riceratori" in cui sono stato insultato a destra e a manca (razzista nei confronti dei tassisti, bah xD) quindi ahimè non sono stupito (insignato sì però).

 

...Esportiamo ricercatori, importiamo operai e muratori (con tutto il rispetto, visto che l'operaio per poco tempo l'ho fatto pure io)...così non si può avere crescita e  buon futuro

 

Che  molti  Italiani (in italia e all'estero)  vincano dei grant ERC non dimostra affatto che il sistema formativo Italiano sia di qualita' .  Ci andrei cauto  ad affermare che ``molti degli italiani che hanno vinto i grant  sono  stati  formati  dall' universita  Italiana'' .... nel settore SH1 (scienze sociali), il campo che conosco  meglio,  la stragrande maggioranza dei vincitori  ha fatto il PhD all'estero  (non ne conosco nessuno formatosi in Italia, se esistono sono una minoranza; sarebbe interessante  analizzare i dati per settore, probabilmente e' diverso  nelle scienze dure,   come in matematica e fisica dove molti continuano a fare  bene). 

 

 

Nel complesso, i dati mi pare mostrino senza equivoci  che l'universita' Italiana produce poca ricerca  ``di qualita'' . Le cause non le ho discusse. Pochi fondi? Pochi ricercatori?  Cattive regole?     So che  molti ritengono la prima una cause importante. Ho parecchi dubbi.   La mia (modesta) esperienza  mi fa pensare che  non sia  una condizione sufficiente. Raddoppiare i fondi con l' attuale sistema di governance porterebbe poco lontano  perche'   il  sistema  non premia (consistemente) il lavoro di qualita.  I fondi si disperderebbero in mille rivoli, in universita piccole e grandi, sedi gemmate e  telematiche.    Forse qualcuno bravo avrebbe piu risorse, ma distribuirle con l' attuale metodo e'   parecchio inefficiente. 

 

 La formazione (in senso di studi undergraduate e PhD) ha una notevole influenza per i junior ERC grant, che sono riservati a studiosi che hanno finito il dottorato da non più di 7 anni. Non direttamente è rilevante per gli advanced grants, che sono dati a studiosi maturi (come F. Lippi, congratulazioni!).

Aggiungo un punto - la gestione dei fondi. Ho avuto modo di confrontare la mia esperienza di gestione di un progetto in un istituto "estero" (quale è l'EUI)  con quella di un mio collega ed amico in una prestigiosissima università italiana. La differenza è abissale. Mi raccontava storie agghiaccianti di incapacità a comprendere le esigenze della ricerca e di eccesso di burocrazia.  Lo stesso compito è svolto da una persona e mezzo all'EUI e da sette mell'università italiana, per un numero nettamente inferiore di grants

Come molte discussioni, anche questa ripropone il tema della difficoltà di trarre conclusioni da dati statistici. In effetti, come fa osservare l'autore, i dati presenti sono insufficienti e troppo aggregati.

La mia esperienza verte soprattutto sul campo scientifico, dove la maggior parte degli ERC (se non la quasi totalità) assegnata a studiosi italiani all'estero premia ricercatori formati in Italia, ma, come ricorda giustamente Lippi, le differenze tra campi diversi sono importanti. Lo studio andrebbe quindi complementato con opportune normalizzazioni che, a mio avviso, dovrebbero essere due: una rispetto al numero totale di ricercatori, uno rispetto ai finanziamenti. Tali normalizzazioni potrebbero permettere di scegliere tra opzioni del tipo sistema italiano ipertrofico e inefficiente, sistema italiano sottodimensionato ma efficiente, e loro sfumature. Si dovrebbe poi distinguere i diversi campi per capire quali sono virtuosi e quali no.

Dell'intervento di Giovanni Federico accolgo entro certi limiti la parte sull'elefantiasi burocratica, ma dissento parzialmente sulla questione della "formazione". Uno studioso che si forma in Italia e lavora all'estero partecipa al processo che vede l'Italia spendere per creare un capitale che poi frutta all'estero, e tipicamente dietro una grande carriera c'è un ottimo Ph.D. (almeno nelle scienze)

   LIPPI scrive: .........o se invece qualcuno lo riterra'  coerente con l'ipotesi che, tutto sommato, l'universita' italiana funziona decentemente."

  

    L'università italiana produce in alcuni settori ed in alcune sedi  una ricerca di buona qualità, compatibilmente con le difficoltà burocratiche ed amministrative nelle quali si dibatte. 

  D'altra parte non si può pretendere che le novanta (ed oltre) università italiane siano tutte di eccellenza, dato che sono tutte regolate nello stesso modo.  I giudizi sommari come quelli dati qualche anno fa da Perotti, o quello che dice Zingales a proposito della vera vocazione italica - un popolo di albergatori, ristoratori e camerieri - sono tutte castronerie che vanno combattute. E se non si combattono energicamente, ciò è dovuto al costume italico di piangersi addosso e guardare con ammirazione ogni straniero.  

    

Lippi sa benissimo che in Italia è in atto da almeno 8 anni lo smantellamento del sistema della ricerca, che ha come punta di diamante il blocco delle assunzioni di giovani ricercatori.

Trovate qui il numero dei ricercatori italiani.

Considerando il numero dei ricercatori, a parte UK e la Svizzera (caso eccezionale) che rimangono al top,  i numeri riportati da Lippi assumono un aspetto ben diverso.

Avere cosi' pochi ERC e' chiaramente una brutta figura ma non solo per l'accademia italiana ma per l'Italia intera stessa che sta finanziando con i suoi soldi la ricerca di altri paesi. Per capire dove sta il problema pero' e' necessario normalizzare al numero di ricercatori presenti in Italia e non alla popolazione. Oppure guardare alle percentuali di successo di chi ha fatto domanda.