No al rigassificatore

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Ovvero, il nimby all'opera nel mio giardino.

Nimby, cioè: not-in-my-back-yard, ossia: non-nel-mio-giardino, ossia ancora: quest'opera-sarà-pure-necessaria-ma-fatela-da-un'altra-parte.

Il fenomeno è sempre più diffuso lungo la penisola e negli ultimi anni non c'è praticamente una sola opera pubblica o intervento industriale che non siano stati variamente osteggiati da comitati di cittadini, enti locali, sindaci o associazioni ambientalistiche  (eccovi qui alcuni siti esemplari: NOTAVNoDalMolinChiaiaNOdiscarica,NoExponotangenzialenoinceneritori ecc.).

Insomma, l'Italia oltre che una repubblica delle banane, rischia anche di diventare uno stato "BANANA": vale a dire  Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anyone.

In attesa del fuoco di sbarramento che si scatenerà non appena il Governo (casualmente solo dopo le elezioni regionali, altrimenti Zaia come fa ad essere pro nucleare a Roma e contro nel Veneto?) comunicherà i siti dove costruire le centrali nucleari, per il momento ad essere nel mirino sono in particolare i rigassificatori.

Detto molto in breve e senza nessuna pretesa di precisione scientifica, un rigassificatore è un impianto industriale grazie al quale il gas naturale, trasportato in forma liquida da navi gasiere, viene riportato allo stato gassoso e quindi immesso nella rete di metanodotti per il consumo finale. In passato la politica energetica italiana non ha favorito la realizzazione di questo tipo di impianti, preferendo dotare il paese di una rete di metanodotti per importare direttamente il gas dai produttori.

 

Solo da pochi anni si è cominciato a programmare anche questo diverso tipo di importazione, anche perchè i principali fornitori (Algeria, Libia e Russia) non sono propriamente nazioni ad alta affidabilità e una rete di rigassificatori consente di diversificare le fonti di approvvigionamento accedendo anche a giacimenti dai quali è impossibile far partire i metanodotti. Insomma, lo scopo primario dovrebbe essere quello di essere meno dipendenti dagli sbalzi umorali di Gheddafi o di Putin e di favorire la concorrenza del mercato del gas,  grazie all'ampliamento del numero degli importatori.

 

 

Attraverso la realizzazione dei rigassificatori, poi, l'Italia potrebbe sfruttare uno dei vantaggi che la geografia le dà e, integrando i nuovi impianti con la rete esistente di metanodotti, diventare un hub per lo smistamento del gas naturale in Europa. Sulla carta, è una politica energetica con una sua coerenza, nei fatti, si scontra con le resistenze locali.

 

In pratica, non c'è un singolo sito scelto per ospitare un rigassificatore che non abbia il suo comitato del no (alcuni esempi quiquoquacipciop); il fronte del no raccoglie un consenso trasversale che va dagli ambientalisti, alla chiesa, ai partiti politici, siano essi di governo che di opposizione, tutti indifferentemente uniti per dire NO! Per un caso del destino, mi ritrovo a vivere in diretta una di queste opposizioni.

 

La società Gaz de France, infatti, vorrebbe realizzare un rigassifcatore proprio di fronte a casa mia, cioè nel mare di Porto Recanati. Per la precisione, la vera e propria rigassificazione avverrebbe in mare aperto - a circa 35 kilometri dalla costa - utilizzando una nave rigassificatrice, mentre a terra ci sarebbe solo una piccola stazione di pompaggio alla quale il gas arriverebbe attraverso una condotta sottomarina e dalla quale verrebbe immesso in rete.

 

 

Il comune, nella persona del sindaco, è ufficiosamente d'accordo, anche perchè si vocifera che la comunità ne ricaverebbe delle compensazioni economiche, tali da far realizzare un porto turistico, da anni nel libro dei sogni delle varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della città. Ad essere contrari sono in primo luogo tutti gli altri comuni vicini (appartenenti alla cosiddetta Riviera del Conero) i quali lamentano di essere stati tagliati fuori da ogni decisione e, aggiungo io, di non vedere all'orizzonte alcuna compensazione economica.

Per farla breve, è nato ed è molto attivo  il comitato per il NO ed il dibattito in paese e in quelli vicini è molto acceso, con assemblee pubbliche infuocate ed una opposizione assolutamente trasversale: per esempio la scorsa domenica la Lega Nord (che pure è al governo in comune) raccoglieva per strada le firme contro il rigassificatore.

 

I motivi del rifiuto sono sostanzialmente quattro:

a - è pericoloso;

 

b - danneggerà il turismo;

c - il gas non serve a noi, ma lo manderanno in Francia;

 

 

d - lo fanno per i soldi e lo fanno con i soldi pubblici.

 

 

Sulla prima obiezione c'è poco da dire. Si tratta effettivamente di un impianto potenzialmente molto pericoloso, dato che se, a causa di un incidente ad una nave gasiera o al rigassificatore galleggiante, il gas liquefatto fuoriuscisse, inizierebbe a ribolirre e ad evaporare a causa del fatto che essendo trasportato a temperature bassissime, il contatto con l'acqua del mare, che è molto più calda, darebbe il via alla reazione chimica. Si formerebbe così una nube di metano  che, spinta dai venti, potrebbe investire le città sulla costa con effetti disastrosi. Va però detto che le navi gasiere vengono costruite con criteri finalizzati proprio a prevenire questi incidenti ed in effetti non si ha notizia, tranne un singolo caso risalente al 1944, di incidenti per questo tipo di impianti. Tra l'altro, l'opera dovrebbe comunque rispettare la Direttiva Seveso e superare positivamente la valutazione di impatto ambientale; però un rischio potenzialmente c'è, si tratta di vedere se accettabile o meno Se prevale la logica nimby, la risposta è evidente: che lo facciano da un'altra parte.

 

La seconda obiezione, ossia il danno per il turismo, mi pare debole. Una nave ancorata a 35 chilometri dalla costa non produce impatto visivo e la stazione di pompaggio a terra non è sostanzialmente differente dai numerosi impianti similari che consentono di far arrivare il gas alla caldaia ed alla cucina di casa nostra. Ci potrebbe essere un effetto indotto dal fatto stesso di essere la "città del rigassificatore" e quindi i turisti, intimoriti dalla presenza dell'impianto, potrebbero decidere di dirottare altrove le proprie vacanze. Anche in questo caso il rischio c'è, ma quanto possa essere concreto è difficile a dirsi, anche perchè nessuno ha fornito dati certi o prodotto studi specifici. Rilevo tuttavia che il rigassificatore di Panigaglia (SP) da molti anni opera vicino alle località turistiche di Lerici, Porto Venere o le Cinque Terre e non pare che il turismo di questi luoghi ne abbia risentito. Tuttavia, sia pure remoto, il danno al turismo  è un rischio che potrebbe potenzialmente avverarsi.

 

La terza obiezione (serve ai francesi) mi pare ininfluente: una volta imesso in rete, il gas va dove serve e dove c'è qualcuno che è disposto ad acquistarlo.

La quarta obiezione merita una valutazione un po' più complessa. La prima parte dell'obiezione (lo fanno per i soldi) è una evidente stupidaggine. E' ovvio che un'opera di quel genere viene realizzata per farci soldi, non certo per beneficenza. La seconda parte dell'obiezione - ossia paga Pantalone - è invece più fondata. Lo stato italiano ha infatti deciso di incentivare la realizzazione di questi impianti, garantendo la copertura di gran parte dei costi e dei rischi economici dell'impresa.
Tutto nasce da una delibera della Autorità per l'Energia del 2005 (la n. 178) che ha previsto un "fattore di garanzia", che assicura "anche in caso di mancato conferimento della capacità di rigassificazione disponibile" dell'impianto, la copertura di una quota pari all'80% dei ricavi di riferimento per i costi fissi del terminale, che a loro volta costituiscono circa il 95% dei costi dell’impianto.

 

 

La percentuale dell'80%  è stata ridotta al 71,5% nel 2008 con la delibera n. 92, ma, insomma, il meccanismo è chiaro: anche se il rigassificatore non produce tutto il gas che la sua capacità gli permetterebbe, verrà comunque riconosciuto un profitto minimo, socializzando i costi direttamente in bolletta. Va detto che la pratica è tutt'altro che rara. In particolare, è da noi vigente il meccanismo del CIP6, grazie al quale i produttori di energia elettrica con l'utilizzo di fonti rinnovabili o "assimilate", possono rivenderla al Gestore dei Servizi Energetici ad un prezzo maggiore di quello di mercato ed il GSE, a sua volta, addebita ai consumatori finali questi maggiori oneri, che si sostanziano in un maggior prezzo, in bollettam del 6-7%.

Il grimaldello del CIP6, grazie alla equiparazione delle "assimilate" alle rinnovabili ha consentito in passato notevoli guadagni ai produttori, che hanno potuto vendere elettricità a prezzi maggiori, anche se nel ciclo produttivo nulla di effettivamente rinnovabile era stato utilizzato, ma magari si erano bruciati  gli scarti della lavorazione del petrolio o i rifiuti nei termovalorizzatori. Oggi i contributi alle assimilate sono stati in gran parte ridotti o eliminati, ma nel frattempo un bel po' di soldini, soprattutto i petrolieri, se li sono portati a casa.

 

I fautori dei rigassificatori sostengono che l'agevolazione non rappresenti un doppione del CIP6, perchè non prevede un ricavo garantito per le imprese, ma piuttosto una riduzione del rischio legato all’investimento e che l’incentivo tariffario per nuova capacità sarà erogato solo dopo l’attivazione degli impianti e sarà previsto secondo un limite preciso, cioè fino al raggiungimento di una ben precisa capacità globale per gli approvvigionamenti. Quel che è certo, però, è che si è scelto di socializzare dei costi d'impresa.

Ciò che occorre chiedersi, dunque, è se questa socializzazione sia giustificata o meno dai vantaggi che la realizzazione dei rigassificatori apporterebbe alla economia italiana, perchè se questa giustificazione non fosse adeguata, verrebbe da dire a Gaz de France ed a tutti gli altri che se è legittimo che un rigassificatore venga costruito per far soldi, che se lo costruiscano con i loro, di soldi.

 

Io, sono sincero, una risposta non sono in grado di darla, attendo fiducioso le illuminate risposte dei lettori.

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Commenti

Ci sono 42 commenti

Per l'Italia l'approvvigionamento energetico è una spada di damocle. E probabilmente il problema pratico più grosso e che va risolto più alla svelta. In sintesi, dipendiamo pesantemente dagli idrocarburi di paesi instabili. Aggiungi che gli idrocarburi finiranno, ma pria che finiscano diventeranno molto molto costosi. Soprattutto quelli russi che ci arrivano via terra, visto che dall'altro lato della Russia c'è la Cina, con un potere d'acquisto maggiore del nostro e che quindi, credo, deciderà presto il prezzo del nostro gas.

I rigassificatori sono una delle cose che l'Italia deve assolutamente fare, nella mia opinione.

Mi permetto di far notare che inserire il no dei vicentini alla base militare americana Dal Molin tra i casi di nimby è secondo me una forzatura. La base Dal Molin prende il posto di un aeroporto civile, per la città non cambia nulla, se non dal punto di vista occupazionale (e in positivo) e morale.

Dire che per la città non cambia nulla è palesemente falso. Un'aerea enorme, a 3 km dal centro storico, verrà ceduta come base militare agli americani. Al di là di qualsiasi giudizio sull'opportunità di aggungere un'altra base militare a Vicenza (ce ne sarebbero già tre...) si poteva usare l'aerea per ben altri destinazioni d'uso, utili alla città ed ai cittadini. Un grande parco, degli  impianti sportivi solo per darti qualche idea.

Sono d'accordo, il No dal Molin e' un caso di "not in ANY backyard" (ne parlai molto tempo fa)

C'è quanto meno un vantaggio del Nimby, ed è che queste accanite opposizioni locali fanno partire discussioni pubbliche sugli effettivi costi e benefici dell'opera, grazie alle quali si arriva a discutere anche questioni come d) del tuo articolo, che di per sé con il Nimby c'entrerebbero poco. Altrimenti passerebbe tutto in cavalleria. Ai tempi degli anti-TAV iniziarono a circolare studi ben fatti sulla convenienza di sistema dell'investire su un collegamento Torino-Lione. Adesso che l'anti-TAV si è placata, quegli studi (che davano giudizi poco benevoli sull'opera) non circolano più.

Circolano, circolano gli studi e cene sono di nuovi ma se ne parla poco per non turbare decisioni già assunte.

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1068.html Da questo articolo su La Voce sono linkati alcuni altri studi in argomento

Se la situazione è quella prospettata nell'articolo io fossi fossi di Porto Recanati sarei d'accordo con il gassificatore.

La mentalità nimby in Italia penso sia dovuta alla scarsa fiducia nella serietà dei controlli e dei controllori, in fondo abbiamo una storia piena di casi come Vajont, Marghera e Seveso (abito a 300 metri dalla zona B).

Fra i candidati alle regionali del PDL, che sono tutti favorevoli al nuclere, ma non nella propria regione, esiste la lodevole eccezione del piemontese Cota che ha dichiarato a radiodue "la centrale nucleare possono anche costruirmela nel giardino davanti casa".

Quelle quattro obiezioni sono comuni pressoché a qualunque protesta - che riguardi un rigassificatore o un palo della luce. Solo alcune note in merito alle due che consideri relativamente più serie (la a e la d).

Per quel che riguarda a, il semplice fatto che l'unico incidente registrato risalga al 1944 (quando tra l'altro le misure di sicurezza in uso erano molto inferiori a quelle attuali, e che tra l'altro riguardava un rigassificatore onshore) dovrebbe costituire una risposta adeguata. In ogni caso qui si trovano tutte le info necessarie (è una delle mille fonte disponibili: qualunque ricerca darà risposte analoghe). In sostanza: gli incidenti hanno una probabilità bassissima e in più, per un terminale offshore, di fatto riguardano solo il personale di servizio (questo non li rende meno tragici, ma sicuramente non giustifica il timore che le loro potenziali conseguenze possano investire gli insediamenti a terra).

Anche l'obiezione d (riguardo il parziale finanziamento "pubblico") mi pare infondata. Il punto è semplice: anch'io penso che non sia corretto (e neppure determinante per la loro realizzazione) mitigare il rischio di mercato per i rigassificatori (penso anche che i rigassificatori si farebbero comunque, e questo rende ancora più inutile, ma relativamente meno distorsivo, il sussidio). Così come penso che sia sbagliato sussidiare le fonti rinnovabili, le forme di parmigiano e qualunque altra cosa. Ma la logica conseguenza che traggo da tale convinzione non è quella di oppormi alla realizzazione di pale eoliche o di boicottare i produttori di parmigiano: è semmai di contestare le norme che sono all'origine dei sussidi. Quello che intendo dire è che trovo inefficiente e inappropriato impedire la realizzazione di un'opera - che può o non può essere "utile", cioè redditizia - in quanto sussidiata. Trovo efficiente e appropriato battermi contro i sussidi. Specie in assenza di esternalità negative visibili, come nel caso in questione.

 

trovo efficiente e appropriato battermi contro i sussidi. Specie in assenza di esternalità negative visibili, come nel caso in questione.

 

In alternativa, almeno, si sarebbero potuti stabilire dei sussidi per legge, in modo chiaro ed aprioristico (applicandoli sempre a prescindere dalla presenza o meno di proteste). Questo forse avrebbe potuto renderli dei reali incentivi a non protestare. Come sono prospettati ora sono invece un incentivo a protestare.

Gentili liberisti di NFA,

1) Che i sussidi pubblici siano sempre sbagliati (ossia "niente politica industriale, per carità") è assai opinabile. Faccio un esempio. Delle due l'una: o facciamo pagare davvero tutte le esternalità negative del petrolio ai petrolieri (la produzione di CO2, i danni alla salute, ecc. ecc.), per aumentarne il prezzo fino al livello dell'energia prodotta da fonti rinnovabili, oppure - appunto - sussidiamo le fonti rinnovabili. Insomma: sono convinto come voi che il mercato allochi perfettamente le risorse economiche, ma se questa perfetta allocazione ci porterà alla distruzione climatica del pianeta o alla fine rapida delle risorse per troppo consumo non rinnovabile, non è che voi ed io ne saremo così felici...

2) i gassificatori vanno sicuramente fatti, per diversificare le fonti e come tecnologia di transizione verso il futuro rinnovabile. Ciò che è in questione è il numero complessivo di gassificatori in costruzione o in progetto rispetto alle esigenze effettive della domanda italiana. Numero che, a detta di molti che se ne intendono, è largamente superiore alle necessità effettive (lo stesso sta succedendo con le centrali a ciclo combinato). In pratica, il problema non è di Nimby (che c'è pure lui, ovviamente) ma di valutazione della strategia complessiva. E il numero è troppo elevato perché ci sono i sussidi sbagliati.

3) in breve: non condanniamo i sussidi. Condanniamo i sussidi sbagliati. 

"Sulla prima obiezione c'è poco da dire. Si tratta effettivamente di un impianto potenzialmente molto pericoloso, dato che se, a causa di un incidente ad una nave gasiera o al rigassificatore galleggiante, il gas liquefatto fuoriuscisse, inizierebbe a ribolirre e ad evaporare a causa del fatto che essendo trasportato a temperature bassissime, il contatto con l'acqua del mare, che è molto più calda, darebbe il via alla reazione chimica. Si formerebbe così una nube di metano  che, spinta dai venti, potrebbe investire le città sulla costa con effetti disastrosi."

Questa eventualità non è verosimile per il semplice fatto che il metano (CH4) è più leggero dell'aria, a differenza per esempio del propano (C3H8 ) che ha causato il disastro di Viareggio, e pertanto la nube si disperederebbe verso l’alto, e non verso la costa. Qualora prendesse fuoco (non è mai successo in mezzo secolo di uso di questa tecnologia) il forte calore sviluppato creerebbe una forte corrente ascensionale che aspirerebbe ancora più rapidamente verso l’alto la nube e le fiamme. Gli abitanti di Porto Recanati assisterebbero ad uno spettacolo impressionante, ma a 35 km di distanza non subirebbero alcun danno.

 

"La percentuale dell'80%  è stata ridotta al 71,5% nel 2008 con la delibera n. 92, ma, insomma, il meccanismo è chiaro: anche se il rigassificatore non produce tutto il gas che la sua capacità gli permetterebbe, verrà comunque riconosciuto un profitto minimo, socializzando i costi direttamente in bolletta.”

In effetti le cose sono un poco più complicate di cosí: quandi i burocrati europei e quelli nazionali interagiscono i risultati sono sorprendenti!

La direttiva gas 2003/55/CE, e quella che l’ha recentemente sostuita, la 2009/73/CE prevedono il principio del “Third party access”, vale a dire che i rigassificatori rientrano nel sistema nazionale gas ed il loro proprietari non possono farne quello che vogliono, ma debbono mettere la capacità di rigassificazione a disposizione del mercato a tariffe fissate dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.  (Per gli amerikani: negli USA non vige questo principio. La FERC si è pronunciatanel senso “il  terminale è mio e me lo gestisco io”)

É peró possibile chiedere un esenzione a questa regola, secondo una complicata procedura desctitta nell’articolo 22 della direttiva gas 2003/55/CE e recepita dalle legislazioni dei vari paesi. Tuttavia chi chiede e ottiene quest’esenzione, come ha fatto ad esempio l’altro terminale galleggiante in costruzione, quello di Livorno (http://www.oltoffshore.it ) perde il diritto ad usufruire di questa agevolazione.

Quindi al momento noi non sappiamo se al rigassificatore al largo di Porto Recanati verrà riconosciuto questo profitto minimo oppure no.

Sui rischi tecnici di un rigassificatore nemmeno mi esprimo, praticamente sono talmente infinitesimi che (come ha scritto massimo poco sopra) tutt'al più avreste uno spettacolo pirotecnico, 35 km dalla costa significa che solo in condizioni di particolare trasparenza vedreste la nave rigassificatrice, insomma il Nimby per un rigassificatore significa che c'è troppa gente che non ha niente da fare.

Interessante il discorso sui sussidi, che, anche qui grazie a massimo, è dimostrato solo che sono insignificanti (altrimenti a Livorno vi avrebbero fatto ricorso), ma che potrebbero servire solo a chi vuol fare il furbo. Ribadisco fino alla noia che lo Stato non dovrebbe incentivare/sussidiare un piffero, salvo che la pura ricerca, il resto non si dovrebbero chiamare incentivi/sussidi ma solo, più propriamente, "elementi distorsivi del mercato e della concorrenza". E il CIP 6 lo ha dimostrato..

Alla domanda di sabino la mia risposta è: che Gaz de France se lo costruisca da solo il rigassificatore, se economicamente ne vale la pena, e se vuole lo può fare anche davanti casa mia, tanto più di quel che hanno già combinato in campania non si può fare..

Mi spiace però dover dire che io sarei in prima linea sia contro una centarle nucleare (e non per l'esplosione della centrale stessa, ma per ben altri motivi, fermo restando che quella ex del garigliano è a 60 km da casa mia), e sarò in prima linea contro il paventato inceneritore di Giugliano.

Niente Nimby, semplicemente totale mancanza di fiducia nello stato italiano e nella sua capacità di realizzare alcunchè in maniera non pasticciata, inefficiente e inefficace, oltre che di saperla gestire senza ricadere nei vizi di cui sopra. Qui un esempio a 2 km da casa mia. E la storia la conosco bene: quest'esempio lo ha costruito mio padre.

Mi pare che solo l'ultima possibile obiezione riportata da Sabino possa avere un senso - la dimostrazione di irrilevanza od improbabilità delle altre è già stata portata in svariati commenti - e, comunque, l'importanza dell'incentivazione è dubbia, in considerazione del caso di Livorno ben ricordato da Massimo. Ribadendo la consueta contrarietà alle distorsioni costituite da qualunque incentivo - nonché l'dea che le somme in gioco dovrebbero piuttosto essere utilizzate per migliorare le condizioni al contorno del "fare impresa" - mi rimane solo la curiosità in merito a quali siano le condizioni riservate a tali opere in altri Paesi: solo così è possibile capire a pieno se Gaz de France avrebbe interesse ugualmente a realizzare qui l'impianto, invece che altrove, a motivo di una collocazione geografica favorevole od altro. Il giusto rilievo sul tema è, però, quello di Carlo Stagnaro, che fa notare come anche questa obiezione sia pretestuosa, nel senso che si utilizza la facilitazione pubblica per contestare l'opera, anziché la facilitazione in sé.

Il caso dei rigassificatori è, peraltro, particolarmente semplice da dirimere, una volta valutate le considerazioni citate. Diverse sono altre situazioni, che non presentano le medesime oggettività e scontano paure di vario genere. In particolare ciò vale per le centrali nucleari - alle quali io pure sono favorevole nell'ottica della diversificazione delle fonti di energia, che credo dovrebbe guidare le scelte - a causa dell'incertezza relativa al rapporto globale costi-benefici: avviene, così, che non di rado prendano il sopravvento timori di vario tipo, da quello puramente irrazionale legato alla supposta "sfida alla natura" a quello che tu ricordi, Marco, quando sostieni di non avere fiducia in una realizzazione/gestione affidata ad una mano pubblica che tanto male ha già fatto. Anche qui, però, sarebbe opportuno non confondere i piani ed affrontare il problema vero - il modo di minimizzare gli effetti della scarsa qualità dell'azione pubblica - invece che opporsi a realizzazioni che di quel problema potrebbero risentire.

Infine, un off-topic che tocca un mio nervo scoperto. Leggendo la vicenda del depuratore di Cuma - dal link che porti a sostegno della tua opinione - a me saltano immediatamente all'occhio queste parole:

 

a seguito del perdurante stato di agitazione del personale dell’impianto di depurazione di Cuma, senza alcun trattamento vengono smaltiti nelle acque del Golfo (Costa Flegrea) i liquami provenienti dagli impianti fognari cittadini

 

e non posso fare a meno di definire del tutto inammissibile un'agitazione sindacale che abbia simili conseguenze: sono fermamente convinto che debba essere posta in essere una regolamentazione del - pur sacrosanto - diritto di sciopero, tale da evitare assurdità di questo tipo.

 

La mentalità nimby in Italia penso sia dovuta alla scarsa fiducia nella serietà dei controlli e dei controllori, in fondo abbiamo una storia piena di casi come Vajont, Marghera e Seveso (abito a 300 metri dalla zona B).

Niente Nimby, semplicemente totale mancanza di fiducia nello stato italiano e nella sua capacità di realizzare alcunchè in maniera non pasticciata, inefficiente e inefficace, oltre che di saperla gestire senza ricadere nei vizi di cui sopra.

 

Esatto. Per questo motivo (e non solo) io sono, ad esempio contro il ritorno al nucleare, mica per paura delle radiazioni (che pure ci sarebbero). E sono anche contro la TAV, che i politici di ogni colore appoggiano esclusivamente per garantirsi almeno un trentennio di mazzette milionarie - proprio come il mitico ponte sullo Stretto.

Per questo motivo l'unica opzione per questo paese sottosviluppato è essere totalmente eterodiretti, energeticamente parlando, come finora è stato. Costa di più, certo, ma almeno non sei nelle mani di qualche assessore che ti fa pagare il doppio di quanto dovresti e che si intasca le mazzette sulla manutenzione rendendo l'impianto sempre più pericoloso. 

Sto dicendo, tra l'altro, che ritengo l'assessore che gestirebbe l'impianto nucleare e/o rigassificatore assai meno affidabile di un ministro iraniano.

Se risparmi si potrebbero conseguire acquisendo maggiore flessibilità degli approvvigionamenti energetici, questi non finirebbero certo nelle tasche dei consumatori, anzi. L'esempio del CIP6 parla da solo.

 

 

Probabilmente sarò banale ma credo che l'arma principale contro il nimby sia l'informazione: io non so niente di rigassificatori ma ho trovato le tre righe di massimo, molto semplici e convincenti. Ovvio che se si tratta di cotruirti un impianto potenzialmente pericolo dietro casa vuoi che tutti i rischi del caso siano apertamente identificati e vengano prese le precauzioni del caso.

Lancio però un sasso molto più insidioso: se qualcuno volesse fare una centrale nucleare a Sarno (ricordarte? quello della frana) io che lì sono nato e ho ancora la mia famiglia penserei: chi mi garantisce che tutto venga fatto secondo gli standard più moderni di sicurezza? E lo smaltimento delle scorie?

Premetto che oltre al problema della frana del '95 abbiamo sperimentato in passato inquinamento delle falde acquifere da batteri fecali e aumento abnorme di alcune patologie tumorali. Non è mai stato provato che sia avvenuto uno smaltimento abbusivo di rifiuti tossici (come si vede nei film Gomorra e Beautiful cauntri) ma c'è una concreta possibilità.

Ci vuole una garanzia esterna alla comunità locale: chessò un paio di università Amerikane che mandano esperti famosi e assicurano che l'impianto è costruito con i massimi standard di sicurezza. Inoltre le società che gestiscono l'impianto dovrebbero essere super-trasparenti (non di proprietà del figlio di un assessore regionale per intenderci) e il processo di smaltimento delle scorie super controllato oltre che trasparente.

PS l'esempio del Nucleare a Sarno è volutamente una forzatura perchè la zona oltre al rischio idrogeologico ne presenta anche uno sismico.

Non conosco la situazione di Sarno, ma da quanto scrivi sembra che i problemi si siano verificati anche senza la costruzione di centrali nucleari, rigassificatori o infrastrutture industriali di altro tipo.

Paradossalmente, se ho capito bene, il caso di Sarno dimostra la futilità delle proteste di tipo NIMBY.

remesse le condizioni di quasi assoluta sicurezza dei rigassificatori, la questione è: servono o non servono in una logica di diversificazione delle fonti di approvviggionamento energetico? Se sì, certamente vanno tenute in conto esigenze di sicurezza, ambientali e tutto quel che si vuole, ma vanno fatti. Le localizzazioni tra l'altro non penso siano possibili se non in siti che presentano alcune determinate caratteristiche.

Per la questione incentivi pubblici, concordo con  Carlo Stagnaro parola per parola.

In verità esistono molti posti dove è possibile realizzare rigassificatori: l'Autorità energia nel suo ultimo rapporto ne menziona una dozzina (vedi a pagina 128 ) http://www.autorita.energia.it/allegati/relaz_ann/ra09_1_3.pdf

anche se non è realistico pensare che tutti daranno effettivamente realizzati; ma questo non cambia i termini del problema: giurerei che accanto ciascuno del progetti ci sia uno o più comitato "No gas".

Quanto alla questione se servano o meno, siccome sono gingilli che costano abbastanza, immagino che se GdF o altri ne vogliano costruire uno, vuol dire che gli servono.

Il problema è che non mi fido del controllo politico su queste procedure, almeno nel posto dove vivo. Finchè si tratta di qualche mazzetta di soldi che sparisce, poco male. Se penso  di lasciare nelle mani di Bassolino il controllo delle procedure idonee alla costruzione di una centrale nucleare, mi si stringe il culo.

Tornando un poco indietro nel tempo, vivevo ancora in Abruzzo ai tempi del progetto sul terzo traforo del Gran Sasso. Popolazione insorta, progetto abbandonato. NIMBY? Non lo so. Il fatto è che in questo scellerato paese ci sono sempre un sacco di interessi stranamente convergenti intorno alle grandi infrastrutture, cosa che non fa altro che aumentare la diffidenza della gente. Sbagliano? Non lo so. Ai tempi, e non che fossi particolarmente innamorato di quella montagnaccia, fare un terzo traforo mi sembrò piuttosto inutile, dopo aver preso visione della documentazione, aver ritenuto inutili le motivazioni addotte dal Ministro delle Infrastrutture, che guarda caso faceva gallerie in mezza Europa per garantirsi il desinare.

Quando il titolare della Rocksoil SPA vuole bucare una montagna, facendotela pagare, adducendo fino ad allora inesistenti problemi di sicurezza, la cosa puzza un pò, non vi pare?

 

Sulla TAV mi pare che la preoccupazione non fosse solo dei quattro cafoni che abitano le Alpi, ma anche dei rilievi tecnici svolti dal Politecnico di Torino (che non mi risulta essere una roccaforte del bolscevismo ecologista). E il punto non era fare o meno la TAV, ma se allungarla di una trentina di km evitando di bucare una montagna.

Sicuramente molte delle motivazioni addotte dalla popolazione sono pretestuose. Per i casi in cui mi son trovato coinvolto o di cui ho sentito parlare da vicino (Traforo Gran Sasso, petrolio ad Ortona), mi sembra che la popolazione abbia deciso tra due alternative. Ci sono buoni motivi per i quali non ci c'è il petrolchimico nel centro storico di Firenze, o sarebbe NIMBY anche in quel caso?

 

Alle quattro ragioni elencate da sabino ne aggiungerei una quinta, che forse non vale in questo caso ma che vale in molti altri (discarica, centrale nucleare).
Esempio. Abito e sono proprietario di una casa che si trova nei paraggi della progettata costruzione. Il suo valore corrente é, ipotizziamo, 200000 euro. Che succede? Secondo Folland e Hough mi devo attendere una diminuzione di almeno il 10% e l'effetto vale, nel caso delle centrali nucleari fino a 100 km. dall'impianto. Una raccolta sistematica della stima degli effetti sul property value in funzione della vicinanza ad impianti inquinanti e/o pericolosi si trova qui.  Anche se qualcuno sostiene il contrario, vedi qui e qui, mentre per francia qui, io non mi vorrei trovare in quella situazione. Il valore comincia a diminuire dal momento in cui viene dato l'annuncio. Quello che é evidente che non vi saranno indennizzi e che se vi saranno andranno nelle mani degli amministratori locali. Non so voi ma a me la cosa non mette di buonumore. Cosa fareste al posto loro se vi applicassero - solo a voi e a quelli che abitano vicino a voi - una tassa di 20000 euro sulla casa che magari avete appena cominciato a pagare? Io farei di tutto per fare in modo che la costruiscano altrove.

Beh allora la soluzione sarebbe di NON dare l'annucio e poi negare tutto quanto riguarda l'impianto, anche l'evidenza: http://www.youtube.com/watch?v=iEVnjtkYGqw

Su questo problema ricordo di aver letto una proposta plausibile. Mettiamo che si debba costruire l'impianto X, e che i siti tecnicamente utilizzabili si trovino nel territorio dei comuni A, B, C, D, E, F, G ed H.

Si fa una specie di asta con offerte segrete: ciascun comune "punta" una somma di denaro (finita) in cambio della quale sarebbe disposto ad accettare l'impianto X sul proprio territorio. Si sceglie poi l'offerta più bassa; mettiamo sia quella del comune D. Chi deve dare i quattrini al comune D? I comuni A, B, C, E, F, G ed H. Ma non in parti uguali, e neppure in proporzione alla popolazione, ma in proporzione alla somma richiesta; cosí ad esempio se A a richiesto il doppio di B, A dovra pagare a D il doppio di quanto pagherà B. Ciascun comune dunque potrebbe fare una richiesta alta, che lo metterebbe al sicuro dal rischio di doversi prendere l'impianto, ma lo obbligherebbe a pagare salato il privilegio, oppure fare una richiesta bassa con le opzioni opposte.

Mi sembra un modo pratico per evitare gli isterismi, una versione del sistema "tu fai le parti, io scelgo".

Nota: l'idea non è mia; sto citando qualcun altro ma non ricordo più chi. Saró grato a chi mi rinfrescherà la memoria.

In base allo stesso principio, il proprietario di un negozio di alimentari ha diritto di chiedere un indennizzo alla catena di supermercati che gli apre una filiale di fianco mandandolo in rovina...? :o)

Non è stato sottolineato che il nimby ha una sua logica. E' un atteggiamento che deriva da una valutazione dei costi e dei benefici vista dalla prospettiva di un singolo cittadino o di una comunità: la costruzione di un impianto (inceneritore, centrale, discarica, ecc...)  porta degli svantaggi (per la saluta, estetici, economici per il valore della casa, del turismo ecc...) a fronte di un vantaggio per l'interesse pubblico che non sempre è quantificabile e visibile a livello locale. Ad esempio, molti sono d'accordo che una autostrada sia utile, ma è chiaro che se la costruiserro nel mio giardino sarei favorevole solo se mi offrissero un risarcimento che almeno mi permetta di costruire casa in un altro luogo (senza contare il danno "morale" che il trasloco può comportare). Il comportamento nimby, quindi, mi sembra ovvio e ragionevole.

Nel caso dei rigassificatori i rischi ed i costi per i cittadini ed i comuni coinvolti, come l'articolo indica, mi sembrano minimi, anche se:

a) non è stata considerata l'ipotesi di un attacco terroristico (molto difficile proteggere un impianto del genere);

b) l'ipotesi di costruire impianti nei pressi di aree e parchi naturalistici mi sembra illogica (come nel caso in riferimento di Porto Recanati);

c) si delega la politica energetica nazionale a delle imprese private (italiane o francesi, quali che siano) che, ovviamente, vogliono fare utile e non badano all'interesse pubblico italiano; in caso di crisi internazionale con la Libia o la Russia, ad esempio, la Gaz de France avrebbe interesse a far aumentare il prezzo del gas e non a tamponare il deficit di energia del nostro paese.

Il metano da rigassificare NON presenta il rischio potenziale di diventare una nube killer. Il metano è circa il 30% meno denso dell'aria, quindi in caso di perdite salirebbe verso l'alto come una bolla d'aria dal fondo di una pentola piena d'acqua.

L'unico rischio posto dalle navi metaniere riguarda loro stesse, ed è il rischio d'incendio (non possono esplodere, perchè nei serbatoi non c'è abbastanza spazio per l'ossigeno necessario a un'esplosione). Visto che la nave sta a 35 Km dalla costa, direi che i paesini del litorale possono stare tranquilli.

Aggiungo inoltre una cosa: i gasdotti tramite i quali attualmente ci riforniamo trasportano il gas in forma liquida esattamente come farebbero le navi gasiere, e utilizzano impianti di rigassificazione da quando esistono. Non mi pare che qualcuno abbia mai costituito comitati per un generalizzato pericolo di morte su tutto il territorio italiano, eh?

I gasdotti NON trasportano gas in forma liquida, ma semplicemente gas compresso a 75 bar, baste leggere la descrisione che c'è qui:

www.atmosphere.mpg.de/enid/No_3_Sett__2__5_metano/energia/R__Emissioni_di_metano_dai_gasdotti_529.html

del gasdotto siberiano.

Il problema della grandi opere (che in Italia si sono sempre costruite) è che ormai la gente non ha più fiducia nelle istituzioni, a ragione, visto come si sono dimostrate incapaci negli ultimi decenni:

- non esiste un sistema di gestione dei rischi e delle emergenze credibile: guardiamo a cosa accadde a Vajont, oppure a Trinio Vercellese, dove la centrale nucleare a scaricato nel Po trizio radioattivo per 3 anni. Dalla strage della Val di Stava o alla miniera d'oro in Sardegna...Il recente disatro del Lambro...

- i comuni che accettano molto spesso attendono i fondi di compensazione per anni, nel frattempo la valutazione e la gestione dei rischi e delle emergenze ricade sulle loro finanze (Qualcuno mi sa dire se a Taranto le ASL riceveno più fondi per far fronte all'impennata di casi di tumore?Ampliamente dimostrata da studi epidemiologici)

Ma anche voi in America non state messi bene: ho sentito che il vostro sistema di gestione idrico è alla frutta e che New Orleans è solo la punta dell'ice-berg. Se accetti che ti costruiscano mega-cose vicino a casa, dovresti essere anche attento da pretendere che le mantengano in uno stato efficiente...Noi italiani lo sappiamo che fine fanno le grandi opere...(Vedremo che cagata si dimostrerà il MOSE...10 milioni di euro l'anno di manutenzione, tutti sulle spalle del Comune di Venezia, nel caso ipotetico si utilizzi solo due volte all'anno; previsioni ampiamente smentite da un semplice grafico storico delle maree).