L'unità e la dis-unità d'Italia. Dialogo. (I)

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Questa chiacchierata nasce da uno scambio di messaggi di posta elettronica in cui concordavamo, per lo meno, su una cosa: che l’uso politico (leggesi: a fini di parte nella battaglia politica corrente) della storia e dei fatti storici (ma anche della fisica, della biologia e, perché no, dell’economia) irrita assai entrambi i firmatari.

La ragione, neanche tanto profonda e neanche tanto segreta, sta nella nostra relazione professionale con alcune di queste “scienze”. È vero che, come l’antropologia e la sociologia e tutte quelle aree del sapere umano che sono branche dell’antica filosofia morale, la storia (e l’economia) non ha(nno) raggiunto il grado di precisione delle scienze naturali nelle proprie affermazioni sul mondo, nelle predizioni e nella capacità di analisi. Ma la mancanza di una teoria formalizzata non impedisce, anzi rende ancor piu necessario, allo storico (e all’economista, ma smettiamola con l’analogia ed atteniamoci alla storia) un’estrema cautela nello stabilire nessi causali e nell’attribuire una valenza generale del tipo “legge” a relazioni e correlazioni anche ripetute. La mancanza d’un solido modello formale di riferimento rende necessaria, allo storico, una capacità di inquadrare un documento, un fatto o una ipotesi in un proprio modello “informale ma rigoroso” del passato in modo tale da valutarne in primo luogo la plausibilità e in secondo luogo la rilevanza per la comprensione dei mutamenti storici. Questo modello implicito, che altri chiamerebbero “fiuto”, è, entro certi limiti, una qualità innata ma, molto più frequentemente, deve essere coltivata attraverso la lettura, il lavoro di archivio e anche il dialogo diretto con (e la critica aspra di) altri storici e scienziati sociali. I professionisti, in genere (ma non sempre) professori universitari, hanno quindi un vantaggio comparato notevole sui dilettanti, anche se volenterosi.

Senza intento polemico, ma con il desiderio di separare il grano dal loglio e di chiarire - non una volta per tutte, perché la ricerca progredisce e le nostre conoscenze di questi temi saranno senz’altro diverse fra sei mesi o un anno, ma almeno temporaneamente - che cosa sappiamo e possiamo dare per acquisito, e cosa non sappiamo e non possiamo dare per acquisito, sul tema “unificazione italiana e differenze socio-economiche su scala regionale”, abbiamo dedicato qualche ora serale, durante le ultime due settimane, a stendere questa intervista. È venuta lunga, quindi la pubblichiamo a puntate.

Boldrin. Partiamo da lontano, ossia dalla situazione economica pre-unitaria, dove per datare l’unità useremo il decennio 1860-70. Molti commentatori tendono a valutare le conseguenza e l’opportunità politica e storica dell’unificazione italiana in base al tipo di risposte che si danno al quesito: quanto vaste erano le differenze economiche fra le regioni che entrarono a far parte del Regno d’Italia tra il 1860 ed il 1870? Prima di discutere se quel metodo di valutazione sia sensato, potresti brevemente darci un quadro di quali differenze si considerino “certe” fra i ricercatori di storia economica, quali “probabili”, quali “incerte ma possibili”, quali “improbabili o altamente tali”?

Federico. Di certo ci sono solo la morte e le tasse – e in Italia neanche queste. Anche i dati macro attuali sono discutibili (basti pensare all’economia in nero), figurarsi quelli storici. Sono tutte stime, più o meno attendibili a seconda della disponibilità di fonti e della competenza e dell’accuratezza dell’autore. Feinstein, grande storico economico ora scomparso, e autore della stima storica del reddito inglese, diceva che gli autori avrebbero dovuto mettere una valutazione alle proprie stime da A (ottima e solida) fino ad E (quasi inventata). Solo che nessuno lo fa e tutti nascondono i problemi nella dotta illustrazione della procedura di stima, che nessuno legge mai. In genere gli utenti, compresi tutti gli economisti amici tuoi, prendono i dati come se fossero oro colato.

Boldrin. Lasciamo stare … non “tutti” gli economisti, solo alcuni … ma transeat. Puoi darmi qualche esempio specifico?

Federico. Prendiamo i dati che ci servono per il divario regionale. La misura standard è il cosiddetto reddito nazionale, in questo caso regionale – in termini tecnici il PIL (prodotto interno lordo) a prezzi nominali. È la somma di tutti i beni e servizi prodotti in una nazione (regione) in un dato periodo, che è anche pari alla somma dei redditi di tutte le persone che hanno lavorato, o anche alla somma di consumi, investimenti ed esportazioni meno importazioni. A voler essere rigorosi sarebbe necessario tener conto della possibilità di diversi livelli di prezzo fra le regioni. In genere quelle più povere hanno prezzi minori e quindi lo stesso reddito monetario compra più beni. Le stime finora non hanno tenuto conto di questo effetto, e quindi i dati che ti citerò tendono a sottovalutare (ripeto sottovalutare) il divario fra Nord e Sud. In teoria il PIL potrebbe essere stimato o come somma dei prodotti o come somma dei redditi. Il risultato dovrebbe essere eguale ma non succede mai. Per l’Italia non ci sono dati sufficienti sui redditi e quindi tutte le stime sono dal lato dell’offerta – cioè la somma dei prodotti, in teoria uno per uno.

Boldrin. Un lavoro di una noia mortale, oltre che squisitamente impossibile visto che, sia al tempo che allora, nessuno tiene il registro di tutto quanto produce, giorno per giorno.

Federico. In effetti. Io l’ho fatto per l’agricoltura e posso garantirvi che è un lavoro delicato e ingrato. Prendiamo per esempio la stima della produzione di carne. Bisogna partire dal numero di vacche. In Italia, sono stati tenuti due censimenti del bestiame, nel 1881 e nel 1908. Per tutti gli altri anni bisogna interpolare il numero di animali ed in particolare di vacche. Io l’ho fatto con un piccolo modello tenendo conto dei prezzi relativi, del reddito etc. Ciascuna vacca fa nascere un vitello l’anno: bisogna stimare quanti sopravvivono, per rimpiazzare gli animali vecchi o per essere macellati, e bisogna stimare a quale età vengono macellati. La produzione di carne è pari al numero di animali macellati per il peso medio. In tutti questi passi, l’autore deve fare delle scelte - la struttura del modello per lo stock, i coefficienti di perdita di vitelli, il numero di animali da rimpiazzare (che dipende dalle pratiche di allevamento), l’età alla macellazione, il peso in carne etc. Si può basare su fonti parziali (p.es. la statistica della macellazione del 1906) che però considerava solo le grandi città), sulla letteratura tecnica dell’epoca e su (rari) lavori storici (p.es. su aziende). Ma alla fine è questione di “fiuto”: quanto sono attendibili le fonti ufficiali, di quale autore fidarsi etc. A fidarsi troppo delle fonti si fanno errori clamorosi Per esempio, sull’agricoltura, la vecchia ricostruzione ISTAT della serie del reddito nazionale, su cui si è basato il dibattito storiografico per quaranta anni è palesemente errata. Infatti è stata fatta negli anni Cinquanta da statistici dell’ISTAT che si sono fidati ciecamente di una statistica del 1870-1874 sulla produzione di grano. Peccato che secondo la statistica la provincia di Caserta producesse più grano di tutta la Lombardia. Palesemente assurdo, e infatti alcune fonti successive lo hanno detto.

Boldrin. Commovente, Sherlock Holmes. Ed il risultato di tanto lavoro?

Federico. Per quanto mi riguarda, una stima annuale (provvisoria) della produzione nazionale e quattro stime della produzione agricola per regione nel 1891, 1911, 1938 e 1951. Queste ultime sono poi state incorporate, insieme alle analoghe stime di Fenoaltea, per il settore industriale, e di Felice, per i servizi, in una stima del prodotto interno lordo per regioni in quegli anni (Felice 2007). Si tratta di dati ragionevolmente attendibili, date le fonti – diciamo C nella classificazione di Feinstein - un margine di errore del 10% in più o in meno.

Boldrin. E cosa dicono le stime “ragionevolmente attendibili” per il 1891?

Federico. Facendo 100 l’Italia, il prodotto pro-capite era 115,7 nel triangolo industriale, 91.4 nel Nord-Est (il Veneto era poverissimo), 111,1 nel Centro, 86.4 nel Sud e 93.2 nelle Isole. Un divario fra triangolo industriale e Sud di circa il 33.3%. Nota che il Triveneto era piu “povero” delle isole e neanche il 10% superiore al Sud. Oggi il PIL del triangolo industriale è superiore a quello del Sud del 75%, e nel 1951, al massimo del divario interregionale, era 2.5 volte tanto, ossia era superiore del 150%.

Boldrin. Ma il Centro? Perché era così ricco, relativamente parlando?

Federico. Per “colpa” del Lazio. Sarebbe stata la regione più ricca d’Italia, secondo quei calcoli. Matematicamente perché la percentuale di addetti ai servizi era più alta (il 28% contro il 18%) e la loro produttività era molto più alta (il 50% in più). Credo sia un effetto della concentrazione di impiegati pubblici (relativamente ben pagati) a Roma. Evitiamo battute, please. So benissimo che misurare la "produttività" del funzionario pubblico in base al reddito che percepisce ma non in base al valore “vero” (qualunque esso sia) di quanto produce fa ridere. Ma si fa ancora e infatti continua a dare un Lazio, via Roma, molto piu “produttivo” della media nazionale.

Boldrin. Va bene, mi contengo: tanto hai già detto tu, a me basta sottolinearlo. Ma qui siamo già trent’anni dopo. Non avreste dei numerini affidabili anche per il 1861?

Federico. No e sarà difficilissimo produrli. Nel 1861 le fonti ufficiali sono molto scarse e poco affidabili, si era ancora in pieno caos da unificazione. Alcuni amici miei stanno lavorando a una stima per il 1871, ma si basa più sulle stime del 1891 che su ricerche originali. I risultati preliminari suggeriscono un divario simile, forse lievemente inferiore a quello del 1891. E dal 1861 al 1871 sono successe molte cose. Daniele e Malanima (2007) hanno fatto una stima molto approssimativa per il 1861 - quella che in gergo si chiama “back of the envelope” (sul retro di una busta) e che Feinstein classificherebbe E. Loro sostengono che il divario Nord-Sud era quasi nullo, e che ha iniziato ad comparire alla fine degli anni Sessanta. Alla luce della (più recente) stima della Banca d’Italia per il 1871 direi che si sbagliano, probabilmente perché usano una stima di Fenoaltea della produttività dell’ industria nel 1871 troppo alta. In ogni caso, sono stime molto approssimative. Diciamo che nel 1861 il divario fra triangolo industriale e Sud variava da un minimo di zero ad un massimo del 40%. Il valore più probabile era del 20-25%.

Boldrin. Un bel margine di errore. Cambia molto. Non si potrebbe essere più precisi?

Federico. Non con il PIL, salvo miracoli di Lourdes tipo la scoperta di una inchiesta inedita. Ci sono gli indicatori indiretti di benessere, come l’alfabetismo, l’altezza (che riflette i livelli di nutrizione), la mortalità infantile. Ci sta lavorando Giovanni Vecchi, un economista molto bravo di Tor Vergata. Più o meno sono tutti superiori del Nord Ovest, ed in alcuni casi anche di molto. Per esempio, il tasso di alfabetizzazione era del 46.3 in Lombardia e dell’11,4 in Sicilia.

Boldrin. Sappiamo tutti che l’analfabetismo italiano era notevole e quello del Regno delle Due Sicilie particolarmente tale, ma davvero così bassi? Peggio che in Afghanistan ora.

Federico. La spesa per istruzione primaria era decisa a livello comunale, e i latifondisti siciliani non avevano alcuna voglia di pagare tasse per istruire i figli dei contadini, che poi magari chiedevano un aumento di salario. Devi anche considerare che l’Italia era un paese poverissimo.

Boldrin. Quanto povero?

Federico. Le stime (provvisorie) della Banca d’Italia implicano un PIL procapite attorno ai 1.500 euro attuali nel 1861. Nell’ipotesi “media” sarebbero, nel 1871, 1600 euro nel Sud e poco più di 2000 nel Nord-Ovest. Prima di lamentarsi dei mali dello sviluppo capitalistico, forse sarebbe meglio pensare a come facevano a vivere i nostri antenati. Siamo arrivati a 6600 euro – cioè ad un reddito mensile pro capite superiore all’attuale pensione minima - solo nel 1959. Per trovare oggi valori comparabili a quelli italiani del 1860-70 dobbiamo andare in Senegal o in Laos. Era povera, l’Italia risorgimentale.

Boldrin. Già. Ma ritorniamo al divario all’unità. Tu citi il triangolo industriale, non il Nord. Quindi la tradizionale distinzione “orientale ed occidentale” conta? Tu capisci la rilevanza oggi, per due ragioni. Da un lato i furori politici sembrano concentrarsi più sul Nord-Est. Dall’altro l’esperienza di quest’ultimo, che è riuscito apparentemente a passare da molto povero a molto ricco in mezzo secolo contiene forse delle lezioni rilevanti su cosa induce sviluppo economico e cosa non lo induce.

Federico. Come detto, il Nord-Est era poverissimo. Il Veneto nel 1891 aveva un PIL inferiore del 20% alla media Italiana. Solo Calabria, Abruzzi e Basilicata erano più poveri. Questo vuol dire, per chi si scorda la geografia, che Campania, Sicilia e Puglia erano più ricche del Veneto. Lo sviluppo industriale veneto è faccenda del secondo dopoguerra.

Boldrin. Ma da dove venivano queste differenze regionali?

Federico. Sostanzialmente dall’industria. Nel 1891, la produttività per addetto in agricoltura era superiore del 50% nel Sud perché il rapporto terra/lavoro era molto più alto che nel triangolo industriale. Il divario nei servizi era più o meno simile alla media dell’economia. Invece nell’industria il numero di addetti era di poco superiore nel triangolo industriale (26% della popolazione attiva contro il 20% nel Sud e isole), ma ciascuno di loro produceva circa il doppio. Nel Nord era già iniziato lo sviluppo dell’industria moderna, specie nei settori tessili (cotone e seta). Nel Sud erano quasi tutti artigiani, spesso part-time. Al momento dell’unificazione, Napoli era un enorme centro manifatturiero, con migliaia di addetti. Ma non erano in grado di sostenere la concorrenza di paesi più avanzati, e neppure del Nord, e infatti negli anni successivi all’unità, senza dazi doganali, questa ”industria” meridionale è scomparsa.

Boldrin. Insomma, non era “industria” come la intendiamo noi o come la intendevano gli inglesi al tempo, per dire. Erano tanti artigiani, singoli o messi assieme, ma le tecniche produttive utilizzate erano primitive. E le grandi industrie del Sud, il famoso stabilimento meccanico di Pietrarsa su cui piangono i meridionalisti di ritorno come Pino Aprile?

Federico. Le cifre si riferiscono al 1891 – non ci sono ancora dati per settore nel 1871. Ma in ogni caso Pietrarsa era una cattedrale nel deserto, tenuta su con i sussidi e le commesse gia allora, pensa un po! A livello aggregato contava pochissimo.

Boldrin. In sostanza, il divario, per quanto piccolo in termini assoluti, era già significativo nel 1861. E le prospettive di sviluppo erano migliori nel Nord. Se non altro il capitale umano era (relativamente) più abbondante, c’era maggiore istruzione, salute, eccetera. Forse - si potrà dire ? - c'era già allora più "stato" di diritto, nel senso di un sistema amministrativo e di "legge e ordine" che funzionava più che al Sud, dove il potere locale era altamente feudale ...

Federico. In effetti. Come si dice - nel regno dei ciechi, l’orbo è un re. Aggiungo anche che il Nord aveva due vantaggi importanti dal punto di vista dell’industrializzazione. Aveva l’acqua, utile per molte lavorazioni e soprattutto fonte di energia indispensabile in un paese privo di carbone. Ed era geograficamente (e culturalmente) più vicino all’Europa. Inoltre aveva un abbozzo di rete ferroviaria, o almeno l’aveva il Piemonte. Nel Sud, dopo la Napoli Portici (praticamente una metropolitana) non avevano costruito nulla.

Boldrin. Quando comincia questo “distacco” fra Nord e Sud?

Federico. Bella domanda. Per rispondere devo fare un piccolo passo indietro sulla ricostruzione dei dati. La metodologia che ti ho descritto all’inizio è la cosidetta stima diretta, che richiede un minimo di dati. Questi non sono disponibili per quasi nessun paese prima del 1800. Che io sappia, esiste solo un tentativo di stima diretta per il periodo pre-industriale, molto recente, per l’Inghilterra – ed è molto contestato.

Boldrin. E quindi?

Federico. Gli storici economici più cauti dicono che non si può far nulla. Ma esiste un gruppo di "pazzi" che ci prova comunque. La maggioranza usa un metodo indiretto, che si basa sui salari reali, in genere dei muratori urbani. Si assume che siano un indice del reddito delle masse popolari e si calcola il consumo di prodotti alimentari e quindi la produzione agricola, che nelle società pre-industriali rappresentava il 60-80% del totale. Si aggiunge una stima della produzione di industria e servizi e si ottiene il PIL.

Boldrin. E funziona? Se capisco bene si basa su argomenti del tipo “costo opportunità“, ossia se i muratori in città guadagnano X allora i tessitori devono guadagnare una frazione a di X ed i mugnai b di X ...

Federico. In effetti assumono che tutti i redditi da salario aumentino nella stessa misura, che il mercato del lavoro sia integrato etc. Una serie di assunzioni abbastanza azzardate e il risultato sono stime molto approssimative. Diciamo al massimo un D. Gli autori pensano che sia meglio che niente. Io tutto sommato sono d'accordo, almeno in teoria. Poi bisogna andare a vedere caso per caso.

Boldrin. Appunto. Per l’Italia cosa abbiamo?

Federico. Una stima di Malanima per il Centro-Nord, Lazio escluso dal 1300 (Malanima, forthcoming). Secondo lui, il livello medio del reddito pro-capite è rimasto sostanzialmente stabile fino al 1880, fluttuando ampiamente a seconda del rapporto terra/popolazione. Il massimo pre-industriale sarebbe stato agli inizi del XV secolo, con un reddito superiore del 40% a quello dell’Unità (appunto il livello del 1880). Alla metà del Settecento, il PIL sarebbe stato superiore del 15% circa a quello del 1861 e poi sarebbe diminuito per l’aumento della popolazione, da 9,3 a 16 milioni. Gli anni Cinquanta dell'Ottocento sono stati particolarmente negativi, anche per una serie di malattie che hanno colpito la produzione agricola.

Boldrin. Ammettiamo che queste stime siano esatte (turandoci il naso). E il divario? Ci sono stime per il Sud?

Federico: No, che io sappia. Malanima non le ha fatte, probabilmente perché mancano serie salariali decenti. La sua stima però implica che il 1860 abbia segnato un minimo del divario interregionale. Se il reddito pro-capite è funzione inversa del rapporto terra/popolazione, le fluttuazioni tendono ad essere più ampie in una zona dove la terra è scarsa, come il Centro-Nord, che in una di terra abbondante come il Sud. Ma queste sono pure speculazioni.

Riferimenti bibliografici.

Daniele Vittorio e Paolo Malanima "Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)" Rivista di Politica Economica 97 (2007) pp, 267-315

 

Felice EmanueleDivari regionali ed intervento pubblico, Mulino, Bologna 2007

Malanima Paolo "The long decline of a leading economy. GDP in Central and North Italy 1300-1913", forthcoming in European Review of Economic History (2011)

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Commenti

Ci sono 190 commenti

E' una bellissima idea parlare di questo argomento. A me da terrone sta particolarmente a cuore ma credo possa essere utile a tutti.

Caro Boldrin, la fase II non puoi farmela aspettare troppo perche' questa intervista mi piace assai e adesso voglio sapere come va avanti.

Interessantissimo anche capire come si ottengono questi benedetti numeri , e quanto "reali" siano, mi piace molto la definizione in lettere che rende subito chiara la percentuale di affidabilita' di tali dati. Insomma svelando un po' di retroscena ai cosidetti volonterosi dilettanti rendiamo piu' "umani" questi cattedratici che ogni tanto magari se la tirano un po'

Bello Boldrin, aspetto la seconda parte al piu' presto.

Riguardo il Nord-Est dell'Italia ritengo che, nonostante il PIL pro-capite al momento dell'unificazione sia stimato essere comparabile a quello del Sud, le condizioni delle popolazioni fossero comunque di significativo maggiore benessere rispetto.  Questo indicano per me i dati dell'alfabetizzazione e della mortalita' infantile da 1 a 12 mesi del Veneto, entrambi piu' vicini ai valori del triangolo industriale (e superiori a Toscana ed Emilia Romagna) rispetto ai corrispondenti valori nel Sud. Forse queste documentate migliori condizioni si devono ad una ripartizione meno diseguale del reddito prodotto, fatto misurabile oggi e da quando sono disponibili i dati (per quanto so) e plausibilmente presente anche al momento dell'unificazione e anche in precedenza.

 

 

Forse queste documentate migliori condizioni si devono ad una ripartizione meno diseguale del reddito prodotto, fatto misurabile oggi e da quando sono disponibili i dati (per quanto so) e plausibilmente presente anche al momento dell'unificazione e anche in precedenza.

 

Perchè plausibilmente? Non c'è uno straccio di  dato. A livello nazionale la diseguaglianza pare essere diminuita dal 1881 al 1961 (Rossi, Toniolo, Vecchi Juornal of economic history 2001)

 

le condizioni delle popolazioni fossero comunque di significativo maggiore benessere rispetto...

Ovviamente è solo un aneddoto esperienziale ma ricordo il Friuli, zona di Pordenone anni 50 da dove proviene la famiglia materna, era del tutto paragonabile alla zona della Campania. Miseria notevole.

sarebbe interessante secondo me cercare una connessione tra situazione economica, evoluzione delle istituzioni, presenza/peso dei tentacoli della Chiesa all'interno delle varie entità peninsulari.

 

A naso direi che il dato, estremamente positivo, del Lazio sia dovuto all' essere sede della "multinazionale" Chiesa Cattolica.

 

 

sarebbe interessante secondo me cercare una connessione tra situazione economica, evoluzione delle istituzioni, presenza/peso dei tentacoli della Chiesa all'interno delle varie entità peninsulari.

 

Ecco, con tutto il rispetto per gli economisti, dei cui articoli e interventi sono grato perchè mi accorciano gli orecchi che ho in materia lunghissimi, penso tuttavia che oltre al "capitale sociale" ed altri fattori in qualche modo quantificabili (con tutte le difficoltà onestamente sottolineate che questa quantificazione comporta) abbia influito molto la presenza di una cultura istituzionale "di fatto".

Sia la Serenissima che l'imperial regio governo avevano lasciato, nella coscienza collettiva, l'idea che vi fosse un sistema amministrativo organizzato e riconosciuto, della cui esistenza e presenza tutti, anche il più povero contadino, avevano percezione. Se uno legge Le confessioni di un italiano di I. Nievo se ne rende ben conto. La Chiesa stessa ne era in certa misura influenzata.

Il fatto che fosse scontata l'esistenza di autorità, leggi, regole, procedure penso che abbia enormemente facilitato il compito di chi, nel nuovo contesto unitario, si sia dato da fare per far crescere le proprie attività.

Nel caso delle regioni del sud, più svantaggiate sotto questo profilo, questa trama o mancava o era avvertita come lontana, confusa, ostile e soprattutto inaffidabile per la presenza di troppi poteri sovrapposti (mafie, latifondisti etc.). Figuriamoci se poi la si percepiva importata, per non dire usurpatrice e conquistatrice.

 

Molto interessante, grazie.

Una domanda:

 

Boldrin. Quanto povero?

Federico. Le stime (provvisorie) della Banca d’Italia implicano un PIL procapite attorno ai 1.500 euro attuali nel 1861 (...) Per trovare oggi valori comparabili a quelli italiani del 1860-70 dobbiamo andare in Senegal o in Laos. Era povera, l’Italia risorgimentale.

 

Forse per comprendere meglio il grado di poverta' sarebbe utile confrontare il dato con il PIL 1861 delle altre nazioni. Esistono dati o stime del PIL pro capite in euro attuali per altri grandi paesi Europei (tipo UK, Impero asburgico o Francia) a cui confrontare il dato italiano?

La fonte standard per questi confronti è un data-base di Maddison (http://www.ggdc.net/MADDISON/oriindex.htm) in dollari 1990. Le serie per l'Italia è "vecchia", ma le differenze con i nuovi dati sono relativamente modeste

PS ricordatevi le avvertenze sulla qualità dei dati del reddito nazionale!!!!!!!!!

Il pezzo mi pare molto bello.

Secondo me però alla fine di ogni puntata ci vorrebbe un breve riepilogo. Una cosa tipo:

  1. Attenti ai dati: vanno presi mooolto con le pinze
  2. Il divario Nord -Sud all'epoca dell'unità esisteva 
  3. Un ipotesi ragionevole è che il divario fosse in Pil Pro capite Italia=100 Triangolo Industriale=115,7 Nord Est = 91.4 Centro =111,1 Sud =86.4 Isole= 93.2 
  4. Il Veneto nel 1891 aveva un PIL inferiore del 20% alla media Italiana. Solo Calabria, Abruzzi e Basilicata erano più poveri. Questo vuol dire, per chi si scorda la geografia, che Campania, Sicilia e Puglia erano più ricche del Veneto. Lo sviluppo industriale veneto è faccenda del secondo dopoguerra.
  5. L'italia risorgimentale era molto povera: 1500€ annui di pil procapite:per trovare oggi valori comparabili a quelli italiani del 1860-70 dobbiamo andare in Senegal o in Laos. 
  6. L'industria preunitaria del sud Italia era in realtà un complesso di artigiani che verranno posti fuori mercato dalla concorrenza delle industrie vere.

 

Eccellente. Come al Liceo nei libri di storia, cosi' chi vuol studiare alla svelta legge solo il riepilogo e fa power reading e gestisce piu' articoli. Non sto ironizzando, eccellente riepilogo!

Salve, vorrei un piccolo chiarimento sui dati presentati da Giovanni Federico.

"Le stime (provvisorie) della Banca d’Italia implicano un PIL procapite attorno ai 1.500 euro attuali nel 1861. Nell’ipotesi “media” sarebbero, nel 1871, 1600 euro nel Sud e poco più di 2000 nel Nord-Ovest. Prima di lamentarsi dei mali dello sviluppo capitalistico, forse sarebbe meglio pensare a come facevano a vivere i nostri antenati. Siamo arrivati a 6600 euro – cioè ad un reddito mensile pro capite superiore all’attuale pensione minima - solo nel 1959. Per trovare oggi valori comparabili a quelli italiani del 1860-70 dobbiamo andare in Senegal o in Laos. Era povera, l’Italia risorgimentale"

Volevo sapere se i 6600 euro erano reddito mensile procapite, oppure reddito annuo? C'è un errore oppure mi sfugge qualcosa?

Annuo

Chiedo al prof. Federico se ci sono studi o stime che includono i costi del brigantaggio.

Per circa 8 anni il sud fu percorso da una guerra civile strisciante, dove non era facile distinguere i buoni dai cattivi e dove l'unica cosa certa era la distruzione di capitale umano e materiale, con i bersaglieri che fucilavano con manica larga e i briganti che tra le altre cose ammazzavano e rapivano i possidenti "liberali", cosa che nel sud voleva spesso dire i borghesi più attenti e più predisposti, sia pure in embrione, all'imprenditoria anzichè al latifondo.

Mi chiedo se questo possa aver contribuito ad ampliare il divario, lasciando tracce profonde nella società e nell'economia, avendo ovviamente ben presente che questa non può essere la causa principale, ma al massimo una concausa.

Credo che la ragione principale vada ricercata, come detto nel post, nella mancanza per il sud di fonti di energia facilmente accessibili (il famoso carbone azzurro dell'idroelettrico ampiamente disponibile invece nell'arco alpino) e nella lontananza dai mercati più evoluti, che a fine ottocento ha fatto concentrare gli investimenti, anche stranieri, nel nord-ovest.

 

 

Chiedo al prof. Federico se ci sono studi o stime che includono i costi del brigantaggio.

 

Non che io sappia. Più volte si è parlato di farla, ma le difficoltà sono sempre apparse insuperabili - proprio per la mancanza di dati per il 1861. Comunque il brigantaggio è una delle molte cose accadute fra 1861 e 1871 che citavo nella mia risposta insieme alla i) costruzione delle ferrovie e di altre infrastrutture ii) estensione al Sud dell'amministrazione piemontese, iii) liberalizzazione del commercio estero iv) unificazione della moneta ed abolizione delle barriere interne etc. Proprio per la somma di questi shocks è difficile inferire i livelli di reddito del 1861 dalle stime del 1871 (ed a fortiori del 1891)

 

 

 

 

Vedo che la discussione si è già scatenata e le affermazioni più o meno apodittiche si sprecano. Questo non vale per tutti i commenti, sia chiaro, ma ce ne sono già in numero fin troppo ampio a ribadire le proprie fantasie a difesa del religioso orticello in cui, da sempre, si coltivano banane bisognose di raddrizzamento ... Qualcuno mi scrive emails per raccontarmi dei suoi bisnonni, altri mi beccano sul chat e mi svelano

 

che nel polesine fossero il sud del meridione del nord è stra mega iper risaputo e anche la mappa delle province pubblicata sul corriere [si riferisce a questa] e tant'è che verona ha preso a parlare in veneto dopo che rovigotti ed altri vi si son trasferiti in cerca di lavoro in massa

 

Il flusso di "non è come dite voi e come dicono i dati perché io so, nel profondo dell'anima mia, che è altrimenti ..." sembra crescere e, al solito, non ha nessuna intenzione di recedere dinnanzi all'abbondanza di fatti altrui ed alla mancanza d'argomenti propri.

Allora: io non so Giovanni cosa intenda fare (lui è buono e gentile e paziente ...) ma io non intendo discutere con chi non suffraga le proprie affermazioni con dati e riferimenti bibliografici precisi. Non ve li ricordate al momento? Too bad: perdere 5 minuti ed andarseli a cercare! A chiacchierare siamo buoni tutti, anche Rocco mi parla tutti i giorni e, sostiene lui, mi dice cose profonde ... un vero peccato che io non le capisca come proprio non capisco chi blatera a caso di questo e di quello perché l'ha letto su Famiglia Cristiana, sul National Geographic, da qualche parte che ora non mi ricordo, l'ho sentito ad una conferenza qualche tempo fa, sul nuovo compendio di storia italiana, sul libro popolare del [Montanelli] ([x] is the equivalence class of x) o semplicemente perché ... lo sanno tutti che ...

Questo post, ed i seguenti, li abbiamo scritti proprio perché delle chiacchiere a vanvera di autoproclamati economisti e storici e scienziati politici, eccetera, mi son (ci siam) stancato/i per sempre. Non ho alcuna intenzione di continuare a discutere "alla pari" con chi parla per seccarsi il palato ma non ha studiato: io non mi taglio i capelli, vado dal barbiere e non gli spiego come deve tenere le forbici. Non mi interessano le buone intenzioni e nemmeno l'italiota proclama di buona fede: quest'ultima comincia con lo studio e la verifica teorica ed empirica delle proprie affermazioni. Dire puttanate e poi rispondere che si cerca solo umilmente di contribuire la propria opinione al dibattito è prova o di mala fede o di imbecillità, o di entrambe le cose. Su queste cose, davvero, ho sempre meno l'intenzione di take prisoners ...

Insegnare a chi non sa ed ha sincera voglia di apprendere è una cosa, far finta di discutere alla pari con chi non sa e non vuole apprendere perché ha una soluzione precostituita in testa, è un'altra. Imparare la contabilità nazionale, almeno. Poi ne riparliamo.

 

Boldrin, ovviamente io non posso sapere quanto i lettori di nFA ti invadano la tua posta elettronica, ma per una volta che il thread va che e' una bellezza, nel senso che nessuno dice parolacce, la discussione e' interessante...perche' ci devi creare l'invettiva per forza? Con tutto rispetto, ma una parte dei famigerati dati non viene anche "confrontata" sul campo dalla viva voce, dai racconti, dalle esperienze personali, dai ricordi di famiglia? Scusa se sono troppo elementare, ma ho riletto tutti i post e secondo me questa volta non e' proprio cosi' come tu la vedi...per una volta tanto i lettori sembrano disciplinati e i vari apporti interessanti, tanto che il professor Federico risponde e approfondisce...insomma noi poveri mortali dobbiamo sentirci sempre sotto esame ed a scuola? Mi sembra che questa volta hai esagerato un po'. Scusami se mi permetto di criticarti, lo faccio solo per riguardo alla forma del post, mi guardo bene dal criticarne il contenuto.

Questo post, ed i seguenti, li abbiamo scritti proprio perché delle chiacchiere a vanvera di autoproclamati economisti e storici e scienziati politici, eccetera, mi son (ci siam) stancato/i per sempre. Non ho alcuna intenzione di continuare a discutere "alla pari" con chi parla per seccarsi il palato ma non ha studiato: io non mi taglio i capelli, vado dal barbiere e non gli spiego come deve tenere le forbici. Non mi interessano le buone intenzioni e nemmeno l'italiota proclama di buona fede: quest'ultima comincia con lo studio e la verifica teorica ed empirica delle proprie affermazioni. Dire puttanate e poi rispondere che si cerca solo umilmente di contribuire la propria opinione al dibattito è prova o di mala fede o di imbecillità, o di entrambe le cose. Su queste cose, davvero, ho sempre meno l'intenzione di take prisoners ...

Metterci un disclaimer chiaro ed inequivocabile a fine/inizio post pareva brutto? Tipo che no so, astenersi perditempo, riservato agli addetti, obbligo nel citare la fonte. Meglio essere chiari fin da subito che litigare dopo. 

 

Maestro!

E` proprio vero che noi Italiani si dovrebbe imparare a tacere, ascoltare e capire quello che si sta ascoltando...

Purtroppo spesso chi apprende con rispetto sta zitto e si sente solo il compagno di banco casinista...

Continuate per favore per tutti gli ignoranti che leggono e imparano e non lasciano commenti, anche se il oro nonno gli aveva raccontato una storia dell'Italia dalle guerre Puniche ad oggi che non corrisponde a quello che dite ;)

Salve, ringrazio per lo splendido dialogo così pieno di informazioni. Da un po' di tempo mi sono assunto l'ingrato compito di sistemare la voce "questione meridionale" di wikipedia, perché era in condizioni pessime e di propaganda ce n'è tanta in giro. Quello che leggo conforta quello che avevo capito finora (anche se avevamo tutti sopravvalutato il daniele-malanima, che ha avuto una risonanza notevole).

Solo una cosa vorrei chiedere al dott. federico: non mi torna quanto lei dice dell'agricoltura. Le fonti storiche concordano in un inferiorità dell'agricoltura meridionale per varie cause: latifondo, tecniche, irrigazione più arretrata, paludi e malaria. Finora ho dato per scontato che la produttività per ettaro fosse inferiore delle culture intensive come p.e. il riso nel nordovest, e che anzi la catena degli eventi fosse

maggiore produttività per ettaro -> maggiore ricchezza -> maggiore popolazione.

Credevo insomma che l'agricoltura fosse una componente importante della questione meridionale

Lei invece scrive che la produttività (per addetto immagino) era superiore al sud che al nord (incluso nordovest?). L'unica spiegazione che mi viene in mente è che per questioni logistiche al sud venivano utilizzate colture a minore densità di lavoro (e.g. grano contro riso). E' corretta questa assunzione? In caso contrario, devo considerare la produzione agricola al sud (per addetto, per ettaro) superiore o pari a quella del nord? come si sposa questo con l'alta disoccupazione dei braccianti del sud?

La ringrazio per le risposte che vorrà darmi

 

La faccenda è abbastanza complessa. Nel breve periodo si possono considerare date la forza-lavoro, la terra e le tecniche e quindi  la scelta delle colture e (quindi) la produzione e la produttività per addetto o per unità di terra. Nel lungo periodo tutto può cambiare - la forza lavoro aumenta con la popolazione (e quindi dipende anche dalla produzione agricola) e si riduce con l'emigrazione, la terra può aumentare con disboscamenti e bonifiche, le tecniche disponibili cambiano con il progresso etc. I dati che cito sono semplicemente le mie stime della produzione divise per il numero di addetti secondo i censimenti. Le stime possono essere errate, ma qualcuno deve dimostrarlo con stime alternative accurate - non bastano affermazioni vaghe sulla base della letteratura contemporanea.

Se vuole dati più precisi, ho scritto un articolo

"Ma l'agricoltura meridionale era davvero arretrata?", nella Rivista di Politica Economica 2007 (lo stesso volume di Daniele-Malanima)

Sempre per farmi pubblicità, posso citare anche un mio libro

'Breve storia dell'agricoltura mondiale' Mulino 2009

dove spiego, appunto molto in breve e con linguaggio (spero) semplice, alcuni di questi concetti.

 

Ah Michele! Non fa una grinza.

E che sembra cosi banale buttarsi nella discussione: dopo tutto, uno mescola un pò di dati di qua e di là e hop! è fatta, eccoci tutti quanti capaci di esporre le ns belle teorie su quella situazione piuttosto di quella. Magari!

Capisco la stanchezza del prof di fronte ad una cohorte di attacca brighe.

Era da una vita che non mi facevo fare uno shampoo in piena regola da chi se lo può permettere, anche se non ero il destinatario del tuo sfogo!

Comunque, prima di mollare tutto, chiediamo agli improvvisati di farsi almeno il corso di metodologia (è del primo anno) cosi ci mettiamo in linea con i fondamentali dello studio: valutazione dei dati, ricerca e restituzione dei risultati.

Costoro devono almeno smettere di rimettere in discussione in continuazione la provenienza dei dati, la loro attendibilità ecc... perchè fa figheo mettere in discussione qualsiasi cosa. Ragazzi, non è il dato in se che pone problema, eventualmente il suo significato.

Poi, per potersi inserire in una discussione, ci vuole un pò di memoria, equilibrio e giusto senso della sfida: se sei messo allo scoperto, preso di rovescio, devi accettare il tuo limite del momento e lasciar passare il concetto espresso dal collega.

Comunque, fino a quando non ho assistito ad una lezione magistrale, il mondo dell'istruzione era solo noia. Non vedo l'ora di sentirti dal vivo!!!

Federico. Gli storici economici più cauti dicono che non si può far nulla. Ma esiste un gruppo di "pazzi" che ci prova comunque. La maggioranza usa un metodo indiretto, che si basa sui salari reali, in genere dei muratori urbani. Si assume che siano un indice del reddito delle masse popolari e si calcola il consumo di prodotti alimentari e quindi la produzione agricola, che nelle società pre-industriali rappresentava il 60-80% del totale. Si aggiunge una stima della produzione di industria e servizi e si ottiene il PIL.

Oltre a questi "pazzi" esistono anche dei "pazzi furiosi" che saprebbero stimare la pressione fiscale nel 1861 o prima ancora?

Post molto interessanti! sarebbe anche curioso (magari nei commenti è stato detto..non ho letto tutto confesso) capire da che anno circa si sia sviluppata la mafia e come-da quando è entrata negli affari del Sud Italia..

La mafia è un'invenzione dei comunisti.

Qui trovi una bibliografia di partenza.

Se dovessi indicare un periodo in cui il fenomeno mafioso nel senso "moderno" si cristallizza, sulla base di quanto ho studiato, direi 1800-1850.

Molti commentatori tendono a valutare le conseguenza e l’opportunità politica e storica dell’unificazione italiana in base al tipo di risposte che si danno al quesito: quanto vaste erano le differenze economiche fra le regioni che entrarono a far parte del Regno d’Italia tra il 1860 ed il 1870? Prima di discutere se quel metodo di valutazione sia sensato

Forse faccio un salto in avanti, però questa mi sembra la questione.

Le differenze economiche e sociali tra le varie regioni erano significativamente superiori in termini quantitativi (che a un certo punto diventano qualitativi) rispetto a quelle tra le regioni di altri stati nazionali dell'epoca, o di stati che si sarebbero unificati di lì a poco, come la Germania?

Inoltre, insistere tanto sulle differenze al momento dell'unità non è una specie di modello superfisso applicato alla storia?  Mi spiego meglio: assumendo risorse mercati e tecnologie invariate nel tempo forse unire politicamente realtà economicamente molto eterogenee può essere un errore. Ma nel 1861 eravamo alla vigilia della seconda rivoluzione industriale, cambiano le tecnologie, cambiano le posizioni relative sui mercati... forse il problema del divario attuale tra Nord e Sud ha più a che fare con le politiche portate avanti nei decenni successivi piuttosto che con le condizioni di partenza.

 

Un articolo interesantissimo che credo di avere abbastanza compreso. Non sono ancora in grado di spiegarlo ad altri (vorrebbe dire che l'avrei compreso per bene),ma mi impegno nei prossimi momenti liberi.

Si potrebbe avere una stima simile dell'affidabilita' anche di statistiche istat recenti? Tutte le volte che vedo stime della pressione fiscale e vedo quanto pago io di tasse, mi chiedo come sia possibile un divario cosi' grosso tra le percentuali ufficiali e quello che effettivamente mi tocca pagare. Capisco che si parla di medie, ma e' possibile che io sia sempre dalla parte sbagliata e che io paghi parecchio di piu' di quanto viene annunciato ufficialmente?

 

 

Tieni conto che la p.f. del 43,1% vale , per chi paga le tasse , il 53% ( 18,7% di sommerso )

Tieni conto anche dei contributi previdenziali

La p.f. individuale poi varia in funzione del reddito , del tenore e stile di vita , del risparmio , ecc.

Sotto ho sviluppato tre calcoli a cui corrispondono tre p.f. diverse

Monoreddito con lordo 100 k€ e un figlio a carico : p.f 57,9%

 

Monoreddito con lordo 50 k€ e un figlio a carico : p.f 60,5%

Due coniugi con reddito ciascuno di 25 k€ e un figlio a carico : p.f. 50,3%

Per l'IVA sul reddito speso ho considerato una media del 15% forse esagerando  ( cure mediche esenti , giornali , libri  e generi di prima necessità 4% , alberghi e ristoranti 10% , il resto 20% )


 

 

Salve, come ho scritto in precedenza, sto cercando di rendere coerente la voce "questione meridionale" di wikipedia.

Ho un problema con le fonti quantitative: sono pubbliche quelle del 2007 su rivista di politica economica

www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/

e il ciccarelli-fenoltea pubblicato su banca d'italia

www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quastoeco/quadsto_04/Quaderno_storia_economica_4.pdf

dato che le prime indicano un pareggio sul ppc (daniele-malanima) e un vantaggio dell'agricoltura meridionale (federico), e la seconda è abbastanza ambigua sulla situazione industriale (indica zone di maggiore sviluppo al nord ma conclude che "l'arretratezza industriale del Sud, evidente alla vigilia della Grande Guerra, non era eredità della storia preunitaria dell'Italia ") la conclusione spontanea è che il sud non fosse più arretrato del nord, a parte per gli indicatori di sviluppo umano di felice.

Esistono pubblicazioni congruenti con quanto riporta il prof. federico qui?: il prodotto pro-capite era 115,7 nel triangolo industriale, 91.4 nel Nord-Est (il Veneto era poverissimo), 111,1 nel Centro, 86.4 nel Sud e 93.2

faccio presente che il daniele malanima ha diffuso l'opinione che il ppc fosse effettivamente uniforme (viene citato per dire anche da pino aprile).

in secondo luogo, viene normalmente sostenuto che la marina borbonica compensasse adeguatamente la mancanza di infrastrutture del sud (tutto sarebbe stato trasportato via mare). fino a che punto questo è vero? qual era il reale ruolo della flotta?

grazie

Scusi ma lei li legge i post?

I dati per il 1891 sono pubblicati da Felice (citazione). Per quelli del 1871

Cito

Alcuni amici miei stanno lavorando a una stima per il 1871, ma si basa più sulle stime del 1891 che su ricerche originali. I risultati preliminari suggeriscono un divario simile, forse lievemente inferiore a quello del 1891.

E' una stima ancora inedita, ma è molto più solida di quella Daniele-Malanima, su cui

Daniele e Malanima (2007) hanno fatto una stima molto approssimativa per il 1861 - quella che in gergo si chiama “back of the envelope” (sul retro di una busta) e che Feinstein classificherebbe E. Loro sostengono che il divario Nord-Sud era quasi nullo, e che ha iniziato ad comparire alla fine degli anni Sessanta. Alla luce della (più recente) stima della Banca d’Italia per il 1871 direi che si sbagliano, probabilmente perché usano una stima di Fenoaltea della produttività dell’ industria nel 1871 troppo alta.

Se Lei vuole citare Daniele-malanima faccia pure. Secondo me sbagliano (non avendo i dati del 1871 che ora sono disponibili), ma si tratta di una discussione scientifica fra professionisti. Invece, secondo me Pino Aprile è un cialtrone.

 

Qualcuno, talvolta, ha eccepito a Michele Boldrin la veemenza dei suoi interventi (di recente credo Giuliana, ma in passato a vario titolo anche altri). Non metto riferimenti perchè vorrei fare un discorso generale.

Ma ci rendiamo conto che il contesto del nostro paese, in cui ai massimi livelli si possono dire somme stronzate senza tema di smentita è figlio dell'eccesso di tolleranza per l'ignoranza, l'approssimazione e la superficialità?

Se qualcuno al liceo si fosse preso la briga di dire ai suoi studenti "non hai capito un cazzo" o se qualcuno alle medie e alle elementari avesse censurato a dovere i temi che vanno fuori traccia forse non saremmo in queste condizioni.

Io dico che dovremmo ringraziare gli editor di questo sito quando ci richiamano all'ordine (nel senso di sano rapporto tra cose affermate e cose conosciute) allo stesso modo di quando ci compiaciamo perchè sputtanano un ministro, un giornalista o un banchiere centrale.

Questo non vuol dire che devono parlare solo i super esperti o che dobbiamo ricadere nell'ipse dixit per cui quello che viene dagli esperti non va messo in discussione. Vuol dire semplicemente:

  • Leggere quello che scrivono gli altri prima di scrivere monologhi
  • Non discutere profili estremamente tecnici se non si hanno competenze sufficienti 
  • Rileggere i propri commenti prima cliccare 'submit' e chiedersi se vale la pena

 

Il cervello per discutere delle logiche esposte ce lo abbiamo tutti e, credo, sia benevenuto chi vuole farlo. Le competenze per entrare nei dettagli tecnici, invece, non è possibile averle su tutto e sarebbe opportuno avere l'onestà di riconoscerlo.

Quanto ai modi: "temo che lei non abbia compreso appieno la questione" lascia aperta la discussione e va bene per le sfumature e i fraintendimenti lievi è un aspirina. "Non hai veramente capito un cazzo"  è l'antibiotico che serve per i casi gravi.

 

Bravo, Massimo, hai ragione!

 

Ma ci rendiamo conto che il contesto del nostro paese, in cui ai massimi livelli si possono dire somme stronzate senza tema di smentita è figlio dell'eccesso di tolleranza per l'ignoranza, l'approssimazione e la superficialità?

 

 

L'intolleranza è progresso, ecco un pò di OT : www.wolfstep.cc/2011/03/la-mosca-nella-minestra.html

 

P.S. a me la sterilizzazione dei commenti degli autori non piace, dopotutto noi commentatori siamo un pò come degli ospiti a casa di altri, se non ci va bene possiamo sempre andare via.

 

Boldrin. Commovente, Sherlock Holmes. Ed il risultato di tanto lavoro?

Federico. Per quanto mi riguarda, una stima annuale (provvisoria) della produzione nazionale e quattro stime della produzione agricola per regione nel 1891, 1911, 1938 e 1951. Queste ultime sono poi state incorporate, insieme alle analoghe stime di Fenoaltea, per il settore industriale, e di Felice, per i servizi, in una stima del prodotto interno lordo per regioni in quegli anni (Felice 2007).

 

Si potrebbero avere i riferimenti di queste stime della produzione agricola? Grazie.

 

Felice Divari Regionali

Federico: le serie in

Le nuove stime della produzione agricola italiana, 1860-1910: primi risultati ed implicazioni, Rivista di Storia economica 19 vol.3  2003 pp. 359-381

L'analisi regionale in

Ma l’agricoltura meridionale era davvero arretrata?Rivista di Politica Economica, 97 2007 pp. 317-340

singolare che in un simile studio ci sia una zona di ambiguità decisamente curiosa: che cosa intendono gli autori con "triangolo industriale", "nord ovest" e "triveneto"?

Milano era uno dei vertici del triangolo industriale, che quindi risultava diviso tra due stati in guerra e quindi difficilmente quantificabile , e se sì quale percentuale del suo reddito va attribuita all'Impero austriaco, e quale al Regno di Sardegna?

o, in alternativa, per "nord ovest" si intendono Piemonte, Val d'Aosta, Sardegna  e Liguria, o bisogna aggiungervi anche metà dell'attuale Lombardia (sottraendola all'Impero)?

o, in alternativa, la stessa operazione si può fare del Veneto (uno o trino, ché non è chiaro), incorporandovi o scorporandovi il milanese (ché Bergamo, Brescia, Crema e Salò furono terre della Serenissima per 4 secoli, e non mi paiono propriamente considerabili come lombarde), contando però che Milano e dintorni per altrettanti secoli passarono di mano di volta in volta tra francesi, spagnoli ed austriaci?

insomma, in questa bega tra terroni del nord e del sud, riconoscere il ruolo e le condizioni di un regno indipendente e di una spanna avanti agli altri dà un fastidio tale da portare a non nominarlo nemmeno?

e sì, è un commento campanilista e rancoroso, di conseguenza accetterò graziosamente tutti gli sberleffi che vorrete indirizzarmi (insieme però a qualche dato di misura su questo rancoroso campanile, che vedo latitare paurosamente nel quadro generale di questo articolo)

 

 

Boldrin. E cosa dicono le stime “ragionevolmente attendibili” per il 1891?

Federico. Facendo 100 l’Italia, il prodotto pro-capite era 115,7 nel triangolo industriale, 91.4 nel Nord-Est (il Veneto era poverissimo), 111,1 nel Centro, 86.4 nel Sud e 93.2 nelle Isole. Un divario fra triangolo industriale e Sud di circa il 33.3%. Nota che il Triveneto era piu “povero” delle isole e neanche il 10% superiore al Sud. Oggi il PIL del triangolo industriale è superiore a quello del Sud del 75%, e nel 1951, al massimo del divario interregionale, era 2.5 volte tanto, ossia era superiore del 150%.

 

Perchè devono aggiungere o togliere qualcosa se nel 1891 fanno tutti parte dell'Italia?

Se proprio si vuol fare le pulci, il termine triveneto riferito al 91 è improprio visto che all'epoca era italiano solo il veneto euganeo, ma si sconfinerebbe nella pedanteria.

Trovo un po' triste cosa sta succedendo in questo thread. Per questo ho pensato di dire la mia sulla questione metodologica - qualita' dei commenti, liti, .... rivolgendomi ad Alberto, Salvatore, Giuliana (oltre che a Michele e Giovanni, naturalmente). 

Innanzitutto Michele. Michele ha poca pazienza, credo i ns. lettori lo sappiano (succede spesso alle persone con enorme energia). Pero' in questo caso addurre le sue reazioni alla mancanza di pazienza sarebbe riduttivo: Michele sta difendendo il sito, che ha ospitato Giovanni, uno storico di fama internazionale che racconta con quanta attenzione ai dettagli e quanta fatica (intellettuale) ha costruito alcune stime storiche del PIL regionale in Italia. Se questo post non ha generato rinnovato rispetto nella disciplina non so cosa possa farlo. (Io ho mandato il post a mio figlio - che e' affascinato dal fare lo storico -  per fargli capire cosa sono gli storici  e cosa fanno, che non li confonda con i giornalisti che scrivono libri di storia). E quindi e' alla mancanza di rispetto (intellettuale, non formale) che Michele reagisce. E fa bene. Se c'e' un valore su cui noi qui non possiamo transigere e' questo, per la professione che ci siamo scelti e che professiamo (appunto!) con passione e fatica. 

E poi Alberto. Alberto e' uno dei primi lettori e collaboratori del sito. Gli vogliamo tutti bene, per questo, e anche per il fatto che insegue posizioni anche impopolari sulla questione meridionale anche lui con passione. Io da Alberto ho imparato qualche anno fa che la distribuzione regionale dell'evasione fiscale in Italia e' ben diversa da quella che io mi aspettavo fosse. Pero' Alberto e' un fisico, ha una mente analitica, e non mi pare troppo richiedere i) il rispetto dell'attivita' intellettuale, e ii) l'abbandono di quella propensione psicologica a sentirsi minoranza attaccata in un angolo contro il mondo intero. Onestamente, Alberto, com'e' che Michele e Giovanni hanno letto un paper che tu citi ma non hai letto? Non e' serio - e' mancanza di rispetto intellettuale. E nFA non e' il Corriere. Ieri Michele si e' preso decine di commenti del tipo "ma chi fanno insegnare a St. Louis" per avere scritto sul Fatto che al Sud non si pagano le tasse. Non sei affatto in un angolo, qui, anzi. 

Lasciatemi ringraziare Giovanni, che spero non sia troppo scocciato da cosa e' successo. Il post e' uno dei migliori apparsi su nFA, secondo me. Mi ripeto, ma la sostanza e' interessantissima: ci produce non solo stime ma anche un senso della qualita' delle stesse.  E la forma e' altrettanto interessante, nel senso che ci da un'idea della difficolta' della analisi empirica che sta dietro le stime.

 

Quoto Bisin in tutto, è quello che avrei voluto scrivere anch'io, aggiungo solo rinnovati ringraziamenti a Michele ma soprattutto a Giovanni per -lo dico anch'io- uno dei migliori post apparsi su NFA.

 

Onestamente, Alberto, com'e' che Michele e Giovanni hanno letto un paper che tu citi ma non hai letto? 

 

Ho gia' spiegato come e' avvenuto ma comunque lo ripeto.

MB ha scritto: "Ma gli Asburgo, per certo, con la storia di Putnam del "capitale sociale" non c'entrano proprio." Io avendo un'opinione diversa (basata su racconti, letture, aneddoti) ho cercato se qualcuno ha pubblicato studi in proposito. Trovo un articolo con autori di istituzioni che mi sembrano ragionevoli:

 

Sascha O. Becker† U Stirling, Ifo, CESifo and IZA
Katrin Boeckh‡ Institute for Eastern European Studies, Regensburg and LMU Munich
Christa Hainz Ifo, CESifo and WDI
Ludger Woessmann LMU Munich, Ifo, CESifo and IZA

 

il cui abstract riporta la seguente conclusione:

 

we show that past affiliation with the Habsburg Empire increases trust in state institutions and investment in social capital. It also reduces the probability that bribes are paid for a variety of public services.

 

L'articolo cita Alesina, Tabellini gia' nella prima pagina, ora leggo le referenze e ci sono molti nomi noti e per quel poco che so autorevoli (Acemoglu, Guiso-Sapienza-Zingales, anche un certo prof. Alberto Bisin). E' mezzanotte, ho mangiato e bevuto alla cena sociale di una riunione, non voglio perdere ore di sonno, l'articolo ha 35 pagine con una decina di pagine di mappe e tabelle di dati, sembra OK, sto scrivendo un commento su nFA che speravo avesse referee meno severi di quelli di PRL, mando il commento chiedendo con sulla base di quali studi si dovrebbe smentire quell'articolo.

Ora se leggevo l'articolo era meglio, era piu' rispettoso per Michele e per la qualita' del blog, e' vero e la prossima volta impieghero' piu' tempo a rispondere e mi leggero' tutto.

Tuttavia devo dire che anche se lo avessi letto, l'articolo, da dilettante della materia lo avrei giudicato affidabile e francamente irreprensibile.  Gli autori controllano per una serie di variabili ragionevoli per separare l'effetto della dominazione asburgica da altri fattori, quindi ad esempio per quel che capisco io non trattano allo stesso modo la Boemia e la Moldavia come GF ha scritto.  Leggo:

Our results show that, controlling for a host of individual-level variables, including education, income, religion, and ethnicity, respondents living in former Habsburg areas have more trust in state institutions and invest more in social capital because they more often are a member of a political party or civic organization. Moreover, they are less likely to pay bribes for a variety of public services. This last result is particularly interesting because it demonstrates that the institutional heritage not only influences preferences and unilateral decisions but also affects bilateral bargaining situations.

Alberto Bisin:

 

Ieri Michele si e' preso decine di commenti del tipo "ma chi fanno insegnare a St. Louis" per avere scritto sul Fatto che al Sud non si pagano le tasse.

 

Solidarieta' a Michele. Per fortuna leggo nei commenti che esistono anche lettori del FQ che sono capaci di ragionare e apprezzare.

Caro Alberto

grazie per le gentili parole, molto apprezzate. Per gratitudine, eviterò di infierire sull'Inter :-)

Giovanni

Sento il dovere di aggiungermi alla lista dei ringraziamenti, forte del mio ruolo di utente "passivo" (e della massima, che condivido in toto, "chi non sa, taccia") per Michele e il prof. Federico. Se c'è una cosa che apprezzo più di tutte di nFA, a parte la schiettezza, è il Metodo: rigorosa analisi dei dati, dalla qualità del dato stesso (in questo senso, il contributo del post in questione è illuminante) e dei metodi utilizzati per l'analisi. Grazie mille.

Beh! L'occasione del commento di Alberto Bisin mi sembra buona per esprimere apprezzamento per il sito e ringraziare i redattori che dedicano tempo (e fatica) a scrivere qui. Per quanto mi riguarda è una scuola di metodo e merito di argomenti e materie che quando note, non lo sono al livello qui abituale. Condivido il commento di Massimo Famularo circa la logica rispettosa da utilizzare per commentare e commento poco, infatti. Neppure mi impressiona il fervore della discussione che la passione intellettuale scatena né trovo scandalose le cazziate di Michele Boldrin in quanto dispensate per ragioni non solo esposte ma soprattutto fondate. Mi spiace viceversa che un commento dichiarato espressamente come aneddoto di minima esprerienza personale e quindi privo nelle intenzioni e nella sua espressione di alcun intento contestativo di alcuna tesi, venga definito fuorviante. Sarà pure fuor di luogo qui e non discuto su questo. Non ne faccio neppure un dramma ma mi pare indicativo di una tensione e di una reattività aggressiva che più volte ho riscontrato tanto più strane ed inadeguate a questo sito dove vengono proposte e dibattute tesi anche assai innovative, originali e poco ortodosse (almeno per noi italioti). Non vedo un solo motivo al mondo per cui pur polemizzando duramente non si debba farlo certo seriamente ma serenamente e con animo disteso. Tutto qui e grazie ancora a tutti voi.

 

 

Mi spiace viceversa che un commento dichiarato espressamente come aneddoto di minima esprerienza personale e quindi privo nelle intenzioni e nella sua espressione di alcun intento contestativo di alcuna tesi.

 

Io lo avevo interpretato come contestativo della mia tesi e per quel motivo ho puntualizzato che era in grave disaccordo con i dati empirici e pertanto fuorviante.  Mi scuso per la mia reattivita' che comunque considero spesso giustificata dato il tipo di contestazioni che piu' volte i miei argomenti ricevono.

In questo eccellente post ho trovato dei dati che confermano quello che già sapevo (giornate nFA 2009,qui un resoconto), ovvero che il divario Nord-Sud era esistente al momento dell'unità, il professor Federico lo colloca, per quel che riguarda il Nord-Ovest al 33%, forse era anche di più rispetto a certe zone del Sud, ma io prendo il dato per ottimo e lo conservo.

Ma l'accusa che io ascolto più frequentemente è che, una volta conquistato il Sud, non sia stato fatto niente per modificare questo divario allora, nel 1861, tanto che nel 1881 si amplia addirittura.

Tutte le recriminazioni su Pietrarsa, sui cantieri di Castellammare (che esistono ancora oggi, quindi tanto schifosi non dovevano essere) e su altri opifici (chiamarli fabbriche mi sembra esagerato) partono dalla constatazione che le commesse pubbliche negli anni post-unitari riguardarono essenzialmente il Nord, questa legge del 1879 stabilisce le ferrovie da costruirsi con il contributo dello Stato, la localizzazione geografica è evidente (anche che nel 1879 le leggi erano scritte meglio che nel 2011, leggere per credere), quindi mi pongo le seguenti domande:

1. E' vero che lo stato post-unitario preferì investire le scarse risorse disponibili (il Piemonte era indebitatissimo, qui un resoconto) nel Nord Italia, specificatamente in quello che sarà poi chiamato "Triangolo Industriale" ?

2. Capitale umano: se a Napoli esistevano migliaia di artigiani, (lo scrivete voi, non io, quindi mi sento esonerato dal dimostrarlo) ovvero persone con una certa manualità ed esperienza (scusate, ma il livello d'istruzione in una fabbrica c'entra come i cavoli a merenda: a tutt'oggi se cambiate una linea di produzione si perdono mesi prima che la stessa vada a regime, al Nord come al Sud) perchè non si è generato un ciclo virtuoso, per cui questi artigiani non si sono evoluti in imprenditori e/o maestranze di buon livello ? C'entra qualcosa la politica fiscale e doganale post-unitaria oppure no ?

3. Il domandone che io personalmente mi pongo sempre è: nel 1861 e anni seguenti la politica italiana fu più tendente verso il Nord, e segnatamente Piemonte, Liguria e Lombardia, trascurando il Sud che fu visto solo come un serbatoio a cui attingere, oppure il Sud era già in uno stato talmente pietoso che comunque andassero le cose niente poteva cambiare ?

Chiudo dicendo che le voci confuse (Pino Aprile, Giordano Bruno Guerri, Gianfranco Viesti e altri) che si sentono da quaggiù, al di là delle forzature ideologiche si possono riassumere nella mia domanda finale: l'unità d'Italia fu un "affare" per il Sud, oppure no ? Attenzione, nessuno di questi autori, e nemmeno il sottoscritto, pensa che si stesse meglio sotto i Borboni, anzi, sotto diversi punti di vista l'unità è stato un affare: istruzione obbligatoria, sanità, e anche l'accento alle vie di comunicazione sono cose di cui non ci si deve dimenticare, mi domando solo se era possibile fare meglio, o meno peggio.

P.s.

Io non ho la mail del professor Federico, per cui le mie domande sono pubbliche, magari non sono nemmeno degne di nota, per il resto sono sempre convinto che è meglio che si parli di tutto, piuttosto che far finta di niente.

P.p.s.

Professore, ma mica lei tifa per l'unica squadra di Milano ?

Sperando di non dire fesserie e di non  incorrere nelle nelle ire dei proff..

Mi pare che il vero spartiacque, il momento in cui il divario comincia a farsi netto e irrecuperabile,  possa essere rappresentato dalla politica doganale del 1887, che riservò i suoi vantaggi essenzialmente alla nascente industria del Nord, concentrata  nell’area Genova-Milano-Torino, che si ritrovò a poter godere del mercato meridionale in condizioni di semi-esclusiva, mentre ai prodotti agricoli più pregiati del sud (vino, olio e agrumi) si chiudevano le vie dell'esportazione, tanto che il livello raggiunto da vino e olio nel 1887 fu nuovamente toccato solo nel secondo dopoguerra e per gli agrumi solo nel 1908.

La guerra doganale, insomma, danneggiò l'agricoltura più avanzata del mezzogiorno, quella che più aveva investito in un'ottica capitalistica, con ciò ammazzandola sul nascere ed ammazzando il futuro sviluppo imprenditoriale che ad un'agricoltura capitalistica può conseguire.

Come sempre col protezionismo, il danno per alcuni si reasformò in un vantaggio per altri, consentendo all’industria del Nord di rafforzarsi in una fase in cui non avrebbe retto alla concorrenza straniera.

Si potrebbe dire che il sud fu sacrificato sull'altare dell'industrializzazione, alla quale non potè accodarsi per scarsità di capitali, lontanzanza dai mercati e carenza di energia.

Spero che il prof Federico non mi spernacchi, ma prenda questo intervento come quello di un allievo  felice di venir corretto

 

Non ho dati alla mano, non sono bravo a recuperarli in due minuti, e non ho voglia di perderci dietro dei giorni (ognuno ha i suoi tempi), per cui avendo letto gli avvisi mi scuso in anticipo, spero mi vogliate perdonare quattro chiacchere da bar. 

Dal post si conclude:

Boldrin. In sostanza, il divario, per quanto piccolo in termini assoluti, era già significativo nel 1861. E le prospettive di sviluppo erano migliori nel Nord. Se non altro il capitale umano era (relativamente) più abbondante, c’era maggiore istruzione, salute, eccetera. Forse - si potrà dire ? - c'era già allora più "stato" di diritto, nel senso di un sistema amministrativo e di "legge e ordine" che funzionava più che al Sud, dove il potere locale era altamente feudale ...

Non sarà il massimo di originalità ma la sostanza è questa. Prima domanda tua:

Capitale umano: se a Napoli esistevano migliaia di artigiani, (lo scrivete voi, non io, quindi mi sento esonerato dal dimostrarlo) ovvero persone con una certa manualità ed esperienza [...] perchè non si è generato un ciclo virtuoso, per cui questi artigiani non si sono evoluti in imprenditori e/o maestranze di buon livello ? 

Sono d'accordo con te che l'istruzione c'entra relativamente poco. Il problema secondo me è che l'innovazione di sistema a quel tempo era il passare alla produzione 'industriale' (anche di dimensioni piccole), e per far questo ci volevano investimenti che spesso dovevano coinvolgere più soci. Per fare società ci vuole affidabilità e rispetto dei contratti -un buon business environment-, e questo con i Borboni non c'era (come garante dei contratti c'era la mafia, come dissi a suo tempo a Gambetta).  Credo che questo conti quanto e  forse più dell'istruzione (che comunque aiuta a crearlo). 

E il meraviglioso domandone?

[...] Nel 1861 e anni seguenti [...] il Sud era già in uno stato talmente pietoso che comunque andassero le cose niente poteva cambiare?

Una condizione sufficiente perché le cose potessero cambiare ovviamente non la so, ma ne so una necesaria, che i Piemontesi non ebbero la forza di fare (forza, non coraggio o benevolenza): il trasferimento fisico di capitale umano. Mandarono un sacco di soldati, ma non mandarono maestri e funzionari. Senza quelli il capitale umano e il "sistema amministrativo e di legge e ordine" di cui parla Michele non si potevan cambiare. E dove mancano quelli, le imprese non vanno.  

In verità, secondo me il problema rimane lo stesso oggi nel progetto federalista. Senza maestri, manager e funzionari nell'istruzione, sanità e amministrazione pubblica si manda mezzo Paese allo sbando, e questo non mi sembra un affare per nessuno.

Capitale umano: se a Napoli esistevano migliaia di artigiani, (lo scrivete voi, non io, quindi mi sento esonerato dal dimostrarlo) ovvero persone con una certa manualità ed esperienza (scusate, ma il livello d'istruzione in una fabbrica c'entra come i cavoli a merenda: a tutt'oggi se cambiate una linea di produzione si perdono mesi prima che la stessa vada a regime, al Nord come al Sud) perchè non si è generato un ciclo virtuoso, per cui questi artigiani non si sono evoluti in imprenditori e/o maestranze di buon livello ? C'entra qualcosa la politica fiscale e doganale post-unitaria oppure no ?

Non so la politica fiscale, la politica doganale (cioè l'apertura dei mercati) probabilmente sì, la manifattura tessile artigiana non poteva competere con le industrie inglesi. Poi, quanti di questi artigiani avranno lavorato per l'indotto della corte e della capitale, su commissione e non per il mercato.

Probabilmente nella mancata trasformazione da artigiani a imprenditori avrà contribuito l'arretratezza del sistema creditizio.

In quanto agli investimenti al Nord, a parte gli aspetti di egoismo localistico, non è da trascurare il fattore militare, già la seconda guerra d'indipendenza, per non dire della guerra civile americana, avevano mostrato il ruolo strategico delle ferrovie, e il confine con l'Austria stava proprio lì al Nord.

 


 

1. E' vero che lo stato post-unitario preferì inveestire le scarse risorse disponibili (il Piemonte era indebitatissimo, qui un resoconto) nel Nord Italia, specificatamente in quello che sarà poi chiamato "Triangolo Industriale" ?

 

NO è falso  Nel 1861 il Piemonte e la Toscana avevano già una rete ferroviaria, il Lombardo Veneto un abbozzo il Sud nulla. La prima ondata di costruzioni ferroviarie post-unitarie fu concentrata sulle grandi linee Nord-Sud, fra l'altro, pare, poco convenienti (cf Fenoaltea, L'economia italiana dall'Unità alla grande guerra). La legge del 1879 si riferisce alla seconda ondata di costruzioni. Come al solito, bisogna stare attenti alle date

 

2. Capitale umano: se a Napoli esistevano migliaia di artigiani, (lo scrivete voi, non io, quindi mi sento esonerato dal dimostrarlo) ovvero persone con una certa manualità ed esperienza (scusate, ma il livello d'istruzione in una fabbrica c'entra come i cavoli a merenda: a tutt'oggi se cambiate una linea di produzione si perdono mesi prima che la stessa vada a regime, al Nord come al Sud) perchè non si è generato un ciclo virtuoso, per cui questi artigiani non si sono evoluti in imprenditori e/o maestranze di buon livello ? C'entra qualcosa la politica fiscale e doganale post-unitaria oppure no ?

 

C'entra nel senso che furono aboliti i dazi. Ma fecero bene, come qualsiasi economista vi dirà. L'industria tradizionale era condannata ovunque. Perchè non si sviluppò un'industria moderna? E' la domanda da un milione di euro. Non lo so e non lo sa nessuno. Al massimo si possono fare ipotesi plausibili, ma nel  mio mestiere, a differenza che nei libri dei giornalisti cialtroni, le ipotesi bisogna verificarle coi dati. E i dati non ci sono e forse non ci saranno mai

 

3. Il domandone che io personalmente mi pongo sempre è: nel 1861 e anni seguenti la politica italiana fu più tendente verso il Nord, e segnatamente Piemonte, Liguria e Lombardia, trascurando il Sud che fu visto solo come un serbatoio a cui attingere, oppure il Sud era già in uno stato talmente pietoso che comunque andassero le cose niente poteva cambiare ?

 

La prima ipotesi è una cazzata priva di alcun riscontro empirico. Sicuramente non vi fu, fino al 1904, alcuna politica attiva specifica per lo sviluppo del Mezzogiorno. Non so se qualcosa avrebbe potuto cambiare se ci fosse stata. L'ipotesi alternativa (counterfactual) è troppo complessa per anche pensare ad una verifica. In ogni caso, l'Italia era poverissima e senza le risorse da spendere che ha avuto dopo il 1950. E poi, dopo cento anni di politica meridionalista, inizio a pensare che avessere ragione i piemontesi a trattare il Sud come ogni altra regione.Investimenti in infrastruttre, libertà di commercio, stato minimo e giustizia efficiente.

 

Chiudo dicendo che le voci confuse (Pino Aprile, Giordano Bruno Guerri, Gianfranco Viesti e altri) che si sentono da quaggiù, al di là delle forzature ideologiche si possono riassumere nella mia domanda finale: l'unità d'Italia fu un "affare" per il Sud, oppure no ? Attenzione, nessuno di questi autori, e nemmeno il sottoscritto, pensa che si stesse meglio sotto i Borboni, anzi, sotto diversi punti di vista l'unità è stato un affare: istruzione obbligatoria, sanità, e anche l'accento alle vie di comunicazione sono cose di cui non ci si deve dimenticare, mi domando solo se era possibile fare meglio, o meno peggio.

 

Domanda impossibile, vedi sopra. Fare meglio cosa? Quali politiche? Con quali soldi? Con quali obiettivi?

Ricordo un ovvio fatto che i meridionalisti neo-borbonici dimenticano. Il sud non era una colonia. Nel Regno d'Italia, i meridionali (o più precisamente le classi dirigenti) avevano il voto ed eleggevano i propri deputati  in misura proporzionale alla popolazione. Il politico più importante fra Cavour (morto nel 1861) e Giolitti (primo ministro 1892-1893 e poi dal 1901) fu Crispi, siciliano. Lo stesso nella Repubblica Italana. Quindi i meridionali hanno avuto, pro-quota, responsabilità in tutte le politiche dello stato liberale, pre 1913, e repubblicano. Forse è meglio che le élites meridionali inizino a farsi un esame di coscienza prima di cercare lontani colpevoli 150 anni fa

 

Pino Aprile, Giordano Bruno Guerri, Gianfranco Viesti e altri)

 

L'unico che ho letto è Aprile, perchè un mio amico ha insistito. Nel mio tempo libero preferisco leggere altro, francamente, che giornalisti che pretendono di fare gli storici per vendere copie. E confermo il mio giudizio già espresso in un post su Aprile. E' un libro scorretto e senza alcun valore.

 

Professore, ma mica lei tifa per l'unica squadra di Milano ?

 

NO. Se non altro per il presidente onorario della stessa.

 

 

 

 

 

Sono pedante e scocciante, ma :

 

La legge del 1879 si riferisce alla seconda ondata di costruzioni. Come al solito, bisogna stare attenti alle date

 

Non ci posso fare niente se nel 1872 le ferrovie in Italia erano meno di 7.000 km, prendendo per buono Wiki, la legge del 1879 è stato il primo intervento organico di sviluppo, sia pure la seconda ondata, dopo quella del 1865, che però stabiliva solo le concessioni. Non sono stupido, capisco perfettamente che in un neonato stato ci sono ben altre priorità, dall'uniformare le pratiche amministrative alla definizione di miliardi di cose, che il sistema finanziario dell'epoca era fortemente stressato dal debito pubblico post-unitario, che poi ci saranno le spese della III guerra di indipendenza, l'annessione di Roma, etc. difatti una delle domande che mi pongo è perchè utilizzare il 1861 come data iniziale, e non il 1870, perchè nel decennio 1861-1871 secondo me cambia ben poco, anche l'abolizione dei dazi interni e l'applicazione delle politica doganale liberista piemontese non possono rivoluzionare tutto in dieci anni: nel 1870 gli scambi con l'estero erano limitati, ed anche gli scambi interni non saranno stati da subito tali da ammazzare gli artigiani napoletani, per cui anche sulle date dovremo cominciare a ragionare. Qui, ad esempio, una storia dei dazi, che è, assolutamente, una scelta di politica economica, nel 1861 si è liberisti, muoiono, giustamente, le inefficienti aziende meridionali, (nessuna notizia degli artigiani) poi nel 1878 si diventa protezionisti, a solo favore delle industrie settentrionali. Accetto assolutamente che le politiche economiche non siano frutto di complotti, o della "spectre" o dei complottisti seguaci di Eco, riscontro il dato e ne vedo le conseguenze.

 

La prima ipotesi è una cazzata priva di alcun riscontro empirico

 

Nessuna ipotesi, era una domanda.

 

L'ipotesi alternativa (counterfactual) (sottoscrivo, e mi scuso per la domanda) è troppo complessa per anche pensare ad una verifica. In ogni caso, l'Italia era poverissima e senza le risorse da spendere che ha avuto dopo il 1950. E poi, dopo cento anni di politica meridionalista, inizio a pensare che avessere ragione i piemontesi a trattare il Sud come ogni altra regione.Investimenti in infrastruttre, libertà di commercio, stato minimo e giustizia efficiente.

 

Lo stato minimo è quello che ti tassa il meno possibile, nel 1861-1870 il raggiungimento del pareggio di bilancio colpisce fortemente una popolazione (quella meridionale) poco colpita dalla tassazione sotto i Borboni, l'evoluzione storica delle entrate qui.

 

Quindi i meridionali hanno avuto, pro-quota, responsabilità in tutte le politiche dello stato liberale, pre 1913, e repubblicano. Forse è meglio che le élites meridionali inizino a farsi un esame di coscienza prima di cercare lontani colpevoli 150 anni fa

 

Dubito sulla coscienza delle elites meridionali, rappresentate dal detto "Franza o Spagna, basta che se magna".

Solo per nota: Gianfranco Viesti non è un giornalista, è un professore ordinario di economia a Bari. Concordo su Pino Aprile, ci sono cascato anche io su suggerimento di un'amica. Ma poichè vende temo che ne seguiranno altri, così come dopo Gomorra sono diventati tutti esperti di camorra.

Caro Esposito

per favore non fare il Lusiani. Non posso passare il mio tempo ad insegnare la storia economica italiana su nfA. Se scrivo che le ferrovie post 1861 sono fatte per favorire lo sviluppo del Sud so quel che scrivo. E so molto di  più di storia dei dazi e del commercio italiano di De Cecco. Visto che l'argomento interessa, cito le references minime per iniziare a discutere

vera Zamagni Dalla periferia al centro Mulino (un pò invecchiato, ma ancora il testo più organico)

P. Ciocca e G.Toniolo Storia economica d'Italia Laterza vol 3 e 4 (saggi di valore diseguale; alcuni ottimi)

P. Ciocca Ricchi per sempre? (un pò confuso, ma il più recente)

J.Cohen-G.Federico Lo sviluppo economico in Italia Mulino (saggio bibliografico, aggiornato purtroppo solo al 2001)

S.Fenoaltea L'economia italiana dall'Unità alla guerra (riassume le ricerche del più geniale storico economico italiano)

Cordiali saluti

Giovanni Federico

 

 

 

Perché gli storici sì e gli economisti no?

D'ora in poi faccio così anche io. Biblio di base e ne riparliamo fra tre anni!

P.S. Jokes aside, Marco: what's the point? I am missing it.

la pubblicazione del lavoro di Fourier venne ritardata  perche' non piaceva a Lagrange e ad altri matematici

Zariski non credeva nell'utilita` del macchinario creato a Grothendieck

Galois venne respinto all'esame di ammissione al Politecnico (quando aveva gia` idee nuove)

eccetera

e meno male che la matematica e` una scienza esatta!

quello che impariamo da questi episodi e` che se nella matematica alcuni fattori extraterritoriali (il pregiudizio, l'ego, l'orgoglio personale, l'incapacita` di apprezzare idee nuove, le mode, ecc) possono avere tanta influenza sul nostro giudizio, nelle altre discipline le cose devono andare necessariamente peggio

ergo:

se e` giustissimo pretendere un minimo di serieta` metodologica (lettura accurata, riflessione, ecc), e` anche prudente, io credo, prendere le nostre conclusioni con cautela beneficio di inventario

il giovane Kolmogorov (allievo di Lusin, maestro di Sinai e molti altri) aveva anche una grande passione per la storia, e a un certo punto presento` al suo professore un lavoro in cui ``dimostrava'' una certa tesi, pensando di meritare un elogio; invece il professore gli rispose che in storia non basta UNA dimostrazione: ce ne vogliono almeno CINQUE; a quel punto il giovane decise di dedicarsi alla matematica;

e poi: non tutto e` misurabile; ci sono molte cose nella vita, e nella storia, che non sono misurabili, che cioe` non si possono rappresentare con un numero, e che pure hanno tanta influenza sulla nostra vita

 

La biografia di Galois è eccezionale.

Un'aggiunta a quanto detto. Inviò il suo lavoro prima a Cauchy, che pur intuendo la potenzialità glielo reinviò chiedendolgi d'esser più rigoroso, poi a Poisson che lo gettò via non comprendendolo proprio.

Un genio avanti 150 anni.

 

 

se e` giustissimo pretendere un minimo di serieta` metodologica (lettura accurata, riflessione, ecc), e` anche prudente, io credo, prendere le nostre conclusioni con cautela beneficio di inventario

 

E' proprio questo lo spirito del post: la storia economica è una disciplina in costante evoluzione, fatta da professionisti che discutono continuamente sui metodi, dati e risultati. Quello che "sappiamo" (o meglio pensiamo di sapere) cambia col progredire della ricerca. E quindi  per discuterne, bisogna sapere cosa si fa, chi lo fa e come.

 

"e poi: non tutto e` misurabile; ci sono molte cose nella vita, e nella storia, che non sono misurabili, che cioe` non si possono rappresentare con un numero, e che pure hanno tanta influenza sulla nostra vita"

 

 

E' vero...però troppa gente si basa solo sulle cose non misurabili...io, dovendo scegliere, mi baso sulle cose misurabili..anche perchè, se fatte seriamente, si può vedere il come sono state misurate e al massimo si può discutere su quello. 

Sul sentito dire non si può discutere...o si prende così oppure no..e io che per principio metto in discussione quasi tutto quello che mi si dice (soprattutto se ho una base solida in quella materia) preferisco affidarmi a uno come G Federico, M Boldin e gli altri di NFA che hanno dimostrato sempre serietà nelle cose che fanno e nelle metodologie che usano per arrivare a fare certe affermazioni, piuttosto che a gente che parla perchè così..ha la bocca per farlo. 

 

Aggiungo qui che capisco alcune risposte che vengono date a certi utenti..anche non proprio "educatissime"..ma dopo un po' (e confermo, avendo discusso per tanto tempo con gente che credeva a qualsiasi complotto al mondo) ci si rompe le palle e si risponde in quel modo..

e poi: non tutto e` misurabile; ci sono molte cose nella vita, e nella storia, che non sono misurabili, che cioe` non si possono rappresentare con un numero, e che pure hanno tanta influenza sulla nostra vita

Oddio, torna alla grande il bias umanistico dell'educazione italiana. 

NON E' ASSOLUTAMENTE VERO. Tutto e' misurabile, bisogna solo definire come misurare un certo fenomeno.  

Grazie ad entrambi per il post anche da parte mia. Una domanda su un punto più generale:  stabilire  se e di quanto le eterogeneità Nord-Sud fossero importanti già al 1860, mi pare di capire, rappresenta una specie di esperimento cruciale, su alcune teorie o ipotesi di lavoro di diverse discipline (economisti, storici delle istituzioni politiche, storici economici etc.).  Quelle degli economisti, per motivi professionali, mi sono un po' più familiari. Le altre no: posso abusare della pazienza di Giovanni e chiedere qualche lume sul perchè, dal punto di vista strettamente storiografico- della storiografia italiana in particolare- è importante stabilirlo? I riferimenti che  ha già dato contengono una risposta a questa domanda? Nelle prossime puntate affrontate questo aspetto?

Insomma, al di là delle questioni giornalistiche e di cronaca, i miti fondativi etc. quale ipotesi storiografica  aiuta a verificare/sostenere/rigettare un tentativo di quantificazione precisa di questi divari?

Ho fatto un po' di compiti a casa, ho provato velocissimamente a riguardare i volumi della Storia d'Italia Einaudi (non so neanche se è un buon riferimento ma mi pare di si specia per l'epoca moderna). Se non mi sono sbagliato non ho trovato nulla. O quasi. Curiosamente l'eterogeneità territoriale è nel  sottotitolo del IV volume, parla di 3 Italie su un periodo molto distante: dalla caduta dell'impero romano al secolo XVIII, (con due splendide pagine  di Braudel in un paragrafo intitolato "Spiegare il caso di Napoli", da cui emerge chiaramente che unificazioni/annessioni/alleanze erano un gioco tra le grandi monarchie e le elitè locali per la distribuzione delle risorse). Poi non molto altro, qualcosa sparso ma inutile per il mio obiettivo nel volume XXI su L'industria e i problemi dello sviluppo economico italiano (neanche un paragrafo, per dire, sulla c.d. questione meridionale, anche solo per liquidarla).  

Per il blog: mi scuso se ho sollevato aspetti  più tecnici. Ma è parte del mio- e spero di altri- interesse a seguirvi. 

 

Per gli storici, capire le cause del Risorgimento è importante per ovvie ragioni. Discuteremo i una prossima puntata (ma la prossima sarà ancora sull'economia)

Scrivo qui perchè manca una sezione "richieste dagli utenti" o simile, e mi sembra che l'argomento ben si accordi con lo spirito di questo topic (mi accodo, uno dei più interessanti che mi sia capitato di leggere sul sito da quando vi seguo). Sono uno studente di economia alle prime armi e sento che tra le cose che mi vengono insegnate manca proprio questo, fermarsi ogni tanto a riflettere sul metodo, e in particolare su quello adottato nelle scienze economiche: perchè gli economisti affrontano certi problemi in maniera diversa rispetto a chi se ne occupa guardandoli con l'occhio di un'altra disciplina? Che cosa possiamo e che cosa non possiamo chiedere ai modelli? Nei corsi che ho seguito ho sempre sentito mancare un pò questo, che deve essere invece una componente fondamentale nell'ottica in cui , prima o poi, non dovrò più limitarmi a leggere e studiare cose scritte da altri, ma sperabilmente cercare io una risposta a problemi che mi appassionano. Non è il primo post in cui leggo nei commenti di Michele e degli altri redattori una sensibilità spiccata verso il problema, ed è per questo che mi sento di chiedere se sarà possibile in futuro (mi aspetto grandi cose dalla fondazione prossima ventura!) inaugurare una sezione dedicata a questi problemi, utile ad aiutare noi aficionados ad orientarci meglio e, per chi ancora ha molto da studiare come me, utile a farlo senza mai perdere di vista quello che sta facendo.

Per inziare sarebbe utile anche una bibliografia selezionata, io ho trovato in biblioteca un libro che si chiama "filosofie delle scienze" ( http://www.einaudi.it/libro/scheda/(isbn)/978880616354/ ) nel quale c'è un capitolo dedicato all'economia e scritto da Daniel Hausman; ho visto in libreria anche un libro scritto da Francesco Guala, professore in Statale qui a Milano, intitolato Filosofia dell'economia, qualcuno sa consigliarmi se acquistarlo o meno?

 

Tommaso, il problema del metodo è complicato, molto. A volte qui se ne discute, ma è uno di quei temi su cui occorre andare molto cauti.

In generale, raccomando vivamente di non perdere tempo a leggere "filosofia della scienza", specialmente nella sua versione italiota, che è demenziale. Trattasi, come diceva il grande Feynman, o di filosofi o di scienziati falliti che, pur non avendo mai fatto ricerca per davvero, passano il tempo a speigarci come dovrebbe essere fatta. Aria fritta. Se proprio vuoi divertirti, leggi Feyerabend ... almeno lui non si prende troppo sul serio.

Infine, gli economisti studiano problemi sociali, ossia il comportamento umano nelle sue relazioni con la natura e gli altri uomini. Il nostro metodo [che è banalissimo: individualismo metodologico e vincoli materiali, ossia l'assioma secondo cui gli esseri umani "decidono" o "pensano di decidere" le proprie azioni e lo fanno perseguendo un fine individuale di tipo "egoistico", ossia che cercano di ottimizzare delle soddisfazioni la cui origine è esogena ad essi, per gran parte e che fanno questo tenendo conto dei vincoli materiali che la natura ed il mondo "esterno all'individuo" impone a tale azioni] è oramai IL metodo di tutte le scienze sociali. Differiscono le applicazioni, i dati usati, le ipotesi ancillari, ma il metodo mi sembra, giustamente, estendersi sempre di più a tutte le scienze che si occupano dell'uomo nelle sue relazioni con la natura e con gli altri uomini.

P.S. Coloro ai quali la mia ultima apodittica affermazione non è gradita o sembra sbagliata o presuntuosa non hanno evidentemente inteso il metodo delle scienze sociali in generale e quello dell'economia in generale ... :-)

P.P.S. Per i nerds, Foundations of Social Theory di James Coleman (un sociologo, non un economista) potrebbe essere una lettura da consigliare, ma diventa così ripetitivo e noioso dopo un po' che neanche io da giovane son riuscito a finirlo!

 

tommaso, dico la mia su questo, 'che ho voglia di scrivere ma la questione dell'unita' d'italia non mi attira troppo.

secondo me bisogna distinguere tra metodo in senso normativo e metodo in senso positivo. nel primo caso si vuole rispondere alla domanda: quali metodi (e.g. tecniche argomentative, esperimenti, etc.) se utilizzati rendono scientifico un contributo in una certa disciplina? nel secondo: quali sono i metodi di indagine (e.g. game-theoretic models con agenti razionali, regressioni, etc. ) maggiormente utilizzati nei contributi scientifici in una certa disciplina?

a mio modesto avviso, da un punto di vista normativo, non esiste differenza di metodo tra le diverse scienze. il metodo scientifico, if such thing exists, si applica a tutte le imprese conoscitive. e' l'oggetto di studio che cambia. 

da un punto di vista positivo, of course, i metodi utilizzati mediamente variano da scienza a scienza. in questo senso ha ragione michele nel dire che il metodo dell'economia teorica e' l'individualismo metodologico. however, tieni presente (anche se lui non lo dice) che questo non vuol dire che non si puo' fare ricerca economica senza individualismo metodologico. non ci sarebbe nulla di a-scientifico se qualcuno (rinunciando all'individualismo metodologico ed alla game theory che logicamente ne segue) facesse ricerca sul comportamento umano studiando gli individui come si studiano le molecole.

da quello che scrivi tu sembri interessato maggiormente all'aspetto normativo. in questo senso, lo si puo' studiare il metodo scientifico? secondo me e' un po' come il gusto, lo si acquisisce stando a contatto con le cose buone e prestando attenzione a quello che si mangia mentre lo si mangia. vale la pena leggere di filosofia della scienza? sicuramente si (for fun), ma bisogna saper fare cherry picking (qui -forse- i consigli di michele sono meglio dei miei e mi associo a lui nel dire: assolutamente e solamente i classici).

concluding di metodo tu ne hai sentito parlare poco nei tuoi corsi non a caso, ma perche' non e' facile discuterne in maniera adeguata, e soprattuto perche' il metodo non e' competenza degli economisti. il mio consiglio e' di usare il cervello (in primis), leggere cose di qualita', e confrontarti quanto piu' puoi con i tuoi colleghi. 

 

Caro Tommaso,

del Prof. Guala ho letto, oltre al libro che hai citato, anche "Economia cognitiva e sperimentale" a cura di Matteo Motterlini e Francesco Guala - Università Bocconi Editore - 2005. Il mio giudizio vale poco, ma è sicuramente positivo, se hai tempo comprali ... e poi non rischi randellate :-)

Ciao, Orsola

p.s. permettimi una domanda, perchè senti la necessità di restare anonimo?

Mi sarei dovuto laureare in storia moderna e la mia tesi (avviata e purtroppo mai terminata) era proprio sull'economia agricola (del '500). La materia mi ha sempre affascinato, anche se, ormai, sono passati troppi anni per padroneggiarla a dovere, e forse non la padroneggiavo a dovere neanche allora, quindi mi scuso con Giovanni per l'inevitabile superficialità, ma ci sono alcuni spunti che vorrei suggerire.

Il grosso problema che ci si trova ad affrontare quando si fanno stime del genere è che in un'economia agricola, in larga parte di sussistenza, è molto difficile quantificare tutto, perché la maggior parte delle risorse di cui godevano le famiglie erano, per così dire, colte e mangiate. Le stime sui consumi riguardano più che altro i consumi urbani, mentre gli indicatori del "benessere" delle popolazioni rurali, la stragrande maggioranza, sono inevitabilmente distorti dal tipo di economia (assetto fondiario, rapporti di produzione, strumenti di produzione, vocazione al profitto o alla rendita dei proprietari) dominante in ogni area geografica.

Ad esempio è molto difficile fare stime omogenee secondo le aree geografiche che utilizziamo oggi: al centro una cosa era la Toscana e una cosa erano i territori soggetti allo Stato Pontificio: nei primi l'agricoltura era essenzialmente di tipo capitalistico, orientata al profitto e alla massimizzazione delle rese anche nei terreni marginali (vite, olivo), in cui i rapporti di erano contrattualizzati (mezzadria), mentre il Lazio era molto più simile al Sud.

Un indicatore molto utile, anche se poco scientifico, è il paesaggio agrario e la sua evoluzione: non fornisce numeri, ma suggerisce quantomeno i contesti all'interno dei quali questi numeri vanno collocati. E la storia del paesaggio agrario suggerirebbe sostanzialmente una macroarea che interesserebbe più o meno la pianura padana, parte della toscana e parte del veneto (ho provato a descriverla qui sulla base ricordi dei miei studi) che si è formata nel periodo che molti storici definiscono "rifeudalizzazione" nel XV sec., ma che a mio avviso è stata molto di più, quando a seguito delle sequenze guerre-carestie-epidemie molti capitali cittadini furono investiti nelle campagne, ed era caratterizzata da un rapporto strettissimo tra città e contadi, da nuovi rapporti di produzione (mezzadrie, soccite, affittanze) da uno sviluppo molto veloce di nuove tecniche produttive (piantata padana, lavorazioni a rittochino, colture interfilari, bonifiche). Un'altro mondo ripetto al meridione (che ho provato a descrivere qui) in cui i rapporti produttivi hanno continuato ad essere di tipo feudale  (nel senso che nello "scambio" tra signore e colono, anche nel momento in cui al signore si è sostituito il latifondista, era inclusa la protezione e il possesso era esteso spesso anche sulle persone oltre che sui beni). Un mondo costellato di borghi in cui raramente il colono viveva sul fondo come più a nord.

In entrambi i casi non mi sembra che la situazione abbia subito particolari cambiamenti nei tre secoli precednti l'Unità d'Italia.

Sarebbe interessante il parere degli economisti espatriati circa l'economia cognitiva e la neuroeconomia ...

E' uscito un libro del medesimo: In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani...

Contiene i dati citati da Giovanni Federico? Professore, me lo consiglia?

Probabilmente e' noto o di poco interesse ma dato che l'ho trovato lo metto qui: http://books.google.com/books?hl=en&lr=&id=OZWlmDJEX8MC&oi=fnd&pg=PA3&dq=industria+regno+delle+due+sicilie&ots=LmKfr4WFSk&sig=t9MepII9X565dXS5jxrTt--fdMQ#v=onepage&q=industria%20regno%20delle%20due%20sicilie&f=false

In sostanza si tratta di un libro con po' di statistiche. Spero che serva.