Geografia economica in tre grafici ed una tabella

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Anche senza scomodare la memoria di Chou-Enlai, forse è un po' troppo presto per fare il bilancio di quel processo di integrazione economica e finanziaria che chiamiamo colloquialmente globalizzazione. Erano in molti a collegare il fenomeno a una estensione della supremazia del modello anglosassone. Invece la globalizzazione ha rimescolato le carte, favorendo l'ascesa di alcuni paesi poco democratici che hanno acquisito un'influenza planetaria. La scala del ribilanciamento, soprattutto dopo la crisi del 2008-09 non sempre è percepita nelle sue dimensioni e nelle sue implicazioni. Questo post fornisce alcuni dati sintetici (senza la pretesa di essere esauriente) che aiutino a comprenderne la portata.

 

Dopo la caduta del Muro di Berlino era opinione prevalente che gli Stati Uniti spingessero sull'acceleratore del libero commercio e dei movimenti di capitali come strumenti per consolidare la propria egemonia economica e di riflesso la propria influenza geopolitica. Non solo i fautori, ma anche gli avversari di destra (i populisti alla Tremonti o Le Pen) come di sinistra (Naomi Klein, i No-Global, gli anti WTO, gli "anti-Washington consensus" etc.) avevano diffuso la nozione che rapporti economici, commerciali e finanziari più stretti tra aree geografiche remote avrebbero esteso e rafforzato l’influenza dell’unica superpotenza rimasta. La deregolamentazione finanziaria, la liberalizzazione degli scambi, le telecomunicazioni, le nuove tecnologie e l’informazione 24/7 diffusa dai satelliti sarebbero state le ali sulle quali questo processo avrebbe spiccato il volo.

 

Pochi avevano intuito che la cosiddetta globalizzazione innescava un processo complesso e multiforme dalle mille sfaccettature, e quindi ingovernabile, che favoriva l'ascesa di paesi molto popolosi e poveri, ma anche poco abituati alla democrazia. Le attività economiche, in primo luogo manifatture tradizionali, logistica, trasporti, energia si sono frammentate e ricomposte in una miriade di interrelazioni che hanno ridisegnato la mappa del potere economico. Della globalizzazione (almeno finora) si sono avvantaggiati in termini relativi proprio quesi paesi, Cina in testa, che sembravano il terreno di conquista. Insomma, a dispetto dei ruoli assegnati nella sceneggiatura, le comparse sono diventate protagoniste.

 

Cominciamo dalla Tabella. Quando ero studente, nei corsi di finanza si imparava che Wall Street da sola valeva circa due terzi della capitalizzazione delle borse mondiali. Il resto era composto dai mercati dei paesi avanzati, Londra, Tokio, Francoforte, Parigi, Sydney, Milano etc. mentre i paesi che allora ancora si chiamavano sottosviluppati raccoglievano qualche briciola.

 

Verso la fine del secolo scorso, nonostante l'America fosse considerata l'unica superpotenza e la sua economia crescesse a tassi (un po' amfetaminizzati) che suscitavano l’invidia dell'Europa stagnante, la capitalizzazione di Wall Street arrivava a coprire meno della metà del totale mondiale. La fiammata delle dotcom spinse questo rapporto a toccare il 50% esatto, ma da allora il declino è stato inesorabile. L’anno scorso Wall Street ha contato per  poco più di un quarto della capitalizzazione mondiale. Per le borse degli altri paesi sviluppati la discesa è stata meno brutale, dal 46% al 41%.

 

I mercati emergenti (alcuni dei quali sono ormai emersi del tutto e respirano a pieni polmoni) hanno quadruplicato la loro quota di capitalizzazione mondiale in dieci anni raggiungendo quasi un terzo del totale. Tra questi, i quattro più grandi (Brasile Russia India e Cina da cui l’acronimo BRIC) da soli contano per quasi un quinto. Il sorpasso dei BRIC su Wall Street dovrebbe realizzarsi nel corso di questo decennio.

 

Composizione dei Mercati Azionari per Aree Geografiche

 

 

 
 

1999

 
 

2000

 
 

2001

 
 

2002

 
 

2003

 
 

2004

 
 

2005

 
 

2006

 
 

2007

 
 

2008

 
 

2009(E)

 
 

Capitalizzazione Borse Mondiali

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

100%

 
 

USA

 
 

46%

 
 

47%

 
 

50%

 
 

47%

 
 

45%

 
 

43%

 
 

39%

 
 

36%

 
 

31%

 
 

33%

 
 

28%

 
 

Paesi Sviluppati

 
 

46%

 
 

45%

 
 

41%

 
 

42%

 
 

44%

 
 

44%

 
 

44%

 
 

44%

 
 

41%

 
 

41%

 
 

41%

 
 

Paesi Emergenti

 
 

8%

 
 

8%

 
 

9%

 
 

11%

 
 

12%

 
 

13%

 
 

16%

 
 

20%

 
 

28%

 
 

26%

 
 

32%

 
 

BRIC1

 
 

2%

 
 

3%

 
 

3%

 
 

3%

 
 

4%

 
 

4%

 
 

6%

 
 

9%

 
 

17%

 
 

15%

 
 

19%

 
 

Altri Emergenti

 
 

6%

 
 

5%

 
 

6%

 
 

7%

 
 

7%

 
 

9%

 
 

11%

 
 

10%

 
 

11%

 
 

11%

 
 

13%

 

1 Brasile, Russia, India, Cina

Fonte: Standard and Poors

 

I mercati sono però solo il risvolto più facilmente misurabile. Per ottenere una sintesi della trasformazione in atto, Danny Quah della London School of Economics ha calcolato il centro di gravità economico come la media ponderata delle coordinate geografiche delle maggiori città mondiali (con pesi proporzionali al reddito della loro popolazione). Per i pignoli, Quah ha selezionato 692 località ed agglomerati urbani tra quelli con popolazione superiore al milione ed i dettagli sono disponibili qui.

 

Il grafico in basso mostra che nel 1976 il centro di gravità si trovava nelle acque del Nord Atlantico, negli anni successivi ha attraversato l’Europa e nel 2003 si è avvicinato a Mosca. Se fossero disponibili dati più aggiornati, credo che il baricentro lo individueremmo grosso modo in movimento verso la parte meridionale delle steppe siberiane.

 

Fonte: Quah, Danny “THE SHIFTING DISTRIBUTION OF GLOBAL ECONOMIC ACTIVITY” LSE Working Paper, October 2009

 

 

La crisi del 2008-09 ha semplicemente impresso un'accelerazione a questo processo di ribilanciamento dell'economia mondiale, producendo uno smottamento tettonico dell'influenza economica. Il secondo grafico mostra i dati storici e le previsioni fino al 2012 pubblicate il mese scorso dal Fondo Monetario Internazionale per l’aggiornamento del World Economic Outlook. Si può essere più o meno d’accordo sui numeri, ma il nocciolo della questione è il divario nei tassi di crescita che scandisce il tragitto del baricentro. I maggiori paesi emergenti hanno rallentato in seguito alla crisi, ma non hanno subito il tracollo che si e'  manifestato nei paesi avanzati.

Sfido chiunque a sostenere che due anni fa avrebbe previsto, con una caduta del Pil americano, giapponese ed europeo nell'ordine del 5%, una crescita del Pil cinese dell'8% e di quello indiano del 7% (ecco il rapporto sull'India dell'IMF). Questo secondo me è il dato davvero incredibile.

Nel 2013 secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale la porzione del Pil mondiale (calcolato in modo da riflettere il potere di acquisto in ciascun paese) prodotta dai paesi emergenti sarà leggermente superiore a quella prodotta dai paesi sviluppati, vale a dire il 50,6% contro il 49,4%. Nelle economie emergenti la quota di investimenti sul Pil aumenterà dal 25% nel 1993 a quasi un terzo nel 2010. Nei paesi avanzati tale quota scenderà dal 22% nel 1993 al 18% nel 2010.

 

 

 

 

Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Aggiornamento del World Economic Outlook, Gen. 2010

 

In definitiva, la geografia economica nel XXI secolo verrà ridisegnata -- sull’onda delle macro tendenze demografiche -- dalle classi medie che stanno solidificando la propria ascesa in Estremo Oriente (e in misura minore in India e nel Medio Oriente). L’Occidente (insieme al Giappone) vecchio e rivolto al passato, si illude ancora di mantenere -- senza troppi sacrifici -- il benessere raggiunto dalle generazioni precedenti. Una larga fetta dell'elettorato si risveglia dal letargo solo quando si tratta di difendere pensioni (insostenibili) e affonda la testa sotto la sabbia appena si parla di futuro, in una specie di andreottiano rito collettivo di rimozione della realtà e delle responsabilità.

 

Non lasciano ben sperare gli umori di una classe media occidentale impoverita -- illusa prima dai debiti privati e ora dai debiti pubblici -- che si affida ai parolai, variamente catalogati di destra o di sinistra (o del nulla, come Tremonti), che attribuiscono la colpa alla Cina, agli immigrati, alle multinazionali, ai banchieri, ai petrolieri, alle toghe rosse, all'Unione Europea, all'euro, al dollaro, a seconda della giornata e del pubblico. Mentre nessuno ricorda che il 2010 è l'anno in cui secondo la Stategia di Lisbona (lanciata dal Consiglio Europeo nel marzo 2000) l'Unione Europea sarebbe diventata la più competitiva e dinamica economia della conoscenza.

L’ultimo è un grafico 3D (la risposta degli economisti ad Avatar?) di Nordhaus e Chen che hanno sviluppato una base dati sulle attività economiche disaggregate per coordinate geografiche  (The G-Econ Database on Gridded Output: Methods and Data disponibile sul sito dell’Università di Yale). In pratica G-Econ riporta il valore aggiunto calcolato per ogni quadrato del reticolo di coordinate terrestri (esclusi i mari) ad una risoluzione pari ad un grado di latitudine e di longitudine. Gli istogrammi nelle regioni costiere della Cina sono ancora bassi rispetto a quelli nel cuore dell’Europa, ma sono tanti e diventeranno sempre di più, mentre l’India ed il Medio Oriente che ancora alla fine del XX secolo erano una distesa di varie tonalità azzurre, adesso vantano qualche sprazzo scuro. La geografia economica del XXI secolo sarà definita da quanto in alto svetteranno gli istogrammi tra il Golfo Arabico e Vladivostok.

 

 

Fonte: Nordhaus e Chen - The G-Econ Database on Gridded Output: Methods and Data

 

Per finire, qualche considerazione di geopolitica. L’ultimo G7 dell’Aquila in luglio si è svolto in una degna cornice. Tra le macerie materiali, si ragionava sulle macerie finanziarie provocate dalla bancarotta di Lehman e si è data pietosa sepoltura all’illusione (peraltro già da tempo in coma) che quattro europei, due nordamericani e un giapponese potessero continuare ad inscenare la periodica farsa del “Direttorio del Mondo”, nonstante questi vertici si risolvessero da tempo per lo più in inconcludenti comunicati finali di stile kafkiano. Il forum dove si discuterà seriamente del coordinamento delle politiche economiche internazionali sembra essere il G20. Non è ancora chiaro se questo consesso sarà meno inconcludente del G7 o quali procedure decisionali adotterà, chi ne influenzerà l’agenda, se sarà una mera foglia di fico per coprire le intese tra USA e Cina. Però è sicuro che se la Cina dovesse superare gli Stati Uniti per dimensioni dell’economia (cosa che accadrà intorno al 2020, se le tendenze attuali vengono confermate), sarebbe la prima volta da almeno un paio di secoli che la prima potenza economica del pianeta non è retta da un sistema costituzionale. E tantomeno democratico.

 

Insomma, la globalizzazione ha sollevato dalla povertà centinaia di milioni di individui ma, con il potere economico, aumenta anche quello geopolitico e di riflesso cambia anche il sistema di valori dominanti, di cui il sistema politico è spesso espressione. Alcuni pensano che con la decentralizzazione del sistema economico monti la domanda di libertà. Io nutro i miei dubbi. Da quasi 4 anni vivo in paesi a regimi autocratici e vado in giro per paesi a basso tasso di democrazia (uso un eufemismo), inclusa la Cina. Finché la pancia è piena e il benessere si diffonde la richiesta di diritti politici e civili rimane in secondo o terzo piano. Anche qualora circolino le notizie e siano tollerate le critiche. Quando le cose vanno male (o le disuguaglianze sono troppo smaccate) allora, forse, la gente si ribella. Ma non sempre le ribellioni portano democrazia e diritti civili. A me basta guardare sull'altra sponda del Golfo in Iran, oppure pensare alla Russia, e andando indietro al Nicaragua, alle tante rivoluzioni in Africa contro il colonialismo, e via discorrendo fino alla Rivoluzione Francese che produsse Robespierre e poi Napoleone.

 

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Commenti

Ci sono 40 commenti

Articolo interessante, faccio solo due commenti: certe inferenze erano possibili già prima della crisi. Per esempio, Accenture aveva già raggiunto queste conclusioni pre-crisi. Lo dico solo per sottolineare che se non si guarda alla sola finanza, i risultati non cambiano.

Punto secondo: nel campo delle relazioni internazionali, questi cambiamenti erano stati previsti da tempo (DAGLI STUDIOSI SERI). Gilpin (1981), Layne (1993), Waltz (1993 e 1999) e Mastanduno (1996) solo per citarne alcuni parlano dalla fine della guerra fredda di un riequilibrio geopolitico mondiale in atto.

Discalimer: il testo qui sotto è scritto con spirito un po' goliardico. Chi fosse sprovvisto di senso dell'umorismo (o della capacità di sopportare battute che trova poco divertenti) è pregato di astenersi.

Premesso che il secondo grafico non mi compare (problema mio?) vorrei farti notare che se tu o Danny Quah foste miei studenti e vi foste presentati con un grafico come il primo che hai presentato (quello sul baricentro economico) vi avrei rispediti in ufficio a rifarlo da capo!

Infatti quel grafico mette insieme un gran numero di gravi errori di presentazione che ne minano alla base la chiarezza per chiunque non sappia già cosa vuol dire. Innanzi tutto sugli assi non c'è scritto che grandezza viene rappresentata (anni? km? dollari?). Poi non c'è una legenda che spieghi cosa diamine sono i quadratini rossi. Una discussione sull'uso dei font nei grafici poi ci porterebbe lontano quindi ve la risparmio.

Insomma: il tutto sarà anche perfettamente chiaro per chi è del mestiere ma ti garantisco che un povero cristo a digiuno di queste cose che si mette sinceramente d'impegno a capire trova dei bei problemi ;-)

Eddai, mica sara' difficile, latitudine, longitudine e posizione geografica del baricentro economico. Certo, il fatto che si muova tra il nord atlantico e le steppe siberiane non depone a suo favore, e di fatto non aggiunge niente ai dati della tabella precedente. Ma qui ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla scarsa utilita' dei momenti primi per descrivere distribuzioni multimodali e pure sulla metrica piu' adatta per rappresentare questi dati.

 

Accetto lo spirito goliardico e nella stess vena aggiungo che il movimento del baricentro e' descritto seguendo una visione europeocentrica. Visto che la Terra e' rotonda un abitante delle Fiji (che ignori dove si trova Greenwhich) potrebbe arguire che il baricentro si sta spostando ad ovest.

Ad ogni modo i dettagli del calcolo e della metodologia sono reperibili nel paper.

sono particolarmente d'accordo con il finale; nessuno (forse con la parziale eccezione dei paesi anglosassoni) si è mai ribellato per la libertà; le rivolte, o le rivoluzioni, avvengono sempre in seguito a crisi economiche, alle quali la richiesta di libertà fornisce un corollario a volte fondamentale per gli sbocchi politici, ma sempre in seconda battuta; inoltre, se un domani ci dovesse essere una crisi in Cina, non è effettivamente detto che lo sbocco sarebbe una svolta "liberale", più probabilmente sarebbe nazionalista

tuttavia non sarei così pessimista per quanto riguarda l'Occidente; per l'Europa sì, ma credo che gli USA abbiano una grande capacità di rigenerazione, soprattutto nella ottimizzazione del "capitale umano"; non sono più un ragazzino e in vita mia credo di avere sentito il "de profundis" per l'America almeno una mezza dozzina di volte, dopodiché si è sempre rialzata più forte di prima

Ottimo scritto, Fabio.

Molto interessante. Sia perchè da una lettura della globalizzazione, come di un processo non meccanicamente riconducibile ad un processo di americanizzazione del mondo, in termini geopolitici (dal punto di vista culturale mi pare che ci sia stata) che era al nucleo di molte teorie delle relazioni internazionali "critiche", come quelle che ti ricordi all'inizio.

 Però è sicuro che se la Cina dovesse superare gli Stati Uniti per dimensioni dell’economia (intorno al 2020 se le tendenze attuali vengono confermate), sarebbe la prima volta da almeno un paio di secoli che la prima potenza economica del pianeta non è retta da un sistema costituzionale. E tantomeno democratico.

Su questo mi chiedo cosa potrebbe significare. Intanto, mi chiedo se è vero. E' sempre stato che i paesi più ricchi e produttivi sono sempre state democrazie costituzionali? Altra cosa. Il capitalismo richiede la tutela di diritti di proprietà il cui esercizio, in paesi come la Cina, deve essere tutelato nei riguardi dello stato. Il funzionamento, in termini di efficacia, del modello capitalista richiede quei diritti, e dunque una erosione dei poteri smisurati dello stato...quindi, si può sperare?

L'ascesa di una classe media, che ripeto, a quanto leggo anche in Cina si americanizza negli stili di vita, non comporta l'adozione di richieste sempre più estese di libertà. Ok: all'inizio è la soddisfazione di esigenze materiali, cioè reddito e crescita. Ottenuta quella, le classi medie cinese staranno in fabbrica  a fare straordinari? O non seguiranno il modello delle classi medie tempo libero/informazione/cultura?

Poi mi chiedo: qual'è il livello reale di istruzione cinese, specie dei giovani? Forse i cambiamenti culturali in termini di libertà politica non si sentono in Cina perchè la minoranza istruita dei giovani e che fa i PhD all'estero sono espressione diretta della elites comunista che governa. Sbaglio?

Poi c'è il discorso India. L'India è un democrazia. La democrazia più grande del mondo. Si dice sempre del G2 Cina-USA, ma mi pare (Andrea G., fammi sapere) che gli Usa, vedi semaforo verde all'atomica indiana, cerchino una sponda più con l'India democratica che con la Cina.

Altra considerazione. Europa sclerotizzata, OK. Giappone in crisi, pure. Però se tu metti insieme Anglosfera (USA, UK, Australia, Canada) e alleati storici (UE e Giappone), più come dicevo India, la proiezione dell'ideale democratico sul mondo è un fascio ancora potente. O no?

Da studioso di filosofia politica. La libertà politica funzione della crescita economica. Un fatto che solo a pensarci mi suona in testa a dirmi: l'unica filosofia politica decente è il libertarismo, che si prende cura della libertà nella piazza e nel mercato. O messa diversamente: i diritti, che aspirano ad una dimensione giustificatoria slegata dalla crudezza materiale di rapporti di forza economici, sembrano sorgere proprio da quelli.

Sulla strategia di Lisbona, che ricordi: urge velo pietoso. Ci vorrebbe quel lettore che scrive sempre dall'Europa a spiegarci: ma in quei bunker a Bruxells dove, SULLA CARTA, scrivete quelle trombonate tipo "entro il 2010 l'europà sarà...", ma non vi sentite come quello lì che in un bunker a Berlino, mentre tutto era perduto, continuava a spostare divisioni d'armata che esistevano solo nelle carte geografiche che aveva sul tavolo?

 

Altra cosa. Il capitalismo richiede la tutela di diritti di proprietà il cui esercizio, in paesi come la Cina, deve essere tutelato nei riguardi dello stato. Il funzionamento, in termini di efficacia, del modello capitalista richiede quei diritti, e dunque una erosione dei poteri smisurati dello stato...quindi, si può sperare?

 

E' gia' da sei anni che la tutela della proprieta' privata e' stata inserita nella costituzione cinese. Davvero credi che oggi in Cina viga il socialismo? Semmai il problema e' che parecchi capitalisti cinesi sono diventati tali tramite collusione con apparati del partito (o delo stato, che in Cina e' la stessa cosa). Ultimamente un'attivita' molto profittevole e' vendere miniere allo stato da parte dei privati che le avevano messe su: il prezzo spuntato dipende dalle connessioni con i burocrati delle amministrazioni locali (so di una persona che dichiara di possedere dieci Mercedes, una per se' e nove "in comodato" per altrettanti dirigenti di partito). Come risultato, guardati queste foto di un matrimonio in Shanxi.

 

E' sempre stato che i paesi più ricchi e produttivi sono sempre state democrazie costituzionali?

L'ascesa di una classe media, che ripeto, a quanto leggo anche in Cina si americanizza negli stili di vita, non comporta l'adozione di richieste sempre più estese di libertà. Ok: all'inizio è la soddisfazione di esigenze materiali, cioè reddito e crescita. Ottenuta quella, le classi medie cinese staranno in fabbrica  a fare straordinari? O non seguiranno il modello delle classi medie tempo libero/informazione/cultura?

 

Caro Marco, temo che la sfida principale del modello occidentale consista proprio nel capire se la Cina sia destinata o meno a democratizzarsi come conseguenza dello sviluppo economico.

Io inizio a temere di no, c'e' una profonda differenza culturale tra il mondo occidentale e quello orientale. Per farla semplice, la cultura cinese e' davvero altra rispetto al mondo occidentale di cui abbiamo esperienza diretta ed ha sempre privilegiato la societa' a discapito dell'individuo.

Nella visone sinocentrica, la Cina ha sempre dominato il mondo conosciuto, con l'eccezione di un due/tre secoli di momentanea decadenza. I cinesi non si sentono una potenza emergente, ma i legittimi proprietari del mondo che ne stanno ritornando in possesso. Inoltere sono una cultrura estremamente omogenea dal punti di vista etnico, contraria perfino alle piu' modeste iniezioni di multiculturalismo.

Esperienza personale: una mia antica conoscenza cinese -- una ragazza nata e cresciuta a Taiwan e poi trasferitasi in Francia -- si e' sempre considerata a) cinese b) favorevole alla riunificazione di Taiwan con la madrepatria. Totalmente impermeabile alle mie tipiche obiezioni occidentali, tipo che in Cina c'e' una dittatura e non mi sembrava il caso. Insomma, il concetto e' che la democrazia sia un po' sopravvalutata.

Vorrei tanto sbagliarmi, ma la Cina mi fa molta paura.

 

 

 

 

Invece la globalizzazione ha rimescolato le carte, favorendo l'ascesa di alcuni paesi poco democratici che hanno acquisito un'influenza planetaria.

 

Questo e' abbastanza normale: quando mai i paesi emergenti sono stati governati con suffragio universale? Si trattava in genere di aristocrazie illuminate che abbracciavano liberalismo economico e globalizzazione, come la Serenissima nel Rinascimento o l'Inghilterra tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. La conseguente crescita economica aumenta poi il tenore di vita di fasce sempre piu' larghe della popolazione, il che rende possibile la loro partecipazione alla gestione dello stato; questo permette loro di votare per se stessi trattamenti sempre piu' generosi e meno meritocratici, fino alla fase di decadenza che descrivi piu' avanti:

 

Una larga fetta dell’elettorato si risveglia dal letargo solo quando si tratta di difendere pensioni (insostenibili) e affonda la testa sotto la sabbia appena si parla di futuro, in una specie di andreottiano rito collettivo di rimozione della realtà e delle responsabilità.

 

 

Questo e' abbastanza normale: quando mai i paesi emergenti sono stati governati con suffragio universale?

 

 

Contro-esempio gli Stati Uniti.

C'era stato un errore nell'upload del secondo grafico, di cui non mi ero accorto (perche' dal mio laptop tutto sembrava in ordine in quanto la pagina era linkata ad un file residente sul mio laptop).

Ho sostituito il grafico (che avevo preparato in italiano) con una immagine del grafico dalla pubblicazione del FMI di qualita' piu' bassa (ed in inglese, ma credo che la legenda ed il titolo siano comprensibili). Mi scuso per l'inconveniente.

L'articolo è interessante, però mi si lasci dire che, nuovamente, vengo preso dallo sconforto. Proprio pochi giorni fa ho avuto un dibattito con Michele sul fatto che voi economisti non vi interessiate di cosa accade nelle altre discipline, e poi quando vi cimentate pensate di aver scoperto qualcosa di innovativo (non è un attacco all'autore, è l'approccio della categoria che per me è singolare). Questo passaggio è emblematico:

"Pochi avevano intuito che la cosiddetta globalizzazione innescava un processo complesso e multiforme dalle mille sfaccettature, e quindi ingovernabile, che favoriva l'ascesa di paesi molto popolosi e poveri, ma anche poco abituati alla democrazia."

Gilpin (1981) aveva già detto tutto. La (sua) teoria della stabilità egemonica sottolineava proprio il paradossale risultato delle politiche egemonice. Garantendo la stabilità e la crescita economica globale, il paese egemone avrebbe anche posto le basi per "its own relative decline" dovuto alla crescita di altre potenze. E se leggete anche le critiche a questa teoria (Gowa, 1989, McKeown, 1985, e Conybeare, 1984) trovate proprio che questo è il punto centrale. E qui torniamo al dibattito con Michele di pochi giorni fa. Gowa rimproverava a Gilpin di non aver considerato un aspetto centrale. Il paese egemone può infatti impedire o rallentare questo processo proprio adottando una politica commerciale che penalizzi i paesi emergenti, dice Gowa (seguendo questa logica, gli USA non avrebbero dovuto far entrare la Cina nel WTO).

Ripeto, l'analisi è molto interessante, soprattutto per i grafici. Però non si lasci passare il messaggio che questi trend fossero inaspettati. Gli studiosi di "rise and fall of great powers" queste cose le avevano dette più di trenta anni fa (Organski scrisse il primo articolo nel 1958 (enfasi: 1958) su World Politics. La sua teoria, molto simile a quella di Gilpi, si chiama, guess what?, power transition theory). 

ps: mi sono accorto solo adesso che mio fratello aveva scritto un commento simile più sopra. vabbeh, non fa mai male ripetere concetti utili. 

 

Il paese egemone può infatti impedire o rallentare questo processo proprio adottando una politica commerciale che penalizzi i paesi emergenti

Perche' mai i paesi egemoni dovrebbero rallentare un processo che fa bene a loro stessi?

 

Gilpin (1981) aveva già detto tutto.

 

Ed il contrario di tutto ...L'uomo non solo usa a man basse una forma, semplificata e molto da bar sport, di metodologia economica ma dice cose così vaghe (i più potenti rimangono i più potenti fatta eccezione per i casi in cui non succede e qualcun altro lo diviene ... ) che predicono tutto ed il contrario di tutto. Idem per la "power transition theory" come origine delle guerre: basta assumere che tutti i conflitti siano, direttamente o indirettamente, combattuti per proxy del primo e del secondo, ed è fatta: anche il Rwanda o las Malvinas si "spiegano" in base alla PTT ... mah ...

Io capisco voi siate, come dire, "fieri ed entusiasti" di ciò che studiate e della disciplina che avete scelto, ma non vi sembra di farvi prendere un po' troppo facilmente la mano sparandola sempre grossa con queste grandi "teorie del tutto"? Che cosa vi spinge a manifestare ripetutamente una specie di invidia penis verso gli "economisti", che caratterizzate poi di nuovo come un gruppo omogeneo mentre non lo sono? Davvero nei dipartimenti di PolSc c'è un gossip così animato su di noi? Pensavo fosse un'attività ristretta a quelli di sociologia ed antropologia ...

Tra l'altro, il punto base di Fabio è un punto controverso, sia tra i PolSc che fra gli economisti; un punto così controverso che non vedo proprio nessuna ipotesi dominare le altre. Ossia: la crescita economica porta o non porta alla democrazia liberale? Viceversa: la democrazia liberale facilita o no la crescita economica? Sull'argomento hanno scritto volumi ricercatori di entrambe le discipline e non. Fabio lo solleva, giustamente, perché è tutto fuorché risolto ed è chiaramente rilevante per chiunque guardi al mondo fra 10 o 20 anni. Tutto questo "sconforto", da cosa sarebbe motivato, di grazia? Dal fatto che uno di voi due conosce già la risposta ed ha una prova chiara e convincente della medesima? Sarei felice d'ascoltarla.

Infine, come non riuscite a cogliere, sempre nell'articolo di Fabio, che sta dicendo, appunto, che quanto è successo (sul piano puramente economico) con la globalizzazione è ESATTAMENTE ciò che la teoria economica del commercio internazionale e della crescita aveva previsto ma che, invece, i vari critici (quasi tutti "de sinistra", e fa alcuni nomi) della medesima negavano? Fra questi tanti e ben noti scienziati politici, i nomi dei quali (meno uno: Giovanni Sartori) tralascio per carità accademica.

Invece, la buona Anne Krueger predicava i benefici della liberalizzazione del commercio internazionale già negli anni '80 e lo faceva in modo mirato e preciso, quantitativo, sulla base di dati e modelli, non con vaghe affermazioni del tipo "arrivano primi quelli che crescono più di tutti". Prima di lei l'avevano fatto Alito Harberger e, ancora prima, Peter Bauer ... insomma, se facciamo il giochetto di "l'aveva detto prima uno di noi", finiamo al solito Adam Smith.

Non vi sembra il caso di lasciar stare, togliersi dalle spalle lo "sconforto", evitare le tautologie (tutto è relativo, quando si divide per il totale) e provare a discutere sui contenuti di quanto uno scrive?

 

Segnalo solo un possibile refuso, cito M.Gilli

"Organski scrisse il primo articolo nel 1958 (enfasi: 1958) su World Politics"

In questo passaggio sembra che lei si riferisca ad un articolo pubblicato sulla famosa rivista World Politics mentre a me risulta che si tratti di un omonimo libro.


 

Quandi si parla di questi macromovimenti, si parla sempre di Emerica, Europa e Oriente. Ma l'Africa? rimarrà sempre solo una miniera a buon prezzo di risorse (sia materiali che Umane)?

 

Penso proprio di sì. La presenza di risorse naturali rende molti stati dei rentier-states. Ciò impedisce sviluppi politici ed istituzionali e quindi amministrativi. Il risultato finale è assenza di stato, legalità, e quindi mercato e sviluppo. A ciò si sommano poi la povertà, le malattie, gli scontri tribali, etnici e religiosi... la ciliegina sulla torta è data dalla lotta per le risorse delle Grandi potenze.

In breve, tutti vogliono le risorse africane. Fino a ieri, nell'era americana, gli USA per quanto cattivi chiedevano una serie di condizioni (assenza di corruzione, riforme, diritti umani). Non ci credevano più di tanto, ma neppure accettavano qualunque cosa. Ora Cina, Iran e Russia arrivano e chiaramente non si curano di queste faccende.

Quindi, molto cinicamente, ripeterei le parole di Van Evera sull'Africa: why the third world doesn't matter.

 

C'e' una cosa che mi ha colpito del grafico di Quah, ovvero che il baricentro e' oltre il 70esimo parallelo nord. Possibile che le Svalbard rappresentino un centro cosi' importante dell'economia mondiale? Allora mi sono guardato l'articolo originale di Grether "Is the World's Economic Centre of Gravity alredy in Asia?" e ho visto che il baricentro che viene calcolato e' quello in 3D, ovvero giace da qualche parte all'interno del volume terrestre. Il punto riportato nel grafico e' la proiezione di questo sulla superficie. Di conseguenza non sempre si riesce a capire come varia il baricentro dall'osservazione della sua proiezione.

Per fare un esempio, se il baricentro e' vicino al centro della terra una piccola variazione in 3D risulta in una variazione esagerata della sua proiezione. Nell'articolo si stima che il baricentro e' a circa meta' strada tra il centro e la superficie, quindi le differenze che vediamo potrebbero essere esagerate.

Tornando alla latitudine, mi sembra di capire che negli anni non solo si e' spostato verso est, ma anche verso nord. Ovvero gli stati "a sud" di sotto dell'equatore hanno un peso economico sempre minore.

 

 

C'e' una cosa che mi ha colpito del grafico di Quah, ovvero che il baricentro e' oltre il 70esimo parallelo nord. Possibile che le Svalbard rappresentino un centro cosi' importante dell'economia mondiale? Allora mi sono guardato l'articolo originale di Grether "Is the World's Economic Centre of Gravity alredy in Asia?" e ho visto che il baricentro che viene calcolato e' quello in 3D, ovvero giace da qualche parte all'interno del volume terrestre. Il punto riportato nel grafico e' la proiezione di questo sulla superficie. Di conseguenza non sempre si riesce a capire come varia il baricentro dall'osservazione della sua proiezione.

 

In effetti sarebbe interessante vedere come varia la profondità di tale baricentro.
Intuitivamente dovrebbe essere relazionato all'altezza delle barre che emergono.
Siccome queste crescono sempre di piu' immagino che gradualmente il baricentro diventi sempre piu' lontano dalla superfice.

 

Per fare un esempio, se il baricentro e' vicino al centro della terra una piccola variazione in 3D risulta in una variazione esagerata della sua proiezione. Nell'articolo si stima che il baricentro e' a circa meta' strada tra il centro e la superficie, quindi le differenze che vediamo potrebbero essere esagerate.

 

Esagerate forse ma coerenti, perché la direzione nell'animazione è costante.

 

Tornando alla latitudine, mi sembra di capire che negli anni non solo si e' spostato verso est, ma anche verso nord. Ovvero gli stati "a sud" di sotto dell'equatore hanno un peso economico sempre minore.

 

O che il nord ha un peso maggiore. Un fenomeno che già Diamond ha descritto e spiegato in "armi, acciaio e malattie".
Poi è chiaro che partendo dal volume degli investimenti (massicci a nord dell'equatore) il divario geografico non puo' che aumentare fintanto che non si raggiunga una saturazione (se esiste questo concetto).
Al sud poi la maggior parte del pianeta è sott'acqua per cui sarebbe interessante sapere dove sarebbe il baricentro se ogni porzione di terra (mari esclusi) producesse lo stesso valore aggiunto.
Questo baricentro sarebbe comunque a Nord e molto prossimo all'asia, vista l'estensione di quel continente.

Francesco

PS: sulla "esagerazione" direi che a partire da calcoli in virgola mobile come si usa oggi con i computer (a 32, 64 o 128 bit), non ci dovrebbero essere problemi a raggiungere la precisione di calcolo necessaria per piazzare un punto su una sfera di 40'000 km di cironferenza.

 

Anche io mi sono stupito di fronte alla prima fi gura esibita: come è possibile, mi sono chiesto, che il baricentro economico del mondo sia sempre stato più a nord di Mosca? In effetti dipende dal fatto che si tratta di un punto interno alla terra che stiamo proiettiamo sulla superficie: maggiori dettagli qui. Se il mio grafico è corretto, direi che l'economia non sta andando a nord. Non saprei invece dire quale sia il bias dovuto alla localizzazione delle terre emerse, ma sospetto non sia trascurabile.