Gabbie salariali (I). Perché fa bene differenziare i salari.

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Anche se abbiamo postato già due articoli sulle cosidette ''gabbie salariali'', mi sono convinto che una esposizione elementare del problema possa essere utile a molti. Vedo infatti un sacco di confusione sul tema, per cui qualche chiarimento risulta opportuno.

Ho deciso di fare quindi un ''Ex Kathedra'' nel senso stretto della parola, praticamente una lezione da primo corso di economia. I lettori che masticano bene di economia politica (parecchi in questo sito) possono tranquillamente saltare questo post, che non dice nulla di particolarmente nuovo. Gli altri, se hanno voglia di sorbirsi una lezione un po' pedante, sono invece invitati a continuare. In particolare in questo post cercherò di spiegare:

1. Perché nel breve periodo l'unica opzione per intervenire rapidamente in favore dell'occupazione è permettere un aggiustamento del salario al Sud verso il basso.

2. Perché la differenziazione territoriale dei salari non è cosa particolarmente favorevole per il Nord.

3. Perché il diverso costo della vita tra Nord e Sud è irrilevante.

Introduzione

Il mercato del lavoro è da sempre un tema centrale in economia politica. Data la sua importanza ad esso è stata prestata enorme attenzione che ha generato una letteratura teorica ed empirica sterminata. Però, per quanto sofisticati e complicati possano essere i modelli che si utilizzano, in questo come in tanti altri campi dell'economia è sempre utile tenere presenti le lezioni basilari dei modelli più semplici. Come minimo, è sempre utile esercizio quello di chiedersi perché riteniamo che il modello più semplice sia insufficiente e quali fenomeni addizionali speriamo di spiegare con modelli più complicati.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il modello economico più elementare è quello in cui il salario e l'occupazione sono determinati da domanda e offerta in un mercato concorrenziale. Le predizioni del modello sono semplici e chiare. Dovrebbero quindi essere prese come punto di partenza dei ragionamenti sull'argomento. Anche se si decide che il modello è troppo semplice e che varie complicazioni sono necessarie per spiegare ciò che si osserva, bisogna come minimo spiegare le ragioni di tale scelta, oltre ad articolare in modo compiuto un modello alternativo.

Ho deciso di scrivere questo post perché non vedo accadere nulla del genere. Al contrario, le dichiarazioni di molti commentatori lasciano trasparire un'ignoranza di fondo che lascia abbastanza sconcertati. Ben lungi dall'adottare modelli e schemi interpretativi più sofisticati, molti dei ragionamenti che vengono fatti, anche da esponenti politici e sindacali di primo piano, denotano una schietta ignoranza anche dei modelli economici più elementari. Spiegherò quindi con un certo puntiglio il modello elementare e le sue implicazioni. In un post successivo discuterò vari interventi di politici e sindacalisti.

Prima di continuare chiarisco che la discussione si incentra sul settore privato. La determinazione dei salari nel settore pubblico è un tema completamente distinto che viene continuamente e colpevolmente confuso con quello dei salari nel settore privato. Ad esso si applicano considerazioni completamente differenti che qui non ho il tempo di fare. Di certo, almeno dal lato della domanda di lavoro, il settore pubblico non ha concorrenti (solo l'Esercito assume soldati, in Italia, tanto per capirci) quindi il modello concorrenziale non è appropriato. Ed anche dal lato dell'offerta, visti i particolarissimi meccanismi con cui si accede ai vari tipi di impiego pubblico, molte persone sono di fatto escluse da quei tipi di impiego, pur avendo la capacità di svolgere le mansioni in questione. Tralasciamo quindi il settore pubblico e concentriamoci sul privato.

Il modello base

Partiamo veramente dalle fondamenta, ossia la determinazione del salario in un mercato concorrenziale del lavoro (''concorrenziale'' vuol dire che ci sono molti differenti lavoratori e datori di lavoro, e nessuno di essi ha molta influenza sul prezzo del lavoro, ossia sul salario). Ad ogni dato livello di salario ci sarà una data domanda di lavoratori da parte delle imprese (o, più in generale, datori di lavoro). La domanda di forza lavoro dipende negativamente dal salario, ossia tanto più alto è il salario tanto minore sarà la quantità di lavoro impiegata. Per esempio, consideriamo il mercato delle badanti. Se il salario di una badante fosse di 5000 euro al mese, solo le famiglie più ricche potrebbero permettersene una. Il risultato sarebbe un basso numero di badanti, ciascuna di queste assai ben remunerata. A un salario di 3000 euro chiaramente un maggior numero di famiglie sarà in grado di permettersi una badante. A 2000, il numero si espanderà ulteriormente. E così via, il ché spiega la pendenza negativa della curva di domanda di forza lavoro.

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A fronte di una domanda di forza lavoro c'è una offerta di forza lavoro ossia, per continuare l'esempio, un certo numero persone disposte a lavorare come badanti ad un determinato salario. La curva di offerta ha pendenza opposta a quella di domanda: tanto più è alto il salario, tanto maggiore è il numero di persone disposte a lavorare a quel salario. Per esempio, a 100 euro al mese praticamente nessuno vorrà lavorare come badante, per 800 euro al mese ci sarà un maggior numero e per 5000 euro al mese ci sarà più gente che vuole lavorare come badante che gente disposta ad assumere badanti.

Domanda e offerta di lavoro determinano il livello di salario e quello di occupazione. Il salario concorrenziale è quello al quale domanda e offerta sono uguali. Se fosse più alto (per esempio 5000 euro) ci sarebbe più offerta di lavoro che domanda. A questo punto, alcuni tra quelli che non riescono a trovare lavoro a 5000 euro farebbero presente che sono disposti a lavorare a 4500, e il salario scenderebbe. Parimenti, se il salario fosse 100 e nessuno fosse disposto a lavorare allora le famiglie che hanno bisogno di badanti inizierebbero a offrire più soldi, facendo quindi crescere il salario. Il punto di incontro tra domanda e offerta è quello in cui le forze che fanno crescere e decrescere i salari si annullano, raggiungendo quindi la stabilità. Nel grafico il salario di equilibrio è w*, cui corrisponde un livello di occupazione N*.

È ovvio che il salario di equilibrio e il livello di occupazione dipendono dalla posizione delle due curve, quella della domanda e quella dell'offerta di forza lavoro. Se la curva di domanda si sposta verso destra, per esempio, salario e occupazione aumentano. Questo è quello che accade nei periodi in cui l'apertura di nuovi mercati o la scoperta di nuove tecnologie generano nuove opportunità di produzione, che si traducono in maggiore domanda di fattori produttivi (compreso il lavoro). Se invece, per esempio, la curva di offerta di lavoro si sposta verso sinistra si osserva un aumento del salario e una diminuzione dell'occupazione. Questo, ci raccontano gli storici, è quanto accadde in Europa a seguito della Peste Nera che decimò la popolazione.

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La figura mostra le due situazioni. Il primo grafico mostra un aumento della domanda di lavoro. Il salario cresce da w1 a w2 e l'occupazione cresce da N1 a N2. Il secondo grafico mostra una diminuzione dell'offerta di lavoro. Anche in tal caso il salario cresce da w1 a w2 ma l'occupazione cala da N1 a N2.

Cosa succede se in un dato mercato si impone (per legge, per accordo sindacale o mediante qualunque altro mezzo) un salario differente da quello di equilibrio? In tal caso la quantità di forza lavoro domandata e di forza lavoro offerta saranno differenti.

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Nel primo grafico si mostra ciò che accade quando il salario è fissato a un livello inferiore a quello di equilibrio. In tal caso vi sono meno lavoratori disposti a lavorare che posti di lavoro disponibili. Alcune imprese quindi non riusciranno ad assumere tutti i lavoratori che desiderano al dato salario. In assenza di vincoli il salario crescerebbe, convincendo più persone a lavorare e le imprese ad assumere meno lavoratori, fino al raggiungimento dell'equilibrio. Ma se il salario è, per esempio, fissato per legge, questo non accade e di verifica uno squilibrio. Situazioni di questo tipo sono rare, ma non sconosciute. Un esempio è dato dagli USA durante la seconda guerra mondiale, quando il governo impose un regime di controllo di prezzi e salari, mantenendo i salari artificialmente bassi.

Il secondo grafico mostra ciò che accade quando il salario è fissato sopra il livello di equilibrio. In tal caso il numero di persone che desidera lavorare al dato salario è superiore al numero di lavoratori che le imprese desiderano assumere. Si crea quindi disoccupazione, che è esattamente la differenza tra il numero di coloro che desiderano lavorare al dato salario e il numero di posti di lavoro disponibili. In assenza di restrizioni, il salario scenderebbe, riducendo il numero di persone che desiderano lavorare e aumentando il numero di posti di lavoro disponibili, fino a raggiungere il punto di equilibrio. Ma se il salario è fissato per legge tale processo non può aver luogo e la disoccupazione rimane.

Il modello semplice qui mostra qualche limite. L'ipotesi che si fa infatti è che ci sia un solo salario e una scelta zero/uno, ossia occupato al dato salario o non occupato. In realtà, in situazioni nelle quali il salario è esogenamente fissato a un punto non di equilibrio i datori di lavoro e i lavoratori hanno interesse a cercare modi di aggirare la regolamentazione. Negli Stati Uniti della seconda guerra mondiale, quando i salari erano fissati e livelli inferiori a quelli di equilibrio, le imprese offrirono in modo massiccio fringe benefits (primo fra tutti, l'assicurazione sanitaria) che non erano regolati dall'amministrazione e quindi non incorrevano nelle ire dei calmieratori. Tali fringe benefits erano in realtà aumenti di salario mascherati. Analogamente, se il salario è fissato a livelli troppo alti ci saranno lavoratori disposti a lavorare a salari più bassi e imprese che cercheranno di trarre giovamento da tale condizione. Questo porta a fenomeni quali il lavoro nero cosidetto ''sottopagato'', la richiesta di periodi di apprendistato a bassissimo salario prima dell'assunzione, eccetera. Il punto generale è che l'imposizione di un salario non di equilibrio è equivalente alla proibizione, per usare una famosa frase di Nozick, di ''atti capitalistici tra adulti consenzienti''. Ci possiamo quindi attendere che tali adulti cerchino di commettere tali atti in barba alla legge.

Applicazione alle gabbie salariali

Bene, ora veniamo alla questione delle gabbie salariali. Come si applica l'analisi precedente e perché è rilevante? L'idea è sostanzialmente la seguente. Supponiamo che ci siano due distinti mercati del lavoro, quello del Nord e quello del Sud (è chiaramente una semplificazione, i mercati locali del lavoro sono tantissimi ed eterogenei sia al Nord sia al Sud). Supponiamo inoltre che le condizioni di domanda e offerta di lavoro siano differenti nelle due macroegioni, in particolare che nel Sud la curva di domanda di lavoro sia più bassa che al Nord. Infine, supponiamo che il salario sia determinato al livello che uguaglia la domanda e l'offerta di lavoro al Nord e che, in omaggio al principio ''uguale salario per uguale lavoro'', tale livello venga imposto anche al Sud mediante un contratto nazionale di lavoro che è legalmente vincolante. Cosa succede?

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La semplice risposta è contenuta nella figura: piena occupazione al Nord e disoccupazione al Sud. Al salario corrente c'è un numero F-sud di lavoratori meridionali che vorrebbe lavorare, ma solo un numero N-sud di posti disponibili. La differenza tra queste due quantità è la disoccupazione.

Eliminare il vincolo di un unico salario nazionale porterebbe a un salario più basso al Sud, accompagnato da una maggiore occupazione. Ci perderebbero tutti coloro che sono già occupati, che finirebbero per lavorare a un salario inferiore. Ci guadagnerebbero parte dei disoccupati, che troverebbero lavoro anche se a un salario più basso, e i datori di lavoro che pagherebbero un salario più basso. Notate infine che alcuni dei disoccupati smetterebbero di cercare lavoro una volta osservata la riduzione del salario. Quindi la disoccupazione sparirebbe in parte mediante la creazione di nuovi posti di lavoro e in parte convincendo alcuni potenziali lavoratori che non vale la pena cercare lavoro al salario più basso.

Frequently Asked Questions

Ma perché è più bassa la curva di domanda di lavoro al Sud? Non si può fare in modo che si alzi?

La prima domanda è l'essenza della questione meridionale. Perché l'economia meridionale genera una domanda di lavoro così bassa? C'è un dibattito che dura da più di un secolo sulla questione, per cui lascio la domanda sospesa e non mi addentro oltre (anche se consiglio tutti di leggere questo post di Michele). Rispondere alla seconda domanda richiede purtroppo che si risponda alla prima. Se, per esempio, riteniamo che il Sud abbia una struttura sociale e istituzionale ben funzionante e difetti solo di maggior capitale fisico che ne aumenti la produttività (per esempio un bel ponte sullo stretto di Messina) allora la risposta è di riaprire i rubinetti dell'aiuto al Mezzogiorno. Se invece riteniamo che il prinicipale problema del Sud sia la presenza di una classe dirigente marcia e rapace che sopravvive grazie ai trasferimenti del centro, allora la soluzione è tagliare il tubo che continua a nutrire tale classe dirigente disfunzionale e pericolosa. Analisi più sfumate e articolate sono possibili, ciascuna con le sue conseguenze in termini di soluzioni. Il dibattito continua.

Una osservazione importante però è che qualunque cosa si decida di fare per risolvere la questione meridonale, i risultati necessiteranno tempo per manifestarsi, probabilmente parecchio tempo. Nel breve periodo, qualunque sia la causa della bassa domanda di lavoro al Sud, l'unica opzione per intervenire rapidamente in favore dell'occupazione è permettere un aggiustamento del salario verso il basso.

Ma non è ingiusto che uno abbia un salario più basso solo perché è nato al Sud?

Si, è ingiusto. È anche ingiusto che uno abbia un salario più basso perché è nato in Italia invece che in Germania. Oppure perché il nonno è emigrato in Argentina invece che negli Stati Uniti. La vita è spesso ingiusta. Ci sono ingiustizie rispetto alle quali non si può far nulla. Il mio corredo genetico ha decretato che non sono bello come Brad Pitt; posso ritenere che ciò sia ingiusto, ma devo solo farmene una ragione e smettere di pensarci. Su altre ingiustizie possiamo agire, e l'ingiustizia dei salari differenti è una di queste. Il modo giusto per eliminare l'ingiustiza è far sviluppare il Sud; per farlo bisogna purtroppo rispondere alla domanda precedente. Quali sono le forze che mantengono la domanda di lavoro bassa al Sud? Il modo sbagliato di agire è invece quello di imporre per legge un salario uguale a quello del Nord. Oltretutto questo genera disparità al Sud tra i fortunati che ottengono il posto e quelli che restano disoccupati. Perche', in base all'analisi precedente, se il salario imposto e' maggiore di quello d'equilibrio il numero di posti a disposizione sara' minore del numero di lavoratori che tali posti desiderano per cui l'assegnazione dei lavoratori ai posti avverra' con meccanismi non di mercato: il caso, le amicizie, le relazioni personali, i favori personali, ...

Ma chi deve decidere quale deve essere il salario al Sud?

Questo è un punto su cui la confusione regna sovrana. In un mercato concorrenziale i salari non sono determinati da nessuno in particolare, sono le forze di domanda e offerta che determinano salario e occupazione. Su questo punto la Lega ha fatto veramente un pessimo servizio parlando di ''gabbie salariali''. Le ''gabbie'' erano un meccanismo istituzionale per cui la contrattazione dei salari era comunque centralizzata, ma poi si permettevano differenze per macroaree, anch'esse comunque gestite in modo politico e centralizzato da sindacati, associazioni padronali e governo. Tali differenze erano rigide, stabilite a priori, e non legate alle condizioni locali dei differenti mercati del lavoro. Si trattava quindi di un meccanismo di decisione centralizzata, che generava un ulteriore elemento di rigidità. Permettere che i salari si differenzino localmente grazie al gioco di domanda e offerta è chiaramente tutta un'altra storia. Questo è un obiettivo che si raggiunge non con meccanismi di contrattazione centralizzanti ma potenziando il ruolo della contrattazione decentrata, soprattutto a livello di impresa. I dirigenti della Lega sembra si siano resi conto dell'errore ed hanno smesso di parlare di ''gabbie salariali'', iniziando a parlare di ''salario differenziato territorialmente.'' Non hanno mai però chiarito esattamente cosa hanno in mente, mischiando allegramente salari pubblici e privati e introducendo in aggiunta il tema dell'adeguatezza dei salari al Nord.

In tutto questo, cosa c'entra il differente costo della vita tra Nord e Sud?

A ben vedere, niente. Supponete che il costo della vita sia lo stesso al Nord e al Sud, e provate a chiedervi come cambia l'analisi precedente. La risposta è che non cambia per nulla. Se la domanda di lavoro è più bassa al Sud, il salario di equilibrio deve essere più basso. Il costo della vita gioca un ruolo nel determinare la posizione della curva di offerta di lavoro (se con mille euro compro più roba, ci sarà più gente disposta a lavorare per mille euro; quindi a più basso costo della vita corrisponde una curva di offerta più spostata a destra), ma per il resto è una distrazione che ha poco a che vedere con la convenienza di permettere una differenziazione territoriale dei salari.

Perché allora Calderoli e altri si sono messi a parlare di costo della vita? L'ipotesi ottimista è che lo abbiano fatto per ragioni propagandistiche. L'elettore italiano medio non pare capire molto di domanda e offerta, mentre l'argomento del costo della vita è chiaro a tutti. L'ipotesi pessimista è che Calderoli e compagnia siano confusi e non capiscano bene i termini del problema, ossia non siano ben coscienti dei vantaggi e degli svantaggi dei salari differenziati territorialmente. Vedi anche la domanda successiva.

Scusate, ma il Nord in tutto questo cosa ci guadagna?

Questo è un aspetto abbastanza divertente della questione. Chiaramente i dirigenti leghisti sono convinti che la differenziazione dei salari favorisca in qualche modo il Nord. Se dobbiamo dar retta a un recente sondaggio Ipr, la popolazione del Nord è anch'essa molto favorevole. La verità però è che, nel breve periodo, non è chiaro cosa ci guadagnerebbe il Nord da una differenziazione salariale Nord-Sud determinata dalle forze della domanda e dell'offerta. Se il salario nazionale è fissato al livello che uguaglia domanda e offerta di lavoro al Nord, permettere un salario più basso al Sud non cambia il fatto che il mercato del Nord resta in equilibrio. Quindi, salari e livelli occupazionali non cambiano al Nord.

Questo vale però solo nell'immediato, Nel medio e lungo periodo la possibilità di pagare salari più bassi al Sud ha una serie di effetti che si ripercuotono anche sulle curve di domanda e offerta di lavoro al Nord. Alcuni imprenditori, attratti dal più basso costo del lavoro, apriranno fabbriche al Sud. In alcuni casi si tratterà di imprese che altrimenti non sarebbero nate, con un guadagno netto per tutti, ma in altri casi si tratterà di imprese che sarebbero altrimenti state create al Nord. Il più basso costo del lavoro al Sud aiuterà a mantenere bassi i prezzi dei prodotti meridionali, che diverranno quindi più competitivi rispetto a quelli settentrionali. Questo ridurrà la domanda di prodotti settentrionali e quindi la domanda di lavoro al Nord. Infine, la creazione di un gap salariale tra Nord e Sud potrebbe stimolare la ripresa del movimento migratorio. Ciò sposterebbe verso destra la curva di offerta di lavoro al Nord, riducendone i salari. Si tratta sempre di effetti di lungo periodo e di difficile quantificazone. Però si tratta, uniformemente, di effetti negativi per i lavoratori del Nord. Gli effetti positivi possono derivare dal fatto che un Sud più sviluppato e a più alto reddito sarà fiscalmente meno dipendente dal resto del paese e aumenterà la domanda di tutti i tipi di prodotti, compresi quelli fatti al Nord. Anche qui, sono effetti di lungo periodo e di ancor più difficile quantificazione.

Perché allora l'entusiasmo settentrionale verso le gabbie salariali? Faccio fatica a trovare spiegazioni razionali. Una spiegazione non razionale, e che si collega alla domanda precedente, è che i settentrionali ragionano in ottica egalitarista e si sentono penalizzati dal più alto costo della vita al Nord rispetto al Sud. La differenziazone dei salari, in tale ottica, non serve ad adattarli alle condizioni locali del mercato ma a garantire che il salario reale sia lo stesso su tutto il territorio nazionale, ossia che sia proporzioanle al livello regionale dei prezzi. Richiedere che il salario reale (ossia, che tiene conto del costo della vita) sia lo stesso su tutto il territorio nazionale è un po' meno stupido che richiedere che il salario nominale sia lo stesso, ma neanche poi tanto. La verità è che condizioni diverse nel mercato del lavoro devono determinare salari reali diversi. Di nuovo, guardare al costo della vita è una distrazione che fa ragionare male.

E perché al Sud sono tutti contrari?

Chi è attualmente occupato in modo stabile al Sud ha solo da perdere da una differenziazione territoriale del salario, dato che il suo salario si abbasserebbe e non otterrebbe benefici. Logico quindi che costoro si oppongano: hanno vinto la lotteria e non intendono restituirne una parte. Per lo stesso motivo, hanno da perdere coloro che sono fuori dalla forza lavoro (ossia non intendono lavorare comunque) e dipendono dal reddito di persone con occupazione stabile. Per esempio, una casalinga sposata ad un metalmeccanico occupato in modo regolare ha solo da perderci. Si noti inoltre che, per come si è sviluppato il dibattito, non si è fatta alcuna distinzione tra salari pubblici e privati. Tutti i dipendenti pubblici quindi temono di perderci da una differenziazione territoriale; lo stesso vale per i figli, mogli e mariti di dipendenti pubblici, siano essi parte o no della forza lavoro. A guadagnarci sarebbe i sottoccupati e disoccupati, che potrebbero regolarizzare la loro posizione e trovare lavoro, e le imprese che pagherebbero meno i lavoratori. In termini numerici, non e' impossibile che quelli che ci guadagnano siano meno di quelli che ci perdono. Sospetto inoltre che non a tutti sia chiaro che la differenziazione territoriale dei salari aumenterebbe l'occupazione al Sud e aiuterebbe a trovare lavoro, per cui anche parte dei potenziali beneficiari potrebbero non essere a favore.

Ma il tuo modello non è veramente troppo semplice?

Si, è troppo semplice. È un modello di equilibrio parziale, ossia assume che il mercato del lavoro si possa analizzare ignorandone le interrelazioni con altri mercati. In realtà il mercato del lavoro è così importante che le interrelazioni non possono essere ignorate. Un modello di equilibrio generale sarebbe più adeguato. È anche un modello statico, mentre tantissime decisioni sia di domanda sia di offerta di lavoro hanno importanti elementi dinamici. È un modello concorrenziale, mentre ci sono casi in cui il potere di mercato è importante. E così via, la lista delle inadeguatezze del modello è lunga assai. Come detto all'inizio, la letteratura al riguardo è sterminata e riguarda quasi interamente complicazioni del modello base. Due cose però.

Primo, la conclusione che l'imposizione per legge di livelli salariali più alti di quelli che si determinerebbero sul mercato tende a generare disoccupazione è assai robusta e difficile da rovesciare anche in modelli più sofisticati. Con tale conclusione bisogna quindi inevitabilmente fare i conti.

Secondo, io sarei molto contento di vedere un dibattito in cui il sindacalista di turno mi dice ''la tua valutazione dei benefici dei salari territorialmente differenziati è eccessiva perché non tiene conto degli effetti di equilibrio generale''. O degli effetti dinamici. Se il dibattito fosse in questi termini, diverrebbe necessario articolare con chiarezza di quali effetti di equilibrio generale o di quali effetti dinamici si stia parlando. Magari qualcuno si porrebbe il problema di stimare quantitativamente tali effetti. Alla fine impareremmo tutti qualcosa, e magari potremmo attuare politiche migliori.

Non si vede nulla del genere. Si vede invece da un lato una insistenza sul differente costo della vita che confonde e distrae e dall'altro una difesa a priori e senza argomenti dell'uguaglianza dei salari nominali, in quanto questa è la cosa ''giusta'' da fare. Tutto ciò non mi rende ottimista. D'altra parte è probabile che, una volta passato agosto, della cosa non si parli più. Dato lo stato attuale del dibattito, forse è meglio così.

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Commenti

Ci sono 49 commenti

Il tuo articolo mi sembra sostenere l'ipotesi che la compressione dei salari sia strettamente legata (generi la) alla compressione dei prezzi al consumatore finale. E' così? E se la compressione dei salari generasse solo e semplicemente minore potere d'acquisto dei sudisti e quindi più disoccupazione lasciando invariati i prezzi? Mi viene in mente, fonte TV, il prezzo della verdura. I prezzi a livello del contadino sono diminuiti del 15% mentre al mercato sono rimasti invariati.

Gente con meno soldi significa magazzini che tendono a non svuotarsi come in precedenza. Ed è tutto da dimostrare che l'eventuale aumento dell'occupazione superi, in effetti positivi, la sicura ed immediata diminuzione dei consumi. In realtà non credo all'automatismo né dell'una né dell'altra cosa ma visto che stiamo parlando attraverso modelli provo a buttarne là uno pure io. E poi come si può essere sicuri che a salari minori debba corrispondere una maggiore occupazione? In linea teorica potrebbe già essere ma come avere la sicurezza che al sud non ci sia già, per quando riguarda domanda e offerta di lavoro, un equilibrio sostanziale e che i fattori discriminanti non siano, ad esempio, mafia, camorra, corruzione, mentalità ecc?

 

Dai salari dipendono i prezzi, altrimenti basterebbe alzare i salari per aumentare il potere d'acquisto... se diminuisce la disoccupazione aumenta il prodotto, il reddito disponibile per consumi e risparmi.

Scusate, ma il Nord in tutto questo cosa ci guadagna?

Questo è un aspetto abbastanza divertente della questione. Chiaramente i dirigenti leghisti sono convinti che la differenziazione dei salari favorisca in qualche modo il Nord. Se dobbiamo dar retta a un recente sondaggio Ipr, la popolazione del Nord è anch'essa molto favorevole. La verità però è che, nel breve periodo, non è chiaro cosa ci guadagnerebbe il Nord da una differenziazione salariale Nord-Sud determinata dalle forze della domanda e dell'offerta.

Con la premessa che hai fatto, cioe' di parlare solo del privato, hai limitato fortemente la capacita' di rispondere a questa domanda. In realta' la Lega dice di pagare meno i dipendenti pubblici. E' chiaro che salari minori per i dipendenti pubblici al Sud significherebbe pagare meno tasse,e quindi un vantaggio netto per i lavoratori del Nord che sarebbero gli unici a vedere un salario netto aumentato (ma forse anche i dipendenti privati al Sud).

Inoltre ci sarebbe da vedere anche se una diminuzione della disoccupazione a Sud non porterebbe ad una diminuzione della spesa pubblica (sociale).

A me risulta che la Lega ( quel furbo di Zaia ) parli letteralmente  di pagare di più i dipendenti pubblici del Nord.

 

Vorrei farti i complimenti per questo articolo, secondo me molto utile. Prendendo in esame solo il modello basilare, si permette di capire bene il discorso anche a chi è ignorante in economia e matematica. D'altra parte viene chiaramente e correttamente segnalato che, appunto, l'analisi parte da un modello molto semplificato e che quindi una buona spiegazione della realtà empirica potrebbe richiedere un approfondimento o un'integrazione del modello. A me farebbe piacere vedere più articoli di questo genere sia su NFA che nell'informazione in generale (lo so, not going to happen). Credo che per porre le basi di un cambiamento della qualità, al momento scarsissima, del dibattito pubblico in Italia, sarebbero necessari interventi come questo che spiegano le basi a chi non se ne intende, consentendo poi di sviluppare e complicare il discorso. Altrimenti si rimane bloccati fra gli slogan immotivati e propagandistici dei vari giornali/tg, e discussioni magari serissime ma incomprensibili ai più. Gli elettori, in media, non possono aver accesso a un dibattito di livello universitario (spesso, nemmeno a livello di economia trattata in una scuola superiore decente), quindi è ovvio che si lascino convincere dalle sparate della lega, o del sindacato, o del primo che passa.
 Altra cosa che ho apprezzato è il non nascondere che le soluzioni proposte non sono vantaggiose per tutti, e sul breve periodo potrebbero anche essere svantaggiose per la maggioranza. Discorsi del genere ormai non si vedono più nei mass media, ogni politico o commentatore vuole far credere che la sua soluzione sia magicamente vantaggiosa per tutti (o quasi) e subito. Al momento nessuna forza politica in Italia sembra avere la forza (o il coraggio) per proporre le "lacrime e sangue" sul breve/medio periodo, e non solo su temi economici; IMO così non si va da nessuna parte.

Entrando nel merito dell' articolo, a me sembra che il problema della scarsa offerta di lavoro al sud sia causato dalla classe dirigente marcia *ma anche :)* dal minore capitale fisico rispetto al nord. Che fare quindi? Chiudere i rubinetti, "resettare" la classe dirigente, e poi riaprirli almeno parzialmente? La mia preoccupazione è che una politica del genere potrebbe cementare il consenso attorno ai poli clientelari, invece di spazzarli via. Io non vedo una forza politica capace di affrontare l'inevitabile dissenso che i tagli creerebbero a sud, e ho paura che l'elettorato comincerebbe a rivolgersi in massa a chi promette di riaprire subito i rubinetti (vedi i recenti consensi di Lombardo e compagnia). Se la popolazione del sud italia sta beneficiando (o comunque lo crede) dallo status quo, la spinta al cambiamento non può che venire dall'esterno. Ma la Lega non ha abbastanza consensi, nè sembra intenzionata ad andare oltre gli slogan demenziali, ora che si è ritagliata il suo angolino al calduccio. Inoltre, vista la qualità della sua classe dirigente, non sono nemmeno tanto sicuro che al nord converrebbe una radicale autonomia, se gestita da quella gente. Più ci penso più la situazione mi sembra di stallo perenne. Magari uno shock tipo la bancarotta, o l'esclusione dall'Euro... d'altra parte, in un altro post si parlava di clima da birrerie berlinesi anni 20, e una recessione catastrofica chissà che effetto farebbe.

Capisco niente di economia, quindi picchiate pure.

Ho 3 domande, alcune forse gia' poste da altri in altri termini.


1) Perche' e' cosi' sbagliato tirare in ballo il costo della vita?

     Il costo della vita gioca un ruolo nel determinare la posizione della curva di offerta di lavoro (se con mille euro compro più roba, ci sarà più gente disposta a lavorare per mille euro; quindi a più basso costo della vita corrisponde una curva di offerta più spostata a destra), ma per il resto è una distrazione che ha poco a che vedere con la convenienza di permettere una differenziazione territoriale dei salari.


Ma se non diciamo che la curva e' sposata a destra, tutto il ragionamento sugli effetti della differenziazione vien meno, quindi citare il costo della vita (aka curva a dx) mi sembra un elemento fondamentale del discorso, non una distrazione. O no?


2) Davvero e' assurdo aspettarsi che liberalizzando la contrattazione i salari al Nord cresceranno? Se il salario corrente (o alcune sue componenti) e' deciso mettendo attorno ad un tavolo imprenditori e sindacalisti del Nord e del Sud, non e' ragionevole aspettarsi che ne esca un valore a meta' strada fra quello maggiore atteso al Nord e quello minore atteso al Sud? Non assistiamo forse a fenomeni di fringe benefits e premi fuori busta in molte realta' del Nord che sembrano confermare quanto scrive Sandro:

    quando i salari erano fissati e livelli inferiori a quelli di equilibrio, le imprese offrirono in modo massiccio fringe benefits


3) Perche' in generale le aspettative dei settentrionali sono considerate cosi' irrazionali?

    Gli effetti positivi possono derivare dal fatto che un Sud più sviluppato e a più alto reddito sarà fiscalmente meno dipendente dal resto del paese


A me questo sembra un ENORME effetto positivo e mi pare razionale attendersi un minore travaso di risorse verso il Sud se questo cominciasse a svilupparsi e camminare sulle proprie gambe. Anche senza voler considerare l'analisi sui salari pubblici (che pero' nella realta' non si puo' eludere), mi sembra ce ne sia abbastanza per giustificare aspettative positive da una maggior occupazione _produttiva_ nel Sud. Davvero, cosa c'e' di cosi' assurdo e stupido?

Grazie.

Sandro, tutto ciò che dici è giusto e persino ovvio, a meno che non si rifiuti il mercato per partito preso o risulti completamente estraneo ogni ragionamento economico (va ben, spesso anche le due cose insieme ....).

Tu dichiari, però, che ti vuoi occupare solo dei salari privati, e ciò trascura elementi di grande rilievo presenti sulla scena. Adduci, per la tua scelta, una serie di motivi del tutto logici e comprensibili e, probabilmente, il lodevole intento principale è di semplificare un tema che normalmente si caratterizza per una gran confusione nei ragionamenti della maggior parte delle persone, politici inclusi (e, magari, per primi).

Scindendo le due cose, forse, è possibile che la situazione sia più leggibile - sempre che lo si voglia, cosa della quale io continuo a dubitare assai - ma, purtoppo, la questione dell'impiego pubblico ha una rilevanza ancora maggiore e sarebbe necessario intervenire su di essa pesantemente. Lo so, ne abbiamo parlato millanta volte, discutendo delle cause e mettendo in risalto le distorsioni che produce, talvolta anche prospettando strade da percorrere ...... purtuttavia, a mio avviso, tale questione è centrale e non ci si può accontentare di definirla "altra": magari un bel "bignamino" non sarebbe male, meglio se con qualche proposta .......

Avrai notato che questa è la prima puntata: confido che i dipendenti pubblici saran trattati prossimamente.D'altronde trattare pubblico e privato nello stesso articolo avrebbe causato confusione.

Nemmeno io sono esperto ma azzardo qualche risposta approssimativa (al massimo mi correggeranno)

1) il minore costo della vita è rilevante se parliamo di salario nominale, ma nel post si parla di problemi (e soluzioni) in relazione ai salari reali, che già tengono conto del costo della vita.

2)me lo stavo chiedendo anch'io; comunque se assumiamo (ma non ne sono affatto sicuro) che già adesso al nord i salari bloccati siano compensati con fringe benefits, al massimo si otterreebbe di trasformarli in aumenti salariali dichiarati, ma senza cambiamenti sostanziali.

3) non c'è niente di assuro o stupido, ma i benefici sono praticamente impossibili da quantificare in anticipo e  molto incerti nella tempistica (comunque molto lunga)

Mattia,

immagino che tu stia rispondendo alle mie "3 domande 3", potresti mettere il tuo post nello stesso thread del mio? Io non so come fare, sono molto niubbo :)

 

Comunque:

 

1) il minore costo della vita è rilevante se parliamo di salario nominale, ma nel post si parla di problemi (e soluzioni) in relazione ai salari reali, che già tengono conto del costo della vita.

 

E' vero, pero' la curva a dx si spiega solo coi salari reali, quindi con il costo della vita, quindi non mi pare cosi' censurabile che l'argomento venga usato politicamente. Certo, parlare di curva a dx e' piu' sofisticato, ma se non si parte dal costo della vita (o curva a dx), tutto il discorso viene meno.

Se il costo della vita fosse lo stesso, i salari sarebbero bloccati al valore di equilibrio sia del Nord che del Sud (almeno in questo modello semplificato) e quindi non ci sarebbe da liberalizzare niente perche' i salari "decisi a tavolino" sarebbero' gia', miracolo, quelli previsti dal mercato.

Sandro scrive che:

 

 L'ipotesi ottimista è che lo abbiano fatto per ragioni propagandistiche [...] L'ipotesi pessimista è che Calderoli e compagnia siano confusi e non capiscano bene i termini del problema

 

A me pare invece che menzionare il costo della vita abbia senso politicamente ed economicamente, e' semplicemente uno dei paletti che definiscono il terreno del dibattito (salario fisso a 100, pero' con 100 al Sud compro piu' roba, quindi 100 nominale vale di piu' che al nord, quindi piu' gente disposta a lavorare per 100 nominali, quindi curva a dx).

 

 

2)me lo stavo chiedendo anch'io; comunque se assumiamo (ma non ne sono affatto sicuro) che già adesso al nord i salari bloccati siano compensati con fringe benefits, al massimo si otterreebbe di trasformarli in aumenti salariali dichiarati, ma senza cambiamenti sostanziali.

 

Vero anche questo, ma immagino ci sarebbe il vantaggio per le aziende (e i dipendenti) di poter contrattare apertamente senza dover ricorrere a elaborati (e costosi) meccanismi di fringe benefit o aggirare illegalmente (pagamenti fuori busta) il salario bloccato.

Altrimenti lo stesso discorso varrebbe anche per il Sud: anche li' son nati meccanismi per pagar meno del dovuto (tipicamente lavoro nero) e arrivare vicini ad un equilibrio "reale", ma non mi pare una buona ragione per mantenere tali meccanismi.

 

 

3) non c'è niente di assuro o stupido, ma i benefici sono praticamente impossibili da quantificare in anticipo e  molto incerti nella tempistica (comunque molto lunga)

 

Se non c'e' niente di assurdo o stupido perche' Sandro dice che:

 

"Faccio fatica a trovare spiegazioni razionali."

 

Ok, dovrei chiedere a Sandro :), ma, secondo me, le aspettative sono reali e razionali (piu' occupazione al Sud, minor necessita' di sussidi, meno trasferimenti, piu' aziende che investono al Sud, ecc.). A me pare che far finalmente partire un circolo virtuoso al Sud riserverebbe comunque benefici al Nord, se non altro in termini di minor denari che prendono la via del Sud medesimo (che e' poi il motivo numero uno di insofferenza del Nord), di limitazione della pressione clientelare, di minor dipendenza dal mercato criminale, ecc.

Certo e' una soluzione di lungo termine e con molteplici conseguenze, ma tutte le soluzioni (quali altre, poi?) lo sarebbero, a meno di non immaginare una rapida secessione e un Sud interamente abbandonato a se stesso, che mi pare francamente improbabile. Stiamo parlando di una situazione incancrenita come quella meridionale, che coinvolge decine di milioni di individui: non esistono soluzioni veloci e indolori (pick one).

 

 

 

di uno che di economia non sa nulla. Perché chiamate curve delle linee rette?

Perchè non sono rette ma curve monotone (e sostanzialmente ignote), Sandro ha tracciato delle rette per semplicità, con delle curve qualitativamente non cambia nulla.

Intuitivamente è chiaro che le curve non siano rette: la domanda di lavoro calerà molto più velocemente tra i 2000€/ mese ed i 4000 che non tra i 12000 ed i 14000; l' offerta cambia molto tra i 1000 ed i 2000 e quasi nulla tra i 10000 e gli 11000.

 

2. Perché la differenziazione territoriale dei salari non è cosa particolarmente favorevole per il Nsaraord.

 

Personalmente ritengo che la differenziazione salariale abbia notevoli vantaggi, specie indiretti e differiti, per i cittadini del Centro-Nord Italia, e anche specie in prospettiva per quelli del Sud.

 

3. Perché il diverso costo della vita tra Nord e Sud è irrilevante.

 

Questo vale per i salari privati (ai quali nel seguito restringi la tua trattazione) ma per i salari pubblici, in assenza di attendibili misure della produttivita', il costo della vita potrebbe essere impiegato per determinare salimpari reali uguali e piu' equi.  Inoltre, allargando il discorso, a mio parere la tassazione diretta (IRPEF) dovrebbe essere applicata solo sui redditi eccedenti il necessario, e il necessario per vivere dipende dal costo della vita: sarebbe pertanto equo e corretto che lo Stato riconoscesse deduzioni dal reddito imponibile proporzionali al costo della vita come misurato per redditi medio-bassi.

 

Infine, supponiamo che il salario sia determinato al livello che uguaglia la domanda e l'offerta di lavoro al Nord e che, in omaggio al principio ''uguale salario per uguale lavoro'', tale livello venga imposto anche al Sud mediante un contratto nazionale di lavoro che è legalmente vincolante.

 

Ritengo che un'approssimazione piu' congruente con la realta' del lavoro privato nelle grandi imprese italiane sia che il salario viene determinato ad un livello inferiore a quello che risulterebbe dall'incontro della domanda di lavoro con l'offerta di residenti del Nord, cioe' viene abbassato dalla compresenza di imprese meridionali in Confindustria.  Siccome il baricentro del numero dei dipendenti privati delle grandi imprese e' spostato verso il Nord, i salari saranno moderatamente inferiori a quelli di mercato al Nord e significativamente superiori a quelli di mercato a Sud.  Questa precisazione e' utile a comprendere quanto sia razionale per i cittadini residenti al Nord aspettarsi del vantaggi diretti dalla differenziazione salariale a livello regionale o provinciale, che porterebbe vantaggi significativi alle province piu' produttive dove il costo della vita e' tipicamente superiore alla media.  Il fatto che i salari minimi del Nord siano inferiori ai livelli di mercato e' comprovato dai livelli di immigrazione verso le province del Nord di lavoratori privati specie poco qualificati sia provenienti dal Sud Italia sia dal resto del mondo.  Stimo che nelle Regioni del Centro-Nord Italia nei ~15 anni passati vi sia stata un'immigrazione pro-capite circa doppia a quella  avvenuta in Francia e Germania. Alzare i salari minimi avrebbe anche la conseguenza di ridurre un flusso migratorio in entrata a mio parere spropositato e abnorme rispetto a Paesi comparabili oltre le Alpi.

 

In un mercato concorrenziale i salari non sono determinati da nessuno in particolare, sono le forze di domanda e offerta che determinano salario e occupazione. Su questo punto la Lega ha fatto veramente un pessimo servizio parlando di ''gabbie salariali''.

[...]

Non hanno mai però chiarito esattamente cosa hanno in mente, mischiando allegramente salari pubblici e privati e introducendo in aggiunta il tema dell'adeguatezza dei salari al Nord.

 

Gli esponenti della LN chiacchierano molto e scrivono e documentano poco, tuttavia non mi sembra corretto affermare che propongano "gabbie salariali" per gli stipendi privati.  Piuttosto in questa recente notizia di agenzia Reuters io leggo:

 

Nel privato basta lasciare spazio al mercato. Nel pubblico si deve prevedere un intervento normativo"

 

da che io deduco che la LN propone gabbie salariali solo per le remunerazioni degli statali mentre propone che nel settore privato si incontrino domanda e offerta di mercato, quindi non c'e' nemmeno confusione tra salari pubblici e privati.

 

Scusate, ma il Nord in tutto questo cosa ci guadagna?

Questo è un aspetto abbastanza divertente della questione. Chiaramente i dirigenti leghisti sono convinti che la differenziazione dei salari favorisca in qualche modo il Nord. Se dobbiamo dar retta a un recente sondaggio Ipr, la popolazione del Nord è anch'essa molto favorevole. La verità però è che, nel breve periodo, non è chiaro cosa ci guadagnerebbe il Nord da una differenziazione salariale Nord-Sud determinata dalle forze della domanda e dell'offerta. Se il salario nazionale è fissato al livello che uguaglia domanda e offerta di lavoro al Nord, permettere un salario più basso al Sud non cambia il fatto che il mercato del Nord resta in equilibrio. Quindi, salari e livelli occupazionali non cambiano al Nord.

 

La tua conclusione vale solo se vale la tua assunzione che i salari del Nord siano fissati al livello corretto di mercato per il Nord. Come ho scritto sopra, ritengo che questa assunzione non sia corretta e vi siano significative indicazioni empiriche che i salari del Nord siano fissati ad un livello inferiore a quello corrispondente all'incontro tra offerta di lavoro di residenti del Nord e domanda di lavoro al Nord.

Aggiungo qui un ulteriore elemento che indica che i salari del Nord sono piu' bassi del livello di mercato: pur in presenza di un mercato del lavoro iper-regolamentato (e stupidamente iper-regolamentato, aggiungo) i livelli di disoccupazione in diverse Regioni del Nord Italia sono stabilmente ai minimi OCSE, tipicamente inferiori a quelli medi USA e pari a circa la meta' di quelli tedeschi e francesi, pur in presenza di un saldo immigratorio particolarmente intenso e superiore negli ultimi 10-15 anni anche per la sola parte non nazionale a quello USA, tedesco, francese, inglese e di molti altri Paesi OCSE.

 

Perché allora l'entusiasmo settentrionale verso le gabbie salariali? Faccio fatica a trovare spiegazioni razionali.

 

A me il consenso dei residenti del Centro-Nord alla differenziazione salariale appare razionale. Cerco di elencare alcuni motivi.

  • se come ritengo in base a diversi indicatori i salari del Nord sono fissati ad un livello piu' basso di quello naturale di mercato, i residenti del Nord possono attendere di avere salari privati piu' alti da una contrattazione territoriale separata.  E' vero che salari piu' alti diminuirebbero la domanda di lavoro da parte delle imprese, ma oggi come oggi non ci sono problemi di occupazione al Nord che anzi richiama immigrati da tutto il mondo e dal resto del Paese.  Il vero problema per i residenti del Nord sono salari troppo bassi in rapporto al costo della vita, che possono andar bene per un immigrato da un Paese povero o da una Regione sottosviluppata senza altra scelta ma sono insufficienti per quello che viene considerato un livello di vita adeguato al Nord.
  • mettendo nel gioco anche i salari pubblici, e assumendo come e' del resto piu' che plausibile che la spesa pubblica per stipendi rimanga costante, una differenziazione dei salari a vantaggio del Nord porterebbe maggiori stipendi pubblici senza alcuna diminuzione dei posti

Aggiungo che leggendo i risultati di un recente sondaggio ipr marketing commissionato da Repubblica inoltre emerge che il 53% dei residenti del Nord condivide che "Differenziare il livello dei salari e degli stipendi nelle diverse aree del paese in relazione al diverso costo della vita sarebbe una risorsa per il Sud perche’ porterebbe le aziende ad investire dove vi e’ un minore costo del lavoro".  Inoltre secondo il medesimo sondaggio emerge che il 57% dei dipendenti pubblici di tutta Italia ritiene che "Differenziare il livello dei salari e degli stipendi nelle diverse aree del paese in relazione al diverso costo della vita…
tutelerebbe giustamente i lavoratori delle zone d’Italia dove il costo della vita e’ piu’ alto e che di fatto devono affrontare quotidianamente spese piu’ alte per vivere".  I dipendenti privati invece sono contrari in maggioranza a questa ultima affermazione, perche' probabilmente in vari modi perlopiu' opachi e/o illegali il mercato ha trovato comunque modo di differenziare i salari ad un livello che appare congruente.

 

Richiedere che il salario reale (ossia, che tiene conto del costo della vita) sia lo stesso su tutto il territorio nazionale è un po' meno stupido che richiedere che il salario nominale sia lo stesso, ma neanche poi tanto.

 

Sono in radicale disaccordo con questa affermazione.  In un contesto come quello italiano alieno a credibili misure di produttivita' specie nel comparto pubblico, richiedere salari reali uguali e' del tutto legittimo, corretto e anche utile, al contrario della richiesta di salari nominali uguali, soprattutto alla luce dei risultati di 150 anni di salari nominali uguali hanno prodotto in termini di sottosviluppo e disoccupazione nel Sud, eccesso di assunzioni pubbliche al Sud, e abnorme livello di richieste di trasferimento di dipendenti pubblici al Sud.

 

Alberto, parlando esclusivamente di salari pubblici - il vero, grande problema - concordo che uguali livelli reali sia decisamente più equo e più efficiente che uguali livelli nominali - e, quindi, non quasi altrettanto stupido - ma, non riuscendo a renderli funzione di una produttività non misurabile, penso che sarebbe meglio trovare il modo di parametrare i salari pubblici meridionali ai salari privati del luogo.

Riguardo al modo di ottenere il risultato non ho certezze ma, probabilmente, è possibile identificare territori dimensionalmente limitati in misura sufficiente - tipicamente, comuni o raggruppamenti di essi - da essere omogenei come caratteristiche e, perciò, utilizzabili all'uopo.

Sempre fermo restando che la soluzione ottimale, ancorché utopistica in questa landa desolata, è il ricorso al mercato per (quasi) tutte le funzioni oggi svolte dalla mano pubblica .... :-)

 

Ritengo che un'approssimazione piu' congruente con la realta' del lavoro privato nelle grandi imprese italiane sia che il salario viene determinato ad un livello inferiore a quello che risulterebbe dall'incontro della domanda di lavoro con l'offerta di residenti del Nord, cioe' viene abbassato dalla compresenza di imprese meridionali in Confindustria.

 

Questo vale per i minimi salariali, poi c'è la contrattazione (sub)aziendale ed individuale.Forse per gli operai di linea della fiat il contratto nazionale rappresenta l' alfa e l' omega, ma per impiegati ed aziende medio piccole (fino ad un migliaio di dipendenti) non è così.

 

Perché allora l'entusiasmo settentrionale verso le gabbie salariali? Faccio fatica a trovare spiegazioni razionali.

 

A me il consenso dei redidenti del Centro-Nord alla differenziazione salariale appare razionale. Cerco di elencare alcuni motivi.

  • se come ritengo in base a diversi indicatori i salari del Nord sono fissati ad un livello piu' basso di quello naturale di mercato, i residenti del Nord possono attendere di avere salari privati piu' alti da una contrattazione territoriale separata.  E' vero che salari piu' alti diminuirebbero la domanda di lavoro da parte delle imprese, ma oggi come oggi non ci sono problemi di occupazione al Nord che anzi richiama immigrati da tutto il mondo e dal resto del Paese.  Il vero problema per i residenti del Nord sono salari troppo bassi in rapporto al costo della vita, che possono andar bene per un immigrato da un Paese povero o da una Regione sottosviluppata senza altra scelta ma sono insufficienti per quello che viene considerato un livello di vita adeguato al Nord.

Alberto, per il nord vale il discorso che facciamo sempre per il sud: se domanda ed offerta di lavoro si incrociano ad un salario troppo basso per garantire lo stile di vita cui siamo abituati dovremo cambiare abitudini, e non c'è contratto o gabbia che possa cambiare questo fatto.

Certo, se riduciamo la spesa pubblica e le tasse il reddito disponibile può migliorare, e ridurre i trasferimenti al sud può aiutare su questo lato, ma in pratica siamo di nuovo al nodo dei dipendenti pubblici.Ritengo anch'io che estendendo il discorso a questi l' entusiasmo settentrionale sia perfettamente razionale.

 

Si vede invece da un lato una insistenza sul differente costo della vita che confonde e distrae e dall'altro una difesa a priori e senza argomenti dell'uguaglianza dei salari nominali, in quanto questa è la cosa ''giusta'' da fare.

 

Sandro, bel post.

A proposito di cose "giuste" ti segnalo l'ultimo libro di Akerlof e Shiller sugli "animal spirits". I due suggeriscono di ripensare ai processi decisionali come al risultato di "slanci vitali" (così la traduttrice propone in italiano animal spirits); fra questi c'è anche l'equità.

Ti lascio un passaggio che ragiona sugli stessi temi di questa discussione:

"L'economia contamporanea ha una visione ambigua dell'equità; da un lato esiste molta letteratura (...), ma c'è anche una corrente di pensiero tradizionale secondo cui simili considerazioni dovrebbero essere relegate sullo sfondo (...). Al contrario, siamo convinti che fenomeni basilari come l'esistenza della disoccupazione involontaria (...) possano essere facilmente spiegati se si tiene conto dell'equità. Se la si trascura, questi fenomeni restano misteriosi." (p. 45 nella versione italiana)

Concordo con la tua esposizione (mai dibattito è stato tanto confuso sotto il sole di agosto), ma credo che l'attenzione e il consenso attorno alla proposta meritino una pensata nella direzione indicata dai due.

Fine del Cannonau e dell'Ogliastra, ritorno alla dura realtà.

A rischio di sbagliare anticipo il tema delle gabbie II: i prezzi. Non c'è dubbio che salari eventualmente più bassi al Sud provocheranno una crisi da offerta e molte persone non saranno più in grado di acquistare quei beni che oggi invece sono alla loro portata, riducendo quindi gli acquisti all'essenziale: casa, alimenti, istruzione. Chi ci perderà da un diminuito potere d'acquisto ? Il Nord, ovviamente, visto che la maggior parte dei beni presenti al Sud sono là prodotti. Quindi, un minor ammontare dei salari meridionali provocherebbe un calo delle entrate tributarie, un calo dell'import da altre regioni/nazioni, un possibile sviluppo del meridione dovuto al minor costo della manodopera (come esemplificato da Sandro).

Ritorno quindi all'origine del dibattito: ha la Lega chiesto di introdurre riduzioni salariali al Sud ? NO.

La Lega ha chiesto di aumentare, ripeto, aumentare, i salari dei dipendenti pubblici (i privati erano fuori dalla questione posta dalla Lega), sulla base del "diverso costo della vita". Il discorso era da bar: due tipi si incontrano in un'osteria nordica, il primo dice " mi ciapa 2.500 al mes e laur pur un padrun " il secondo dice " mi ciapa 1.500 al mes e laur pur Roma ladrun" (Il dialetto è liberamente tratto da Aldo,Giovanni e Giacomo). Calderoli e Bossi avranno sentito il discorso e avranno detto: il secondo magari non ci vota, come possiamo fare per farci votare anche da questo ? Et voilà il discorso sugli stipendi inadeguati e da alzare. Altrimenti il figlio di Bossi (quello delle 3tre maturità) come lo mandiamo a fare il consigliere all'Expò 2015 alle spalle di chi vota questi ladroni, che però parlano in dialetto ?

A Sandro dico, semplicemente, ma non si poteva evitare di far aprire gli  occhi, che un'eventuale differenziazione salariale sarebbe per il sud meglio di 20 ponti sullo stretto, costruiti da Impregilo, sede sociale in Milano ? E, aggiungo, pagato dagli stessi settentrionali (ma che non hanno le amicizie giuste, temo..)?

 

Non c'è dubbio che salari eventualmente più bassi al Sud provocheranno una crisi da offerta e molte persone non saranno più in grado di acquistare quei beni che oggi invece sono alla loro portata, riducendo quindi gli acquisti all'essenziale: casa, alimenti, istruzione.

Marco, non mi è chiaro perchè ci debba essere una crisi di offerta e questo danneggi il Nord. A un salario più basso lavoreranno (in funzione dell'elasticità dell'offerta di lavoro) più persone e l'effetto netto potrebbe essere positivo. La rimozione del vincolo di salario unico per il Nord e il Sud, nell'analisi statica e di breve periodo di Sandro, ha inoltre un effetto di redistribuzione al Sud tra coloro che sono nel mondo del lavoro e coloro che ne sono rimasti esclusi.

Non c'è dubbio che salari eventualmente più bassi al Sud provocheranno una crisi da offerta e molte persone non saranno più in grado di acquistare quei beni che oggi invece sono alla loro portata, riducendo quindi gli acquisti all'essenziale: casa, alimenti, istruzione.

Marco, non mi è chiaro perchè ci debba essere una crisi di offerta e questo danneggi il Nord. A un salario più basso lavoreranno (in funzione dell'elasticità dell'offerta di lavoro) più persone e l'effetto netto potrebbe essere positivo. La rimozione del vincolo di salario unico per il Nord e il Sud, nell'analisi statica e di breve periodo di Sandro, ha inoltre un effetto di redistribuzione al Sud tra coloro che sono nel mondo del lavoro e coloro che ne sono rimasti esclusi.   

f

Mi chiedo quanto dell’economia reale questi modelli riescano a spiegare. Non perché siano falsi in sé, ma perché nell’economia reale operano molti altri fattori.

Per esempio, secondo i dati Bankitalia (Bankitalia: L'economia delle regioni italiane nell'anno 2008 pag. 61. ) i salari dell’industria al Nord sono superiori che al Sud di circa 15 punti percentuali per gli operai e di circa 22 per gli impiegati,  eppure gli investimenti al Sud scarseggiano e l’occupazione latita. Vedasi anche l’editoriale di Penati su Repubblica di oggi.

Perché gli imprenditori settentrionali non investono al Sud, come il modello prevederebbe?  

Perché la produttività è inferiore al Sud in percentuale superiore al differenziale di salario (per usare le parole di Marco Esposito, perché il Sud ha prezzi da Oslo e infrastrutture da Burundi?). A dire il vero chi ha presentato quest’ipotesi su queste pagine non ha fornito prove empiriche a  suo sostegno, ma immaginiamo anche che queste prove esistano e che l’ipotesi sia vera.

E perché la produttività è così bassa al Sud?  Perché l’infrastruttura è carente nonostante i trasferimenti consistenti dal Nord, perché il sistema educativo balbetta, nonostante sia pubblico e perciò in principio uguale a quello del Nord, e, per metterla in modo un po' paradossale, perché tra i costi finanziari si devono includere le mazzette ai politici e il pizzo alle organizzazioni criminali locali? 

E se le cose stanno così, che potere di predizione del comportamento economico hanno i prezzi della manodopera merdionale? Non hanno un potere predittivo maggiore Gomorra e La  Casta che le analisi economiche della Federico II?

E, alla luce di questi fenomeni, la riduzione dei salari al Sud non potrebbe avere conseguenze diverse da quelle indicate?

Secondo l’ipotesi presentata qui, se non mi sbaglio, succederebbe questo: riducendo i salari aumenterebbero i margini operativi, aumentando i margini operativi, aumenterebbero gli investimenti esteri (dal Nord e dal resto dell’Europa), aumenterebbe la domanda di manodopera, si ridurrebbe la disoccupazione, aumenterebbero i salari (a ragione della riduzione della disoccupazione), e si ridurrebbe la diseguaglianza Nord e Sud.  Circolo virtuoso.

Eppure, scenari diversi da questo non sono implausibili. 

Uno, i cresciuti profitti potrebbero essere prosciugati da un aumento nel prelievo delle organizzazioni criminali. Improbabile ma non impossibile.

Oppure, questo scenario potrebbe avere l’impatto previsto nell’economia legale ma non in quella illegale, ed essendo questa non indifferente, al più l’impatto sarebbe ridotto.  Potrebbe esserci anche un travaso relativo di forza lavoro dal settore legale, che ora, credo, paga meglio, a quello illegale che potrebbe pagare di più una volta ridotti i salari. Parlo sia di attività produttive che di criminali.

Oppure, aumentano gli investimenti e l’occupazione ma non i salari, perché la manodopera disponibile legale (e illegale) al Sud è più numerosa di quanto non possa assorbire una realistica riduzione nei salari. E prima che la seconda parte del circolo virtuoso, l'aumento dei salari, si realizzi, potrebbero passare anni, forse decenni, forse potrebbe consolidarsi un modello di sviluppo basato sulla manodopera a basso prezzo, che non ha futuro.

Oppure i cresciuti profitti sono investiti non nell’industria meridionale, ma in Cina, o in una flotta di Mercedes Benz, o accantonati nei paradisi fiscali, o bruciati in derivati e perciò l’impatto eventuale di questa manovra sugli investimenti e i salari al Sud dovrà attendere a fin quando gli operatori finanziari internazionali decideranno di prenderlo in considerazione.

Insomma, tali e tanti, mi pare, sono i passaggi tra prezzo della manodopera e tendenze macroeconomiche che il potere predittivo di questi modelli neoclassici mi pare meno solido di quanto non sembri a prima vista.  

 

 

 

La stortura sul differenziale dei salari è ampiamente spiegata con le dimensioni aziendali: al Nord ci sono molte più aziende medio grandi con una retribuzione di II livello adeguata, al Sud ci sono molte più piccole aziende, ove si hanno solo i minimi sindacali.

Se ti interessa, la Fiat ottenne che a Melfi non vi fosse contrattazione di II livello per almeno 5 anni dall'apertura dello stabilimento.

Io mi batto per eliminare i minimi sindacali tout court e i contratti di settore (altra stortura). Poi, se anche così, nulla cambia, e gli imprenditori comprano Mercedes con i profitti, invece di reinvestirli, pazienza, vuol dire che lavoreranno di più le officine meccaniche. Ma almeno si è tentato. Sempre meglio della situazione attuale, con un dibattito che definire lacerante è poco, oltre che sempre più di basso livello (tranne che su Nfa).

Ciao a tutti!

mi spiace molto che ricercatori\appassionati e professori di economia come voi abbiano questa opinione sul mercato del lavoro ed in particolare sui livelli salariali.

Vi espongo alcune ragioni semplici e dirette:

-) i salari del sud sono già più bassi di quelli del nord! Un commesso/operaio nel sud salento ha uno stipendio di 7-800Euro al mese a fronte di 1100-1200 di un lavoratore di pari grado ed esperienza del nord. Questo a fronte di un costo della vita leggermente inferiore e perchè possono contare sulle famiglie (casa di proprietà, supporto economico ecc.). Questo però non toglie il fatto che se uno deve comprare una macchina o un qualsiasi altro bene di consumo durevole lo pagherà quanto il suo collega del nord, quindi ha di fatto su questo tipo di consumi un potere d'acquisto nettamente inferiore.

-) Nell'articolo è imbarazzante che non venga mai menzionato il lavoro nero. Il lavoro che c'è ma non si vede. Naturalmente uno accetta di lavorare a nero(con salari ridicoli) perchè altrimenti non lavorerebbe proprio.

-) Nell'articolo viene omesso, ancora una volta molto gravemente, che il costo lordo di un lavoratore è dato in media per il 60% dalla retribuzione netta e per il restante 40% dalle tasse a carico del datore e dello stesso lavoratore. Forse si farebbe meglio ad assottigliare quest'ultima percentuale.

-) Ultimo il discorso che esula dal merco calcolo economico: un lavoratore che a parità di grado, competenza e ore di lavoro impiegate viene remunerato di meno è mortificato ed incentivato a migrare. E' così che l'Italia rispetto all'estero ed il sud rispetto al nord perdono giorno dopo giorno cervelli brillanti come voi.

Grazie a presto

StefanoC 

 

 

Non capisco cosa ti faccia credere che prevalga su nFA l'idea di differenziare i salari dall'alto.  Potresti citare chi lo propone? Mi sembra piuttosto che la maggior parte degli interventi sottolineino che e' invece proprio uno (stupido e nocivo) intervento dall'alto da parte dello Stato, dei sindacati e di Confindustria a imporre salari innaturalmente uguali, specie per i dipendenti pubblici, in Regioni economicamente molto diverse, cone non accade di regola in moltissimi altri Paesi piu' civili, progrediti e ricchi dell'Italia. Quello che la maggioranza degli interventi raccomanda e' piuttosto la contrattazione separata per territorio dei salari privati, e l'allineamento dei compensi dei dipendenti pubblici ai salari privati dello stesso territorio.

 

i salari del sud sono già più bassi di quelli del nord! Un commesso/operaio nel sud salento ha uno stipendio di 7-800Euro al mese a fronte di 1100-1200 di un lavoratore di pari grado ed esperienza del nord. Questo a fronte di un costo della vita leggermente inferiore e perchè possono contare sulle famiglie (casa di proprietà, supporto economico ecc.).

 

Da dove vengono i tuoi dati?  Esperienze aneddotiche?  Innanzitutto gli stipendi dei dipendenti pubblici sono uguali e non piu' bassi al Sud, e questa e' la maggiore insensatezza economica.  Poi alcuni studi citati su nFA e presentati dalla stampa recentemente indicano un costo della vita ~16% inferiore a Sud e salari privati anche ~16% inferiori a Sud.  Se conosci studi diversi e migliori per favore indicali.  Complessivamente, i dipendenti pubblici che risiedono a Sud hanno salari reali del 16% superiori a quelli del Centro-Nord, e i dipedenti privati stipendi reali comparabili, pur essendo la produttivita' per addeddo meridionale (stima mia) ~20% inferiore in media, e l'occupazione 20-30% inferiore e quindi pur essendo il PIL pro-capite 40-50% inferiore.

 

Nell'articolo è imbarazzante che non venga mai menzionato il lavoro nero. Il lavoro che c'è ma non si vede. Naturalmente uno accetta di lavorare a nero(con salari ridicoli) perchè altrimenti non lavorerebbe proprio.

 

Il lavoro nero e' stato citato molte volte in nFA, anche in relazione alle c.d. "gabbie salariali". Per esempio in questo pezzo aggiuntivo dell'autore di questo intervento che commenti:

 

bisogna accettare il fatto che quello che proporre il mantenimento di salari fuori equilibrio al Sud ha come conseguenza il mantenimento di una situazione permanente di disoccupazione e pervasività di precariato e lavoro nero.

 

Infine scrivi:

 

un lavoratore che a parità di grado, competenza e ore di lavoro impiegate viene remunerato di meno è mortificato ed incentivato a migrare. E' così che l'Italia rispetto all'estero ed il sud rispetto al nord perdono giorno dopo giorno cervelli brillanti come voi.

 

Quello che conta e' il salario reale non quello nominale.  I meridionali non emigrano tanto perche' vengono pagati poco ma piuttosto perche' dati i livelli artificialmente elevati dei salari meridionali privati c'e' poca domanda di lavoro (vengono offerti dalle imprese pochi posti "legali"), c'e' elevata disoccupazione e molti devono scegliere tra un lavoro nero illegale e la disoccupazione.