Esportare Democrazia dove la vogliono

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Stavo mettendo giu' due note su Irak ed Afghanistan, quando mi son detto: troppo complicato, pensiamoci meglio. Risolviamo prima un problema semplice, la Birmania. Perche' non invadere subito la Birmania?

Lo dico seriamente, e mi sembrerebbe (per il presidente Bush ed i Repubblicani tutti) una maniera semplice semplice di vincere le prossime elezioni. Altro che "surge" in Irak ... O magari potrebbero proporlo Hillary e Obama, per mostrare al popolo americano che anche loro son disposti a fare una guerra "giusta" quando ne esistano le ragioni.

Sarebbe sufficiente dirottare verso le coste Birmane, attraverso l'oceano Indiano, una parte della grande flotta che gli USA tengono in questo momento nelle acque a sud dell'Iran e dell'Iraq, o nei porti della Penisola Araba. La base Diego Garcia è, aeronauticamente parlando, a due passi ed è un pelino più grandina di Aviano ... Bombardiamo le basi militari Birmane per un paio di settimane, poi mandiamo dentro un 30.000 marines, ad occhio e croce non credo servano di più per finire il lavoro di smantellamento della dittatura. Non vorrei sembrare un inetto Rumsfeld pro-monaci buddisti, ma ho la sensazione che in questo caso la popolazione sarebbe dal nostro lato e non molto propensa al looting. Ho anche l'impressione che i monaci buddisti siano tendenzialmente più pacifici e maggiormente propensi al dialogo dei loro "colleghi" musulmani ....

La Tainlandia sicuramente non potrà rifiutarci il passaggio delle truppe alleate sul suo territorio (ce le avevamo sino a pochi anni fa) e comunque possiamo letteralmente fare lo sbarco sulle coste Birmane. L'esercito Birmano e' una enorme sanguisuga (si mangiano il 20% del PIL, direttamente) capace solo di ammazzare i propri cittadini. Per quanto Wikipedia ci informi che The judgment was echoed in 1983, when another observer noted that "Myanmar's infantry is generally rated as one of the toughest, most combat seasoned in Southeast Asia" il poco che conosco della storia Birmana mi suggerisce che sono "combat seasoned" solo a fare anti-guerriglia, o a sparare sulla propria popolazione inerme, o sui monaci buddisti e le donne, come in questi giorni. Dopo dieci giorni di bombardamenti delle caserme con i B-2 si scioglieranno come neve irakena al sole. La Forza Aerea Birmana mi sembra risibile, la si cancella in due giorni.

La domanda di democrazia mi sembra esista, questa volta. Non credo ci sia bisogno di links ai quotidiani di tutto il mondo per provarlo. E non mi sembra vi siano problemi di tipo irakeno, ossia di divisioni etniche e religiose che spaccherebbero il paese una volta che venga cancellato l'attuale regime. Restiamo lì 6 mesi, e poi tutti a casa. Un mordi e fuggi socialmente utile, per una volta.

Diranno gli strateghi internazionali: ma la Cina, ma l'India ... E' vero, ma la Cina, ma l'India WHAT? A nessuno dei due, se capisco bene, interessa molto fare da sostenitore e protettore d'una dittatura militare sanguinaria che, comunque, sta diventando sempre di più un'anomalia nel panorama in evoluzione della regione. Per il momento sia Cina che India fanno finta di privilegiare la stabilità, ma non mi sembra che i loro interessi strategici sarebbero mal serviti se la "comunità internazionale" togliesse dalle loro dita la patata bollente. Certo, occorrerebbe consultarli e cercarne il consenso ed anche l'appoggio attraverso un contributo simbolico di truppe. Di nuovo, da dilettante delle relazioni internazionali ho l'ardire di prevedere che non sarebbe impossible convincerli.

Una volta ancora vale il principio economico di offrire un bene laddove la domanda sia alta e pre-esistente, non laddove a nessuno interessa il nostro prodotto. Ah, se George W. Bush fosse il liberista che dice di essere!

Let's give war another chance: invade Birmania, restore democracy, and go home.

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Commenti

Ci sono 32 commenti

Let's give war another chance: invade Birmania, restore democracy, and go home.

Michele, Michele, non hai imparato niente dalla chance N-1? (Per non parlare della N-2, quando la guerra si concluse abbordando gli elicotteri sul tetto dell'ambasciata a Saigon). Considera:

1. La Birmania non ha petrolio.

2. Se vuoi creare una credibilita' a un governo discreditato, dagli l'occasione di fare il difensore dagli attacchi stranieri.

3. I problemi politici della Birmania sono piu' profondi e di antica data di una giunta militare (peraltro orribile), e rispunterebbero fuori appena i marines se ne fossero tornati a casa.

La narrativa standard "nazione di pacifici democratici oppressa da un pugno di cattivoni, che basta far fuori per fare trionfare la democrazia", che in America pare non solo essere usata da Time magazine per spiegare la politica internazionale alle masse di mezza cultura, ma, incredibilmente, sembra essere creduta almeno in parte anche dai vertici governativi, non e' quasi mai corrispondente alla realta': e infatti ogni intervento si risolve puntualmente in disastro, e nell'instaurazione di altri dittatori (parte della responsabilita' va anche all'incompetenza degli ambasciatori, che sono spesso amici del presidente di turno ricompensati per i contributi alla campagna elettorale, anziche' diplomatici di carriera che conoscano geografia e storia del posto dove operano).

Nel caso Birmano, se guardi alla storia ti rendi conto di quanto complicata sia la situazione reale. Il principale fautore dell'indipendenza prima e durante WWII, Aung San, era una specie di Badoglio in versione locale che all'inizio combatte' per i Giapponesi, salvo poi voltare gabbana nel 1945 (e il suo assassinio nel 1947 non dispiacque al governo inglese). La ragione principale per cui Aung San Suu Kyi ha appoggio popolare ha poco a che fare con la democrazia, e molto con l'essere figlia di Aung San, secondo i principi feudali per cui quel che conta e' la linea dinastica (stessa storia per Benazir Bhutto, o la famiglia Nehru sotto il brand name Gandhi). Anche solo la struttura etnica (popolazione dei centri cittadini con forte componente indiana, importata a suo tempo dai britannici e detestata dai

birmani nelle campagne) fa del paese una polveriera. Per cui:

4. America should not go abroad, in search of monsters to destroy. Questa e' una gatta da pelare che va lasciata ai Birmani, o tutt'al piu' ai paesi vicini (Thailandia, India e Cina).

 

 

 

 

come sei cinico, enzo, vale la pena vivere perché nella vita c'è poesia, se non ci fossero stati buoni ideali e persone che hanno combattutto e perso la vita per perseguirli vivremmo in un mondo addirittura peggiore di quello in cui viviamo. Aung San Suu Kyi sarà anche la figlia del più importante uomo politico birmano dell'ultimo secolo, ma con tutta la fortuna che ha avuto, invece di andarsene dal suo paese e vivere una vita più che ricca e soddisfacente, per quel poco che ne so, ha dedicato buona parte della sua vita al suo paese rischiando molto e vivendo gli ultimi non so quanti anni agli arresti domiciliari. Avrà avuto il suo interesse a farlo? va bene. Non ti stanno simpatici i buddisti? neanche a me. Però non puoi ridurre tutto a squallidissimi giochi di potere. L'unica cosa che vale in birmania sarà pure la linea dinastica, ma sapere che ci sono persone che stanno ora rischiando la propria vita per migliorare il proprio paese ti dovrebbe suscitare per lo meno un minimo di rispetto, se non di ammirazione.

Allora se vogliamo dirla tutta la Birmania cosi' come la conosciamo e' uno Stato inventato dagli inglesi in epoca coloniale, un po' come l'Iraq...

Sul lasciare pero' la gatta da pelare ai soli Birmani non sono d'accordo. Sarebbe possibile, se non ci fossero interferenze esterne di vario tipo. Insomma se il Ministro del Petrolio dell'India va a firmare un accordo con la Giunta Militare, mi sembra una chiara ingerenza negli affari interni, anche se i soldi dei "regali" probabilmente transiteranno verso la Svizzera.

Detto questo un intervento militare cosi' come siamo e' impraticabile, perche' gli invasori naturalmente farebbero gli affari loro, e non il bene dei locali. 

 

In linea di massima direi che concordo con il pezzo di michele. Anzi, confesso che ieri sera stavo pensando praticamente alla stessa cosa....

Del post di enzo condivido il primo punto: non hanno petrolio.

A questo punto, abbastanza banalmente direi, potremmo concludere che e' possibile osservare successful exporting of democracy sotto due condizioni: i) un forte interesse politico/economico dell'invasore-liberatore; ii) una effettiva domanda di democrazia della popolazione locale, unita a una sufficiente omogeneita' etnico/culturale.

In Irak solo il punto i) era verificato; in birmania solo il punto ii) e' verificato; in europa nel 1945, grazie al cielo, entrambe le condizioni erano soddisfatte.

non capisco se sei serio o fai ironicamente il verso ai neocon pre-Iraq... 

Chiedi a me? Io sono serio. Non sto facendo il verso a nessuno.

I "neo-con" (suppongo tu intenda la lobby pro-Israele che ha controlla(va) la politica estera USA dal 2000 in poi ...) sostenevano cose diverse dalle mie.

Loro pensa(va)no che ci sia una guerra mondiale con i cattivi islamici, io credo di no.

Loro pensa(va)no (dicevano) che c'erano le famose WMD in Irak, io non l'ho mai creduto.

Loro pensa(va)no che invadere Irak servisse per ridurre la forza di Al Qaeda, io no.

Loro pensa(va)no che in Irak ed Afghanistan valesse la pena rimanerci per anni, io no.

Loro pensa(va)no che si possa insegnare la democrazia agli islamici a colpi di marines, io no.

Loro pensa(va)no che occorra bombardare Iran, io no.

Loro pensa(va)no che occorra lasciar fare a Israele quel che preferiscano i suoi sempre piu' razzisti ed imperialisti cittadini, io no.

L'unica cosa che abbiamo in comune e' che anche io ritengo valga la pena usare la forza militare, talvolta. L'abbiamo fatto in Kosovo ed in Bosnia, e l'abbiamo fatto bene. L'abbiamo fatto anche a Panama, e l'abbiamo fatto bene. Non vedo perche' convincere i cinesi e gli indiani di bombardare assieme le caserme birmane sia un'idea tanto balzana e neo-con. Infatti, non credo sia neo-con per nulla e se lo fosse, so be it: nessuno e' totalmente imperfetto, neanche i neo-con.

 

io ritengo valga la pena usare la forza militare, talvolta. L'abbiamo fatto in Kosovo ed in Bosnia, e l'abbiamo fatto bene. L'abbiamo fatto anche a Panama, e l'abbiamo fatto bene. Non vedo perche' convincere i cinesi e gli indiani di bombardare assieme le caserme birmane sia un'idea tanto balzana e neo-con.

 

Sulla tua prima affermazione sono d'accordo, sulla seconda meno.

Non credo che la situazione birmana sia comparabile con gli esempi che tu hai dato.

Panama, per cominciare, è stata una operazione di polizia compiuta dagli USA nel giardino di casa propria, esercitando un potere che da Monroe in poi gli Stati Uniti hanno sempre ritenuto legittimo esercitare e che le altre nazioni non si sono mai sognate di criticare sino in fondo.

La lista degli esempi è lunga, dalla guerra di Cuba di Teddy Roosvelt, agli interventi in Nigaragua, sino a Granada, passando attraverso le operazioni per interposta persona in Cile, Argentina e più o meno tutto il cono sud negli anni 70. L'unica eccezione è la Cuba di Castro, che ha potuto reggere solo grazie alla guerra fredda ed alla minaccia concreta di un conflitto nucleare.

In Bosnia e Kossovo la situazione è stata diversa. Innanzi tutto c'era un nemico abbastanza identificabile ossia la Serbia del cattivo Milosevic e i suoi accoliti bosniaci che comunque combattevano su di un fronte terrestre ben preciso e bombardabile

In secondo luogo e soprattutto, le due operazioni sono state possibili solo grazie al fatto che la Russia, tradizionale protettrice della Serbia, si trovava nel pieno del marasma economico-sociale post-URSS e quindi aveva altri problemi a cui pensare e altri aiuti da chiedere all'occidente, trovandosi nella impossibilità di minacciare alcunchè.

In terzo luogo, trovo alquanto improbabile che Cina e India accettino di farsi coinvolgere in una operazione militare a guida USA in quello che il loro giardino di casa. Perchè mai cioè dovrebbero accettare oggi di avere a che fare con la potenza militare americana, con quel che consegue sul piano della oggettiva subordinazione in termini operativi, quando con ogni probabilità, entro i prossimi decenni, saranno proprio queste due nazioni a dettare le regole del gioco ? 

In quarto luogo, non so quanto possa aiutare la voglia di democrazia il bombardamento di caserme, uffici governativi, ponti e strutture varie, con annesse  vittime civili inconsapevoli. Ancora una volta il confronto con il Kosovo non mi pare  adeguato, dato che lì si era in presenza di una netta, chiara (e tutto sommato circoscritta) linea del fronte e quindi era più agevole l'intevento,il che non ha comunque impedito "danni collaterali".  

Infine, perchè intervenire militarmente solo in Birmania ? Perchè non anche in tutti gli altri paesi dove la democrazia viene negata ?

Sono alquanto d'accordo sull'intervento militare. Non c'è altra alternativa.
Inoltre non è vero che in Birma non ci sia petrolio: ce n'è off-shore, e sembra sia molto (anche in Thai). Ovviamente Chirac aveva piazzato la Total in prima fila...
Non sono d'accordo con Michele sull'Iran. A questo punto, visto che le sanzioni non le vuole nessuno, tranne la Francia che ha capito tutto, l'alternativa è quella di Sarkozy: O la bomba all'Iran o le bombe contro l'Iran. Credo che tutti -inclusi i cittadini iraniani- preferiscano stoppare Ahmadinejad & Co. Francamente non credo possibile accettare che Teheran (come Tripoli etc.) possa avere tecnologia atomica.
TOrno un attimo in Asia per ricordare che la Corea del Nord ha quasi certamente tentato il giochino di passare le sue cose dismesse a Ahmadinejad e Assad. Facile immaginare il passaggio di piccole schifezze -chiniche o altro- anche in Nicaragua (dove c'è un sacco di movimento di "diplomatici" iraniani) e in Venezuela e Bolivia... Diciamo che c'è urgenza di una Onu bis, visto che Castro detta legge con 102 Stati "non allineati". Si pensi che l'Onu non ha voluto riconoscere Taiwan, il che è anche (tra l'altro) una follia legale, visto che era Chang Kai Chek e non Mao il legale presidente prima dell'invasione giapponese... Stop, e scusate l'excursus... Nel frattempo, accettiamo i macelli in Birma e altrove?

Inoltre non è vero che in Birma non ci sia petrolio: ce n'è off-shore, e sembra sia molto (anche in Thai)

Ah, I stand corrected. allora questo alza moltissimo la probabilita' di interventi "umanitari"! Pero' dubito che che in tal caso ci saranno operazioni congiunte del tipo che Michele auspica: ogni paese ha le sue societa' petrolifere in concorrenza con le altre.

Si pensi che l'Onu non ha voluto riconoscere Taiwan, il che è anche

(tra l'altro) una follia legale, visto che era Chang Kai Chek e non Mao

il legale presidente prima dell'invasione giapponese...

Ma guarda che mica e' stato Fidel Castro a bloccarne il riconoscimento: il governo di Pechino e' riconosciuto rappresentante legale di tutta la Cina da quasi tutti i paesi del mondo, primi tra tutti gli Stati Uniti (dal lontano 1979). Ne' l'attuale governo di Taiwan ha alcunche' a che fare con Chiang Kai-shek: il Kuomintang e' al momento all'opposizione, e in realta' ha rapporti piuttosto buoni con il governo della PRC, dato che anche il KMT supporta la riunificazione del paese (anche se non a breve termine, e con importanti precondizioni). L'intera questione non ha nulla a che fare con "comunismo vs. democrazia" e ancor meno con "comunismo vs. capitalismo": e' primariamente una faccenda di identita' nazionale, dato che il DPP attualmente al potere rappresenta i Taiwanesi "nativi" (cioe' non arrivati al seguito del Kuomintang) che non si sentono particolarmente cinesi, e semmai sono culturalmente piu' vicini al Giappone, di cui Taiwan fu una colonia dal 1895 alla fine di WWII. E' per questo che il recente tentativo di riconoscimento all'ONU e' stato fatto sotto il nome di "Taiwan" anziche' di "Republic of China" come in passato.

 

 

Oltre al petrolio c'e' anche moltissimo gas. Per questo motivo Cina ed India (che hanno gia' contratti firmati e gasdotti in costruzione) sono contrarie ad interventi armati.

In kosovo è andata male? Temo di sì, ma il punto è un altro.

Il punto è: voltiamo le spalle da un'altra parte, e lasciamo che le guerre dei regimi contro i loro popoli, siccome non sono "guerre" e siccome qui non c'entrano i demo-pluto-angli-ebrei, possano andare avanti alla grande?
Io faccio un esempio, quello dei tutsi e degli hutu, iin Africa.
In effetti, se mi guardo in giro, vedo che le sinistre piagnicchiano ma non si mobilitano, ogni volta che c'è una repressione. Ma cosa vorrà dire?

fosse proprio una buona idea?

confesso i miei bias

1. mi sono simpatici le suore e i monaci buddhisti (sono tutti Theravada, en passant)

2. mi e' sempre stato sui cosidetti Ne win e i suoi scagnozzi

3. basta una spintarella..

 

cito solo un elemento: per quanto assurdo possa apparire (ad alcuni) una delle migliori azioni di B. Thatcher e' stata far cadere i Videla & Co. da Baires (Malvinas' war)

Anche senza invadere si puo' benissimo strangolarli (e a modesto avviso del sottoscritto ci son persino le possibilita' di far intervenire India) 

Ho alcuni dubbi sull'intervento militare.

1) il fatto che i birmani vogliano la democrazia (ma la vogliono veramente, o solo non vogliono la giunta...?) non significa che siano in grado di gestirla e mantenerla. Le stupidate tipo "i popoli, quando hanno avuto la possibilità di scegliere, hanno scelto la democrazia" è appunto una stupidata. L'Iran è diventato una repubblica islamica dopo il voto popolare. Facciamo un esempio pratico: i soci di una srl possono anche preferire una spa quotata, ma ciò non significa che quella sia la migliore forma societaria. tanto meno se questa trasformazione è decisa da un tribunale o da una legge.

2) il fatto che india e cina non abbiano interessi strategici a mio modesto parere non significa molto. in primo luogo, anche durante la guerra fredda ci sono stati conflitti privi di interessi strategici: se il mio nemico si va ad impananare da qualche parte, io cerco di rendergli la vita più complicata. in secondo luogo, se gli usa dovessero trasformare in loro alleato la birmania ne ricaverebbero un vantaggio relativo. e gli stati sono particolarmente sensitive agli vantaggi relativi altrui (mastanduno, 1990). ricordiamoci poi che gli interessi di un paese sono dinamici, e dipendono sensibilmente dalla propria forza relativa in campo internazionale, quindi cina e india che stanno crescendo molto possono vedere l'intervento americano come un ostacolo ai loro interessi futuri. in terzo luogo, a furia di guerre dove gli avversari non hanno interessi strategici, la cina ha compreso benissimo come funziona la macchina bellica usa e quindi sta modificando il suo apparato militare di conseguenza. in breve, ad ogni guerra contro paesi x, la possibile guerra contro la cina diventa sempre più difficile. strategy is eternal, si dice negli studi strategici. in questo caso, possiamo parlare di strategy is dead.

scusate il lungo commento.

saluti, ag.

Aggiungo altre due brevi note, una che completa quanto ho scritto prima e una su Bosnia e Kosovo.

1) Sulla fattibilità di un intervento militare. Non devo insegnare agli economisti che un qualsiasi sistema (sia esso economico, politico, naturale, etc.) si fonda su un equilibrio naturale. A livello politico, la giunta militare birmana mantiene il potere perchè la sua forza relativa interna glielo permette (equilibrio1). Questa configurazione è incastellata nel sistema internazionale (equilibrio2). Se si interviene su un equilibrio, si modificano di conseguenza tutti gli altri - anche in modo non prevedibile (per quanto i neoconfusi possano dire: si veda il libro Systemic Effects di R. Jervis che si basa sulla chaos theory). In breve, dato X l'equilibrio del sistema internazioale, e dato Yi (i=1, 2, 3,...n) l'equilibrio interno ad ogni paesi i, un cambio di X o Yi porta o modifiche di tutti gli altri equilibri. In other words, se si interviene in Birmania (Y1), gli effetti politici interni (Y1) ed esterni (X) sono imprevedibili, specie perchè dY1 intacca X che a sua volta influenza tutti gli Yi, Y1 compreso. Se poi consideriamo due o tre tipi di equilibri X (sub-regionale, regionale e mondiale). Beh, ditemi voi quanto sono prevedibili gli effetti dell'intervento in birmania. Non mi sono messo a parlare di variabili quali perceptions and misperceptions (di nuovo Jervis è utile: 1976, ma anche quelli di Wohlforth, 1993), crescita economica, ideologia, etc. giusto per non rendere ancora più complicato il quadro.

2) Bosnia e Kossovo. Michele, a simple question: ma sono serviti? E' 15 anni che siamo nell'ex-Jugoslavia e i risultati sono ancora da vedere. L'equilibrio raggiunto è fragile e ad ogni cambio di vento sembra crollare. Prova ne sia che siamo ancora qui a discuterne. Il peace-keeping ha un'ottica statica. Si basa sull'assunto che il mondo stia fermo e quindi sia possibile portare la pace. In realtà, gli Stati o le comunità politiche crescono, si rafforzano, si indeboliscono, si difendono, il risultato è che gli equilibri tra le forze in campo evolvono: il peace-keeping impone loro di rimanere fissi. E' una sorta di marxismo delle IR: pensa che si possa giungere alla totale soddisfazione dei bisogni, perchè non contempla la possibilità che i bisogni possano crescere. Ecco perchè quando sento parlare di peacekeeping mi vengono sempre molti dubbi.

ps: a proposito di citazioni, per rimanere nel campo di quelli che "la guerra sarà brevissima e facilissima: Von Clausewitz, "la guerra è un'azione tremendamente semplice, ma in guerra anche la cosa più semplice diventa difficile - si chiama frizione".

Mah, io quello che penso sulla questione Birmana l'ho detto, compreso il fatto che sono alquanto consapevole delle difficolta', della necessita' di coinvolgere per lo meno India e Cina nel processo, e che non e' per nulla ovvio che ai cinesi interessi farsi coinvolgere. Il che ha delle implicazioni su come mantenere relazioni con la PRC per i prossimi 30 anni, ossia finche' non diventano economicamente e militarmente potenti per davvero. Ma trattasi di questione che esula lo spazio d'un commento, e del tempo domenicale disponibile, quindi lasciamo stare.

Vorrei anche sottolineare che NON ho suggerito d'andare a fare un'altra bella colonia in Birmania, come abbiamo fatto in Irak, Afghanistan ed altre amene localita'. Ho solo suggerito di cercare il consenso internazionale per bombardare quanto basta caserme ed uffici militari, al fine di "flessibilizzare" l'atteggiamento di questo esercito di criminali verso la popolazione civile. Da sempre i criminali si flessibilizzano meglio quando qualcuno di piu' grande e grosso di loro gli spappola qualche osso. Tutto li'.

Una cosa importante: lasciamo stare la teoria del chaos e la (mal-cosidetta) teoria delle "catastrofi" (ossia, il teorema di classificazione di una certa classe di punti critici di Rene Thom) che non c'entrano proprio nulla, anzi fanno solo confusione. Il fatto che, dopo aver provato alcuni teoremi notevoli in topologia differenziale ed in teoria delle singolarita'/biforcazioni, RT sia flippato e (con l'indesiderata compagnia di C. Zeeman) abbia cominciato a predicare una folle teoria di tutto e del contrario di tutto, non implica che noi si debba diventare i tardi seguaci di uno dei tanti santoni del secolo XX. Gia' abbiamo dovuto sorbirci quattro decadi di cretinate francesi, da Lacan in poi, in cui dei ciarlatani ignoranti blateravano della topologia del desiderio. Spero vivamente che nelle scuole di relazioni internazionali non ci si sia ora messi a blaterare di sensitivita' alle condizioni iniziali, butterfly catastrophe (magari confondendola con l'effetto butterfly in metereologia, che e' tutta un'altra cosa!) ed altre cose del genere. Non c'entrano nulla, assolutamente nulla. Non abbiamo bisogno di nessun Jervis che chiaccheri di "complex system" per capire che quando togli un paletto ad un castello rischi di far venire giu' la torre o il castello, oppure no. Tutto dipende da quanto rapidamente rimpiazzi il paletto e per capire questo e' meglio l'ingegneria edile che la scienza delle complessita', che e' una balla formidabile per gente che non capisce nulla di matematica.

Parola di uno che c'era quando l'hanno "inventata" o "fondata": Santa Fe' Institute, summers 1986 and 1987. Devo dire che mi fa un misto di paura e tristezza vedere che questo tipo di fashionable mathematical nonsense gira ancora in svariati campi delle scienze sociali. Invito ad una attenta e meditata lettura di Sokal e Bricmont. Forse occorre scriverne uno per le scienze sociali, accetto proposte da volenterosi coautori. 

Credo che dove ci sia una guerra civile ci sia un dittatura e dove interviene una forza militare esteriore ci sia un interesse economico. Prendiamo un esempio pacifistico: la Turquia. Perche' l'Europa e' cosi interessata a metterla dentro? Solo perche' molto vicina all'Oriente, non so se conoscete il gioco chiamato "risiko", piu' meno funziona uguale nel mondo militare e politco.

Mandiamo marins, perche' in europa non abbiamo un corpo militare e voila' la guerra con un paio di bombe e 4 missili finisce. Ci sono guerre, come in Irak, che doveva finire subito ma ci sono  tanti interesse a non farla finire. mi chiedo chi abbia questo interesse? gli stessi usa o il suo vecchio rivale, o l'amico affianco come l'iran, che adesso e' disposto ad aiutare gli usa. Mi sembra una telenovela sudamercina, quegli intrecci tra padre, figli, nuora e nipoti.

Se non c'e' un interesse nessuno si muove, il patriottismo, la lotta per la democrazia e la liberta' erano delle bellisime paroli fancesi dell'800, che oggi abbiamo un po' riscoperto con i monaci della Birmania, che hanno dato un esempio di come poter contrastare un potere silenziosamente, senza armi. certo no hanno potuto far molto con i proiettili che piovevano addosso, ma hanno attirato un po' l'atetenzione e cominciado da qui forse si arrivera' tra 20 anni alla democrazia.

Cina e India interessate alla Birmania? Si forse, ma purtroppo sono le due  entrambe molto vicine e dove ci sono due galli in un pollaio non fa mai giorno.

Mi piace la proposta di Michele Boldrin che se la Hillary vorrebbe diventare famosa forse questa sarebbe una occasione ghiotta no attraverso una guerra ma iniziando con una rappresentanza amerciana diplomatica semmai, ma forse troppo impegnata con Youtube.

 

 

 

 E non mi sembra vi siano problemi di tipo irakeno, ossia di divisioni etniche e religiose che spaccherebbero il paese una volta che venga cancellato l'attuale regime. Restiamo lì 6 mesi, e poi tutti a casa. Un mordi e fuggi socialmente utile, per una volta.

Vorremmo fare un'importante precisazione sulla frammentazione etnica della Birmania, che finora non e' stata affrontata nella discussione. La Birmania presenta una moltitudine di gruppi etnici, molti dei quali (primariamente Karen, Kachin, Karenni e Mon) sono organizzati in gruppi armati che sono stati impegnati in una lotta di guerriglia contro il governo negli ultimi 50 anni. Il conflitto, nel corso degli anni, ha causato decine di migliaia di morti (75.000 secondo il database di Lacina e Glieditsch) e molti più rifugiati in Tailandia e cosiddette internally dispacled persons in Birmania. Non è quindi così chiaro che in Birmania manchino elementi di divisione etnica comparabili a quelli in Iraq. Una serie di conflitti etnici sono già in corso nel paese e la creazione improvvisa di un vuoto di potere causato da un intervento toccata-e-fuga da parte della comunità internazionale rischia di creare le condizioni per un'accelerazione della violenza etnica.
Le varie minoranze costituiscono circa il  30% della popolazione, una dimensione che "basta e avanza" per avere un conflitto distruttivo,  (per esempio, in  Iraq i Sunniti sono circa il 20%; in Rwanda nel 1994 i Tutsi rappresentavano il 17 % della popolazione e con il loro attacco, vittorioso, contro il regime Hutu provocarono il massacro di 800.000 persone da parte delle forze filo-governative). Certamente a livello di singola etnia lo share sulla popolazione totale si riduce, ma bisogna ricordare che questi gruppi rappresentano maggioranze etniche all'interno degli stati periferici  che compongono l'Unione della Birmania (Stato Shan, Stato Karen, Stato Mo, etc.), identificandosi e gestendo in qualche misura un proprio territorio. Non sarebbe difficile immaginarsi uno scenario in cui alla caduta del regime fa seguito una intensificazione di rivolte etniche per l'indipendenza. Parlare di  omogeneità etnica in un paese dove gruppi etnici  hanno dimostrato una capacità di combattere per anni contro un regime brutale sarebbe assurdo, e assumere che non ci siano rischi di maggiore violenza sarebbe assumere l'atteggiamento mentale che ha portato all'intervento in Iraq.

Luigi Moretti e Costantino Pischedda

Putroppo e' cosi'. Sull'argomento della migliore strategia da seguire per la Birmania vorrei raccomandare due letture: un articolo su FT di Gideon Rachman, e un'intervista di dieci anni fa al "padre fondatore" di Singapore Lee Kwan Yew, che, seppure piu' autoritario di quanto io preferisca, e' un realista innegabilmente competente.

Ho letto il commento di Gilli. Non sono d'accordo. Intanto sui Balcani: verissimo che ci sono grandi difficoltà in Kosovo, con una dura esclusione dei serbi. E' anche vero che c'è una penetrazione islamica barbudista a Sarajevo e altrove. Però adesso non ci sono più stragi, e scusate se è poco...
Quanto all'applicazione geo/psico/politica della teoria delle Catastrofi (credo che in italiano si dica così), derivata da René Thom, va benissimo. Ma se applicarla vuol dire "Non interveniamo perché poi saltano gli equilibri interni", allora la mia prima risposta è no. E' evidente che ogni intervento produce una rottura degli equilibri. Altrimenti vivremmo ancora nell'utero di Eva o all'ombra della prima caverna... 
E' pacifico che un intervento militare possa produrre alterazioni psico-sociali, e magari peggiorare il contesto inter-etnico. Nel mio blog ho riportato un commento de Il Mango di Treviso che spingeva proprio verso un non-intervento. Lui abita proprio a Singapore. Ma a Singapore c'è una dittatura illuminata. Peraltro io preferisco la vita che si conduce a Seul o Tokio o Taipei. Magari si può provare a concedere più libertà e più democrazia anche altrove, meglio se senza armi, ovvio. Però resto dell'idea che se ci sono morti e repressioni violente, e se falliscono le pressioni internazionali, allora è meglio imporre la pace con la forza. In sintesi: muoversi con cautela, ma muoversi, il che non è poi anti tomista (rectius: anti thomista)...

Però resto dell'idea che se ci sono morti e repressioni violente, e se

falliscono le pressioni internazionali, allora è meglio imporre la pace

con la forza. In sintesi: muoversi con cautela, ma muoversi

 

Il problema e' che non si muovono.

In breve perchè devo fare le mie domande per il PhD quindi se alla fine non verrò preso sarà colpa di NfA che mi fa perdere tempo. :D

 1) Michele: no Jervis non dice cretinate. Negli anni Novanta le IR hanno perso tempo a dire che le teorie sistemiche erano una stupidata. In breve, poichè un tizio si comporta irrazionalmente, questi volevano mostrare che Lukas era un imbecille. Togliete tizio e mettete URSS, togliete Lukas e mettete Waltz ed ecco fatto il gioco. Jervis è intervenuto dicendo - signori, i sistemi sono complessi. Prevedere gli effetti reali dei sistemi non è per nulla semplice. In una disciplina dove l'oggetto di studio è tanto complesso non si può dire "il risultato è X". Ma le teorie sistemiche sono le uniche che ci portano vicino al risultato reale. Cmq, nelle IR c'è anche di peggio: qui lo dico e qui lo nego, se scappo da LSE è perchè non ho niente voglia di diventare un esperto di ermeneutica, discourse analysis, post-modernismo, etc. Quando volete ridere, chiamatemi che vi dico qualche titolo dei paper che pubblica la rivista del mio dipartimento (Millenium).

 2) Paolo:

a) sul kosovo: confondi il piano etico con quello descrittivo. In Kossovo non ci sono più le stragi. Ottimo: ma non perchè ora nell'ex-Jugoslavia si amano, ma perchè ci sono i nostri soldati. Il peace-keeping come idea non è in grado di capire che gli esseri umani si sono sempre uccisi nella storia per mille motivi e ne cercheranno altri mille per farlo in futuro. Per cui, al massimo, il peace-keeping può interrompere un processo: non fermarlo. Ora noi abbiamo fermato i massacri, ma non abbiamo fermato nè tanto meno annullato la voglia di portarli.

b) sulla birmania: se rompiano l'equilibrio interno in Birmania sinceramente non me ne frega niente. La Birmania conta quasi nulla a livello internazionale, quindi se quella fosse l'unica considerazione, bombardiamo pure. Il discorso è più complicato: se oggi tu intervieni in Birmania, crei almeno due effetti collaterali tutt'altro che positivi:

- Cina, India etc. dicono "gli USA continuano a pensare che il mondo sia il loro giardino - dobbiamo prendere dei provvedimenti". Se per evitare che un moscerino punga il tuo vicino io lancio una bomba nucleare, tu non sei rallegrato del mancato dolore del tuo vicino. Piuttosto ti interroghi sull'uso che io possa fare in futuro della mia forza - magari verso di te.

- tutti gli oppressi del mondo iniziano a pensare che gli Stati Uniti si sono trasformati nel fornitore internazionale di libertà. Ergo, va a finire in caciara come in Libano. Mezzo mondo si solleva, gli equilibri regionali si sfasano, e così il mondo diventa un gran casino. Lasciamo da parte il fatto che i Paesi usciti da una rivoluzione (Walt, 1993) o neo-democratizzatisi (Snyder and Mansfield, 2005) tendono ad essere più violenti - quindi la caduta di regimi autoritari oggi anticiperebbe una futura maggiore violenza mondiale; il punto è che un mondo senza equilibri geopolitici è un mondo impazzito che non conviene a nessuno - agli USA in primis.

saluti, ag.

Segnalo le notizie del giorno dal NY Times, a proposito del comportamento della Junta militare birmana dopo il ciclone.

 

As foreign aid groups scurried to deliver relief, the generals who run

Myanmar continued to focus on a separate priority: a constitutional

referendum scheduled for Saturday. [...] Fourteen years in the making, the Constitution is formulated to keep

power in the hands of military officers, even if they change to

civilian clothes. It would guarantee the military 25 percent of the

seats in Parliament and control of crucial cabinet posts, along with

the right to suspend democratic freedoms at any time.

 

E ancora:

 

Mr. Risley of the World Food Program said he had never seen delays

like those being encountered in Myanmar. In Indonesia after the tsunami

in 2004, he said, an air bridge of daily flights was established within

48 hours. “The frustration caused by what appears to be a

paperwork delay is unprecedented in modern humanitarian relief

efforts,” he said. “It’s astonishing.” He said his agency alone

had submitted 10 visa applications for relief workers but that none had

been approved before consulates shut down for the weekend.