Diario di viaggio nella Repubblica del Texas

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Brevi considerazioni sul Texas ed (alcuni) Texani, maturate durante un breve viaggio di lavoro.

Scrivo sull'aereo che mi porta da Dallas a casa, a New York. Sono stato a Texas A&M University per un seminario. In Texas ci sono stato molte volte. Vi ho anche vissuto per sei mesi, ad Austin, ma non ero mai stato nel Texas vero, quello extra-urbano, se non per brevi escursioni. Ne sono rimasto impressionato. Texas A&M, dove 'A' sta per Agricultural e 'M' sta per Mechanical, e' la seconda universita' dello Stato per importanza, dopo la University of Texas. E' statale, cosi' come UT, e conta circa 40mila studenti. Il campus e' enorme. Tra i piu' grandi degli Stati Uniti, se non il piu' grande. Ha un campo da golf di 18 buche, stadio per il football da 85mila posti, palazzo dello sport da 14mila, stadi minori per calcio, baseball, e softball. Le discipline di punta sono le scienze agrarie, veterinaria, ingegneria. Hanno anche un paio di reattori nucleari (per la ricerca), e un centro dedicato allo sviluppo di tecnologie per l'offshore drilling. Negli ultimi decenni hanno sviluppato anche le scienze sociali. Il dipartimento di economia, per decisione di qualche burocrate, si trova al margine del campus, a dieci minuti d'auto dal fulcro dello stesso. E' ubicato nel palazzo che ospita la George Bush Presidential Library, ovvero la biblioteca destinata a raccogliere tutta la documentazione relativa alla figura di Bush senior e, soprattutto, al suo mandato. Negli USA e' usanza costruire una biblioteca per ogni Presidente, finanziata da donazioni di soggetti privati. George Bush ha voluto che la sua si realizzasse sul terreno di Texas A&M. UT, per fare un altro esempio, ospita quella di Lyndon Johnson. Nel retro della Bush Library ci sono anche le tombe destinate ad accogliere le spoglie di tutti i componenti della famiglia, con tanto di lapidi e relative iscrizioni. Particolare forse macabro, ma anche curioso.


Per interessi, formazione, ed origine etnica, il dipartimento non si differenzia da molti altri che ho avuto occasione di visitare. Il collega che mi ha invitato e' di Tel Aviv. Lo conobbi a Rochester, quando eravamo entrambi studenti. Poi, tra gli altri, ci sono una peruviana e un paio di tedeschi, di cui una via Universitat Pompeu Fabra (Barcellona), e l'altro anch'egli Rochesteriano. La sorpresa e' stata l'incontro con il nume tutelare dei dipartimento, un macroeconomista di nome Leonardo Auernheimer, non piu' giovanissimo ma ancora in gran forma. Nativo di Cordoba, in Argentina, cresciuto a Buenos Aires, moglie tedesca, PhD a Chicago, e in Texas da tempo immemorabile. Un vero signore. Colto, affabile, simpatico, fine conoscitore della cinematografia italiana, viaggiatore instancabile. Ci ho parlato per un'ora e mezzo. Oltre che di economia, s'e' parlato dell'ultimo film di Almodovar, dei fasti passati dell'Universita' di Bologna, di Alberto Sordi, di dittatori o aspiranti tali (Chavez, Berlusconi, ...), del fascino di Buenos Aires,... Non me l'aspettavo proprio di incontrare una persona del genere in quel di College Station, TX.


Come suggerito dal nome, College Station e' una comunita' cresciuta attorno all'Universita'. Mi dicono che conta circa 70mila abitanti. Confina con un'altra citta', Bryan, che ha piu' o meno le stesse dimensioni. Quali sono i tratti piu' evidenti di College Station? La popolazione e' a stragrande maggioranza white caucasian (di quelli alti/e e biondi/e), cristiana e parecchio conservatrice. La citta' e' completamente orizzontale (probabilmente ci sono 3 stabili con piu' di tre piani), e senza alcuna parvenza di pianificazione urbanistica: una distesa interminabile di abitazioni unifamiliari e strip malls. Per i non addetti ai lavori, le strip malls sono essenzialmente enormi parcheggi, circondati da esercizi commerciali quali supermercati, barbieri, parrucchieri, ristoranti, tutti appartenenti a grandi catene. Il business model dei ristoranti e' sempre lo stesso: prezzi bassi, qualita' bassa, e quantita' spropositate (di quelle che piacciono ad Alberto, insomma - battuta!). Fa eccezione, ovviamente, la carne bovina, che a mio giudizio e' seconda solo a quella argentina.


Tra i riti che accompagnano questo tipo di visite, v'e' la cena post-seminario, con relativo scambio di anedottica e pettegolezzi. I miei commensali mi hanno introdotto al concetto di church rush hour. Sembra che la domenica mattina il traffico impazzisca, perche tutti vanno in chiesa, e ci vanno rigorosamente in auto. Gli uomini, in giacca e cravatta. Le donne e i bambini, con il vestito della festa. I cristiani di qua sono parecchio destrorsi, al punto che alcuni si rifiutano di annoverare i Cattolici tra le loro fila. A questo proposito, mi e' stato riferito un aneddoto divertente: pare che un professore di filosofia abbia scandalizzato i suoi studenti undergraduate al punto tale che questi ultimi hanno organizzato un gruppo di preghiera per salvarlo dall'Inferno.


Ho smesso di scrivere per qualche minuto. In questo tratto non ci sono nuvole, e il sole illumina la vastita' del continente sotto di noi. Penso che si tratti del Kentucky. Presenza antropica ridotta al minimo. La natura la fa ancora da padrona. Ne sono affascinato.


Torno a scrivere della mia visita. Il Texas e' anche uno tra gli Stati piu' ricchi, ed in maggiore crescita, di tutto il Paese. Piu' di due volte l'Italia per estensione, solo 21 milioni di abitanti, e molto, molto piu ricchi degli Italiani. La Brazos Valley, dove College Station e' situata, a meta' strada tra Austin e Houston, non e' la parte piu' abbiente, ma il benessere e' evidente. Ovviamente, bisogna cercarne i segni in quelle attivita' cui i Texani tengono. L'albergo. Un semplice Holiday Inn Express, che ha il comfort di un 4 stelle italiano, ma con molto piu' spazio, e probabilmente costa 40 dollari a notte. Le auto. Quasi tutte nuove e in media da 30mila dollari, suppergiu'. L'aeroporto. Anch'esso di proprieta' dell'Universita', con due sole porte d'imbarco, ma rigorosamente dotate di jetways retraibili. Le attrezzature sportive. Campi da calcio, basket, tennis, football, sparsi un po' dovunque e in perfette condizioni.


Dopo averci pensato qualche minuto, mi accorgo di non aver ancora accennato all'aspetto del Texas che mi colpisce maggiormente ogni qual volta ci vado: l'estrema gentilezza dei Texani. Anche in questo senso, qui siamo a migliaia di chilometri da New York e dalla ruvidezza dei Newyorkers. Il Texano (nel mio caso, meglio se la Texana) ti accoglie con un sorriso, e non si tratta del solito sorriso ebete ed ipocrita che ti aspetta all'entrata di un qualsiasi Wal-Mart. E poi si fa in quattro per aiutarti.


Molti Europei hanno una mediocre opinione dei Texani, probabilmente plasmata da una certa cinematografia e peggiorata dal comportamento dell'amministrazione di GW Bush. A me, tutto sommato, piacciono parecchio. Certo, bisogna prendere coscienza dei loro principi di base: promozione delle liberta' individuali, rifiuto dello Stato, etica del lavoro, meritocrazia, solidarieta'. Si', solidarieta'. Per i Texani e' un valore assoluto, che ben si concilia, nella loro visione, con l'esigenza di limitare il piu' possibile il ruolo dello Stato nella vita delle persone. Da generazioni, ogni Italiano che nasce si ritrova uno Stato elefantiaco, che fa tutto e il contrario di tutto. Soprattutto, e' portato a pensare che l'assicurazione sociale, intesa come trasferimento di risorse dalla societa' at large verso i piu' sfortunati (mi riferisco ai disabili, per esempio, e non ai vagabondi) debba essere compito pressoche' esclusivo dello Stato. Il Texano medio la pensa diversamente. Il suo prior e' che la filantropia possa e debba giocare un ruolo importante. Principalmente, per una questione di incentivi: il filantropo spende il suo denaro, non quello dei contribuenti. Qui mi fermo. Mi pare che ci sia del materiale per futuri post.

 

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Commenti

Ci sono 16 commenti

GL,

due domande, senza alcun intento polemico. La prima, che atteggiamento hanno i Texani che hai avuto modo di osservare nei confronti degli immigrati (immagino in prevalenza messicani)? Te lo chiedo perche' se non vado errato la presenza di messicani va aumentando, tanto da influenzare le dinamiche politiche del Texas - candidati, piattaforme elettorali, ecc.

La seconda riguarda la filantropia in generale, ed e' piu' che altro una considerazione. Siamo sicuri che la filantropia da parte di privati molto ricchi sia "meglio" dell'assicurazione sociale fornita da uno stato o da altre entita' pubbliche? Mi sorge il dubbio che, sol perche' uno e' ricco, non e' detto che sia anche necessariamente abile ad intervenire in situazioni che richiedono assistenza. Magari l'assistenza pubblica comporta anche vari checks and balances che la rendono meno prona a cantonate. Lo stesso puo' valere, chesso', per gli interventi delle varie agenzie dell'ONU rispetto alle iniziative di Bill Gates.

Non ho la piu' pallida idea se la risposta sia affermativa o negativa, ma mi sembra un dubbio legittimo. 

 

A proposito dell'atteggiamento verso i messicani, e il loro ruolo crescente anche nella politica texana, mi ricordo di una conversazione che ebbi con il deputy dean di arts & sciences a UT Austin. Il tipo era convintissimo del self-selection argument tra gli immigrati messicani. In poche parole, mi disse che secondo lui i messicani, al momento di entrare negli US, hanno idee molto chiare sulla differenza di trattamento che troveranno nei vari Stati. In maniera molto stilizzata, fece il confronto tra la California e il Texas. La California, con tasse sul reddito alte, forte presenza sindacale, e welfare generoso, attirerebbero gli immigrati meno abili e meno laboriosi. Il Texas, che non ha tasse sul reddito, essenzialmente non ha welfare, ad eccezione di quello federale, e ha sindacati totalmente inefficaci, attirerebbe i piu' capaci e laboriosi. Non ho mai visto alcun lavoro empirico che provasse a testare la storiellina, ma e' appealing. Mi ricordo che la raccontai a Prescott, e come puoi immaginare, gli piacque molto. Un corollario della storiellina e' che gli immigrati in Texas sono piu' facilmente assimilabili alla mentalita' che ho descritto come average in Texas. Credo che l'attorney general Gonzales (anche se in realta' e' second generation immigrant) sarebbe lo stereotipo dell'immigrato ideale per i texani. (wow, forse c'e' un esempio migliore :-) )

 

Sulla filantropia. Un tema interessantissimo, credo. Personalmente, io credo che welfare state e filantropia siano complementari. Chi credo debba organizzare le case-famiglia che accolgono i bambini handicappati? Un burocrate qualsiasi con i soldi dello Stato, o Don Oreste Benzi con i soldi di Bill Gates. Non ho dubbi, scelgo l'accoppiata Benzi-Gates. Oppure: preferisco pagare lo 0.1% di tasse in piu' alla City of New York per finanziare i ricoveri per i senza-dimora, oppure fare un assegno al prete per finanziare il suo, di shelter? Io scelgo il prete. Perche' lo conosco. Perche' posso andare allo shelter e verificare di persona come spende i miei soldi. Perche' se non mi piace come lavora, non gli faccio piu' l'assegno. Allo stesso tempo, ci sono scenari in cui vi sono soggetti che la maggiorparte di noi riterrebbe meritevoli di aiuto, ma i filantropi non se li filano proprio. Oppure lo fanno con una intensita' che e' molto lontana da quella che desidereremmo. In questi casi credo si possa prescindere dal welfare state.

 

 

 

Mi sorge il dubbio che, sol perche' uno e' ricco, non e' detto che sia anche necessariamente abile ad intervenire in situazioni che richiedono assistenza.

 

Probabilmente non è nemmeno abile a costruirsi una casa o a pilotare un aereo, ma per fortuna può permettersi di pagare qualcuno che lo faccia per lui...

 

Complimenti per il post, l'ho letto tutto d'un fiato.

non conoscevo assolutamente il Texas, a cui associavo soltanto la faccia dei due Bush;colpevole la mia ignoranza, ma posso difendermi: sono giovane e non ho ancora avuto l'opportunità di attraversare l'atlantico.

Grazie, perché ora mi sembra di sapere una qualcosa di più sull'america.

Filippo

 

Grazie Filippo. Beato te che sei giovane!