De gustibus disputandum est? The series! (II)

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Domandina di partenza: si possono modificare le preferenze? Come? Dopo aver dibattuto nella parte precedente l'oggetto della discussione, parliamo ora della determinazione genetica delle preferenze. Nella parte seguente, ci chiediamo se sia opportuno modificarle e chi lo debba fare.

Aldo: In buona parte no, a mio avviso le preferenze non possono essere modificate, questo per una semplice ragione: perché le preferenze di un individuo sono geneticamente determinate, come lo sono la sua altezza o la sua intelligenza. Però, come vedremo, in una certa parte anche sì. Gli economisti non hanno ancora studiato attentamente le questione della ereditabilità delle preferenze, anche se la ricerca è iniziata. Gli psicologi hanno informazioni importanti, in particolare sulla base di studi di gemelli. L’idea di questa linea di ricerca è semplice: i gemelli monozigoti hanno un corredo genetico identico, mentre quelli di-zigoti sono uguali solo per metà. Quindi se una qualche caratteristica (dicamo avversione al rischio) ha una componente genetica la correlazione fra le caratteristiche dei gemelli monozigoti dovrebbe essere più altà che fra eterozigoti. La differenza fra la correlazione dei primi e dei secondi può infatti essere usata come una misura del grado di ereditabilità della caratteristica studiata. Una esposizione "semplice'' è qui, da uno degli esperti della questione.

Michele: Sia l'evidenza che la teoria suggeriscono che gli individui hanno “personalità” geneticamente distinte. Le preferenze profonde sono, quindi, quelle geneticamente determinate. Possiamo aggiungervi “non modificabili da interazioni del soggetto con l’ambiente esterno”? Lo chiedo sulla base di questa semplice osservazione: la nostra altezza ha senza dubbio una componente genetica ma, di nuovo senza alcun dubbio, essa è determinata anche dall’alimentazione ricevuta, specialmente nei primi anni di vita. Quando diciamo che l’altezza di una persona è geneticamente predeterminata intendiamo dire, in realtà, che il patrimonio genetico del fenotipo determina un intervallo di altezze possibili; quale di essa si realizzerà, nel caso in questione, dipenderà poi da un complesso di fattori ambientali. Ecco, la questione interessante è: vale lo stesso per l'avversione al rischio? La generosità? L'ottimismo? E se vale lo stesso, quanto sono ampi quegli intervalli e come si opera su di essi? Sono domande pesanti, ma sono domande non evitabili.

Aldo: Sì vale lo stesso per l'avversione al rischio, per il fattore di sconto soggettivo, e anche per la generosità e l'ottimismo. Siamo più precisi. L'altezza è ereditabile per circa l' 80 per cento (cioé l' 80 per cento della varianza si spiega con fattori ereditari). Se si guarda a questa differenza per i fattori di personalita (che e il modo degli psicologi di caratterizzare un individuo) allora queste sono ereditabili fra il 40 e il 60 per cento (vedi qui per esempio uno studio ben fatto anche se non più recente). Queste sono stime prudenti: la percentuale di ereditabilità è probabilmente più alta, perché la misurazione di questi fattori è fatta con molta imprecisione. Per chiarire: uno dei fattori è chiamato Openness/Intellect, che è quello che sembra dal nome: curiosità e intelligenza. Questo fattore viene misurato sulla base della stima che il soggetto offre della propria intelligenza. Certo, la misura è quindi approssimativa e sospetta. Infatti una misura più precisa, sulla base di test di QI si può avere. E se il fattore si misura in quel modo, allora la frazione della varianza spiegata da fattori genetici sale. Per gli altri fattori (per esempio, altruismo, tanto per citarne uno che può essere più conroverso) ci si può aspettare che la conclusione sia la stessa. Anche per quelle caratteristiche individuali che determinano le preferenze di cui si interessano gli economisti, siccome sono di natura molto simile ai fattori di personalità, ci si puo aspettare che la frazione di ereditabilità sia di quell’ordine.

Michele: La mia ipotesi è che le preferenze individuali si possano capire solo olisticamente, come il prodotto dell’interazione di un insieme di caratteristiche elementari della personalità con l’ambiente circostante. Il problema scientifico veramente difficile consiste (1) nell’individuare tutte e solo queste caratteristiche elementari (che avranno quasi sicuramente una determinazione genetica nel senso stabilito poc’anzi per l’altezza) che risulta legittimo associare alle preferenze profonde, ossia alla personalità; (2) modellare le loro interazioni nel cervello, ossia cercare di capire cosa diavolo sia la "personalità", over and above i "fattori" che la determinano; (3) modellare e misurare come e quanto l’ambiente esterno le fa muovere negli intervalli geneticamente ammissibili. Mi rendo conto che questo sia (quasi) una fotocopia del modello “model and parameters” introdotto da Chomsky per intendere le nostre capacità linguistiche, ma a questo mi sembrano puntare teoria ed evidenza empirica. No?

Aldo: Possiamo mettere il risultato in due modi, naturalmente: che questi fattori sono invarianti in una misura del 40/60 per cento, o che sono modificabili in una misura del 60/40 per cento.  In ogni modo, la sostanza della risposta secondo me è chiara. Diciamo modificabili per metà.

La questione della variabilità è importante non solo fra individui, ma anche fra gruppi. L’idea fondamentale di evolutionary psychology è che abbiamo tutti una mente comune, e quindi anche delle preferenze comuni, e stabili. La ragione è che questa struttura si è formata nel periodo lungo e relativamente stabile di hunters-gatherers, e che è improbabile che ci siano già stati effetti (genetici) di adattamento ad una vita agricola: troppo poco tempo. Meno ancora è probabile un qualche effetto genetico di adattamento al modo di produzione industriale. Quindi: postulato fondamentale che abbiamo una struttura deep, comune a tutti, e che questa è stata determinata nel period HG. L’idea della Elementargedanke è antica, risale a Bastian (http://en.wikipedia.org/wiki/Adolf_Bastian). Questo assunto fondamentale non è più preso come indiscusso: per esempio vedi la controversia nata con il libro The 10,000 years explosion, che sostiene che l’evoluzione nel genere umano è proceduta, anzi accelerata negli ultimi 10,000 anni, e che l’idea di Elementargedanke è falsa. Se non volete comprare il libro, e avete fretta, guardate qui: ci sono diversi articoli interessanti e esposizioni più sintetiche. Il libro vale la pena.

Michele: Scusa Aldo, breve intromissione. Dal punto di vista genetico o di evolutionary psychology questo dibattito è interessante, nel senso che è senz'altro rilevante scoprire se alcuni tratti dell'uomo del 2000, o del 1000 o del periodo dell'impero romano, possano essere geneticamente differenti da quelli dei sumeri o delle prime comunità agricole. Ma dal punto di vista dell'economista, che differenza fa? Se leggo bene, nessuno di questi studi riesce a mettere una data precisa sulle supposte trasformazioni genetiche, o no? A dire: nessuno può neanche lontanamente aiutarci a capire, per esempio, se la creazione dei grandi imperi europei o lo sviluppo del pensiero "occidentale", o, esagerando, il Rinascimento con tutto ciò che ne segue, possano anche lontanamente essere attribuibili a modificazioni delle preferenze definite geneticamente. Ci permettono di capire, questo sì, che affermazioni come quelle avanzate da Gregory Clark (o da Oded Galor, sul piano "teorico") sono ridicole e non dovrebbero essere spacciate come argomenti scientifici, ok. Ma non ci fanno avanzare di un centesimo sulle questioni che ci interessano, non credi? In particolare, nessuno riesce a dirci se, per esagerare, il "primitivismo tecnologico" dei continenti altri dall'EuroAsia possa essere associabile a differenti itinerari genetici, o addirittura a differenti preferenze profonde. Quindi, che uso possiamo noi fare di questa ipotesi? Soprattutto, se queste mutazioni sono adattamenti casuali non prevedibili e non controllabili, che cosa ne può ricavare l'economista?

Aldo: Fa una differenza enorme secondo me per tre ragioni. La prima è che a seconda di quando il processo di mutazione si è fermato dipende anche quanto gli esseri umani sono simili fra di loro. Questo è il punto centrale del libro The 10.000 Years explosion. Il punto è connesso alla questione delle preferenze profonde: se ci sono, e non c'è stato tempo per una grossa differenziazione, allora queste preferenze profonde sono anche comuni a tutti i gruppi . La seconda è che è importante per capire molti fenomeni di differenze fra gruppi. Per esempio il fatto che il livello di intelligenza degli ebrei Ashkenazi possa avere una spiegazione genetica è dibattuto. La terza però è quella fondamentale: se negli ultimi diecimila anni l'evoluzione umana si è fermata, allora la fase dell'agricoltura non ha avuto tempo di aver effetto. Vedrai una conseguenza importante di questa assunzione fra poco.

È credibile questa lentezza? Diecimila anni sono tanti. Per darti un' idea, un esempio è quello di uno scienziato russo, Dmitri Belyaev, che negli anni '50 cominciò a scegliere fra un gruppo di volpi quelle che si dimostravano più disposte ad interagire con gli essere umani. Dopo dieci generazioni, meno di 40 anni, ottenne una specie di volpi completamente diversa per carattere, estremamente più docile e socievole con umani. Qui c'è una esposizione semplice. Certo, il Rinascimento non si spiega in questo modo.

Michele: Mi sembra che qui si diverga, o forse c'è solo confusione. Il problema non è, ovviamente, se una cinquantina (o anche una ventina) di generazioni possano essere sufficienti per dare luogo, in un processo di selezione controllata e forzata, a mutazioni nelle caratteristiche genetiche di una specie o meno! Questa non mi sembra una grande novità: basta guardare come si selezionano le razze dei cani per capirlo. La questione interessante è se 10mila anni siano sufficienti per generare mutazioni casuali sufficientemente grandi, e ad innescare poi un processo di selezione ed adattamento tali da poterci far dire: ok, quelli che discendono dagli agricoltori della Mesopotamia sono geneticamente diversi, lungo dimensioni economicamente rilevanti, da quelli che rimasero in Africa o da quelli che proseguirono il viaggio sino alle Americhe ... Ma qui stiamo andando un po' fuori tema, per cui suggerirei di lasciare la cosa in sospeso: è possibile che le preferenze profonde siano modificabili geneticamente e per selezione in intervalli di tempo di alcune migliaia di anni, però non sappiamo bene se questo sia successo né se sia rilevante per spiegare le differenze fra Copenhagen e Quito. Ad ogni modo, torniamo alla questione che ci interessa: esiste una solida giustificazione economica per avocare politiche pubbliche che cambino le preferenze attraverso cambiamenti dei beliefs?


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Commenti

Ci sono 25 commenti

 

due domande sui primi due "capitoli":

 

1)  Aldo scrive:

 

Ora, se si applica questo criterio allora a me pare che chiaramente le preferenze cambiano, e molto e anche spesso. Anche i piu ortodossi (incluso Becker) si sono allontanati dalla posizione originaria, come espressa per esempio nel paper  "De gustibus non est disputandum". Ricordiamoci che la posizione espressa in quel paper era quella che le preferenze sono stabili. Cioé: dal punto di vista analitico e delle applicazioni di policy l’idea cardine dell' economia che le scelte vengono fatte sulla base di preferenze è utile se e solo se queste preferenze sono stabili; Stabili nel tempo, stabili rispetto alle esperienze fatte, stabili rispetto all’ambiente. Se non lo sono, la porta è aperta a tutte le spiegazioni ad hoc.

 

 

Vi spiacerebbe approfondire un po'? Quale credete sia il "consensus" sulla questione adesso?  L'argomento mi interessa soprattutto con riferimento alla Macroeconomia:  microfoundations, Lucas critique, etc.

 

2)   Qual è la vostra opinione riguardo agli studi di gemelli? Lo chiedo perché l'anno scorso  si è molto parlato di un paper scritto da economisti che sembrava gettar dubbi sull'intero approccio.   ...o magari ho capito male io,   non è proprio il mio campo!  

 

 

But ... the entire enterprise [that is, twin-based studies] hinges crucially on the assumption that identical twins have identical abilities.
...
This paper develops a framework for testing the equal ability assumption.
...
The main findings of the paper are that within-pair differences in IQ are
significantly associated with income even after accounting for differences in schooling, that within-pair differences in IQ have a statistically and economically significant effect on within-pair differences in schooling, and finally that inclusion of IQ reduces within-pair estimates of returns to schooling by about 15% across various specifications and variable definitions.
These results cast doubts on the validity of the co-twin approach to estimating the returns to schooling, and provide some empirical evidence for the critique of within-family estimation advanced by Griliches (1979) and developed by Bound and Solon (1999) in the context of twins-based estimates.

 

 

Rispondo su 2). Anch'io sono scettico sui twin studies, per un motivo un po' piu fondamentale di quello che accenni (che sostanzialmente dice che i gemelli sono meno identici di quanto si creda: hanno differenze di peso, etc fin dal giorno in cui nascono). Il punto e' molto semplice: se sono identici, perche' fanno scelte di studi diverse? Deve esserci un qualche fattore "esogeno" che interviene, per esempio, uno subisce un incidente e si trova a fare un percorso scolastico diverso e non va al collete. Ma allora il coefficiente stimato non e' il "return to schooling" ma "return to schooling + incidenti". Per approfondimenti, consulta Rosenzweig and Wolpin, Journal of Economic Literature (credo 2000).

 

C'è un punto in cui mi perdo... prima dice che il libro the 10000 year explosion sostiene che l'evoluzione si è accelerata negli ultimi millenni, poi invece dice che nel "punto fondamentale" del libro si parla degli effetti di una evoluzione bloccata di recente. Qualcuno mi spiega?

Poi, un altra cosa:

 

È credibile questa lentezza? Diecimila anni sono tanti.

 

Forse mi sono perso qualche passaggio, ma non capisco questo scetticismo. Nell'ambito dell'evoluzione naturale, è molto difficile che una certa caratteristica sia così fondamentale per il successo riproduttivo da diventare patrimonio comune nel giro di poche generazioni. Di solito si tratta di cambiamenti così marginali da alterare solo leggermente le probabilità di successo (esempio: il collo delle giraffe - la proto-giraffa col collo di 1 cm più corto non è destinata a morire senza discendenti, semplicemente è statisticamente meno probabile che riesca a riprodursi, ecco perché ci sono volute molte generazioni perché la lunghezza media del collo aumentasse sensibilmente). Non è un caso che Aldo debba ripiegare sulla selezione artificiale (l'esempio delle volpi addomensticate) per far sembrare improbabile un cambiamento "lento". In questo caso infatti, c'è un filtro molto rigido: la volpe meno socievole è sicuramente destinata a non accoppiarsi, semplicemente perché l'allevatore ha deciso che così deve essere, e non è affatto difficile per l'allevatore impedire all'esemplare sgradito di riprodursi. Questa differenza nelle velocità è nota fin dai tempi di Darwin, gli esempi del tempo erano gli allevatori di piccioni. Certo, cambiamenti repentini si verificano anche in natura, ma è l'eccezione e non la norma.

completamente d'accordo con Giacomo...la selezione operata dall'uomo è un esempio del tutto fuorviante per valutare i tempi del progredire della selezione naturale. Ne "l'origine delle specie" di Charles Darwin ci sono spiegazioni esaustive al riguardo.

La selezione naturale è sempre attiva e opera per il bene della specie anche in quegli aspetti non propriamente "visibili" propri della selezione operata dall'uomo.

Non ho, ahimè, letto il libro che si cita, ma sinceramente non capisco come si possa dire che l'evoluzione si è fermata (in che modo poi?) prendendo una scala temporale di soli 10 mila anni

 

L’idea fondamentale di evolutionary psychology è che abbiamo tutti una mente comune, e quindi anche delle preferenze comuni, e stabili

Damanda banale: quali sarebbero queste preferenze profonde e quindi stabili ed assolute ?

La mia sensazione (da puro ignorante è ovvio e quindi di pronta smentita) è che qualsiasi preferenza che in un determinato contesto o momento storico può apparire "profonda" e assoluta, rischia di diventare relativa in un altro momento storico.

Prendiamo la più profonda delle preferenze: il desiderio di non morire. Ebbene, in certe culture e in certi periodi gli individui hanno scelto volontarimante di immolarsi e di sacrificare la propria vita, per esempio per compiacere un dio - come nelle cultura maya e in parte quella azteca - o per la maggior gloria di dio, come i martiri cristiani che le cronache del tempo descrivono come raggianti di fronte alla prospettiva del martirio, dato che presto sarebbero stati al cospetto di dio.

Pensiamo ancora al sesso (preferenza per definizione primaria perchè legata alla riproduzione e quindi a perpetuare la specie), al quale  in numerose culture gli individui volontariamente rinunciano per periodi più o meno lunghi o addirittura per  tutta la vita.

 

Se ho ben capito, si è provata a fare una distinzione teorica fra gusti e preferenze, i primi sembrerebbero più stabili e profondi, mentre le seconde sarebbero derivanti dalla combinazione fra gusti e beliefs.

La morte (propria sopratutto, ma anche altrui) è una cosa universalmente molto brutta (gusto condiviso da tutti), ma è accettabile in cambio di un (immaginato, qui entrano i beliefs) beneficio per se stessi o la comunità.  Se non sbaglio avviene che nel caso di babbuini in fuga da predatore il più vecchio si lasci prendere per salvare il gruppo. Qui la cosa è simile, mi sacrifico perchè la mia comunità abbia favori dagli dèi (per conservazione della specie, non del singolo). Oppure nel caso dei martiri in cambio di un investimento iniziale si può pensare di risolvere il problema della propria conservazione per l' eterno. Per il sesso il discorso è simile, a tutti piace ma vi si può rinunciare a seconda del contesto e postporlo ad altri beni.

Anche il caso di "pancia vuota-no bene" io lo vedo più come un gusto assoluto che come una preferenza assoluta, per conferma si guardi alle top model.

 

Edit: rileggendo quel che ho scritto inizio a pensare di non aver chiara la distinzione fra gusti e preferenze, in particolare non capisco se l' evolutionary psychology dà come assoluti e stabili i gusti o le preferenze.

 

in questo pezzo discutete secondo me una questione cruciale. ho alcuni commenti.

- 1) manteniamo per semplicità come valida la rappresentazione "beliefs+gusti ---> azioni (preferenze)" utilizzata nel vostro primo pezzo. secondo me nel focalizzarvi sui gusti, e non parlando dei beliefs, il vostro pezzo tralascia l'aspetto dell'apprendimento. cioè come ed in che modo la realtà esterna si trasforma in beliefs. dietro questo aspetto c'è un euristica (metodo), anch'essa sicuramente combinazione di elementi geneticamente trasmissibili ed elementi provenienti dall'esperienza individuale. insomma, sebbene credo non fosse vostra intenzione sollevare la questione, ci tengo a dire il problema del perchè facciamo inferenza e deduzione in un certo modo è importante, forse tanto quanto i gusti, per capire come ci comportiamo (quindi le nostre preferenze).

-2) sono d'accordo con voi, e la cosa credo sia ovvia, che le scelte sono determinate sia dal codice genetico che dall'ambiente circostante. aggiungerei che per affrontare il problema è utile adottare la metafora (?) dell'uomo come macchina. con questa prospettiva è chiaro che sia il software che determina l'architettura della "macchina umana" (il codice genetico) - macchina costruita da altre macchine -, sia le modificazioni che l'ambiente esterno provoca con i suoi input sulla macchina attraverso meccanismi di feedback e aggiustamento presenti nella macchina stessa in base al design genetico, debbano essere prese in considerazione per capire come la macchina si comporti.

a mio parere però il problema è che queste che voi chiamate preferenze profonde sono in effetti proprio la combinazione di meccanismi di feedback complessi e la memoria "read-only" genetica. dunque non sono fenomeni sufficientemente semplici da essere identificati come, per esempio, avversione al rischio o spirito collaborativo. a mio avviso non è che la preferenza al rischio (definita poi in che modo?) sia codificata nel codice genetico come l'altezza. piuttosto è il risultato dell'interazione di numerose euristiche di comportamento.

indeed, è ben possibile che il fenotipo "avversione al rischio" possa essere poco influenzato dall'ambiente esterno e quindi giustamente classificabile come genetico. tuttavia, come ricorda anche Sabino, vi è un largo numero di esempi dove l'ambiente ha spinto gli uomini ad operare al di là di tutti quelli che sembrano le preferenze primordiali: il kamikaze è da ritenersi forse un risk-lover oltre misura. la questione è, come notate voi, aperta.

-3) io non ho idea di quanto sia cambiato nell'uomo negli ultimi 10.000 anni. comunque mi sembra che l'obiezione di Michele al commento di Aldo sulle 50 generazioni non sia precisa. E' vero che la selezione dei cani è stata operata direttamente dall'uomo e quindi ha proceduto velocemente. ma è altrettanto vero che anche la pressione selettiva esercitata dalla natura può essere molto forte e quinsi essere capace di cambiare la popolazione in poche generazioni. questo se sorge una mutazione particolarmente conveniente rispetto all'ambiente esterno.

 

 

 

E' vero che la selezione dei cani è stata operata direttamente dall'uomo e quindi ha proceduto velocemente. ma è altrettanto vero che anche la pressione selettiva esercitata dalla natura può essere molto forte e quinsi essere capace di cambiare la popolazione in poche generazioni. questo se sorge una mutazione particolarmente conveniente rispetto all'ambiente esterno.

 

Esempio?

 

ok avviene un cambiamento climatico repentino e fortemente selettivo. Ad esempio questo:

http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_catastrofe_di_Toba

Ma poi?

Tutti i successivi adattamenti al nuovo clima non vengono accelerati come avviene quando un operatore esterno intelligente (e che ha uno scopo) corregge continuamente il tiro affiancando la selezione "istante per istante".

Secondo me, necessiterebbe che la natura agisse allo stesso modo dell'uomo, cosa che per sua stessa "cieca" costituzione non può fare. Affinchè questo avvenga cioè, bisognerebbe che ad ogni step (cioè teoricamente ad ogni generazione) sopravvivesse un solo preciso corredo genetico dominando in maniera netta e continuativa su tutti gli altri (che di conseguenza verrebbero eliminati). Un operazione del genere, prolungata nelle generazioni, solo l'uomo può metterla in atto (ovviamente facendo sopravvivere esclusivamente gli esemplari utili e eliminando del tutto gli altri). Al contrario se qualche altro corredo genetico sopravvive, poi nella successiva generazione si va a mescolare con quello più adattato, rallentando di fatto il processo.

voi cosa dite ?

chiaramente il messaggio era in risposta a daniele...perdonatemi ma ho scordato di pigiare il pulsantino "replica"

 

vedi il mio commento precedente. questo separare l'uomo dalla natura non mi sembra una buona idea, almeno rispetto a quello di cui stiamo parlando.

sono d'accordo che l'uomo è in grado per i suoi scopi di selezionare intenzionalmente gli individui di altre specie. tuttavia questo modo di fare credo possa essere adottato da ogni essere vivente complesso. il problema è che il comportamento dell'uomo lo definiamo intenzionale, mentre quello di altri animali o piante no. non chiedetemi esempi perchè non saprei. ma non mi stupirei di trovarne guardando ai rapporti simbiotici o parassitari tra animali.

se ci pensi la relazione mucca-uomo promuove forse più (in senso relativo) la sopravvivenza della mucca che quella dell'uomo....