Cos'è un economista

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Mi è capitato un paio di volte di discutere, diciamo così, "animatamente", con due figure intellettuali pubbliche, che si auto-definiscono  "economisti" nei loro CV pubblici. Il primo è Claudio Borghi e il secondo Piergiorgio Gawronski. Probabilmente simile e' il caso di Loretta Napoleoni che Michele ha definito "non economista" in diretta tv generando una sua reazione piccata; ma il cui CV Luca Solari ha scandagliato scoprendo varie imprecisioni ed incertezze. [Poiche' so che verra' fuori nei commenti, aggiungo: non discuto il caso Giannino perche' in quel caso si millantavano titoli precisi non la vaga qualifica di "economista"; e' quest'ultima che mi interessa in questa sede.] Mi pare che in questi casi, come in altri, una certa incomprensione comune nella stampa e nell’opinione pubblica riguardo a cosa comporti la professione di economista lasci spazio ad una forma di disonestà intellettuale che ammorba il dibattito economico in Italia. Minimizzando la polemica, vorrei cercare di spiegare cos’è un economista, per poter rimandare a questo post la prossima volta che si proponga una discussione del genere. Ma  anche perché giovani interessati capiscano meglio cosa sia questa professione in caso stessero considerando di intraprenderla.

Cambia il mondo e cambiano le professioni. Un economista oggi non è semplicemente, come da definizione di dizionario, una persona che si occupa di economia. Tanti si occupano di economia in un modo o nell'altro, dagli economisti accademici a coloro che lavorano presso banche centrali o organismi internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale; dai giornalisti economici, ai banchieri, ai direttori finanziari delle grandi aziende, ai consulenti, etc. Non tutti sono economisti. 

Col rischio di schematizzare troppo, e cosciente delle varie eccezioni che però credo confermino la regola, un economista tende a soddisfare alcune proprietà e caratteristiche fondamentali.

1. Un economista ha un Dottorato di ricerca (PhD nella dizione anglosassone comune). Il dottorato è il titolo accademico più avanzato che viene rilasciato dalle università dopo un corso di studi specifico. In Italia e nel mondo ci sono moltissimi programmi di dottorato in economia, ma quelli veramente buoni sono pochi, non più di una cinquantina in totale, ed è difficilissimo entrarvi. Questi dipartimenti ricevono ogni anno in totale alcune decine di migliaia di domande da parte di studenti qualificati  e non ne ammettono che una quindicina l’uno [NdA: Antonio Rosato (grazie) mi fa notare una imprecisione:  15 e' ovvimanete in media il numero della classe del primo anno non degli ammessi, che sono di piu (c'e' parecchio overlap tra scuole in chi si ammette); ho anche controllato i dati di NYU e ho capito di aver esagerato sul numero totale di domande - credo che 10-15 mila per i migliori 50 programmi sia una stima piu' appropriata]. Moltissimi studenti hanno già dei master quando fanno domanda. In questi programmi di alto livello, il corso di studi comprende un primo anno durissimo, in cui lo studente è introdotto agli strumenti di base della disciplina, che sono molteplici e complessi:  microeconomia, macroeconomia, ed econometria (statistica). Nei dipartimenti migliori una notevole conoscenza di quella matematica che gli economisti usano è condizione necessaria all’ammissione; in altri dipartimenti si fa anche un bel po’ di matematica il primo anno.  Il secondo anno gli studenti scelgono due campi di specializzazione (anche se di solito ne fanno tre). Questi sono campi vasti, tipo macroeconomia, teoria, econometria, economia del lavoro, …, nulla di troppo specializzato. Su questi si concentrano arrivando vicini alla frontiera della ricerca del momento. Gli ultimi due anni (che poi son spesso diventano quattro) sono dedicati alla ricerca: seminari, seminari, discussioni con i professori e altri studenti, e poi ancora seminari,.. Il passaggio dallo studio alla ricerca è spesso difficile, perché le qualità intellettuali richieste sono diverse e complementari – spesso ottimi studenti scoprono di non essere sufficientemente creativi o semplicemente di non amare le notti insonni cercando di limare un modello, una dimostrazione, una serie di dati pieni di buchi, l'introduzione di un'articolo. Molti di questi lasciano gli studi dopo un paio d'anni o appena finito il PhD e finiscono a lavorare in finanza, in organismi internazionali, in consulenza. Ovviamente, ci sono programmi di dottorato meno impegnativi di quello descitto, ed anche più brevi. Il dottorato in Italia dura tre anni, più uno di proroga senza borsa (a discrezione dell'università).  Più o meno tutti seguono questo modello pero'. Non si esce da un dottorato senza una solida preparazione, senza una conoscenza degli strumenti essenziali della disciplina, e senza una tesi, un lavoro innovativo che dimostri capacita' nella ricerca economica. Nessuno senza questa preparazione può nemmeno avvicinarsi ai lavori di ricerca moderni: semplicemente non sarebbe in grado di leggerli.

Nota: la generazione dai 55 in su, fuori dal mondo anglosassone, aveva tipicamente scarso accesso ai dottorati. In Italia il dottorato è stato istituito solo nel 1980 ed ha iniziato a funzionare un paio di anni dopo. Gli economisti di questa  generazione si sono formati facendo da assistenti ad un professore più anziano dopo la laurea. In alcuni casi con successo, in altri favorendo il baronato che ancora affligge l’università ad esempio italiana.

2. Un economista fa ricerca. Fare ricerca significa tipicamente scrivere articoli per riviste scientifiche in economia (non libri, o per lo meno non solo libri). Pubblicare in una buona rivista è difficile e sta diventando sempre più difficile, perchè il numero degli economisti aumenta e il numero delle pagine pubblicate dalle riviste che contano - che sono al massimo una decina  – è pressoché costante.  Il direttore della rivista (editor) chiede il parere anonimo di altri economisti, esperti dell'argomento, detti "referees". In moltissimi casi, il parere è negativo (reject) e la rivista non pubblica l'articolo, che in genere viene ripresentato in riviste meno prestigiose. Le migliori riviste rifiutano la stragrande maggior parte degli articoli che ricevono (che sono già auto-selezionati). Se va bene, i referee chiedono modifiche spesso fondamentali (revise and resubmit). L'autore rimanda la versione rivista  e la giostra ricomincia, finchè l'editor accetta l'articolo o lo rifiuta definitivamente. Insomma, è normale che un articolo impieghi 2 anni o più dalla prima presentazione alle pubblicazione. 

E‘ importante notare che non solo economisti accademici, nelle università, fanno ricerca. La fanno anche quelli che lavorano presso i servizi studi di banche centrali, organismi internazionali etc. Come per gli accademici l’insegnamento e l’attività amministrativa è tipicamente un dovere contrattuale di cui essi farebbero spesso volentieri a meno, così gli economisti alle banche centrali fanno rapporti sui mercati dei cambi o dei titoli per dovere,  ma appena possono si dedicano alla ricerca. Nelle istituzioni internazionali è il rapporto sulla Grecia o il Ghana ad essere dovere per gli economisti. Questo non significa che questi rapporti vengano fatti male o di malavoglia necessariamente, o che gli accademici non amino l’insegnamento. Ma il lavoro vero per un economista è la ricerca.

3. Un economista ascolta seminari e presenta regolarmente il proprio lavoro, a seminari e a conferenze; e poi fa referee report. Non è possibile fare l’economista senza andare ai seminari, le presentazioni della ricerca di altri economisti (due o tre la settimana, tipicamente, della durata di circa 90 minuti). Lo scambio delle idee, la discussione, è un piacere ed una necessità. Allo stesso modo non si invia un articolo ad una rivista senza averlo presentato almeno cinque o sei volte in dipartimenti diversi (spesso molti di più, decine). I commenti sono fondamentali. Lo stesso per le conferenze: ci si va per avere idea di dove va la professione, di che direzione sta prendendo la ricerca all’interno di un campo specifico o tra campi diversi. Anche qui, tra cinque e dieci l’anno è più che normale. Di referee report se ne fanno almeno uno o due al mese (a volte di piu') e con l’età (e il prestigio) spesso si diventa editor di una qualche rivista e se ne fanno molti di più. E poi un economista tende a partecipare al mercato dei giovani, perché è lì che nascono le idee più nuove ed interessanti, naturalmente. Anche qui, tutto questo non avviene solo nelle università, ogni banca centrale ad esempio ha un servizio studi con una serie di seminari importante e centrale alla sua vita interna.

4. Un economista insegna ad un dottorato di ricerca e cura l’attività di ricerca degli studenti di dottorato. Quella di seguire un gruppo di studenti all’inizio del proprio lavoro di ricerca e di portarli alla tesi di dottorato, che consiste in due o tre articoli, è una grossa parte del lavoro di un economista. In accademia, sia gli studenti che i professori vivono in dipartimento, gli studenti e i professori più giovani spesso fino alle tarde ore della notte. Il rapporto è solitamente estremamente informale, rari gli appuntamenti: lo studente entra nell’ufficio e si mette alla lavagna a spiegare la sua nuova idea per ricevere commenti o suggerimenti. Questo ovviamente avviene soprattutto per gli economisti accademici, ma anche nelle banche centrali o nelle istituzioni internazionali i più vecchi sono mentori dei più giovani, e spesso chi sta in questi centri di ricerca prende sabbatici o altro per insegnare in un qualche dipartimento ed avere accesso agli studenti.

Il lettore comprenderà che quella dell’economista, così come l’ho caratterizzata, è una professione specifica. È difficile che un giornalista o un trader possano farlo. E‘ impossibile fare l’economista senza passare quasi tutto il proprio tempo a fare l’economista. Naturalmente, con l’età l’attività di ricerca ogni tanto rallenta (spesso anche no, fino ai 70) e a volte finisce. Alcuni economisti finiscono a fare consulenze o attività pubblicistica o semplicemente ad andare in barca a vela. Dopo quanto tempo un economista che si dia ad altro smette di essere un economista? Dipende da tante circostanze – cruciale è quanto ci si mantiene al corrente con la ricerca (andando ai seminari ad esempio). Un esempio per tutti: Ben Bernanke è entrato ottimo economista alla Fed e ne uscirà a breve come tale. Alan Greenspan non è mai stato un economista e mai lo sarà. Nemmeno Paul Volcker, che pure è stato a mio parere uno dei migliori governatori della Fed del dopoguerra.

Il lettore penserà che la mia caratterizzazione della professione di economista è essenzialmente quella di un economista accademico; e che pur includendo alcuni economisti che non sono in accademia, ho comunque ammesso nella categoria solo quelli che si comportano essenzialmente come gli accademici. Che male c’è invece a chiamare economista anche il trader, il giornalista economico e altre figure professionali di questo tipo, che pur non essendo accademici, di economia si occupano comunque? In effetti non vi è nulla di male, dopotutto le definizioni sono convenzioni e basta intendersi. Anche se le definizioni servono a distinguere cose diverse e il lettore ammetterà che l’economista di cui parlo io è molto diverso ad esempio da un trader che operi con competenza sui mercati finanziari e abbia opinioni al proposito.

Ma il punto cruciale è che il giornalista economico o il trader che si auto-definiscano "economista"  tipicamente lo fanno per millantare conoscenze che non hanno; questo è il caso dei miei due interlocutori, che hanno motivato questo post. Il trader che scrive di mercati finanziari – o il giornalista che commenta gli ultimi dati sul mercato del lavoro in Italia – non si auto-definisce economista. Lo fa chi commenta sulla disciplina, così come essa è praticata, e che auto-definendosi "economista" mira a far credere al lettore di essere all’interno della disciplina che sta criticando. O lo fa chi sfrutta la psicologia di massa per proporre soluzioni a problemi economici che pur se errate (o incorrette, o imprecise, o mal formulate) sono quello che la massa desidera sentirsi dire. Il venditore di olio di serpente contro il cancro deve dire di essere un medico; un medico critico della disciplina, ma un medico; altrimenti la massa lo prende per venditore di olio di serpente quale e'. È ovvio, in altre parole,  che una critica interna alla disciplina abbia molto più valore, negli occhi del lettore che non ha gli strumenti per distinguere, di una critica esterna. Per questo l’operazione di auto-definirsi "economisti" è disonesta intellettualmente – proprio perché con "economisti" essi intendono proprio "economisti accademici", così come io li ho caratterizzati. Non è un caso che queste persone (Borghi, Gawronski, Napoleoni sono esempi perfetti) tipicamente cerchino contratti di insegnamento all'università. Per quanto diano, in Italia, diritto a auto-qualificarsi "professore" nei biglietti da visita, i contratti di insegnamento sono oggetti diversissimi dalle posizioni accademiche e non soddisfano nessuna delle proprietà di cui sopra. Sono sabbia negli occhi del lettore. 

Un trucco tipicamente usato da questi sedicenti economisti (e dai venditori di olio di serpente) e quello di lamentare il "pensiero unico" che li esclude. Non e' cosi'; essi sono esclusi semplicemente perche' son fuori - non sono economisti, non partecipano al dibattito disciplinare ne' lo comprendono (il dibattito sulla stampa e' ben altra cosa, ovviamente; a quello partecipano e fan bene a farlo se hanno qualcosa da dire). Ma il "pensiero unico" e' un'invenzione. Critiche interne all'economia esistono eccome. Lo sono naturalmente quelle di P. Krugman o di J. Stiglitz (su di esse io ho i miei dubbi, ma per questioni diverse, perche' sono motivate dalla retorica politica). Ma soprattutto, critiche interne sono ad esempio quelle di D. Laibson e M. Rabin (economisti comportamentali; ad Harvard e a Berkley, non tra gli infedeli). E' che essendo queste critiche intelligenti e complesse, pochi le comprendono al di fuori del dibattito accademico, dove si blatera invece di "pensiero unico". Invece critiche da parte chi non ha mai praticato la professione come tale ma si ostina a millantare di farne parte sono innanzitutto disoneste, indipendentemente dal fatto che siano critiche solide o meno. 

Naturalmente non penso affatto che il dibattito economico debba essere riservato agli “economisti”, come ho gia' detto. Ci mancherebbe, idee intelligenti riguardo a temi economici possono venire da molte parti. Succede spesso. Io credo che gli economisti tendano ad avere maggiore comprensione della struttura logica degli argomenti economici e anche una superiore capacita' di analisi dei dati. Essi hanno anche una maggiore comprensione dei limiti della disciplina: mi verrebbe da dire che proprio per questo gli economisti tipicamente non fanno previsioni - ma mi rendo conto che ci sono molte eccezioni e me ne dispiaccio - in ogni caso, diciamo che ci stanno piu' attenti. In questo senso credo che gli economisti siano essenziali nel dibattito economico. Ma le discipline accademiche tendono a chiudersi su se stesse verso l’esterno e anche per questo un dibattito aperto è cosa buona e giusta; di più, necessaria. Trader, giornalisti, ma anche imprenditori, consulenti, portano competenze diverse e utilissime al dibattito sulla stampa riguardo a temi economici. Non dico questo cosi' per dirlo con snobistica magnanimita'. Lo penso veramente. In Italia ad esempio c'e' un blogger che fa il trader, alcuni giornalisti economici che bloggano e twittano, e almeno un ex-consulente che scrive sui giornali, che non mi perdo mai; e da cui imparo sempre qualcosa. Nessuno di loro si definisce "economista", che io sappia.

Ma un dibattito che inizia con la disonestà intellettuale non è accettabile. La disonestà va smascherata prima di iniziare a dibattere, per rispetto al lettore. Non è un caso che chi senta il bisogno di millantare conoscenze spesso abbia anche pochi argomenti degni di questo nome, come nel caso dei miei interlocutori che hanno motivato il post; e anche, dal quel che capisco, di Loretta Napoleoni. Che ognuno dichiari con onesta' cosa fa nella vita prima di iniziare. L'onesta' intellettuale e' cosa su cui un intellettuale non transige - per questo le accuse ricevute da parte della buona e benpensante borghesia milanese di voler "srotolare" il CV mi hanno fatto molto male. Non "srotolo" nulla, non lo ho mai fatto, ma non accetto che si "srotoli" quello che non si ha, da parte di nessuno, traders, giornalisti, o buona borghesia milanese che essi siano.  

Un esempio finale che spero chiarisca la mia posizione. Io mi sono occupato e mi occupo tra l’altro di economia matematica. Ho insegnato matematica per vari anni. Naturalmente ho insegnato matematica a studenti del college e del dottorato di economia e ho insegnato quella matematica che conosco e che gli economisti usano, diciamo teoria della misura e processi stocastici. Ora, potrei definirmi matematico? No. Ma diciamo di si, con un bel po’ di vanità, attribuendo a me stesso quella superiore intelligenza che indubbiamente i matematici possiedono. Se fiero della mia mia auto-qualifica di matematico scrivessi in un blog letto da matematici potrei (forse) anche dire cose intelligenti, avendo sui processi stocastici una prospettiva diversa (da economista); potrei magari porre questioni a cui matematici veri non hanno pensato o proporre una diversa e interessante interpretazione o applicazione di un teorema; se fossi piu' intelligente di quello che sono potrei anche magari provare un nuovo teorema o un corollario ad un teorema esistente. Ma se invece  fiero della mia auto-qualifica di matematico scrivessi i) che la disciplina sta prendendo una piega pericolosa, che troppi matematici si occupano di teoria dei numeri, campo troppo astratto e assolutamente inutile, anzi socialmente dannoso perché le sue poche applicazioni sono in crittografia e quindi utilizzate dai servizi segreti di vari paesi per ragioni di spionaggio online; ii) che troppo pochi si occupano di teoria della misura e processi stocastici (la sola piccolissima parte della matematica che io un po' conosco); se scrivessi questo in pubblico auto-definendomi "matematico" non starei facendo una operazione intellettualmente disonesta? Da economista potrei dire tutto questo ed il lettore capirebbe subito il mio giochetto interessato, ma se mi qualificassi come matematico la cosa sarebbe  profondamente diversa, disonesta appunto.

Un caveat finale, che dovrebbe essere chiaro ma che fa probabilmente bene specificare esplicitamente: non voglio creare l'ordine degli economisti certificati, ne' tanto meno assurgere a giudice di chi puo' dichiararsi economista o meno. Voglio solo informare il lettore riguardo a  cosa e' tipicamente un economista nella sua professione per permettere al lettore stesso di meglio distinguere chi, millantando critiche esterne per critiche interne, compie una operazione di disonesta' intellettuale. Poi gli economisti sono molto diversi tra loro. Chi voglia comprare olio di serpente, liberissimo  di farlo.

P.S. Per chi conosce Newsroom: ha un PhD ma anche Soal Sabbith millanta: non e' un'economista, purtroppo. 

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Commenti

Ci sono 142 commenti


Caro Bisin,

se la cosa puo' essere consolante le diro' che la dinamica di attribuzione di competenze fasulle giustificata dall'esclusione dagli ambienti ufficiali che e' tipica dei complottari non e' confinata solo all'economia. La rete, la stampa le TV sono piene di pseudo-scienziati che affermano enormita' su ambiente, alimentazione, cure mediche etc. Prenda per esempio il caso Stamina, oppure l'atteggiamento che e' montato in Italia sugli OGM e che ha portato all'approvazione all'unanimita' di una legge talebana. Questo tipo di ondate di idiozia vengono alimentate dai cosiddetti esperti che ricevono queste investiture sui media. E' paradigmatica la storia della fragola pesce nata anche grazie all'invito di un noto "scienziato" ed "esperto" del problema ad uno mattina Mario Capanna

www.liberidaogm.org/liberi/capannaunomattina.php

bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/09/13/logm-che-non-e-mai-esistito/

 

Haha. Capisco, non mi stupisce anche se in cuor mio speravo fosse piu' difficile millantare di essere uno scienziato vero. 

... potrebbe arrivare sulla scena un nuovo luminare, introdotto nell'ambiente or ora proprio da Capanna:

http://www.fondazionedirittigenetici.org/fondazione/new/displaynews.php?commenti=s&id=748

Concordo in pieno. Prendendo questo post e cambiando la parola "economista" con fisico/chimico/biologo/storico/latinista tutto il discorso sta ancora in piedi con pochissime modifiche.

 

Mi è capitato un paio di volte di discutere, diciamo così, "animatamente", con due figure intellettuali pubbliche, che si auto-definiscono  "economisti" nei loro CV pubblici...

 

ma ci hai discusso pure su twitter, blame on you. da quel poco che ne capisco, su twitter rendo credibile come interlocutore anche il mio gatto, non prima però di averci sicuramente litigato. col mio gatto, giammai.

Economista è chi economista fa, disse Forrest Gump. O disse altro ?

"Pubblicare in una buona rivista è difficile e sta diventando sempre più difficile, perchè il numero degli economisti aumenta e il numero delle pagine pubblicate dalle riviste che contano - che sono al massimo una decina  – è pressoché costante."

Ho trovato interessante questo passaggio, che però m'ha lasciato un dubbio -uno dei tanti nella mia vasta ignoranza.
Se il numero degli economisti aumenta, ma non scende il loro livello di preparazione e la loro produzione scientifica, il numero ristretto di riviste non rischia di diventare un collo di bottiglia?

Magari in quel numero relativamente costante di pubblicazioni la qualità aumenta, dato il pool accresciuto da cui attingere, però per come è formulato quel passaggio ad uno da fuori potrebbe sembrare che si rischia di non pubblicare qualcosa di valido. O di non pubblicarlo là dove avrebbe un senso. Portato alle estreme conseguenze, il discorso potrebbe implicare una saturazione del "mercato degli economisti". Cosa che può pure essere, non so. Però in generale più ricerca è meglio in senso assoluto.

E' così? 

 Lui cita "una decina" di riviste "che contano", ma in realtà le riviste di economia sono moltissime Oltre una decina di grandi riviste generaliste (che cioè pubblicano su tutti gli argomenti), moltissime altre riviste generaliste meno buone e centinaia se non migliaia di field journals - cioè riviste che si occupano di argomenti specifici.  Quindi è praticamente impossibile non pubblicare un articolo se ha un qualche merito. Fra l'altro non è affatto detto che gli articoli delle grandi riviste siano sempre i migliori. Ogni tanto queste riviste pubblicano articoli di storia economica e sono nel 90% dei casi mediocri.  A storia economia la ricerca avanzata si pubblica nelle riviste di settore

Riprendo le considerazioni di  Paolo Manasse circa lo scambio Boldrin - Napoleoni. (http://paolomanasse.blogspot.com/2013/02/todos-caballerros-parte-ii.html)

E' indispensabile fornire a chi legge/ascolta l'indicazione del ranking internazionale dell'economistaIl ranking è il risultato del vaglio del lavoro dello studioso da parte della comunità scientifica. Poi ognuno è libero di farsi l'idea che vuole sull'argomento e gli interlocutori.   

Capisco il punto dell'articolo ma secondo me la soluzione più efficace e più semplice è sempre discutere nel merito. Capisco che per varie ragioni in alcuni casi può essere difficile, nessuno vieta di fare presente che la persona in questione non è un economista  (come fece Michele a suo tempo con la Napoleoni) quando le "imprecisioni" dette sono enormi.


Il problema mi sembra piuttosto scegliere il terreno della discussione: se si discute principalmente su twitter si accetta il fatto che si discute su un mezzo dove la mia battuta "tranchant" ha lo stesso peso dei tuoi 20 anni di studi (o di pratica bancaria...), twitter dovrebbe rimanere solo un mezzo per diffondere discussioni più approfondite da farsi con altri mezzi e in altri luoghi.

Martino PGG ha chiesto spazio a WSJ Italia per rispondermi. Ha chiesto che lo definissero economista, etc.... capisci che a rispondere a questa gente ci vuole full time work. Il gioco e' quello di guadagnare notorieta' attaccando qualcuno di maggiore standing (scusate, ma e' vero; sono sconosciuto ma sono un economista). No, cosi' non se ne esce. Tocca al giornale evitare queste cose. Il direttore di  WSJ Italia e' brava persona e mi ha chiesto personalmente scusa, ma questo avviene continuamente. Quando ho fatto la discussione per ilFoglio con Fassina ho dovuto minacciare di non farla per evitare che Ferrara dicesse "scontro tra economisti". 

Mi spiace, si disciute su tutto, ma a carte scoperte. Senno' e' disonesto

Secondo la sua definizione persino alcuni premi Nobel, come Nash, non sarebbero economisti.

Iodice, pero' sei veramente in malafede. A parte che ovviamente quando si categorizza si devono ammettere  eccezioni, cosa che naturalmente ho fatto anche esplicitamente perche' mi aspettavo  commenti come questo. Ma non riesci a fare di meglio? Mi prendi come esempio di eccezione un matematico di professione, che per piu' di 30 anni ha vissuto nella schizofrenia grave? Poveruomo, e' una eccezione a tutto. Fortunatamente la sua e' malattia rara; anche il suo genio e' raro purtroppo, ma questa e' questione diversa. 

Alla malafede non si risponde, quindi lascia stare, non trovare altri nomi ne' dire altre stupidaggini. 

PS no, avere un blog  non qualifica come economista, di solito. nemmeno se il blog e' religiosamente keynesiano. 

PPS si, Keynes era un economista. Ce ne sono stati e ce ne sono  altri. 

Purtroppo un grande problema è quello della corretta comunicazione scientifica. La divulgazione. per fare un esempio noto a tutti, i servizi di Superquark sono fatti da giornalisti, ma intervistando esperti delle discipline interessate, citandoli e invitandoli in studio. Se la stampa qualifica facilmente qualcuno come economista, fisico, chimico...poi intervisterà quel qualcuno in qualità di esperto. Purtroppo è esattamente quello che sta accadendo con alcuni esperti (l'economista, il costituzionalista...), mentre non accade per altri (fisici, matematici, medici). Il problema è che di certe cose (economia, politica), tutti pensano di poter parlare, perché si sentono tutti coinvolti e lo sono. Ma quando si mettono in uno studio tv un economista, un sindacalista e un giornalista economico a dibattere, si legittima l'idea che l'economia è questione di opinioni, e questo non va assolutamente bene, come non va bene che gente qualificata come "economista" faccia degli errori da studente undergraduate che poi vengono presi per verità da un ascoltatore impreparato. Un plauso ad Alberto Bisin, l'ultimo di tanti per quanto mi riguarda.

 

l'idea che l'economia è questione di opinioni

 

Ma l'economia È una questione di opinioni. Gli economisti tra loro hanno opinioni anche radicalmente differenti sui medesimi fatti e molto spesso non sono neanche d'accordo sui fatti stessi. Se poi vuol dire che è meglio mettere a confronto due economisti con opinioni differenti piuttosto che un economista e un giornalista economico, allora ha ragione. 

abbiamo dimenticato Giuliani? e l'informazione sugli f35?

 

Ps: visto che gli f35 sono un tema sensibile, parlo solo di come viene presentata la questione non del tema in se.

Sinceramente, mi sembra una diatriba alquanto sterile. Senza essere provocatori, cerco di dare la mia opinione. 1) Il titolo di PHD non rende uno specialista del suo settore migliore di uno senza titoli (e Giannino è un esempio lampante: è molto più economista lui di decine di dottorandi o ricercatori). 2) E' sempre un piacere leggere "noisefromamerika", ma mi piacerebbe che post così lunghi siano dedicati alla discussione di idee economiche, e non a diatribe interne al mondo accademico. 3) In conclusione, le definizioni troppo "accademiche" di qualcosa sono stucchevoli e inutili, come lo sono anche le definizioni troppo ampie e approssimative. Qual'è l'utilità di definire Volcker non economista? Nessuna. E poi dobbiamo credere che non ci sono diatribe accademiche tra scuole economiche, quando non siete nemmeno d'accordo sul come definirvi?

sei tu che non sei d'accordo, o iodice, che non e' un economista. No, Giannino partecipa della  materia divina - corpo di cristo - ma non e' un economista, secondo nessuna definizione ragionevole del termine. Mi spiace, queste non sono questioni accademiche. Saranno stucchevoli ma non sono inutili.  Sono il cuore del dibattito economico in italia. Il tuo commento che confonde un ottimo giornalista economico con un economista ne' e' la prova. Tra parentesi Oscar avra' millantato  titoli, ma che io sappia non si e' mai auto-definito "economista". 

Sinceramente non capisco. Secondo te chi non è d'accordo con te è in malafede. Scrivi un post in questo Blog attaccando personalmente Bagnai dicendo che avrebbe fatto una pessima figura, non si sa poi perchè. Non capisci la differenza tra salari nominali e reali. Quando qualcuno te lo fa notare dici: 'Ho capito alcune cose',  quali non si capisce.  Su twitter dici che Borghi è un ignorante perchè 'una svalutazione maggiore del 100 % è impossibile'. Poi ritratti dicendo che forse nella finanza si usa (!).  Ti rifiuti di partecipare ad un dibattito pubblico perchè c'è Borghi. Non entri mai nel merito, Gawronsky non è un interlocutore rispettabile perchè non ha il PHD ed hai il coraggio di sciverlo sul FQ. Chiunque afferma una cosa diversa dalla tua, motivi dicendo che o non ha il PHD o è intellettualmente disonesto, definizione quest'ultima difficile da capire.

Poi scrivi su FB che la crisi è un'ottima occasione per fare quelle riforme che altrimenti non sarebbe possibile fare perchè i cittadini non capirebbero (ovvio non hanno il PHD) che sa tanto di shock economy. Ma pensi veramente che noi senza PHD e paper pubblicati abbiamo l'anello al naso?

Adesso te ne esci con questa storia della definizione di economista. Il bello che voidi NfA state tutto il tempo ad argomentare contro la casta e gli albi professionali, ovviamente per gli altri e non per voi.

Per non parlare poi di Boldrin, da te citato,  che parla di meritocrazia, si presenta alle elezioni,  prende lo 0,01 ed è ancora lì a tutti dibattiti televisivi, dicendo: se non si è all'altezza bisogna lasciare spazio ai competenti, io faccio così (!).

So che la risposta a questo mio commento  sarà: non hai paper, PhD, sei intelletualmente disonesto.

Continuano così, facciamoci del male.

PS

La chiosa sullo show televisivo HBO a mio avviso è un pelino machista come dire: nella discipline non c'è gnocca, ma queste sono sfumature relegate al buon gusto delle persone.

Indipendentemente da qualsiasi valutazione sulle credenziali accademiche di Bagnai uno che presentava l'Argentina come un esempio da seguire e adesso che in Argentina sono alla canna del gas con l'inflazione al 40% e i tumulti per le strade fa finta di niente non mi sembra una persona degna di particolare fiducia.

Leggi il post, c'e' una risposta a tutto quello che dici, tranne le cose che inventi. 

PS Accetto la critica di machismo. Avrei potuto evitare il "purtroppo". 

PPS Apprezzo che tu almeno non millanti, ti auto-definisci "troll anonimo". 

Capisco che discutere lungamente e "animatamente" con figure che si ritengono meno competenti in materia sia frustrante, ancora di piu' se la discussione avviene su media come twitter o giornali generalisti, che non lasciano certo spazio per sviluppare argomenti in profondita'. Oltre alla frustazione si aggiunge l'inevitabile perdita di tempo, perche' smontare un argomento sbagliato portato da un non-esperto che comunque mastica un po' la materia e' estremamente time-consuming, specie se deve essere fatto senza ricorrere a tecnicismi che disorientino un pubblico generalista. Quindi capisco il bisogno di scrivere il post, che a prima vista puo' apparire un po' "rosicone", diciamo :) .

 

Mi sembra pero che l'articolo definisca in generale un accademico, di qualunque disciplina, come Alberto stesso ammette. Ora, se il problema e' allungarsi il cv con la parola economista per guadagnare credito agli occhi di chi legge, temo che lo sforzo sia essenzialmente inutile. Cio' che realmente conta infatti e' la compenza specifica sul tema della discussione, e nessun economista accademico, per quanto preparato e con lunga esperienza, puo' avere competenza approfondita su tutti i temi dell'economia. Nel mondo accademico la specializzazione e' feroce e inevitabile, e per quanto mantenere largo l'orizzonte della propria attivita' di ricerca sia interessante e assolutamente necessario, essere veramente competenti in tutti gli ambiti della professione e' impossibile.  

 

Quindi se leggo una discussione sull'impatto del trading ad alta frequenza sui mercati finanziari tra un economista accademico "doc" che si occupa di, say, teoria delle decisioni in particolare e microeconomia in generale, e un trader con venti anni di esperienza, sono portato a dare piu' credito al secondo, fermo restando la superiorita degli argomenti (per quanto la mia competenza limitata possa giudicare) su qualsiasi titolo. Se la discussione e' meno tecnica e piu' generale, puo' darsi che un economista accademico e un buon giornalista economico, di cui abbia gia riscontrato la competenza generale, partano con le stesse credenziali. 

 

Insomma, nell'era di internet e dell'esplosione delle fonti di informazione (giornali generalisti, specialisti, blogs, twitter, etc.) e' sempre piu' difficile e importante districarsi tra venditori di olio di serpente e persone competenti. Pero' e' anche responsabilita' del lettore, per quanto inesperto e frettoloso, cercare di distinguere, al di la' dei titoli millantati, l'informazione corretta dalla cacca di toro. Diritti e doveri, alla fine.

Appunto, se parliamo di trading alta frequenza fai bene a non ascoltarmi. Ma se io dicessi di essere un trader e tu non avessi le competenze per controllare se lo sono? Questo e' il punto. Cosi' difficile? Essere onesti su quello che si sa e quello che non si sa e' l'unica via d'uscita. Inutile arrovellarsi. All'onesta' non si scappa. 

Io pero' glielo avevo detto, ad alberto, di lasciar perdere twitter, appena ha annunciato di volersi fare l'account :-)

la prossima volta ascolto te e non stagnaro

Alla definizione di bisin (che saluto) aggiungerei alcuni aggettiivi perché quei 4 punti siano necessari e sufficienti:

A. Accademico. Ci sono ottimi economisti di grandi istituzioni economiche che non siddisfano il punto 4.

B. Non italiano (tranne forse bologna e bocconi) perché i ns dipartimenti non offrono tre seminari di 90 minuti alla settimana.

C. Capacità di interpretare la realtà economica del loro tempo. Ci sono troppi "economisti"  con i 4 requisiti che di economia reale sanno veramente poco (pur essendo ottimi svienziati). 

B

nessuno dice che un economista sappia interpretare nulla. alcuni puzzano (perche' non si lavano), altri non sanno allacciarsi le scarpe, altri ancora non sanno comportarsi ne' in pubblico ne' ion privato. ci sono buoni economisti e pessimi economisti. e anche tra i buoni economisti quelli che capiscono qualcosa di economia nel senso non accademico del termine sono pochi.

Il punto del post non e' che gli economisti sono bravi e buoni., e' che quelli che non sono economisti non capiscono tipicamente nulla di economia accademica ed e' di questo che vogliono discutere, come i miei interlocutori.  

Sempre della serie "questo si, questo no": D. Kahneman è un economista? e Duncan Foley (o altro accademico di forte ispirazione marxista a scelta)?

 

 

PS: scusate, non avevo visto che a questo si è già risposto sopra.

Kahneman direi di no. E' uno psicologo che ha avuto un impatto fondamentale in economia, ma e' difficile definirlo economista. Pero' questa e' ovviamente una "judgment call", e' una caso di confine. Io non lo amo molto, a differenza del suo sodale Tverski che e' morto troppo presto ma era ben altro interllettuale a mio parere. Il mio giudizio su DK e' quindi forse distorto. Duncam Foley non solo e' un economista, ma un economista  di assoluto prim'ordine. Un intellettuale di grande profondita'. 

PS Ma veramente voi credete che io non consideri economista uno solo perche' ha una visione diversa dalla mia? Veramente assumete che l'ideologia sia cosi' determinate? Duncan e' una delle prime persone cui sono andato a parlare quando sono arrivato a NY. Ho poi deciso che la sua idea di statistical eq'm non mi interessava. Ma mica stiamo parlando di uno che la mena col saggio di profitto decrescente. Davvero, c'e' gente seria che capisce l'economia e gente che ripete storielle vecchie e idiore che non ha capito. Non per vantarmi, ma so distinguere. Dncan Foley non e' Iodice ne' Brancaccio. E' davvero insultante questa supposizione che perche' uno si dichiari marxista debba essere un reietto tra di noi. Andatevi a guardare il CV di Duncan - il mio non lo srotolo, ma il suo posso? 

Guardi che neanche lei è Arrow. Per la serie prossima ventura le suggerisco di controllare bene i grafici che inserisce prima di pubblicare gli articoli. 

perche' la mette sul personale? no, non sono arrow. devo dirle che arrow mi ha voluto a stanford (dove poi non sono andato)? ma poi mi dite che srotolo il cv, che non sta bene, che me la tiro, che contano le idee. che cosa devo fare, mi contengo ma poi me le tirate fuori.  iodice, davvero questo e' trollismo puro. la smetta per favore. non ho mai detto di essere arrow, mentre lei insinua di essere keynes tutti i giorni: non ho un arrow blog, per altro, io. 

http://online.wsj.com/article/SB115352827130914276.html

I made a reflexive apology for not being an economist myself. "You mean you're not a trained economist," was Mr. Friedman's comeback. "I have found, over a long time, that some people are natural economists. They don't take a course, but they understand -- the principles seem obvious to them. Other people may have Ph.D.s in economics, but they're not economists. They don't think like an economist. Strange, but true."

anche questo M Friedman non e' un vero economista?

che e' stato travisato?

citato fuori contesto?

sono proprio curiosa di vedere dove ti porta a parare il tuo snobismo!

Sono snob, arrogante, ed antipatico. Lo so. Pero' veramente quando nel post dico che i) non credo che gli economisti per definizione ne sappiano piu' dei temi economici su cui si dibatte, ii) che non voglio fare l'ordine degli economisti, non dovete pensare che lo dico cosi' per dire. Non lo scriverei. Poi pensate quello che volete ma ci sono migliaia di persone al mondo che fanno un lavoro che e' spesso confuso con altri e questa confusione e' usata per una operazione disonesta nei confronti del lettore.  

Se vi piace cosi'  cosi', disonesto ma populista, che tutti possono parlare inventandosi  professioni che non praticano perche' tanto contano gli argomenti .... liberi di credere ai sedicenti economisti. Ho sentito che stanno assumendo "truppe". 

E scoperto che non basta vincere il premio Nobel in economia per essere "veri economisti", avrei altri esempi:

Sono veri economisti gli self described "Heterodox economists"?

(  http://en.wikipedia.org/wiki/Heterodox_economics   ) che definiscono la loro disciplina esplicitamente come una reazione all'essere tagliati dal "pensiero unico" dell'economia neoclassica?        Sebbene sembrano, appunto, venditori di "olio di serpente" secondo la definizioe di Bisin, e sono sicuramente esclusi dai dibattiti dell'economia "ortodossa", essi occupano posizioni Accademiche in diverse buone universita americane, Dipartimento di economia.    Per esempio, Amherst, dove lavora lo studente di dottorato che ha mostrato che gli esimi "veri economisti" di Harvard non sanno usare Excel

(E non e' una coincidenza:

http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/wp/2013/04/24/inside-the-offbeat-economics-department-that-debunked-reinhart-rogoff/

)

 

E' un vero economista Steve Keen?   Prof. di, erm, economia all'universita' di Sidney, che ha scritto l'ottimo libro "Debunking Economics: The Naked Emperor of the Social Sciences."?

Dove si mostra che i "falsi economisti" (come descritti sopra) hanno molte piu possibilita di capire l'economia di quelli "veri" (definiti, nel libro, in termini appunto dei modelli matematici, che sebbene molto sofisticati, si basano su assunti spesso contradditori).

 

Conversamente, e' un "vero economista"  Frederic S. Mishkin?   Il preside della Business school della Columbia University che ha scritto un'articolo "scientifico" che dimostrava la fondatezza dell'economia Islandese settimane prima che crollasse?   L'articolo in questione era pagato da un grant della... camera di commercio Islandese.    In molte discipline accademiche degne di nome questo sarebbe stato considerato un'enorme conflitto di interessi, ma Mishkin, il cui intuito economico e' ovviamente molto maggiore degli economisti falsi, ha cacciato quelli che hanno fatto la domanda (i narratori dell'ottimo film "inside Job", sulla crisi) fuori dal suo ufficio.

E' un vero economista Greg Mankiw di Harvard, che, nell'ultimo lavoro "accademico"  "in defense of the 1%" spiega la scarsa mobilita sociale negli ultimi decenni dicendo, semplicemente, "si vede che i talenti che fanno arricchire l'1% si trasmettono prevalentemente in via genetica".   Affermazione che farebbe "ridere" chiunque abbia fatto un corso di 1mo anno in biologia, e che puzza lontano un Km di eugenetica peggiore (e pure di razzismo e sessismo, se si vede quante donne e neri ci sono in quel 1%)?    

L'economia come disciplina e' una materia sociale, buona o cattiva come le altre.    Ma e', appunto, una materia sociale.   Definita col fatto che e' estremamente fluida riguardo i suoi confini, perche' modelli "tecnici" non sono necessariamente piu utili e predittivi.

La matematica non fa scienza, visto che anche l'astrologia usava la matematica.   La matematica diventa scienza quando aiuta a capire, cosa che in "quantita" fondamentalmente soggettive e socialmente costruite e' impossibile, per definizione.

Chi eleva una disciplina cosi' a "scientifica" e' un venditore di olio di serpente.    Il fatto che nei dipartimenti accademici di economia ce ne siano tanti, purtroppo, non e' una novita'.

Applausi per il tuo post! Lo gradisco molto. Concordo pienamente. L'uso di modelli matematici non eleva l'economia a scienza naturale.

Per  non parlare della definizione dei "buoni programmi di dottorato": "solo una decina nel mondo"...ovviamente tutti quelli da cui escono economisti ortodossi.

Ci sono eterodossi ed eterodossi. Amherst ha avuto un gruppo di eterodossi di prim'ordine per molto tempo (sono ora vicini alla pensione), ad esempio Sam Bowles e Herb Gintis. Io credo che questi due siano tra gli economisti piu' interessanti della loro generazione. Non concordo con quasi nulla di quel che dicono ma sono estremamente creativi ed interessanti. Non conosco Keen, non ho un giudizio.

Le altre cose che  dice non vale la pena commentarle. 

uhmmmm...

John Nash

A me piacerebbe tanto essere considerato un matematico. Mi piacerebbe perche' mi piace la matematica e perche' considero i matematici esseri superiori. Per davvero. Pero': i) non lo sono e me ne faccio una ragione, non insulto i matematici che non allargano la professione a uno come me; ii) non penso che i matematici siano tutti santi; iii) non penso nemmeno che dicano sempre cose giuste.

E' davvero cosi' difficile capire queste cose? 

Se "fai matematica" (provi teoremi, fai congetture matematiche e via discorrendo), sei un matematico. Forse non lo sei professionalmente (cioe, non prendi lo stipendo facendo matematica), ma se hai risultati degni di nota, nessuno ti dira' mai che non sei un vero matematico. Idem per la fisica, uno dei piu grandi fisici della storia, mentre "faceva fisica", lavorava all'ufficio brevetti. Sia in matematica sia in fisica c'e uno stream di pubblicazioni di gente che non e', accademicamente, fisici e matematici. La stragrande maggioranza e' roba errata, a volte aquista un'indebita copertura mediatica (il caso di Garret Lisi), ma i fisici/matematici non evidenziano quasi mai che "X non e un vero scienziato". Gli unici che a volte tendono a farlo sono gli stringhisti, e, non coincidentalmente, e' un campo che, a torto o a ragione, ha qualche problema di credibilita.

 

Ora, matematica e fisica sono discipline tecniche, dove i non specialisti hanno delle difficolta extra. Nelle scienze sociali (e l'economia lo e'!), le barriere sono molto piu fluide (si pensi a sociologi che fanno scienze politiche o geografi che fanno sociologia).

Gli ultimi anni hanno dimostrato, anzi, che gente tipo Loretta Napoleoni hanno piu probabilita di capire aspetti importanti dell'economia che economisti accademici "ortodossi".

Per questo, il discorso del tipo "Loretta Napoleoni non e' una vera economista" e' del tutto fuori luogo.

Loretta Napoleoni ricerca problemi legati all'economia. Viene pure pagata per farlo.

Ergo, e' un'economista, anche professionista. Forse e' una cattiva economista, e lo si vede in base agli argomenti, ma e' un'economista.

 

A parte la spocchia e l'arroganza di controbattere con "io ho il pezzo di carta e tu no", e' un'approccio che dimostra parecchia insicurezza intellettuale. A torto o a ragione, e obiettivo che molti, sia nel pubblico nelle altre discipline sociali, hanno seri dubbi sulla metodologia tipica dell'economia accademica di oggi. Gli economisti vengono accusati di usare modelli non realistici, di avere un pensiero unico, di avere conflitti di interesse, di mancare di una prospettiva sociale, e via discorrendo. Forse e' un'accusa falsa, sicuramente accusare tutti gli economisti in blocco e' una grottesca esagerazione.

Ma dichiarazioni tipo "secondo il mio metro tu non sei un'economista, e quindi se ti fai chiamare economista sei un venditore di fumo" non sono un segno di integrita intellettuale.

alla fine sarebbe sufficiente per tutti prendere lezioni di stile da Mario Seminerio (il Pirlo dell'economia): 

 

 

[...] forse anche per il persistente deficit di comunicazione (e di feeling) tra economisti che studiano i mercati finanziari e quelli che si occupano dell’economia più in generale.

 

phastidio.net/2009/01/03/luomo-che-visse-nel-futuro/

 

Non mi rapporto al filone principale di questo dibattito, ma a quello parallelo della dottrina economica dominante. Non sono un economista. Ho una laurea in matematica applicata, che peraltro non mi abilita a presentarmi come un matematico perché non ho mai costruito nulla nell'ambito della metodologia o dei tools matematici. Mi qualifico come specialista di informatica e di Project Management perché ho nel curriculum alcune referenze significative, anche se non ho alcun titolo accademico a riguardo, perché mi sono laureato nel 1969 quando entrambe le discipline avevano minima rilevanza accademica. Riguardo all'economia mi capitò prima di laurearmi di fare volontariamente un lavoro per la facoltà di e Economia. Un programma in Fortran di modellistica economica di cui non ricordo quasi nulla, perché quasi nulla avevo capito.

 

 

 

Ho però mantenuto l'interesse per la modellistica e basandomi su questa ho approfondito da dilettante un po di temi economici. In particolare mi ha appassionato il modello matematico di Sraffa su cui a suo tempo avevo scritto un po di programmi di simulazione.

 

 

 

Inoltre mi ha sempre interessato cercare di capire i rapporti tra il mio lavoro e lo sviluppo economico di cui ho trovato tesi interessanti e per me convincenti in Sylos Labini ( “Torniamo ai classici” e “Nuove tecnologie e disoccupazione” ).

 

 

 

Ora la mia impressione da dilettante è che su questi ultimi temi non ci sia poi molto nell'economia attuale e in questo senso mi sembra che il concetto di pensiero dominante non sia in assoluto errato, come non lo è in nessun altro campo, dalla fisica alla medicina. E' ovvio che se del concetto di pensiero dominante viene fatto un dogma dal “pensiero alternativo dominante”,allora si entra in un loop ideologico, per cui un po di scetticismo è sempre utile. Ma ad esempio in informatica il pensiero dominante è una realtà che ha per lunghi periodi pesato sullo sviluppo del settore, basta ricordare le grandi risorse spese sull'intelligenza artificiale, sui sistemi di formazione guidata da calcolatore ecc, . In informatica comunque il potere di condizionamento non riesce a monopolizzare tutte le risorse, perché molte sono autogestite e consistono in insiemi di persone che condividono delle idee e che si muovono liberamente su esse.

 

 

 

Per cui l'osservazione che oggi esiste un pensiero economico dominante non mi sembra sbagliata, se non è la critica demagogica del pensiero alternativo dominante. Ma ad esempio una critica sul poco interesse manifestato oggi dagli economisti sulla produzione e sui rapporti tra innovazione tecnologica, sviluppo, occupazione non mi sembra una critica sbagliata.

 

 

 

Un esempio che a me, sembra scandaloso (ma so di essere un dilettante e pertanto trattengo il mio scandalo in attesa di osservazioni di specialisti) è quello della input output analysis. Quando ne ho scoperto casualmente l'esistenza, mi era sembrato che ci fosse finalmente lo strumento principe per un intervento di politica economica razionale. Poter individuare i settori in cui si crea la ricchezza in un paese, e quelli in cui la si consuma, e i loro rapporti mi sembrava potesse dare una risposta razionale agli interventi da fare.

 

 

 

Cercando faticosamente dei dati per almeno comparare i funzionamenti delle strutture economiche e sociali dei vari paesi avevo recuperato nel 2009 i dati sui PIL,tasse, numero di lavoratori occupati e di disoccupati ecc di Italia e Germania. In particolare erano interessanti il numero dipendenti della PPAA (non molto diverso se rapportati alla popolazione, rispettivamente 3 milioni e mezzo e 3 milioni e trecentomila) e il costo del personale delle PPAA (stato regioni provincie), che rapportati alla popolazione davano una scandalosa differenza tra Italia e Germania di oltre 40 miliardi l'anno.

 

Se questi dati insieme a quelli delle aziende pubbliche o private oligopolistiche potessero essere inserite in un modello di input output da cui si potessero ricavare costi di input per i vari settori della PPAA e delle grandi aziende e i valori di output avremmo, mi sembra uno strumento operativo per individuare concretamente (e poter presentare ai cittadini) dove si produce la ricchezza, come questa viene distribuita e dove viene distrutta. Mi sembra evidente già dai dati aggregati citati sopra che c'è un costo della politica esorbitante e che la distribuzione delle risorse nelle varie aree va a scapito di chi produce ricchezza ed a favore di che gestisce rendite improduttive (non parlo di rendite tout court, ma di rendite che non ritornano al paese). Allora mi sembra che con strumenti simili il dibattito su pubblico e privato verrebbe riportato ad una situazione non ideologica.

 

 

 

Non metto in dubbio che quelli che a sinistra considerano ogni profitto scandaloso e quelli che a destra considerano ogni azienda pubblica una offesa, se ne fregherebbero di questi dati e ripeterebbero i loro slogan, ma a me come cittadino non integralista e credo che siamo in molti, piacerebbe che venissero privatizzate le aziende pubbliche che non producono ricchezza e venissero salvate quelle che la producono (se ci sono. In Germania ad esempio ci sono) e soprattutto che quelle da privatizzare non andassero ai tanti privati che semmai dovrebbero chiudere le loro aziende. Infatti non capisco perché si diano risorse alle molte aziende private che non sono capaci di competere. Meglio che chiudano dopo aver messo su un sistema di welfare decente. Nota: la differenze di 40 miliardi tra i costi del personale tedesco ed italiano può coprire 4 milioni di assistiti con 10 mila euro all'anno.

 

 

 

La mia domanda agli economisti è allora: perché sono così poco seguite tecnologie come la input output analysis e gli studi sul rapporto tra tecnologia e occupazione? So che la Banca d'Italia produce alcune tabelle di input output analysis, ma non ne ricava un modello praticamente utilizzabile dell'economia nazionale.

 

è il termine che meglio esprime la mia reazione al dibattito che ho letto sin qui. Bisin ha proposto una definizione di economista costruita sulla figura professionale dell'accademico: ci sono ragioni per sostenere che anche chi non ha tale qualifica può presentarsi come economista? non mi pare che nessuno le abbia proposte, mentre molti si sono accaniti contro un preteso snobismo unito ad un cattivo carattere, magari dimostrando la loro ignoranza a proposito del contributo dato alle discipline economiche da persone di diversa estrazione accademica.

Però un rimprovero a Bisin è fondato: sembra avere una naturale vocazione ad alimentare i trolls che lo hanno seguito da Twitter o si nascondevano nei recessi di nfA. Next time, be more carefull,  please!

caro Pontiroli, giusto qualche giorno fa Lei si lamentava della piatta estiva che aveva colpito il blog; è stato accontentato anche troppo.

il dibattito sarà anche a tratti colto, ma sconclusionato come poche altre volte.

La descrizione di chi sia un economista secondo il punto di vista di Alberto Bisin e' accurata. Per lui e per tanti altri interlocutori un economista e' quello che lui descrive. Ma il mondo e' complesso. Per altre persone un economista e' una cosa diversa. Non è lo stesso problema del termine "dermatologo", che insomma deve proprio saper curare la pelle. Il termine economista e' per definizione ambiguo. Immaginiamo che esista una persona che campi proponendo riflessioni di economia poco ortodosse e probabilmente proprio sballate, e che non sia inquadrata in una università e non abbia un dottorato e così via. E come dovrebbe presentarsi ? Come dovrebbe descrivere la sua professione ? Quale alternativa preferiremmo ?

Chi offende se si presenta come "economista" ? Gli interlocutori che conoscono il problema sanno che un economista corrisponde piu' o meno alla descrizione di Bisin e allora decodificheranno il messaggio in modo opportuno. Per quale motivo devono pretendere l'abbandono del termine "economista". Io credo che non ci guadagnerebbero nulla da una rigidità maggiore nell'uso del termine, mentre probabilmente Bisin pensa che gli economisti trarrebbero giovamento da questa maggiore rigidita'.

Mio zio Berto vendeva detersivi. Era una persona assai gradevole ed equilibrata. Si è sempre autodefinito un filosofo. Ma i filosofi che lo hanno conosciuto non hanno mai eccepito.

a me non cambia nulla se borghi o chounque altro si auto-definisce economista. non competo con lui professionalmente. non ci guadagno affatto io. ci quadagna il dibattito perche' sarebbe trasparente che fa una professione diversa. se io oggi dico di essere un trader e dico comprate oro faccio una cosa disonesta. nessun trader ci perde, perche' probabilmente comprare oro e' una cazzata. ci perde il cretino che mi ascolta. allo stesso modo, io non difendo la mia professione - ribadisco, e' ovvio che borghi o gawronski o la napoleoni non potranno essere considerati per una posizione a NYU o altrove. Ma ichi li ascolta? 

questo e' un punto cruciale. come dicevo, non ho interesse a un ordine, perche' il mercato accademico in economia funziona e distingue abbastanza  bene. la questione e' millantare con chi non ha informazione per distinguere. 

che sia chiaro!

due casi sono i casi rilevanti, le questioni di forma si indagano mutando il modello entro cui si interpreatno i termini.

'linguista' e', se tralasciate le salaci battute sul sesso orale, uno che sa le lingue, quanto, che so, Gennaro Chierchia o Andrea Moro, o Luigi Rizzi (solo per indicare tre italiani che fanno linguistica), poi vi sono le infinite chiacchere.

Filosofo e' per dire, Platone o Leibnitz, un po' meno  Galimberti e Bonaga (scelsi intenzionalmente due filosofi veri che mai han visto l'universita' neanche dallo sgabuzzino) e due universitari che, forse, dovrebbero insegnare nello sgabuzzino. 

Dottrina da esercitare, i termini che vengono usati sono imbevuti di teoria, a me un filosofo pare sia uno che ha una teoria di che soa sia una modalita', uno che ripete quel che accade quando gli punge vaghezza, e' avolte curioso, a volte affascinante, ma nessuna teoria passa. Un linguist e' uno che mi spiega come e perche' vi sia un punto vuoto in italiano (se osservate "e' tardi" non riesce ad accettare un soggetto, "it's late" non riesce a non accettare un soggetto che e' una forma un po' bizzarra di 'it', perche'? che piaccia o no, non e' affatto chiaro) un economista e' una signorina Robinson e un signr becker che ha tante idee e che fa (quel che alberto b esisbisce), poi un signore rispettabilissimo  come Massimo Riva fa l'economista nell'occuparsi di economia, di banche, di negozi, di sindacati. nulla di grave. Quando si infarina la faccia e si veste la giubba si fanno pagliacciate, guardate che le fanno tutti 9anche pseudo eocnomisti.) Il resto sono puttanate, chi ha vinto il Nobel e chi no (Dario Fo e henry Kissinger.) La sociologia non risponde a questioni concettuali. se -come e' forse desiderabile, l'economia diventa una disciplina in cui ci si puo' sedere e calcolare, tutto qua. se non lo e' (e le difficolta' sono considerevoli) rimane in un'affascinante forma di ambiguita' fra unaforma di economia politica (alla James Mill o Ricardo) e Debreu. Napoleoni Claudio, magari e' un ibrido, Napoleoni Lorena e' una giornalista che strilla troppo. dove erro?

Prima del c.v.  mi interessano i contenuti dello "scrittore".

Fatti, Opinioni, Assunzioni, Teorie.

Se i 4 elementi sono gestiti come si deve, poco mi interessa un c.v. anche se ha 18 PhD.

Umbe

Alberto non me ne vorrà ma non concordo con la sua posizione.  Anzitutto i requisiti. secondo alberto devono essere 4.
1. Un economista ha un Dottorato di ricerca (PhD nella dizione anglosassone comune).
2. Un economista fa ricerca.
3. Un economista ascolta seminari e presenta regolarmente il proprio lavoro, a seminari e a conferenze; e poi fa referee report.
4. Un economista insegna ad un dottorato di ricerca e cura l’attività di ricerca degli studenti di dottorato.
Gli effetti di tale scelta sono ben chiari ad Alberto
"l lettore penserà che la mia caratterizzazione della professione di economista è essenzialmente quella di un economista accademico; e che pur includendo alcuni economisti che non sono in accademia, ho comunque ammesso nella categoria solo quelli che si comportano essenzialmente come gli accademici"
Esatto. Secondo questa definizione non esiste un economista diverso dal professore di economia. Gli esempi di Alberto ci vogliono dire che non importa quel che fai ora - certamente Bernake non fa 4, per dire - conta quello che hai fatto nel passato e quello che probabilmente farai nel futuro, ovvero il professore di economia.
La definizione è talmente stringente che non esiste più differenza alcuna fra economista e professore di economia.
Mi sembra una definizione riduttiva e specifica della professione di economista che non vale per nessun altra disciplina. Non vale per i medici, per gli ingegneri, per gli scienziati che lavorano nei laboratori di chimica, biologia etc.
Capisco le ragioni che fanno imbizzarrire Alberto con stampa e cialtroni che utilizzano la dizione economista per qualunque trovatello che affermi di essere figlio del re. Tuttavia la sua definizione, per escludere tutti i trovatelli che reclamano la parentela di cui sopra, esclude i tanti figli naturali che il re nella sua generosa fertilità ha sparso in giro per il paese.  Btw, io sono un figlio naturale.

Condivido l'obiettivo del post, ma concordo con Ne'elam (a parte il fatto che conosco parecchi professori di economia che mancano dei requisiti 2, 3 e 4 ;-)).

Le pagine degli annunci di lavoro dell' Economist (!) sono zeppe di annunci per economist, junior economist, senior economist, chief economist etc, che descrivono professioni sostanzialmente diverse da quella descritta dai requisiti 1,2,3,4.

Mi rendo conto che la descrizione del post risponda meglio alla necessità di distinguere una persona che nella vita si occupi della disciplina economica contribuendovi e non come semplice utilizzatore, ma mi sembra chiaro che il termine è comunemente accettato con un significato più ampio (in cui sguazzano i ciarlatani).

 

Gli scienziati che lavorano nei laboratori di chimica sono i nostri economists nelle banche centrali o all'Imf. Per i medici ammetto che e' diverso. Io non avrei nulla contro una definizione ben piu' allargata del termine - la ragione per cui faccio la distinzione e' che questi sedicenti economisti pensano di poter parlare della disciplina, di dove va, e SEMPRE prendono posizione contro cio' che non sanno fare, che non capiscono. SEMPRE. La matematica fa male, perche' non la capiscono. I modelelli DSGE sono assurdi, perche' non li sanno trattare. Capisci che e' diverso. Io non ho mai sentito un medico dire che la ricerca sul cancro e' una puttanata - quelli che lo dicono sono venditori di olio di serpente. In economia succede ogni giorno. E' per questo che e' necessaria una definizione piu' stretta. Se accetti che un non-economista secondo la tua definizione stretta possa dire cose intelligenti di economia ti puoi permettere la definizione stretta. Un medico ha una definizione piu; larga ma non accetta che un non-medico possa curare un malato. Capisci il trade-off. Io accetto che un non-economista abbia ragione e definisco economista in modo ristretto; un medico per definizione definisce un non medico un ciarlatano ma accetta gente che non fa ricerca nella professione. Quale sistema definitorio sia piu' appropriato dipende dalle vicende storiche. Nel caso dell'economia, poiche' fino a ieri era disciplina semi-umanistica e perche' per varie ragioni c'e' molta piu' gente che non capisce un cazzo che la pratica in qualche modo, la definizione piu' ristretta e' maggiormente appropriata secondo me. 

In ambienti liberali, mi sembra sia o sia stato il più autorevole e noto degli economisti italiani.

Ma ho paura che non rientri nella classificazione.

O mi sbaglio?

Il post, e la seguente discussione, mi hanno fatto venire in mente questo paper, che quasi certamente Alberto conosce visto che Ariel passa parecchio tempo dalle sue parti... dev'essere che sono un economista.

invece non lo conoscevo. sara' che sono un pessimo economista.

E poi vi chiedete perché Giannino abbia mentito...eh eh

comprendo l'astio contro i ciarlatani, in tutte le discipline, persino nella vita normale e fuori dalle discussioni scientifiche e intellettuali. Tal L. Napoleoni non commette un errore tecnico come economista (si immagini: non sapevo che esiste il teorema di XX e dico l'opposto per incuria, ignoranza, o persino malafede, affermando la negazione del teorema) ma un errore algebrico, forse guidata dalla volonta' politica di generare questo famoso "stato di impossibilita' di pagare il debito"  detto default o insolvenza. Punkt, non vi e' nulla da aggiungere.

Non vi e' nessuna domanda di esibire la tesi pHd. 

En passant, forse come osservazione scientifica e per un amico, il documento/articolo (citato qui da Luca Rigotti) e i cui autori sono Kasher & Rubinstein e' stato scritto da una persona (li conosco tutti e due ma uno e' un amico), Asa Kasher che non ha nessun pHD in economia (per la cronaca, e' un filosofo vero. Tra l'altro l'autore delle linee di condotta di un esercito occupante, come forse non e' arduo comprendere tali questioni sono di crudele e triste attualita' nel caso in cui la nazione di Kasher (Israel) e' un occupante e quindi e' stato di continue frizioni e attriti con le popolazioni civili della riva occidentale (i territori sconfitti ed occupati in vicinaza del regno di Giordania.)

Forse 'e bene riflettere, sine ira ac studio, sul fatto che un economista, pure col dottorato e che partecipa al seminario dei professionisti, si trova a consulare e collaborare con chi, non economista, ciarlatano non e'. 

Palma, anche tu con gli aneddoti? Conosco uno che non ha un PhD e ha scritto una cosa (cento cose) intelligenti? Cazzo ma credete tutti che sia un cretino? ci saranno 10,000 economisti al mondo che soddisfano le categorie che ho delineato. Proprio perche' non c'e' nessun ordine e' pieno di altri che non le soddisfano (quanti? 100, 300?). Dobbiamo citarli a uno a uno? Facciamolo, se volete, il mio punto e' che non arriveremo mai a CB, PGG, LN etc. Non dubito che tu sia d'accordo. Credete che non sappia che  tirare una linea e' arbitrario e attorno alla linea e' tutto un casino, sia sopra che sotto? 

Ho mai detto che quelli sotto, appena sotto o molto sotto, incluso CB, PGG, LN, non dovrebbero parlare? Ho solo detto che se parlano di cose che non sanno dichiarandosi sopra la linea sono disonesti. 

Ne'elam, credi non sappia che l'operazione di tirare la linea appare snob e attira nemici? Davvero mi considerate tutti cosi' coglione? Lo so, pero' e' inaccettabile che nel dibattito economico italiano tali forme estreme di disonesta' intellettuale siano comuni. Cosi' finisce che un matematico (intelligente per definizione) si convince che LN e' una seria economista perche' implicitamente (nel suo snobismo vero) non riconosce alla disciplina economica la capacita' di discriminare che invece da' per scontata alla matematica ("se tu dimostri teoremi...." mi dice; ma chi lo dice che i miei sono teoremi e non poesia in forma di formule?)

Veramente non capisco piu' nulla. O io sono un genio e non lo sapevo, oppure la discussione qui e' distorta, emotivamente irrazionale. Either way, tenetevi le definizioni di CB, PGG, LN come economisti, cosi' entra anche il filosofo con cui lavora Rubinstein e il matematico o lo psicologo che hanno avuto contributi fondamentali all'economia.

Chi e' lo snob, qui. Io che mi preoccupo per il lettore che non sapara' mai se le mie poesie simboliche son teoremi o voi che invece sapete distinguere teoremi veri da poesia o  il filosofo buono da quello cattivo,  e quindi la definizione larga non vi fa un baffo, anzi, vi fa apparire intellettualmente generosi.

snob e' chi manca di titoli, significa semplicemente sine nobilitate (an altro aneddoto, la teoria indica che lo snob e' calzolaio, si veda la lunga spiegazione di OED all fine di questo messaggio, spesso gli Anglofoni prendon possesso di formule in latino classico e ne fanno quel che sembra utile.)

vado con la teoria volgare e non quelle dei morfologist/lessicalisti storici e teorici.

se lo snob e' colui che manca del tittolo di granduce, tutto cio' che fa e dice e' dettato non dal rispetto "dato" al titolato ma al contenuto delle sue affermazioni (si compari e si contrasti, il futuro re d'inghilterra parla agli alberi e gli alberi rispondono, so che e' un test usato da chi va per mare: se parli alla vela va tutto bene, se la vela risponde e' meglio trovare una guardia costiera attrezzata con una clinica, detto dal principe sembra un'eccentrica trovata che sostiene le ragioni dell'ambientalismo, blah, blah)

ergo Alberto B e' snob, non essendo titolato si conquisto' uno spazio, anche pubblico, di fronte agli studenti, ai colleghi, alla stampa, esattamente perche' quel che dice ha un contenuto. Per Napoleoni e Sylos Labini (non C. Napoleoni e P. Sylos Labini a mio avviso) meglio lasciar perder, non ti curar di lor, guarda e passa

 

 

 

NB

 

 

People often claim that this word originated as an abbreviated form of the Latin phrase sine nobilitate, meaning 'withoutnobility' (i.e. 'of a humble social background'). Various accounts of the circumstances in which this abbreviation was supposedly used have been put forward: on lists of names of Oxford or Cambridge students; on lists of ships' passengers (to make sure that only the best people dined at the captain's table); on lists of guests to indicate that no title was required when they were announced.

The theory is ingenious but highly unlikely. The word snob  is first recorded in the late 18th century as a term for a shoemaker or his apprentice. At about this time it was indeed adopted by Cambridge students, but they didn't use it to refer to students who lacked a title or were of humble origins; they used it generally of anyone who was not a student.

By the early 19th century snob was being used to mean a person with no 'breeding', both the honest labourers who knew their place, and the vulgar social climbers who copied the manners of the upper classes. In time the word came to describe someone with an exaggerated respect for high social position or wealth who looks down on those regarded as socially inferior.

It's quite possible that the phrase sine nobilitate may have appeared in one context or another, but it is difficult to see why it would have given rise to a word for a shoemaker.

 

non dubito che Alberto trovi l'aneddoto e' irrilevante, ma e' la sua difesa vera: non parlo perche' ho il dottorato, la cattedra, il cappello con tre piume, ma perche' il teorema 37 dice che e il lemma 67 indica come...... appunto, non perche' mi titolo "economista"--

Ho letto con interesse le discussioni aperte da Bisin su più fronti e sono in buona sostanza d'accordo con lui. Nessuno pensa che un laureato in filosofia sia un flosofo, anche se poi alla fine magari nel linguaggio comune si dice che "siamo un po' tutti filosofi" oppure "psicologi" solo perché la vita e l'età ci hanno dato un po' di esperienza e saggezza.  E magari nessuno contesta, come fatto notare, queste auto-affermazioni di capacità filosofica o psicologica.

E magari si pensa che dopo 20 o 30 anni che si conduce il ménage domestico o aziendale (vncoli di bilancio) senza falire allora "siamo un po' tutti anche economisti".  Insomma siamo in presenza di concetti che sono "stirati" a fisarmonica, da una interpretazione estensiva ad una assai ristretta. Dove sta il giusto?

Beh, proprio il paragone con medico ci dice che quando diagnosi e cura sono importanti per la vita di una persona, dobbiamo avere un criterio per distinguere un Dr Dulcamara da uno vero, pur sapendo che anche quest'ultimo puo' sbagliare. Ed è solo con la ricerca continua ed il lavoro in team in ambienti appositi che si trovano e testano le innovazioni.

E qui si tratta di analizzare i malanni economici di nazioni che  in alcuni casi stanno pertano alla rovina interi popoli. Una scala molto piu' grande della cura medica dei singoli.

L'economia, maltrattata da decenni di mala politica, sotto l'egida della "supremazia della politica" ha bisogno di specialisti, di ricercatori e di un lavoro in team, non certo di singoli sedicenti tali al servizio delle idee politiche piu' bislacche.

Proprio per lo stato disastrato dell'economia in molte nazioni, è chiaro che oggi il consiglio o l'indicazione di un "economista" sono piu' importanti, richiesti  e determinanti di quelli di un autodefinitesi "filosofo". Quindi mi pare giusto che pur senza arrivare a definire un "ordine" ci sia chiarezza su cosa significhi veramente essere economista, evitando che chi non lo è seriamente millanti crediti che non ha, solo per fornire alibi a soluzioni politche errate. 

Tanto per evitar di divenir vittima di Sitzfleisch, per le lettrici e lettori, il termine viene spiegato e tradotto  nell'articolo citato, leggevo la stampa. Ecco che il problema illustrato da Alberto Bisin diviene acuto quando si scontrano le preferenze percepite e i giudizi tecnici.

Oppenheimer fu per decenni non solo il piu' importante fisico al mondo (l'impero di Hiroito, pace all'anima sua, ne sa qualche cosa) ma anche il piu' riconosciuto fisico al mondo. Qualcuno vagamente seppe chi fosse Lawrence o Einstein, meno chi fosse Dirac o Schroedinger, ma sembravano oscuri individui con accenti bizzarri, lunghe pipe e muri di lavagne coperti da equazioni con la leggibilita' di epigrafi in sanscrito classico. Oppenheimer era bello, faceva bombe e vinceva guerre, destreggiandosi tra spie, belle donne, la "Githa", forse aveva persino un pensiero politico e cosi' via. Ma, ma... sostiene Dyson (che e' del ramo, e per soddisfare Alberto Bisin ha i titoli, va ai seminari, sa persino la matematica) non si tratta nel caso di Oppenheimer di un "fisico", o di un "vero fisico" o di un "grande fisico."

La disputa appare nominalistica e non lo e'.

Le discipline quanto piu' si sviluppano, costruiscono una teoria implicita e non formale di quel che conta nella disciplina (questo e' cio' che fece Alberto Bisin nel suo settore di competenza: provare a descrivere cosa sia un economista, non dal punto di vista delle gazze ladre della televisione e delle vaccate che dicono al bar, piuttosto dal punto di vista degli eocnomisti.)

In fisica queste barriere disciplinari sono elevate. Nei campi in cui capisco qualche cosa, io -nel mio- conto due filosofi come interessanti, in matematica il mio migliore mentore e insegnante, mi spiego' perche' erano tre i matematici al mondo (per eliminare curiosita': Euler, Galois, Riemann, tuti gli altri sono praticanti nel campo, ma hanno poche idee e quando le hanno sono derivate dalle idee vere.) In logica due passano la barriera (Aristotele e Goedel.) Ma io sono ignorante per cui ascolto chi ne sa piu' di me. Come in questo caso.

 

Dsyon applica questi standards a Oppeheimer in 

 

http://www.nybooks.com/articles/archives/2013/aug/15/oppenheimer-shape-genius/?page=2

 

 

Due scoperte (a me affatto ignote): la derivazione di Oppenheimer del fatto che il decadimento di ogni corpo di massa piu' che epsilon-maggiore del sole a buco nero e' deducibile in fisica (mai incontrai l'informazione e ne sapevo nulla) e l'amore di Oppenheimer per le mitragliatrici repubblicane che sparavano ai Franchisti.

Che non stia scherzando e sia vero, Bisin, e forse il pubblico perdoni un aneddoto. Oppenheimer era il piu' famoso fisico al mondo. In un incidente aerero fu costretto a  pilotare il suo proprio aereo in un area che era illegale per vari motivi. Alla polizia disse: "Sono Oppenheimer." La sola reazione fu " quell' "Oppenheimer"?" e naturalmente lo lasciarono in pace. 

Resto fedele alla definizione dei dizionari di lingua italiana che definiscono l' economista come "colui che si occupa di economia". È un termine generico che di sbagliato non ha nulla. L' errore è invece (nel caso dei talk show ad esempio), dei conduttori televisivi, che dopo aver presentato i vari parlamentari e giornalisti al pubblico, arrivano all' economista. Ma quella di "Economista", è forse una professione? No. Ed è proprio questo il punto. Per cui: Boldrin "docente universitario di economia"; Napoleoni: "giornalista". E in questo modo chi ascolta il dibattito può farsi un' idea migliore sull' attendibilità degli ospiti rispetto a certi temi.

un'idea da non sottovalutare

economista, almeno chi dirige una banca centrale da economista (Draghi, Fischer, et al.) e' ne dirigente politico, ne fisico, e nemmeno matematico.

E' musicista, a volte dirigendo un'orchestra meno disciplinata di quelle di origine Felliniana. devo l'idea a Rosenberg & Curtain in 

http://opinionator.blogs.nytimes.com/2013/08/24/what-is-economics-good-for/?_r=0

Strampalata?

incommentabile?

irrilevante?

mi piacerebbe sapere che cosa pensi dell'articolo likato da Palma

A distanza di qualche mese Franco Sabatini vi cita e si prende la briga di censire gli economisti, veri o solo autodefinitisi tali, che scrivono sulla stampa italiana (tabella ancora in costruzione).

Carlo Stagnaro? Renato Brunetta? Carlo Pelanda? Fabrizio Barca? O mi sono scordato la definizione di Alberto o non l'ha capita bene Sabatini!

 

NB Con tutta la stima che ho per Carlo Stagnaro che non mi sembra ricada nella definizione di Alberto ma scrive cose piu' sensate di parecchi economisti in senso stretto.

Oggi sul corriere della sera scrive: "se una banca fallisce i creditori piu senior, principalmente gli azionisti, dovranno pagare una parte dei costi". A me a suo temo spiegarono che gli azionisti non sono "creditori" di un'azienda, e per quel poco che ho capito dell'accordo, a rimetterci dovrebbero essere piuttosto quelli "junior" ovvero "subordinate" o "lower tier".

Più aventi leggo: "Per uscire da questa impasse l’Europa dovrebbe affrontare con coraggio il problema della ristrutturazione di una parte del debito"; qualcuno mi spiega di quale debito parla? Di quello delle banche o di quello degli Stati? Devo avvertire mia suocera di vendere immediatamente i suoi CCT?

So che sono in ritardo. Ma spero che gli articolisti ricevano le notifiche dei nuovi interventi sui post che hanno redatto.

A mio avviso, l'articolo difetta del tentativo di esplicitare una definizione precisa di un termine generico. Vi sono tanti tipi di "economia", per cui dovrebbero discendere diversi tipi di economisti.

Ad esempio, l'economia "politica" non si chiama così a caso. Perché tratta dei vincoli entro cui può muoversi l'autorità pubblica nell'economia di uno paese. Quindi, si occupa anche delle sue istituzioni e del sistema di controlle delle stesse contro l'arbitrio amministrativo.

Ora, non è facile esprimere matematicamente il diritto. Al massimo, possono essere confrontati i risultati economici di paesi con diversi sistemi giuridici.

In questa ottica, finiremmo però con il considerare un principe dell'economia politica un avvocato come il fu Bruno Leoni. O un Ricossa, un Hayek, un Freidman ed un Buchanan per le loro opere di filosofia del diritto.

Personalmente, non avrei nulla da obiettare.