Il contratto unico: "xe pezo el tacon del sbrego"

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È stato presentato di recente da vari senatori dell'opposizione un disegno di legge per una parziale riforma del mercato del lavoro intitolato "Istituzione del contratto unico di ingresso". Normalmente la notizia della presentazione di un disegno di legge, specie se dall'opposizione, scatena una gran quantità di sbadigli, ma in questo caso mi sembra doveroso resistere alla tentazione del materasso. L'iniziativa trova radici teoriche nelle proposte che alcuni colleghi/amici (Tito Boeri e Pietro Garibaldi) hanno sviluppato nei mesi scorsi in varie sedi (per non sbagliare rimando alle pagine della voce.info - vedo ora che hanno anche scritto un libro, che non ho letto). La proposta è scritta in un linguaggio comprensibile, è ben articolata, ed ha uno scopo d'azione piuttosto limitato. Porta la firma di gente stimata (per esempio: Pietro Ichino e Nicola Rossi). Per questi motivi rischia di essere anche presa sul serio dalla maggioranza.

La proposta intende conseguire il superamento del dualismo del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da una massa di lavoratori "protetti" da varie garanzie legali e contrattuali, e da una (sempre più grande) quantità di esclusi da queste protezioni, i cosiddetti "precari". Ad aggravare la situazione, secondo gli estensori della proposta, è la demarcazione demografica del dualismo: maschi e adulti con contratti stabili, donne e giovani nel precariato.

Il disegno di legge si concentra essenzialmente sulll'istituzione del "Contratto unico di lavoro", cui viene affidato il compito di eliminare il dualismo del mercato del lavoro rimpiazzando la miriade di fattispecie legali di prestazione lavorativa (ben quarantotto, a quanto pare). Questo contratto diventerebbe la forma "tipica" di prima assunzione al lavoro dipendente. Il meccanismo previsto è semplice: una nuova assunzione si articola in una "fase di ingresso", di durata non superiore a tre anni, ed una successiva "fase di stabilità". La fase di stabilità è caratterizzata dalle stesse protezioni garantite oggi ai contratti a tempo indeterminato. La fase di ingresso invece permette al datore di lavoro il licenziamento per motivi economici, ma con gradi crescenti di protezione per il lavoratore, che viene indennizzato per un ammontare pari a cinque giorni retributivi per ogni mese di prestazione. Dopo un anno, in sostanza, il lavoratore licenziato ha diritto a 2 mensilità di compenso (la legge è un po' ambigua, 5 giorni lavorativi sono una settimana, e in un anno 12 settimane sono 3 mesi, ma il documento che accompagna la legge dice 1 mese di compenso dopo 6 di lavoro, 6 dopo 3 anni). Dal punto di vista contributivo, il contratto unico prevede una graduale equiparazione delle aliquote contributive fino alla convergenza con l'aliquota applicata ai lavoratori dipendenti.

Una serie di contratti "parasubordinati" verranno considerati a tutti gli effetti contratti unici di ingresso se la retribuzione prevista è inferiore a 30mila euro lordi annui. La legge poi introduce una modifica della disciplina dei contratti a termine, che sono resi possibili solo per contratti stagionali, oppure vincolandone la retribuzione in almeno 25mila euro lordi su base annua (superiore al salario d'ingresso della carriera accademica, di 23411 euro se si conta la tredicesima). I contratti a termine vengono inoltre disincentivati con un aumento di un punto percentuale delle prestazioni previdenziali. Viene infine introdotto il salario orario minimo.

Riassunta la legge, ecco i miei commenti.

1. L'equiparazione delle aliquote contributive è cosa buona e giusta. Diverse aliquote applicate a diversi tipi di contratto non solo creano confusione e disuguaglianza, ma distorcono gli incentivi di lavoratori e imprenditori ad applicare il contratto appropriato al lavoro prestato. Da sola, questa misura dovrebbe contribuire a risolvere molti problemi. Peccato che a questa si accompagnino altre misure del cui valore non sono altrettanto sicuro.

2. La proposta non affronta il problema del diseguale trattamento in caso di disoccupazione, dovuto alla presenza della cassa integrazione. Davvero si può affrontare il problema del precariato tralasciando questo tema? Non credo, perché il problema del precariato sta tutto lì: cosa fare se e quando finisce il contratto o si perde il lavoro. Boeri e Garibaldi ne avevano parlato, Ichino pure nel suo blog. Suppongo gli estensori abbiano avuto timore dei sindacati, ansiosi di mantenere la loro discrezionalità contrattuale in sede di definizione della cassa integrazione azienda per azienda. Un po' di coraggio, cari senatori PD, non guasterebbe, tanto le elezioni le perdete lo stesso.

3. Veniamo al principio del contratto unico. In base a quale principio la proliferazione delle fattispecie contrattuali è un male? Quale sarebbe il costo della maggiore libertà di scelta? A priori, io sarei per garantire libertà di definizione delle clausole contrattuali a lavoratori e imprenditori, senza imporre vincoli legislativi se non quelli minimi che il buon senso suggerisce. Tralasciando i vincoli monetari introdotti dal disegno di legge (platealmente assurdi) - se una tipologia lavorativa richiede un periodo di prova di 5 anni (nella mia disciplina, per esempio, si ritiene comunemente che 6 anni non siano sufficienti), perché non permetterlo? L'anomalia della normativa corrente non è la proliferazione dei contratti, ma il loro diseguale trattamento fiscale/previdenziale. Tolto quello, si elimina l'incentivo a cambiare contratto per motivi diversi da quelli tecnologici, che sono perfettamente giustificabili.

4. Siamo sicuri che questa normativa eliminerà il dualismo del mercato del lavoro? Il dualismo non viene dalla proliferazione delle tipologie contrattuali del precariariato, ma dalla licenziabilità/terminabilità di un tipo di contratti, e dall'impossibilità di licenziare lavoratori coperti dagli altri. Queste caratteristiche rimangono nel contratto unico: cosa impedirà ai datori di lavoro di licenziare i propri lavoratori ogni 15 o 20 mesi, mantenendo l'armata di precari? Boeri e Garibaldi sostengono che il meccanismo di compensazione automatica disincentiva i licenziamenti. Vero, e questa dev'essere la ragione per cui è stato reso assurdamente costoso. Ma il costo di tale indennizzo su chi graverà? In un mercato caratterizzato da un notevole potere contrattuale del datore di lavoro (per motivi tecnologici non superabili legislativamente: si tratta di lavoratori con poche o nulle qualifiche) mi aspetto che l'alto indennizzo previsto per il licenziamento dei lavoratori in "fase d'ingresso" altro non implichi che salari d'ingresso ancor più bassi che altrimenti! E non di poco, vista l'entita' dell'indennizzo.

5. A meno di non voler tornare a tassi di disoccupazione a doppia cifra, il "precariato" rimarrà. Un dato troppo ignorato è che la riduzione del tasso di disoccupazione degli ultimi 10-15 anni si è accompagnata, ovunque in Europa, all'introduzione di nuove forme contrattuali. Quindi un po' di benessere queste l'hanno generato. Occorre una riflessione più approfondita sulle cause del precariato che vada oltre gli aspetti legal-contrattuali per riflettere sulle fondamenta "tecnologiche" del rapporto di lavoro. Perché i datori di lavoro non hanno incentivo a mantenere i lavoratori occupati per periodi prolungati? Ammesso che questo sia un fatto - è certamente vero in Italia rispetto a 15 anni fa, ma solo perché allora era impossibile; mi interesserebbe sapere se è vero rispetto ad altri paesi industrializzati - mi permetto di offrire alcuni spunti di riflessione.

(a) Negli Stati Uniti non si parla di precariato. Per quanto ne so esistono quasi solo contratti a tempo indeterminato, risolvibili però dal datore. I contratti a termine esistono, ma servono a poco e di essi ancor meno si parla. Cosa impedisce agli imprenditori di licenziare a destra e a manca? In principio, l'imprenditore non licenzia se il costo dell'investimento che ha compiuto nel capitale umano (addestramento, etc...) del proprio lavoratore supera il vantaggio (meno gli ulteriori costi di addestramento) del rimpiazzarlo con un altro lavoratore. Questo significa che in industrie/imprese che necessitano di apprendistato specifico del lavoratore sarà costoso licenziare, mentre in altre in cui il lavoro è standardizzato si dovrebbe osservare un turnover più frequente.

(b) Chiarito questo, non vale forse la pena di riflettere sul modello di sviluppo (implicito, non è che ce ne sia uno) adottato dal nostro paese, e capire perché a pochi imprenditori conviene assumere lavoratori per tenerseli? Quali tipi di industrie e occupazioni sono in espansione in Italia, e quali in contrazione? Quali necessitano di lavoratori a tempo stabile e quali sono compatibili con maggiore turnover? Ci sarà pure un motivo per cui il lavoro precario, nonostante la maggiore flessibilità che offre al datore, è caratterizzato da un compenso inferiore. Non ho una risposta, ma certo è un tema di riflessione importante per una seria analisi del fenomeno del precariato.

(c) Io ho il sospetto che gran parte del precariato sia creato da incentivi perversi determinati dalla legislazione fiscale e del lavoro. Ma non quelli ovvi del tipo "permettendo ai datori di lavoro un contratto a tempo determinato, questi lo usano e poi licenziano" (questo in realtà non ha nemmeno senso, gli imprenditori, almeno quelli che vogliono fare profitti, non licenziano per piacere). E nemmeno da incentivi fiscali (ovvi: se ci sono vantaggi fiscali e previdenziali all'adozione di un contratto precario, il contratto precario viene sicuramente usato). Penso piuttosto a quanto segue: impedendo ai datori di rinnovare i contratti a tempo determinato, o limitandone l'uso, o in generale prevedendo limitazioni alla durata dei contratti di ingresso o meccanismi automatici di trasformazione in contratti stabili, si generano incentivi che rendono sconveniente l'investimento nel capitale umano del nuovo assunto e l'adozione di tecnologie che facilitino la durata protratta del rapporto di lavoro. Per spiegarmi meglio, il ragionamento ipotetico di un imprenditore è questo: "Vorrei assumere un lavoratore e addestrarlo, ma se lo faccio, devo spendere X per addestrarlo e poi, fra tre anni, non posso rinnovare il contratto a meno che non voglia tenerlo a tempo indeterminato, il che è rischioso. Tanto vale quindi usare tecnologie inefficienti che non necessitino di rapporti continuativi ed aumentare il turnover dei lavoratori". Il risultato è un aumento del precariato con salari bassi. Ovviamente le scelte di investimento e di addestramento sono graduali, quindi quanto questo tipo di effetti siano rilevanti è questione empirica. Vale però il principio che così tanti vincoli alla definizione contrattuale non possono fare bene.

6. Sinora mi sono soffermato su questioni teoriche e di principio, ma anche negli aspetti concretamente numerici il disegno di legge lascia a desiderare. Davvero si vuole imporre un costo di licenziamento di 6 mesi in 3 anni? Fa venir voglia di fare il contrattista di carriera. E il vincolo minimo di 25mila euro annui per i contrattisti a termine? Nel panorama salariale italiano sembra una cosa fuori dal mondo (come fatto notare sopra, un ricercatore universitario prende meno).

7. Mi sia consentito infine un accenno all'istituzione del salario minimo, in addizione a quello su base annua dei contratti a termine, a cui ho accennato sopra. C'entra poco con la definizione delle tipologie contrattuali, ma c'è nel disegno di legge quindi lo commento (potete trovare una trattazione più estesa in questo post di Giorgio Topa). Ritengo che combattere la povertà con queste misure sia discutibile perché (i) non cambiano la situazione di chi è senza lavoro, (ii) distruggono occupazione (i posti di lavoro che producono meno del salario minimo non vengono creati) esacerbando il problema. Sul piano puramente empirico è ben noto (mi azzardo a dire che c'è sostanziale consenso sulla cosa, esclusa forse qualche frangia) che gli effetti di queste politiche sono minimi o nulli e che, se ci sono, sono in categorie di lavoratori che non necessitano di essere protette (adolescenti con lavori temporanei, etc...).

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Commenti

Ci sono 72 commenti

Credo che un altro motivo per cui i lavori precari sono meno pagati sia la presenza di uno stock di lavoratori pagati più del loro valore di mercato. Ho visto spesso uffici con grosse differenze di trattamento tra colleghi "anziani" e "giovani" (uso le virgolette perchè a volte significa assunti prima o dopo una certa data) e addirittura pagare uno o due anni di stipendio oltre il TFR per liberarsi di dipendenti che ritengono obsoleti.

 

D'accordo su tutto, anche Lusiani sotto fa un punto simile. Difficile fare una riforma incisiva senza intaccare i diritti di chi ha certi privilegi. Non è detto che non ci si arrivi però, al diminuire del loro numero ed influenza

 

Occorre una riflessione più approfondita sulle cause del precariato che vada oltre gli aspetti legal-contrattuali per riflettere sulle fondamenta "tecnologiche" del rapporto di lavoro. Perché i datori di lavoro non hanno incentivo a mantenere i lavoratori occupati per periodi prolungati?

 

Questa mi sembra una premessa doverosa che purtroppo manca sistematicamente nel dibattito politico-sindacale sulla questione.

 

l'imprenditore non licenzia se il costo dell'investimento che ha compiuto nel capitale umano (addestramento, etc...) del proprio lavoratore supera il vantaggio (meno gli ulteriori costi di addestramento) del rimpiazzarlo con un altro lavoratore. Questo significa che in industrie/imprese che necessitano di apprendistato specifico del lavoratore sarà costoso licenziare, mentre in altre in cui il lavoro è standardizzato si dovrebbe osservare un turnover più frequente.

 

E questa è parte della risposta.

Anch'io ho sempre pensato che "buoni" contratti di lavoro (che durino nel tempo, che paghino salari adeguati, ecc.) non dovrebbero essere costruiti a partire da vincoli contrattuali più o meno articolati, ma dalla costruzione delle condizioni per le quali all'imprenditore non convenga liberarsi più o meno frequentemente dei suoi lavoratori, e ai lavoratori non cercare troppo spesso alternative.

Come fare? Un paio di punti.

Da un lato c'è certamente il problema del capitale umano, in particolare di quello specifico. Quindi innanzitutto penserei ad un sistema serio di formazione professionale. La quale formazione professionale però dipende anche dalle tecnologie della impresa e dunque da quello che l'impresa produce. Le imprese italiane usano poca tecnologia e poco capitale umano, in parte per la specializzazione produttiva in prodotti che non ne necessitano in modo particolare. Che forse, se proprio di politica economica e/o varie forme di interventismo si vuole parlare, si debba pensare prima di tutto a una politica industriale?

Dall'altro credo ci sia un problema anche di favorire un buon "match" tra lavoratori e imprese all'inizio della carriera. In questo senso andrebbe potenziato il legame tra scuola/università e imprese. A me viene spontaneamente da considerare la Germania come un termine di paragone. E' un paese che, in quanto a "rigidità", potere dei sindacati ecc, non credo sia molto diverso dall'Italia. In Germania esiste il sistema dell'apprendistato in cui gli studenti, in particolare delle scuole professionali (nota a margine: per tanta sinistra l'idea della scuola professionale è stata spesso considerata una bestemmia, un modo di preparare "carne" per la macchina capitalista..)., passano parecchio tempo nell'impresa, dove entrano con salari bassi (il che conviene all'impresa), ma con una ragionevole probabilità di ricevere ulteriore training negli anni successivi (a salari crescenti). Morale, in Germania la disoccupazione giovanile è decisamente più bassa che in Italia (anche se il gap si sta riducendo, come mostrato qui.)

 

 

 

Sollevi molti punti condivisibili e certamente molto si puo' fare dal lato della formazione/educazione dei lavoratori. Io pensavo in termini molto piu' macro, al fatto che oramai in Italia non si investa piu' in settori ad alto valore aggiunto, quindi non restano che settori dove la formazione e' meno importante. Si tratta di pura speculazione, non ho sufficiente conoscenza dei processi produttivi per esserne certo.

Molto in disaccordo con il post cerco nel mio piccolo di spiegare perchè, non tanto a favore della riforma del PD quanto contro le osservazioni fatte da A.Moro.

Premessa: lavoro nel mondo dell'informatica, patria della mancanza di tutele, del lavoro precario e degli straordinari presi in c...

1) sbagliato, se rimangono in vigore i co.co.pro. DEVE esserci una differenza contributiva che deve rendere più pensati le tasse sui lavori a progetto per disincentivare l'abuso, purtroppo è il contrario.

2) giusto, basta cassa int. è ora di una forma più equa di welfare e non trattamenti d'oro per le grandi aziende e bastonate ai piccoli (sia imprenditori che non posso licenziare fino quasi al fallimento, sia dipendenti senza tutele paragonabili)

3) sbagliato:
a) Garantire massima libertà: il datore di lavoro che assume puo importi cose del tipo: "o accetti queste clausole o niente posto di lavoro". Quindi DEVE esserci una forte e chiara legislazione in merito.
b) Contratto unico: effetivamente andrebbe diviso per settori, come tuttavia già si fa adesso. Il contratto "commercio" è ben diverso dal contratto "metalmeccanico".

4) Questo punto non mi è ben chiaro, che succede se da parzialmente tutelato (cioè nella fase iniziale, quella dei primi anni) un lavoratore passa alla categoria più tutelata? Ci sono sgravi fiscali per il datore? E per la parte iniziale chi paga l'indennità di disoccupazione?

5) Quindi un po' di benessere queste l'hanno generato.
Prova a vivere tu con retribuzione ridotte all'osso.
Perché i datori di lavoro non hanno incentivo a mantenere i lavoratori occupati per periodi prolungati?
In realtà li tengono, praticamente funziona così:
Assumi un dipendente con co.co.pro. , allo scadere del progetto lo rinnovi per 1 volta (si puo fare, 1 solo rinnovo). Poi lasci decadere il contratto per 1 mese e ne rifai uno nuovo di 11 mesi da rinnovare poi di 1 anno (goto start and repeat loop).
Che ci guadagna il datore di lavoro? No 13sima, No TFR, tassazione più bassa (i contributi sono i 2/3 rispetto al lavoro normale), un discreto potere di ricatto.
Che ci rimette il lavoratore? La 13sma, il TFR (che per farsi su casa serve, e se serve, si puo chiedere anticipato in questo e altri casi)
Ahhh dimenticavo, tutele vicine a 0 per malattia, maternità e la pensione non la vedremo neanche in foto.

6)Davvero si vuole imporre un costo di licenziamento di 6 mesi in 3 anni?
il costo credo sarà distribuito tra aziende, ci sarà la maggior parte dei datori di lavoro che non assumerà e licenzierà come cambiarsi le mutande, quindi dovrebbe avere un costo accettabile.

7) bisogna dare un freno alla caduta dei redditti delle finte partite iva e dei co.co.pro usati non per neccessità di mobilità ma per pura evasione/elusione fiscale dei datori di lavoro. Questo è un fatto. Non si possono tollerare più contratti da 800 euro al mese nel nord Italia, anche se principianti (per fortuna non è il mio caso ma vado poco oltre). Non ti ci paghi neanche le spese vive (trasporti, pranzo fuori, vestiti ecc.)

PS. su cui riflettere:

a) Se l'azienda A assume a co.co.pro. e offre un servizio X a 100 euro, le altre 10 concorrenti dirette di questa azienda se non voglio perdere mercato (lo stesso servizio sarebbero costretti a venderlo a 150) dovranno fare i furbi anche loro o perire. E così il contagio del precariato si diffonde.

b) i finanziamenti e i prestiti per un precario sono un problema, bisogna che per ogni cosa garantisca qualcuno per te.

Il sbrego al'è talmentri tant brut cal'è mior butà vie dut e cioi alc di gnouf. (friulano, Lo sbrego è talmente tanto brutto che è meglio buttare via tutto e comprare il nuovo)

 

Assumi un dipendente con co.co.pro. , allo scadere del progetto lo rinnovi per 1 volta (si puo fare, 1 solo rinnovo). Poi lasci decadere il contratto per 1 mese e ne rifai uno nuovo di 11 mesi da rinnovare poi di 1 anno (goto start and repeat loop).

 

Viviamo in mondi diversi. Nella realta' Emiliana se ti azzardi a fare una cosa del genere ed il dipendente si rivolge al sindacato, non solo quel dipendente lo assumi vita natural durante (e il rapporto con lui sara' certamente poco sereno), ma gli paghi pure i contributi e tutto quanto previsto per un lavoratore dipendente a tempo indeterminato per tutto il periodo che ha gia' lavorato per te. Ah, dimenticavo, credo ci siano pure un po' di sanzioni da pagare.

Qui la gente non assume perche' se per sbaglio ha piu' di 15 dipendenti, perfino un dipendente che ruba se lo tiene volente o nolente, e se lo tiene nella stessa posizione, finche' non e' stato condannato.

I sindacati sono spudorati e mai e poi mai accettano un licenziamento per giusta causa, anche di fronte a prove certe ed incontrovertibili, senza passare per il tribunale del lavoro, dove sono quasi sicuri di vincere, o comunque di tirarla in lunga per un bel pezzo, con il dipendente libero di accusarti delle peggio nefandezze anche false (davanti al tribunale e' pieno di giornalisti a caccia di storie "interessanti"), tanto praticamente non ne sara' mai chiamato a rispondere, per cui l'unico modo di licenziare un dipendente e' di dargli un pacco di soldi purche' si licenzi da solo ed evitare di essere sputtanato o di averlo dentro l'aziendache ti pianta casini continuamente .

Se poi trovi (ed e' molto difficile dimostrarlo senza infrangere qualche legge) uno che ruba dai portafogli dei suoi colleghi (capita anche questo), devi garantirgli che i colleghi non solo non lo menino, ma che non lo trattino male, perche' una accusa di mobbing sarebbe il risultato.


Steve, capisco la situazione ed il disagio, ma provo a rispondere perché secondo me commetti diversi errori di fondo. Cercherò di non essere troppo brutale. 

Intanto, TFR e tredicesima sono uno svantaggio dei contratti di lavoro a tempo indeterminato. A gennaio produci 100 patate, e diciamo che hai diritto a 13. Ebbene il datore invece di darti le 13 patate subito, ti dice che te ne da una a dicembre. Perché???? Mistero. Idem con TFR: il 5% di quanto ti spetta ti viene tolto e dato chissà quando. Insomma TFR e tredicesima non servono a farsi la casa, servono a ritardare quell'evento (anche se puoi ritirare il TFR anticipatamente, bisogna compilare varie scartoffie, il che porta via tempo e denaro). Non parliamo poi del fatto che non hai libertà non solo di spendere, ma nemmeno di investire questo risparmio forzato come vuoi, visto che i sindacati hanno voluto mettere le mani anche su questo. Qundi, da questo punto di vista dovresti essere contento (anzi, mi correggo, una cosa andrebbe richiesta al legislatore: esistono vantaggi fiscali al TFR che andrebbero estesi a chi vuole risparmiare ma non riceve il TFR per vari motivi). 

Quindi le lamentele dei precari di non ricevere TFR e tredicesima sono fuori luogo, la lamentela è che prendono 1/13+5% in meno di quello che vorrebbero prendere. Beh anch'io vorrei prendere 1/13 in più, anzi, facciamo 2/13, ma questo è il mio cervello e con la sua capacità produttiva devo convivere.

Capisco di più invece lo stato di precarietà, l'incertezza sul futuro, ma vedi questa si può affrontare solo con una seria e comprensiva assicurazione sulla disoccupazione che ti copra da questa incertezza. Altro sistema non c'è perché il tuo posto precario esiste anche perché è precario. Se fosse a tempo indeterminato il posto non ci sarebbe proprio. Un'assicurazione equa e che copra tutti coperta da tassazione generale servirebbe anche a scaricare un po' dei costi sul settore protetto. 

Non conosco cosa tu faccia esattamente, ma per il poco che conosco del settore (un po' devo programmare per lavoro) a me sembra che si tratti di un lavoro che richieda un training generale con skills che possono essere riutilizzati in varie aziende. Insomma c'è poco di specifico nel rapporto fra te e l'azienda per cui lavori. Questo tipo di skill non si presta a rapporti di lavoro di tipo continuativo, se non con aziende medio-grandi, e quindi andrebbe acquisito da persone che sono in grado di accettare l'incertezza del rapporto lavorando come imprenditori di se stessi. Ora magari mi dirai che non è così, che hai sviluppato un software per un'azienda, che ci sono voluti due anni, che conosci solo tu e che uno nuovo impiegherebbe 10 mesi a trovare un bug. Se così fosse congratulazioni, hai il tuo contratto a tempo indeterminato perché l'azienda ha bisogno di tenerti, e l'unico motivo per cui sei "precario" sono i disincentivi di tipo fiscale, dei quali mi sono lamentato chiaramente nel mio post. 

Rispondo ora ai vari tuoi punti per chiarire:

 

1) sbagliato, se rimangono in vigore i co.co.pro. DEVE esserci una differenza contributiva che deve rendere più pensati le tasse sui lavori a progetto per disincentivare l'abuso, purtroppo è il contrario.

 

In che senso è un abuso? Due persone si mettono d'accordo per lo scambio di beni e servizi in termini accettabili da entrambe le parti. Per vari motivi, una delle due ha maggiore potere contrattuale e riesce ad imporre varie condizioni. Prova a pensare a cosa succederebbe se si imponesse a tutti quelli che vogliono comprare banane di andare in giro per fruttivendoli. Trovato quello soddisfacente, gli viene imposto di rifornirsi da lui per il resto della propria vita. Cosa succede alla domanda di banane? Stessa cosa vale per il punto 3 a

3)b) Contratto unico: effetivamente andrebbe diviso per settori, come tuttavia già si fa adesso. Il contratto "commercio" è ben diverso dal contratto "metalmeccanico".

E perché il metalmeccanico che produce barre di alluminio deve avere lo stesso contratto del dipendente fiat, o di chi fa prodotti di precisione? Dubito che la tecnologia impiegata sia la stessa. Alcune imprese che impiegano metalmeccanici sono intensive di lavoro, altre di tecnologia... chi decide come disegnare i contratti che devono valere per tutti?

 

4) Questo punto non mi è ben chiaro, che succede se da parzialmente tutelato (cioè nella fase iniziale, quella dei primi anni) un lavoratore passa alla categoria più tutelata? Ci sono sgravi fiscali per il datore? E per la parte iniziale chi paga l'indennità di disoccupazione?

 

L'indennità di disoccupazione deve essere pagata in misura uguale da tutti i lavoratori che ne beneficiano. Inizialmente sarei per estendere il carico anche ai lavoratori a tempo indeterminato, ma non ci ho pensato bene. Vale quanto detto da Marcello sopra: uno dei motivi per cui i precari sono pagati poco è che i protetti sono pagati troppo, quindi andrebbero redistribuiti i costi in un certo senso

5) Quindi un po' di benessere queste l'hanno generato. 
Prova a vivere tu con retribuzione ridotte all'osso.

Prova tu a vivere senza retribuzione

Perché i datori di lavoro non hanno incentivo a mantenere i lavoratori occupati per periodi prolungati? 

In realtà li tengono, praticamente funziona così:....

 

Quello che descrivi è un rapporto di lavoro a lungo termine, non precario... l'accezione "precario" si applica per l'incertezza derivante dalla possibile risoluzione. Ma questa va risolta con forme assicurative, non imponendo vincoli che eliminerebbero l'esistenza del posto di lavoro

Che ci rimette il lavoratore? La 13sma, il TFR (che per farsi su casa serve, e se serve, si puo chiedere anticipato in questo e altri casi)
Ahhh dimenticavo, tutele vicine a 0 per malattia, maternità e la pensione non la vedremo neanche in foto.

Su TFR ti ho gia risposto. Sulla maternità hai ragione, non ho un'idea precisa. Secondo te come vengono coperte le libere professioniste, le proprietarie di piccoli negozi, le piccole imprenditrici... si usa il sistema previdenziale se non sbaglio. Perché non si possa fare così anche per le precarie non lo so. Anche in questo caso, manca una seria riforma che istituisca un sistema assicurativo.

 

7) bisogna dare un freno alla caduta dei redditti delle finte partite iva e dei co.co.pro usati non per neccessità di mobilità ma per pura evasione/elusione fiscale dei datori di lavoro. Questo è un fatto. Non si possono tollerare più contratti da 800 euro al mese nel nord Italia, anche se principianti (per fortuna non è il mio caso ma vado poco oltre). Non ti ci paghi neanche le spese vive (trasporti, pranzo fuori, vestiti ecc.)

 

Discorso che va oltre la semplice disciplina del mercato del lavoro. I bassi salari sono dovuti solo in parte al potere contrattuale del datore di lavoro, come argomentiamo da tempo qui su nfa. È la produttività del lavoro che non sta crescendo, oltre all'assurdo carico fiscale.

 

Vedo che Andrea ha dimenticato un punto:

6)Davvero si vuole imporre un costo di licenziamento di 6 mesi in 3 anni?

il costo credo sarà distribuito tra aziende, ci sarà la maggior parte dei datori di lavoro che non assumerà e licenzierà come cambiarsi le mutande, quindi dovrebbe avere un costo accettabile.

 

ci credi? Mi pare molto più probabile un mix dei seguenti, in ordine di probabilità decrescente, con la prima largamente maggioritaria.

  1. trasformazione in consulenza (se vuoi lavorare apri partita iva)
  2. apertura di aziende di comodo con meno di 15 dipendenti (forse, dipende dall'applicazione della norma)
  3. riduzione o esternalizzazione delle attività
  4. assunzione a contratto unico

Una curiosità, visto che lavoro nello stesso settore ma in una nicchia di lusso (SAP) e per lo più come professionista.Tu dici

 

lavoro nel mondo dell'informatica, patria della mancanza di tutele, del lavoro precario e degli straordinari presi in c...

 

la mia esperienza è che effettivamente capita abbastanza spesso di lavorare ben oltre gli straordinari legalmente definiti, magari nei fine settimana o la sera ad orari assurdi, e che spesso questi non sono pagati (ed altrettanto spesso son pagati fuori busta, ma guai a dirlo ai colleghi ;) ).Però la cosa è bilanciata da un salario discreto e grande flessibilità negli orari "regolari": son stato in posti dove ogni tanto potevi prenderti un giorno libero senza scalarlo dalle ferie, altri dove la giornata di 6 ore era considerata completa, altri ancora in cui potevi andare e venire a piacere purchè consegnassi il lavoro...

Insomma, in breve non vedrei la cosa solo negativamente.Considera anche che molte volte la legge impone orari massimi giornalieri/settimanali che semplicemente non sono compatibili col nostro lavoro.Nel mio campo in particolare la norma è 6 mesi di cazzeggio, dove se pure ti prendi una mezza giornata libera la settimana non importa a nessuno, seguiti da 1 a 12 ore al giorno compresi i fine settimana e 2/3 a 10/12 ore con we libero.

Prima vorrei ringraziare per l'articolo poi vorrei fare i seguenti commenti.

 

A proposito del precariato

 

"permettendo ai datori di lavoro un contratto a tempo determinato, questi lo usano e poi licenziano" (questo in realtà non ha nemmeno senso, gli imprenditori, almeno quelli che vogliono fare profitti, non licenziano per piacere).

 

il motivo puo' ben esser che il livello di istruzione medio di parte dei disoccupati sia troppo alto rispetto alle richieste dell'industria e che quindi questi non necessitino di un particolare addestramento e quindi siano tutti sostituibili. Tanto per non rimaner nel vago pensiamo ai laureati (si puo' discutere della loro preparazione) nei call center. Od anche al fatto che i possessori di PhD in materie scientifiche non vengono generalmente apprezzati.

 

A proposito del salario minimo:

 

(ii) distruggono occupazione (i posti di lavoro che producono meno del salario minimo non vengono creati) esacerbando il problema

 

Verissimo ma vogliamo tenerci quei lavori? Non solo quando il numero degli addetti sara' ridotto abbastanza i prezzi saliranno (mi viene in mente il caso degli idraulici e dei cantonieri in dk)

Io ho il sospetto che gran parte del precariato sia creato da incentivi perversi determinati dalla legislazione fiscale e del lavoro.

Gran parte del precariato esiste per scaricare (1) la mutata situazione di mercato, e (2) della finanza pubblica, dopo il 1992-93, sui giovani (i.e. nuove coorti di lavoratori) salvando il fortino delle garanzie ed anche dei privilegi della grande platea del tradizionale lavoro dipendente a tempo indeterminato - come era a disposizione di qualsiasi (nuovo) assunto fino all'inizio degli anni '90.

Pezzo forte di questa strategia è stata l'invezione del "terzo genus" di lavoro - nè autonomo nè dipendente - per poter applicare a questa nuova classe di lavoratori una diversa normativa, e in particolare un diverso sistema contributivo e di diritti sociali. Grazie al combinato disposto di questa "ideazione" e della prassi delle relazioni socio-sindacali italiane, si è potuta disaccoppiare una crescente massa di giovani lavoratori dal sistema tradizionale di rappresentanza e tutela.

Il discorso pubblico, che tende a fare di tutta la questione del "lavoro atipico" un problema di precariato nel senso del durata del contratto di lavoro è chiaramente falsato dalla persistenza di svariate "percezioni comuni" circa garanzie, tutele e diritti sociali che la gran parte della popolazione possiede come "depositato" da decenni di tradizione consolidata ben diversa.

Come spiegato anche da un altro intervento qui sopra (Hakkabee, che condivido in larghissima parte) il contagio del precariato si è quindi potuto diffondere per mera "applicazione dei meccanismi di mercato".

RR

 

 

Certo che hanno operato meccanismi di mercato. Il tasso di disoccupazione negli anni 90 era sopra il 10%. Poi hanno introdotto nuove forme contrattuali ed e' sceso al 7-8%. Insomma una buona fetta della popolazione era disposta a lavorare con contratti annuali e non gli era permesso di farlo. In che senso e' una cosa negativa?

E' vero che ci sono percezioni comuni di garanzie e diritti, come evidenziato sopra. Molte sono malriposte, come la 13esima o il TFR, come ho cercato di spiegare sopra. Per questo non c'e' altra soluzione che educare. 

 

1. L'equiparazione delle aliquote contributive è cosa buona e giusta. Diverse aliquote applicate a diversi tipi di contratto non solo creano confusione e disuguaglianza, ma distorcono gli incentivi di lavoratori e imprenditori ad applicare il contratto appropriato al lavoro prestato.

 

Sono molto d'accordo e in particolare considero demenziale aver fissato i contributi del CoCoCo ad un livello molto piu' basso (inizialmente 1/3) rispetto a quelli del lavoro dipendente a tempo indeterminato.  Tuttavia e' fuori luogo assumere che questa sola equiparazione possa mettere poi sullo stesso piano, per il datore di lavoro, contratti con tutele assurde (e applicate in maniera assurde) come il contratto di lavoro dipedente con i contratti con una tonnellata di tutele in meno.  Poi va anche chiarito che certe tutele assurde sono solo il pezzo di un mosaico corrispondente ad una societa' corporativa che non prevede sussidi generalizzati agli indigenti e disoccupati ma prevede che lo Stato scarichi queste funzioni sulle famiglie e in maniera piu' o meno feudale sul datore di lavoro per i lavoratori dipendenti.

 

L'anomalia della normativa corrente non è la proliferazione dei contratti, ma il loro diseguale trattamento fiscale/previdenziale. Tolto quello, si elimina l'incentivo a cambiare contratto per motivi diversi da quelli tecnologici, che sono perfettamente giustificabili.

 

Ripeto la stessa osservazione: non e' vero, gli incentivi a favore dei contratti a t.d. rimangono perche' il contratto a t.i. incorpora tutele molto elevate il cui costo ricade in massima parte sul datore di lavoro.

 

Davvero si vuole imporre un costo di licenziamento di 6 mesi in 3 anni?

 

Qui sono curioso perche' non conosco i dati: quali sono i costi tipici per un licenziamento nei Paesi OCSE? Due mesi all'anno corrisponde ad un aumento massimo del costo del lavoro ~16.7%.  Secondo me i datori di lavoro in Italia lo pagherebbero per evitare il cappio al collo delle tutele dei rapporti di lavoro a t.i. e le incertezze sulla loro applicazione reale. Quanto spendono in media le imprese italiane per ottenere il licenziamento volontario di un dipendente indesiderato?

Riguardo poi ai motivi per cui un datore di lavoro e' disincentivato all'assunzione a tempo indeterminato va aggiunto e sottolineato che in aggiunta alle tutele sopra menzionate, vi sono specie per la medio-grande impresa contratti collettivi nazionali che impongono una significativa progressione salariale legata unicamente all'anzianita' di servizio.  Si tratta spesso di progressioni salariali abnormi nel confronto internazionale che portano a salari di ingresso miserabili e alla rincorsa frenetica da parte del datore di lavoro al prepensionamento a carico dello Stato, pratica abusata specialmente dal soliti noti grandi imprenditori collusi col potere centrale statale. Se si volesse rimuovere realmente la convenienza al contratto temporaneo bisognerebbe imporre che tali contratti vengano remunerati non meno che il salario mediato sull'anzianita' fino a quella massima del corrispondente contratto collettivo nazionale.  Sarebbe una soluzione molto statalista, cui sarebbe di gran lunga preferibile ridurre le anomalie italiane sulle progressioni di anzianita' e sulle extra-tutele, provvedendo anche ragionevoli sussidi di disoccupazione.

 

Ho già risposto ad Andrea sul tema degli scatti d'anzianità: sono in via di estinzione, nel nuovo contratto dei chimici sono già stati aboliti.

Sono d'accordo con Andrea che i cosiddetti lavori precari hanno diminuito la disoccupazione in questi anni e han creato perciò benessere (è vero, non si vive bene con 600 euro al mese, ma pensiamo che molta gente non sarebbe stata neanche assunta, se non ci fossero stati quei tipi di contratti, quindi piuttosto che niente, meglio piuttosto).

D'altronde non vedo un gran beneficio nel contratto proposto dal PD. Il problema del mercato del lavoro Italiano è che è difficile e costoso licenziare dipendenti a tempo indeterminato. Questo tema, in un modo o nell'altro, va affrontato.

Se avessimo un mondo del lavoro più dinamico, allora l'Italia sarebbe più competitiva anche per i lavoratori più produttivi, i cosidetti talenti, che a loro volta genererebbero più crescita e farebbero aumentare le dimensioni della torta. Se invece scegliamo di competere al ribasso sui costi, allora di fatto, incentiviamo manodopera poco qualificata e facciamo scappare quelli bravi. Big mistake!

 

è vero, non si vive bene con 600 euro al mese, ma pensiamo che molta gente non sarebbe stata neanche assunta, se non ci fossero stati quei tipi di contratti, quindi piuttosto che niente, meglio piuttosto

 

Gli economisti siete voi ma nella mia ignoranza ho sempre pensato che se tizio ha bisogno di assumere qualcuno e può farlo con un contratto che gli permette di pagare due lire di stipendio e due lire di tasse lo fa. Se invece deve pagare uno stipendio dignitoso e delle tasse ragionevoli lo fa lo stesso perché ne ha bisogno. Se non lo fa è perché non ne aveva bisogno dal principio.

Si è svegliato il Presidente della Repubblica:

www.corriere.it/politica/10_marzo_31/napolitano-rinvio-camere-legge-lavoro_6a4a3042-3cb1-11df-80d0-00144f02aabe.shtml

Visto che siamo in tema, qualcuno può chiarire che cosa implica l'arbitrato e se il rifiuto del Presidente è per una legge scritta male e/o incostituzionale oppure se è una difesa della rigidità dela lavoro e del sindacato?

Mah secondo me non lo sa neanche lui perche' l'ha rinviato. Avra' sentito una lamentela da parte della dirigenza GCIL e ha agito. La legge e' cosi' confusa che nemmeno gli esperti ne capiscono qualcosa (e parlo dei giuslavoristi, non di noi ignoranti economisti). Rimando ai link che abbiamo messo in questo post.

Il punto non è tanto il discorso di principio sull'art. 18, ma il come e il contenuto di questa norma "aggiratrice" in questo ddl: detto in maniera astratta e generale pare anche a me che il Presidente abbia fatto bene a rimandare indietro il ddl "lavoro", ma il fatto è che si dovrebbe aprire un capitolo distinto e trasparente sull'abolizione/modifica dell'Art. 18 come regola, prendendo ad esempio ovviamente le buone pratiche europee.

RR

L'equiparazione delle aliquote contributive è cosa buona e giusta. Diverse aliquote applicate a diversi tipi di contratto non solo creano confusione e disuguaglianza, ma distorcono gli incentivi di lavoratori e imprenditori ad applicare il contratto appropriato al lavoro prestato. Da sola, questa misura dovrebbe contribuire a risolvere molti problemi.

Il peccato originale, però, sta altrove, molto prima, quando si fissò un sistema contributivo per i lavoratori autonomi distinto e distante da quello dei lavoratori dipendenti, con un'aliquota del 16,9% (del reddito dichiarato, peraltro anch'esso distante da quello reale) [NdS: non faccio il pignolo sui dettagli e sulla storia, mi interessa il punto di principio].

In pratica accadde che agli antenati politici del berlusconismo reale, che si lamentavano del sistema di previdenza pubblica INPS, fu concessa una gestione separata, con regole diverse, pensando cisì di accontentare tutti secondo i loro gusti. Ma la divisione dei cittadini in Caste è il male endemico di questo Paese, che peraltro essendo Familista e quindi Fascista non può che risentirne "automaticamente", nei comportamenti e nella struttura. Vedasi anche alla voce "casse separate" (mi sembra 58?).

RR

Cito da Michele

 

Il problema del mercato del lavoro Italiano è che è difficile e costoso licenziare dipendenti a tempo indeterminato

 

Sacrosanto. Il problema è che ovviamente chi il privilegio ce l'ha non vuole perderlo. Chi non ce l'ha ancora, sa che in un futuro potrebbe averlo e difficilmente acconsentirà a mettervi mano. Come fare per ottenere una maggiore flessibilità da cui l'intero sistema trarrebbe beneficio?

Un'idea potrebbe essere offrire in cambio di una maggiore facilità di licenziamento, ammortizzatori sociali migliori e un obbligo di indennizzo per chi licenzia crescente al crescere della durata dell'impiego, che maturi dopo qualche mese (per evitare un mordi e fuggi speculativo da parte dei lavoratori) che abbia però un cap.

Chiaro che sarebbe una proposta sub-ottimale però potrebbe essere un passo nella direzione giusta (magari quando il mercato del lavoro sarà più sano, l'indennizzo potrebbe essere ridimensionato o eliminato).

PS l'altra cosa da fare sarebbe rendere materia obbligatoria l'economia politica in tutte le scuole medie superiori. Magari i diretti interessati avrebbero a disposizione gli strumenti giusti per comprendere la propria situazione e valutare cosa è meglio per loro.

A Verona si dice "L'è peso el tacòn del buso". Da dove comincia lo "sbrego"? A Padova? Non mi torna.

RR

La conoscevo, ma giace (fortunatamente) fra le proposte di legge.

Da un punto di vista imprenditoriale è una cosa aggirabile in maniera talmente veloce che nemmeno elenco i modi, è un esercizio troppo facile.

Dal punto di vista del lavoratore è anche peggio: per tre anni a lavorare come un mulo per far vedere che si è bravi, poi c'è l'agognata medaglietta. Ma che incentivo è? La pratica più comune sarà: mi sono fatto un mazzo così per tre anni, adesso è l'azienda che deve qualcosa a me.

A me fa spavento che persone che si definiscono giuslavoristi ed economisti possano pensare ad abomini simili, con anche la disincentivazione del lavoro a tempo determinato. Ma questi pensano ancora al tessile-calzaturiero, quando il futuro sono i prodotti teconologici? Ma hanno mai messo piede in un'azienda tecnologica ? Io sì. L'altro giorno ero in un'azienda aereonautica (esistono: produciamo anche aerei) ed eravamo 7(sette) persone a discutere: di queste solo due erano dipendenti dell'azienda, tre erano collaboratori esterni a contratto, due erano due microaziende(fra cui la mia) che lavorano per l'azienda aereonautica. Nessuno si domandava perchè non eravamo tutti dipendenti di quell'azienda: si doveva fare un lavoro e sapevamo che ci avremmo guadagnato da quel lavoro. A termine? Ma chi se ne frega, mi pagano bene! Mi immagino un "tavolo tecnico" fra cucitori/cucitrici (senza offesa alcuna per chi fa quel lavoro, semplicemente è un lavoro facilmente replicabile a costo basso in altri paesi).

Il problema non è "il mercato del lavoro", ci sono aziende che hanno dipendenti che ci lavorano da 40 anni, e quei dipendenti non vorrebbero andare in pensione, o il loro datore non li vorrebbe mandar via (tanto che se li tengono come "consulenti"), ma sono posti di lavoro "tecnologici" in cui il costo/opportunità di un giovane senza preparazione è maggiore di quello di tenermi chi fa questo lavoro da tempo, senza alcun art.18 di mezzo.

E concludo: chi guadagna bene in questo momento è chi è specializzato e non ci tiene proprio a farsi assumere, anzi, fa solo il consulente. A termine. Chi corre per farsi assumere è l'operaio non specializzato, o non qualificato. Imbrigliare i "contratti di lavoro" è la follia che governa l'Italia, che non cresce più (o cresce poco) dagli anni'70: da quando c'è lo Statuto dei Lavoratori.

 

Chi corre per farsi assumere è l'operaio non specializzato, o non qualificato.

 

Mi puoi spiegare cosa intendi per "correre" e per "operaio non specializzato o non qualificato"?

Te lo dico perché la mia esperienza (in Italia, ma anche fuori, persino negli USA) e' molto meno rigida di come la metti tu...oppure nella tua categorizzazione la microelettronica non e' un settore tecnologico... :)

Auguri di buona Pasqua a tutti quelli che passano del tempo su questo sito, specie gli autori dei post