Clima, Commercio, Krugman

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In un breve commento apparso sul suo blog qualche giorno fa Paul Krugman critica Obama e si schiera a favore dell'adozione di "border adjustments" (in pratica: dazi sulle importazioni provenienti da paesi non impegnati a ridurre le emissioni di gas-serra). Posizione questa sicuramente moltopiùpopolare di quella assunta dal presidente. Cerco di spiegare perchè la questione è abbastanza più complessa di come ce la presenta PK.

PK sostiene che, se gli obbiettivi dell'azione di governo non sono strettamente economici come nel caso della diminuzione di emissione di gas ad effetto serra, si dovrebbero utlizzare strumenti di policy capaci di riallineare gli incentivi all'obiettivo collettivo anche qualora tali strumenti distorcano gli incentivi individuali. Nel caso in questione, l'adozione di border adjustments porterebbe ad un calo nella domanda di beni prodotti con tecnologie particolarmente inquinanti, indipendentemente dal fatto che il paese dove avviene la produzione si sia formalmente impegnato o meno a ridurre le emissioni. Si ovvierebbe in questo modo ai problemi di free-riding fra differenti paesi che rischiano di compromettere le negoziazioni per il Post-Kyoto.

Le emissioni di gas ad effetto serra rappresentano infatti un classico esempio di esternalità transnazionale: gli effetti sull'ambiente associati alla loro emissione sono avvertiti in maniera uniforme a livello globale, indipendentemente dalla localizzazione specifica dell’emissore. L'imposizione di border adjustments o di tariffe doganali di carattere punitivo per quei governi che rifiutano di impegnarsi nella riduzione controllata delle emissioni di diossido di carbonio faciliterebbe dunque l'adozione di misure collettive. Il precedente più significativo al riguardo è certamente rappresentato dal Protocollo di Montreal. Entrato in vigore nel 1989 col fine di eliminare le emissioni di clorofluorocarburi e di altre sostante dannose per lo strato di ozono, il trattato autorizzava infatti molto esplicitamente l’uso di sanzioni commerciali verso i paesi non-firmatari.

Fin qui la teoria, resta da capire però se (i) border adjustments e misure tariffarie siano davvero "feasible", ovvero ammissibili nel contesto dell’impianto giuridico del GATT/WTO, e (ii) se siano effettivamente efficaci nel promuovere la riduzione di emissioni laddove stanno crescendo in maniera consistente e sembra mancare la volontà politica di combattere il fenomeno, ovvero molti Paesi in Via di Sviluppo (PVS).

Ammissibilità. La regolamentazione in materia di commercio internazionale ed ambiente è sostanzialmente contenuta nell'Articolo XX del GATT ed in due successivi accordi sottoscritti nell’ambito dell'Uruguay Round, il Sanitary and Phytosanitary agreement (SPS) ed il Technical Barriers to Trade agreement (TBT). Tale regolamentazione si sostanzia nell’elencare possibili eccezioni al principio generale di "non discriminazione" fra prodotti affini ("like products") che proibisce di discriminare le esportazioni di un pese membro a vantaggio della produzione locale (la clausola National Treatment contenuta nell'Articolo III del GATT) o di quella di un paese terzo (la clausola Most Favorite Nation contenuta nell'Articolo I del GATT). Eccezioni in deroga agli Articoli I e III risultano ammissibili quando si rendano "necessarie per la protezione della vita delle persone, degli animali, e la preservazione dei vegetali" (Articolo XX-b) o per "la conservazione di risorse naturali esauribili" (Articolo XX-g), ammesso che le misure adottate "non costituiscano un abuso o una discriminazione ingiustificata o aribitraria" ("cappello" dell’Articolo XX).

Proprio il "cappello" dell’Articolo XX costituisce una prima barriera alla introduzione di misure punitive del tipo di quelle suggerite da PK: provare la non arbitrarietà di tali misure o l'assenza di fini protezionistici potrebbe infatti rivelarsi un'impresa estremamente difficile. Ma l'ostacolo giuridico principale all’introduzione di border adjustments è rappresentato dal fatto che questi discriminerebbero fra i diversi prodotti sulla base delle emissioni di gas serra avvenute nel corso del processo produttivo (i cosiddetti PPMs, processes and production methods) piuttosto che alle caratteristiche del bene stesso. Beni idenditici, dunque, finirebbero per essere discriminati semplicemente in base alla tecnologia di produzione adottata.

Efficacia. Anche qualora misure restrittive del commercio disegnate per discriminare fra diverse tecnologie di produzione finiscano con l’essere accettate dal WTO (come qualche timido segnale sembrerebbe indicare), la loro adozione potrebbe rivelarsi controproducente sul piano politico, bad politics per dirla con l'ex commissario europeo per il commercio Peter Mandelson. Il cambiamento climatico rappresenta, come detto, un problema globale per la cui soluzione si rende necessaria l'azione coordinata di tutti i principali paesi emissori; in questo contesto, azioni coercitive ed unilaterali come quelle suggerite da PK rischiano di allontanare i PVS dal tavolo negoziale invece che riavvicinarli (come tra l’altro ha recentemente sostenuto Jagdish Bhagwati).

Border measures e tariffe doganali possono essere facilmente abusate ed i PVS temono appunto che le emissioni di diossido di carbonio possano diventare una scusa per introdurre misure puramente protezionistiche, sopratutto nel bel mezzo di una recessione. Indipendentemente dalla eventuale buona fede dei paesi promotori, se percepite effetivamente come protezionismo mascherato, tali misure si rivelerebbero un boomerang destinato a complicare sia le negoziazioni sul cambiamento climatico che quelle commerciali (se di complicazioni se ne sentisse ancora il bisogno).

Le recenti dichiarazioni di Shyam Saran, special envoy on climate change per l’India, ci offrono un'anticipazione delle reazioni che l'adozione della ricetta PK susciterebbe tra i principali PVS. Shyam Saran non più tardi di 3 mesi fa dichiarava:

 

Action on climate change cannot be based on conditions. Once we start going in that direction, then it means we start going for protectionism under the green label and it is harmful to India’s interest seeking sustainable development […] Collaborations become irrelevant when competitive tendencies prevail.

 

Ma i border adjustments potrebbero rivelarsi totalmente inefficaci non solo per ragioni politiche. Solo per pochi settori infatti l'adozione di tali misure potrebbe essere giustificata dalla perdita di competitività delle imprese operanti in paesi regolamentati; quei settori in cui i costi per l'approvvigionamento energetico rappresentano una percentuale significativa dei costi totali e che, al contempo, si trovino effettivamente a competere con controparti avantaggiate sotto questo profilo (produzione di ferro, alluminio, carta, prodotti chimici e cemento). Vi è poi un problema puramente tecnico, legato al calcolo del border adjustment e pertanto del diossido di carbonio effettivamente embodied nel bene oggetto della misura. Calcolo questo reso ancora più complesso dalla necessità di reperire informazioni di natura confidenziale, e spesso tutelate dalla legge, dalle singole imprese dedite all’esportazione.

Cosa fare dunque? Sarebbe a mio avviso più saggio utilizzare politiche commerciali cooperative piuttosto che punitive; liberalizzare ulteriormente il commercio di quei beni la cui produzione richiede livelli relativamente bassi di emissioni di gas-serra (low-emissions goods), facilitare le procedure operative per l'adozione di progetti nell'ambito del Clean Development Mechanism (CDM), ed aumentare lo spazio di policy per incentivare investimenti privati in fonti di energia rinnovabile e tecnologie a bassa emissione di gas serra (sulla base ad esempio dell'Agreement on Subsidies and Countervailing Measures sottoscritto nell'ambito dell'Uruguay Round). Utilizzare cioè il commercio internazionale più a mo' di "carota" che di "bastone" nel tentativo di sostenere la lotta al cambiamento climatico.

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Commenti

Ci sono 79 commenti

Insomma dalla carota alla teoria degli incentivi il passo è breve :)

 

La teoria è, come ammette Piergiuseppe, con PK, ma gli argomenti contrari apportati sono soggetti a valutazone empirica. Non che siano falsi, ma è veramente difficile capire se sono empiricamente rilevanti e quanto producano costi maggiori dei benefici. Questa frase poi non la capisco:

Ma l'ostacolo giuridico principale all’introduzione di border adjustments è rappresentato dal fatto che questi discriminerebbero fra i diversi prodotti sulla base delle emissioni di gas serra avvenute nel corso del processo produttivo (i cosiddetti PPMs, processes and production methods) piuttosto che alle caratteristiche del bene stesso. Beni idenditici, dunque, finirebbero per essere discriminati semplicemente in base alla tecnologia di produzione adottata.

 

Trattare beni identici prodotti in modo diverso è esattamente quello che vogliamo fare: tassare i modi di produzione inquinanti!!!

 

Infine, il suggerimento finale (sussidi a chi non inquina invece the tariffe a chi inquina) non spiega dove sta l'asimmetria. Magari c'è ma io su due piedi non la vedo. 

 

E come pensi di imporre il rispetto di una regola simile? Penalizzi tutto cio che viene dalla Cina perchè usano il carbone? O vuoi mandare ispettori nelle singole aziende? E come eviti che usino un paese terzo come "lavanderia"?

Se per esportare serve un timbro non penso che molti si farebbero scrupoli a falsificarlo.

Insomma, se non usato come misura protezionistica lo vedo difficile da implementare.

Andrea, la domanda che mi pongo e': misure che discriminano fra beni idenditici ("like products") semplicemente in base alla tecnologia di produzione adottata sono ammissibili nell'amibito degli accordi GATT/WTO?

Ed il mio punto e' che tale normativa (a torto o a ragione) si fonda sulla assoluta non ammisibilita' di discriminazioni fra "like products", definiti nell’Annex I come  "directtly competitive or substitutable products". Ne deduco pertanto che i PVS potrebbero appellarsi al Disputte Settlement Body del WTO ed ottenere l’abrogazione di 'borders adjustment" (e misure affini) qualora fossero introdotte.

 

scusate la mia natura profana, ma le mie conoscenze circa l'economia sono limitate a quelle acquisite per curiosità, per cui talvolta non riesco a comprendere proprio tutto, nella fattispecie qui cosa s'intende:

 

Ma i border adjustments potrebbero rivelarsi totalmente inefficaci non solo per ragioni politiche. Solo per pochi settori infatti l'adozione di tali misure potrebbe essere giustificata dalla perdita di competitività delle imprese operanti in paesi regolamentati; quei settori in cui i costi per l'approvvigionamento energetico rappresentano una percentuale significativa dei costi totali e che, al contempo, si trovino effettivamente a competere con controparti avantaggiate sotto questo profilo 

 

Ciò in pratica significa che, pur attuando border adjustments, nel paese che ne viene implicato sono solo alcuni i settori che vengono penalizzati, e quindi effettivamente non ci sarebbe una tassazione "dannosa" globale, ma solo localizzata a quei settori per i quali i costi enercetici sono considerevoli, oppure ho travisato tutto?


Si Marco, direi che hai colto il punto. I border adjustments vanno valutati anche in base al loro leverage potenziale, ossia all'impatto che potrebbero avere sui flussi commerciali e dunque sugli incentivi a ridurre le emissioni di diossido di carbonio. Chiaramente qualora il volume di esportazioni colpito risultasse ridotto, l'imposizione di border adjustments avrebbe un impatto insignificante sulle decisioni del paese esportatore in materia di emissioni.  

Ora, proprio quei settori per cui si adotterebbero border adjustments rappresentano nella magggior parte dei casi una percentuale molto bassa dei flussi commerciali. Ad esempio, solo il 7% dell'acciaio, il 3% dell'alluminio e meno dell’1% dei prodotti chimici importati dagli USA provengono dalla Cina. E' ragionevole pensare dunque che misure punitive come quelle invocate da piu' parti avrebbero poco impatto sulle scelte di policy cinesi ed invece finirebbero per corroborare persicolose spirali protezionistiche.

 

 

Ho qualche perplessità, che vorrei esporre.

- L'argomento di PK è abbastanza chiaro: esiste un problema di bene pubblico globale (emissioni CO2) che si può risolvere solo con la cooperazione di tutti. SE esiste un agreement collettivo sulla natura, le cause e le soluzioni del problema, ALLORA è ragionevole chiedersi che punizioni sia opportuno adottare contro chi devia dalle soluzione comunemente adottate e dalle risoluzioni collettivamente prese. La questione, così impostata, non fa una piega.

- La risposta secondo cui "se li punisci i cinesi si incazzano" non regge. I cinesi a volte si incazzano ed a volte no (e.g. si sono cuccati tutto WTO e WIPO senza fiatare) e non è che dobbiamo ogni volta second guess il loro incazzarsi, anche perché, altrimenti, rischiamo di entrare in un gioco in cui i cinesi per crearsi la reputazione d'incazzosi s'incazzano artificialmente ...

- Punire i cattivi o premiare i virtuosi sono meccanismi identici, l'unica differenza è redistributiva, ossia di chi ci guadagna. Questo dipende dai diritti di proprietà, ossia di chi ha il controllo della torta. Chi ce l'ha? Io non credo di saperlo, ma il problema è tutto lì. Per il resto punire e premiare sono la stessa cosa. Inutile dire che il commercio va usato come "carota" invece che come "bastone": se la controparte deviante percepisce che potrebbe avere 100 di gains from trade e vede che gliene dai solo 70 mentre 30 li condizioni al suo fare questo e quello ecologico, allora la controparte (se non è tonta) capisce che quel 30 che rendi condizionale è un bastone travestito d'arancione per sembrare carota.

- Del tutto diverso è il seguente discorso: combattere la crescita del CO2 impedisce o gravemente riduce lo sviluppo economico, di cui Cina & Co hanno bisogno immenso ed al quale non intendono rinunciare. Quindi inutile far finta (come sembrano aver fatto finta anche oggi) che c'è un accordo globale, perché non c'è. Se la questione È QUESTA (ed in parte lo è, ma non è la sola ...) allora il problema diventa un altro.

- Il problema diventa: come impedire a Cina & Co che crescano "troppo" secondo i criteri verdo-rossi che vanno ora di moda in Occidente? Questo, mi sembra, è il problema di PK. Io di CO2 capisco poco, quindi non capisco se hanno ragione i verdo-rossi o se raccontano balle truculente solo per avere una scusa di bloccare la libertà economica. Ma il problema andrebbe affrontato dal quel lato.

 

 

Io di CO2 capisco poco, quindi non capisco se hanno ragione i verdo-rossi o se raccontano balle truculente solo per avere una scusa di bloccare la libertà economica. Ma il problema andrebbe affrontato dal quel lato.

 

Pure io, e pure i verdo-rossi. il rapporto segnale/rumore quando si dibattono queste questioni è quasi nullo: tanto le lobbies verdi che quelle energetiche amano pubblicare "ricerche" sballate.Come dice Carlin alla maggior parte dei verdi non interessa davvero il pianeta quanto avere un posto pulito in cui vivere.Non che ci veda nulla di male, solo vedo pochissimo interesse a discutere questi temi in modo razionale.

 

Io di CO2 capisco poco, quindi non capisco se hanno ragione i verdo-rossi o se raccontano balle truculente solo per avere una scusa di bloccare la libertà economica. Ma il problema andrebbe affrontato dal quel lato.

 

Fermo restando che sia l'argomento di PK (il bastone) che quello di PF (la carota è meglio) mi sembrano abbastanza inconsistenti a livello generale (come PF riconosce in un commento, ovvero bisognerebbe prima stabilire quali sono i livelli ammessi di CO2 per settore merceologico, calcoli generalmente fatti a naso), io qui faccio riferimento a quello che è accaduto con i fluorocarburi, sotto accusa per il danneggiamento allo strato di ozono.

E' vero che a Montreal nel 1989 ci si accordò per l'eliminazione dei CFC, ma nessuno fece niente(o quasi) per dieci anni fino a quando l'Unione Europea nel 1999 ne decise semplicemente la messa al bando. In tutta l'Unione Europea nell'arco di due anni sarebbe stato proibito "vendere, produrre, importare", ad esempio, climatizzatori con gas refrigerante R22 (un CFC), come anche le bombolette spray, insomma niente più CFC.

Non è il caso qui di fare il riassunto di quanto (ad esempio..) si incazzarono i cinesi, sta di fatto che oggi, 2009, il gas R22 non esiste praticamente più, soppiantato da un gas, l'R410, ecologico e molto più performante, ed anche le mitiche bombolette spray contengono propellenti basati sull'alcool.

Ovvero, se qualcosa veramente danneggia l'ambiente, non è il caso di contigentare, o di introdurre dazi, che sono sempre aggirabili, ma è il caso di proibire tout-court. Il mercato creerà (o ha già creato..) alternative migliori e meno impattanti.

Se la produzione di acciaio cinese è altamente inquinante (hanno impianti vecchi di 30-50 anni, ad esempio hanno i vecchi impianti ILVA che gli abbiamo venduto noi..), si deve proibire l'acciaio cinese, il rimbalzo (inevitabile) verso l'alto del prezzo dell'acciaio spingerà i cinesi a rinnovare gli impianti, in quanto il prezzo dell'acciaio sarà renumerativo anche per i nuovi impianti e tutto si allineerà.

I dazi non servirebbero a niente, vista l'attitudine cinese a fare dumping per spingere i propri prodotti.

Michele, partiamo da un dato di fatto: se non convinciamo Cina&Co. ad impegnarsi seriamente a ridurre le loro emissioni sara’ impossibile limitare la concentraziione di carbonio nell’aria a 450 o ad almeno 550 parti per milione, obbietivo minimo e riconosciuto come una sorta di “point of no return”. Poco importa il nuovo atteggiamento USA od il rinnovato impegno dei leader europei.

La figura qui sotto (fonte EIA) mostra come il volume di emissioni di gas serra in Cina abbia gia’ superato quello europeo e statunitense e, se nulla dovesse cambiare in termini di policy (i.e. business as usual scenario), il gap e’ destinato a crescere negli anni a venire.

Figura 1

Ora, temo che con Cina&Co. la politica del bastone possa servire ben poco anche perche’, come spiegavo ieri rispondendo a Marco, carbon tariffs e affini finirebbero per colpire solo una frazione ridotta delle esportazioni ed avrebbero dunque un leverage piuttosto basso.

Inoltre, sia in termini di emissioni per capita che di emissioni accumulate, Cina&Co. are still lagging far behind i paesi piu’ ricchi, come e’ possibile constatare dalla tabella qui sotto (fonte CDIAC).

Figura 2

Anche per questo il protocollo di Kyoto sancisce il principio delle common and differentiated responsabilities fra paesi nella lotta al cambiamento climatico. Come questo principio vada tradotto in pratica (come cioe' distribuire i costi della lotta al climate change) e’ chiaramente oggetto di dibbatito, ma non penso proprio che sia possibile convincere Cina&Co. a “non crescere troppo” (dopo che gli altri lo hanno fatto nei decenni scorsi...).

Come mettiamo d’accordo dunque sviluppo (che fa rima con incrementi del fabbisogno energetico) con riduzione delle emissioni (che fa rima invece con riduzione di quel fabbisoghno)?

L’unico modo, a mio avviso,  e’ aiutare Cina&Co. a spostarsi su un high growth/low carbon path agevolando miglioramenti nella gestione dell’energia e favorendo investimenti in fonti d’energia rinnovabili ed alterative rispetto all’energia fossile. Ed e’ in questo senso che vanno lette le mie proposte relative ai trasferimenti di tecnologie e agli incentivi alla ricerca e sviluppo sul fronte energetico.

 

Considerando che non e' assolutamente dimostrato (e probabilmente dimostrabile, qui solo 2 delle migliaia di articoli su questa controversia) che la produzione di CO2 abbia influenza sui cambiamenti climatici e nemmeno che questi cambiamenti siano realmente in corso e prodotti dall'intervento umano, perche' c'e' questa battaglia politica ed economica su questo punto?

Mi pare effettivamente un ottimo modo di tenere a freno Cina e India dal punto di vista commerciale. Peccato che la prima sia all'avanguardia negli investimenti su energia pulita e auto elettrica. Il che sarebbe un'ottima cosa perche' alzerebbe l'asticella della competizione su questo punto (che il petrolio prima o poi finisca e' cosa sicura).

Ieri sera ho visto il documentario "Who killed the electric car?" sulla storia dell'auto elettrica della GM che era in produzione nel 1998 ed e' stata uccisa  da una combinazione di interessi petroliferi, miopia imprenditoriale e compromessi politici.

Fa ridere pensare che la GM oggi e' in bancarotta e la Chrysler porta in USA le avanzate tecnologie Fiat sui motori piccoli ed economici (la Toyota trema tutta), quando effettivamente -prima dell'orgia dei SUV con tecnologie dal 1980 - GM era stata in grado di produrre un'auto elettrica "di serie" a un prezzo accettabile e comprensiva di un inizio di infrastruttura per il caricamento delle batterie.

Che ne pensate di tutta la vicenda del CRU? Ho dato una lettura veloce a tutto il papello. Ci sono cose allucinanti. Alla faccia dell'etica della scienza. Se ci fosse un esperto di statistica e climatologia sarebbe utile la sua opinione.

( Per chi non sapesse di cosa si tratta, qui viene spiegato: www.realclimate.org/index.php/archives/2009/11/the-cru-hack/ )

E' una vicenda affascinante. Non tanto per quanto riguarda i risvolti che la faccenda ha sulla scienza del global warming perche', in realta', non ne ha affatto: non c'e' nulla di non-etico o allucinante che emerge da quelle emails. Tutto cio' che sappiamo su global warming rimane vero.

Pero' e' molto interessante perche' mostra al pubblico un lato della scienza che il pubblico pensava non esistesse e cioe' quello umano fatto di parolacce, accuse, infamie, strategie. Come dicono su realclimate:

 

science doesn’t work because people are polite at all times. Gravity isn’t a useful theory because Newton was a nice person. QED isn’t powerful because Feynman was respectful of other people around him. Science works because different groups go about trying to find the best approximations of the truth, and are generally very competitive about that.

 

 

Interessante anche questa (courtesy of Enzo Michelangeli).

As of now, I am hedging my bets.

Ma se dovessi prendere posizione, sulla base di quanto ho letto e del poco che ci capisco, questa del "man made global warming" mi sembra essere una bufala al 60% di probabilità.

non sono molto ferrato sull' argomento, ad ogni modo volevo segnalare che c' è anche chi sostiene che la "debolezza" dell' attività solare  compenserebbe il mai ben dimostrato effetto dell' uomo sul clima

 

amerei sentire cosa dicono gli economisti.

I modelli (che modelizzano il clima) sono modelli che hanno (analoghi a quelli economici) problemi parametrici colossali, il che non e' una gran scoperta (chiedete a chiunque di prevedere i tassi di interesse in Cina in Gabon nel 2077.)

Quel che trovo strano e' che si noti poco il fenomeno seguente. Non siamo in grado di prevedere il clima per piu' di 72 ore (guardate il colonnello Bernacca, fece gran carriera proprio perche' prevedeva ogni giorno...)

Che ragione c'e' per credere ai modelli climatici su scale dai 50 ai 150 anni?

Le osservazioni non sono mie ma di climatologi professionisti, si veda, p.es.

fortcollinsteaparty.com/index.php/2009/10/10/dr-william-gray-and-dr-kevin-trenberth-debate-global-warming/

 

 

 

I modelli (che modelizzano il clima) sono modelli che hanno (analoghi a quelli economici) problemi parametrici colossali, il che non e' una gran scoperta (chiedete a chiunque di prevedere i tassi di interesse in Cina in Gabon nel 2077.) Quel che trovo strano e' che nessuno il fenomeno seguente. Non siamo in grado di prevedere il clima per piu' di 72 ore (guardate il colonnello Bernacca, fece gran carriera proprio perche' prevedeva ogni giorno...)

 

Palma,la componenta umana del global warming paradossalmente smentisce proprio questo ragionamento. Il clima del pianeta dipende da due fattori: quelli naturali che sono, per definizione, caotici e tendenti ad una omeostasi e quelli umani (nell'ultimo secolo). I cambiamenti a breve termine (domani piovera? Come sara' questo inverno? Come sara' la prossima estate?) dipendono dalle componenti naturali e sono quindi difficili da prevedere. I cambiamenti a lungo termine pero', dipenderanno dai fattori umani e cio' rende le cose piu' facili. Ovviamente i modelli hanno intervalli di confidenza.

RealClimate.org e' l'nFA dei climatologi. Oltre ad una serie di post aggiornati e ben fatti, hanno una serie di FAQ e wiki per le domande piu' comuni, come la tua. Vedi qui.

 

 

Quel che trovo strano e' che nessuno il fenomeno seguente. Non siamo in grado di prevedere il clima per piu' di 72 ore (guardate il colonnello Bernacca, fece gran carriera proprio perche' prevedeva ogni giorno...)

Che ragione c'e' per credere ai modelli climatici su scale dai 50 ai 150 anni?

 

Non sono un esperto del ramo ma mi sembra due previsioni radicalmente diverse, una sulle condizioni climatiche (pioggia / sole / nuvoloso) del singolo giorno in un singolo luogo, l'altra su parametri medi annuali o almeno mensili principalmente di temperatura.  Non mi stupirei che la seconda previsione sia piu' facile della prima, entrambe comunque sono difficili oggi.

qualcuno invece di raccontar corbellerie, insegnasse filosofia, forse vi sarebbe un qualche progresso.

I punti sono di semplicita' lapalissiana, vengono oscurati da varie lobbies, in alcuni casi di esaltati, in alcuni cretini.

1. se due palle da tennis colpiscono il vetro e ambedue sono sufficienti a rompervi la finestra le cause sovradeterminano gli effetti (i.e. ogni palla e' sufficiente, una singola palla e' necessaria, le due insieme sovradeterminano)

2. la temperatura cresce (se cresce) a causa di un'infinita' di fenomeni (tra gli ultimi identificati flatulenza bovina, uso dell'aria condizionata nei bordelli in Nevada, guida di Hummer1 in Iraq, tutto cio' che produce CO2, a sue volta contribuente come concausa all'effetto "serra", e si potrebbe continuare.)

3. alcuni (una minoranza) di questi fenomeni sono forse controllabili da esseri umani (forse, gli esperti dicono di no, mi fido qui di Jared Diamond piu' che di Greenpeace)

4. quel che manca e' la dimostrazione dei seguenti fatti

4.1 il contributo umano (alle crescite di CO2) e' quantitativamente piu' rilevante di tutti gli altri (eoilci, macchia solare, flatulenza satanica) ed e' da solo sufficiente a produrre l'effetto

4.2 l'aumento di CO2 e' pericoloso (a chi? a come? quali sono i reali costi?)

4.3 la modifica del comportamento degli umani e' sufficiente a produrre il desiderato effetto (per usare l'esempio liceale, se palla x rompe il vetro *comunque* e' prudenziale non scagliare palla y, il vetro si rompe lo stesso ERGO, per chi e' debole di comprendonio se il riscaldamento temuto e' effetto di 39000 cause ed e' sufficiente che il sole si scaldi, il gran agitarsi umano intorno al tema e' di assoluta, totale, affatto idiota inutilita', esclusi gli effetti sulla coscienza di chi si sente moralmente migliorato quando compera Lexus h450 invece di rx350, il che e' ottimo per il sig. Toyota, per evitare conflitti di interessi non lavoro per Toyota e guido una macchina indiana.)

L'effetto desiderato qui e' il raffreddamento del pianeta.

4.4 dal punto di vista politico non ho ancora capito perche' tutti questi sepolcri imbiancati della congrega ecologica vadan a ritirare il premio Nobel in aereo e non in barca a vela.

4.5 Il che non esclude *affatto*  --au contraire-- che si possano avere visioni religiose, estetiche, sessuali, sulla intrinseca bonta' della riduzione delle attivita' umane agricole e industriali per il bene delle felci, degli elefanti, della foca monaca, e quant'altro (il sottoscritto personalmente non ha grande affetto estetico per i bordelli del Nevada)

 

Il resto son chiacchere. Quanto a quel che dice l'amico Giorgio Gilestro, non sarebbe la prima volta (neppure sara' l'ultima) in cui il pensiero desiderante trionfa sulla logica (pensiero desiderante = wishful thinking.)

 

Nota: l'unica ragione per cui gli economisti e i sindacalisti e i poveri sono opposti a queste congreghe di Nicole Kidman & Al Gore e' che -a conti fatti- l'unica cosa che toglie la gente dalla miseria e' la crescita economica, e questa -ahinoi'- implica grandi distruzioni (di natura, vergini foreste, pozzi di petrolio, montagne di platino.....)

Marx, buonanima, aveva non proprio tutti i torti ad ammirare il cinismo degli economisti (la prima volta trovate l'espressione nell'articoletto sul re di Prussia e la riforma sociale, scritto a Parigi per Vorwaerts durante l'esilio francese.)

 

palma il tuo ragionamento è buggato, secondo me.

vuoi dire che, caduta anche in toto la teoria del global warming antropogenico, non rimane il problema dell'inquinamento e che quindi  è ragionevole continuare con grandi distruzioni agli stessi ritmi?!?

pochi anni fa i prodotti apple erano considerati altamente inquinanti, sia come tali sia per i processi produttivi alle spalle. adesso c'è sta cosa del verde http://www.greenpeace.org/apple/ e fanno prodotti con processi diversi rispetto al passato http://www.apple.com/hotnews/agreenerapple/

http://www.greenpeace.org/apple/itox.html

05/07 Good news! Steve responds with an open letter about Apple's environment policy. Good progress from Apple but not the end. We hope Steve's next statement will mark out Apple as a green leader.

per questo fanno prodotti peggiori? più cari? danno meno occupazione? al contrario: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2007/10/apple-mac-utili.shtml?uuid=faf304f6-8139-11dc-b986-00000e25108c ed ancora http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/tecnologia/apple-utili-boom/apple-utili-boom/apple-utili-boom.html

poi se vuoi stare ancora col termometro a mercurio sotto l'ascella...

 

magistrale, compagno palma, magistrale.

Quasi perfetto, non fosse per quel "vanno" che meglio suonerebbe come "vadano" in  4.4 :-)

Mi sembra che una discussione un minimino intelligente DEBBA a questo punto partire da qui, e da 4.1-4.3 in particolare, che sono le vere domande difficili. Saltiamoci a pié pari il commento seguente, che ancora una volta proviene da un possessore di lingua, e dita, drammaticamente più rapidi dei suoi neuroni.

Notte.

 

Se interloquisco mica mi depenni dalla lista di quei 3.000-300.000 max di umani che dovrebbero continuare a vivere ?

 

4.1 il contributo umano (alle crescite di CO2) e' quantitativamente piu' rilevante di tutti gli altri (eoilci, macchia solare, flatulenza satanica) ed e' da solo sufficiente a produrre l'effetto

 

Da solo non lo sappiamo, visto che ci sono anche altri effetti,comunque la flautolenza,  se interessa, è gas metano, non è CO2, e state confondendo mele con pere: nessun dubbio che l'aumento di CO2 è colpa dell'uomo, visto che naturalmente la produzione è scarsetta, il problema è: quanto questo aumento di CO2 è responsabile del global warming ? E quanto lo sono le macchie solari? E questi 7 mld di esseri umani a 36,6° quanto riscaldano 'sto pianeta ?

Domande idiote: il problema non è la causa del riscaldamento, la CO2 non riscalda un piffero (a meno che non è compressa, a quel punto diventa il miglior gas economico con efficienza termodinamica), la CO2 fa sì che siano amplificati gli effetti del riscaldamento (effetto serra). Vi invito caldamente all'esperimento del cubo di cui a un mio precedente commento.

 

4.2 l'aumento di CO2 e' pericoloso (a chi? a come? quali sono i reali costi?)

 

Lç'aumento di CO2 è pericoloso, ma nessuno sa quanto pericoloso. Il costo della produzione della CO" è inversamente proporzionale al costo di produzione dei beni per 7 mld di esserei umani con tecniche diverse.

 

4.3 la modifica del comportamento degli umani e' sufficiente a produrre il desiderato effetto (per usare l'esempio liceale, se palla x rompe il vetro *comunque* e' prudenziale non scagliare palla y y, il vetro ri rompe lo stesso ERGO, per chi e' debole di comprendonio se il riscaldamento temuto e' effetto di 39000 cause ed e' sufficiente che il sole si scaldi, il gran agitarsi umano intorno al tema e' di assoluta, totale, affatto idiota inutilita', esclusi gli effetti sulla coscienza di chi si sente moralmente migliorato quando compera Lexus h450 invece di rx350, il che e' ottimo per il sig. Toyota, per evitare conflitti di interessi non lavoro per Toyota e guido una macchina indiana.)

 

La modifica del comportamento degli umani è essenziale per evitare l'amplificazione di un qualcosa che è indipendente dalla nostra volontà, se è mia figlia di 6 anni a tirare la palle da tennis non rompe proprio niente, se a mia figlia le dò il tubo sparapalle (adesso proibito, ma da piccolo ci giocavo, ed ero un killer fantastico) rompe anche un vetro blindato.

Adesso non mi depennare, per favore..

Comunque il problema della CO2 e dell'inquinamento è tutto legato al nostro modo di produrre energia, basato sui combustibili fossili, energia per 7 mld di persone, per cui le soluzioni, se vi interessano, sono:

  1. Riduzione del numero di persone sul pianeta (palma's solution).
  2. Che Alberto Lusiani (mi perdoni se lo cito) smetta di scrivere su NFA e si decida a darci l'energia nucleare basata sulla fusione e non sulla fissione.
  3. Smettiamola di pretendere beni in continuazione e torniamo alla caverna e alla clava.

 

4. quel che manca e' la dimostrazione dei seguenti fatti [...] 4.1 4.2 4.3

 

Falso, falso, falso, falso. Questo post sarebbe stato proeduralmente corretto nel 1980. Il fatto che ci sia gente che al giorno d'oggi ancora mette in dubbio certe cose e' patetico (soprattutto quando queste sono le stesse persone che non conoscono nemmeno la differenza tra climate e weather).

 

Buongiorno,

riguardo al 4.1, un riassunto (con riferimenti alla letteratura) dei risultati quantitativi relativi all'incidenza dei vari fattori, antropogenici e no, sul riscaldamento globale e delle metodologie per determinarli lo puo' trovare qui:

www.pewclimate.org/docUploads/global-warming-science-brief-august08.pdf

Con i miei piu' cari saluti a Giulio Tononi e un sincero augurio di successo nel capire qualche cosa della coscienza.

 

Lo faro', ma non lavoro piu' con Giulio da alcuni mesi.