La Cina, l'Italia e l'incerto futuro

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La lettera d'un giovane lettore pone quesiti che, seppur non facilmente risolvibili, meritano dei principi di risposta.

Anche perché, come il Convegno di Confindustria a Parma ha confermato, su questi temi si oscilla tutt'ora fra autocompiacimento e dirigismo, il tutto condito da elettoralismo tri-partisan (governo, opposizione, corporazioni).

Il testo della lettera chiedeva [la numerazione è mia]:

 

Sono uno dei ragazzi [...] e un lettore del suo libro sul Signore Oscuro. Pur condividendo il ragionamento di fondo sulla competizione cinese, mi sono venuti in mente alcuni elementi che hanno incrinato le mie convinzioni superliberiste.

Gliele espongo e le sarei veramente grato se potesse confutarle per me, perché adesso come adesso non trovo soluzione:

[0] La riqualificazione dei lavoratori verso la produzione di beni nuovi può avvenire grazie alla nuova domanda generata dai risparmi di spesa dovuti al minor prezzo dei beni cinesi. Questo dovrebbe mantenere i livelli occupazionali in Europa.

[1] Ora io mi chiedo: noi possiamo anche riqualificarci verso nuovi prodotti ma per quanto tempo riusciremo a farlo? Un giorno la Cina avrà colmato il gap tecnologico e potrà produrre a prezzi inferiori anche quei prodotti high tech o ad alto valore aggiunto che oggi facciamo noi. E questo perché le aziende cinesi hanno economie di scala ben piu grandi delle nostre. Quand'anche avessero gli stessi nostri salari e il nostro livello dei prezzi, le loro economie di scala li renderebbero sempre piu competitivi!

[2] Inoltre, concentrarsi solo su pochi settori (lusso, turismo) non pone un serio rischio alla nostra economia (mancata diversificazione?) Ad esempio, se l'Italia diventasse una "powerhouse" del lusso globale, vendendo solo capi di alta qualità non copiabili dai cinesi e protetti dal brand "Made in Italy", potrebbe anche accadere che tutti e 60 milioni di Italiani trovino lavoro nella produzione di questi beni. Ma cio esporrebbe l'intera economia italiana alle fluttuazioni dei capricci modaioli mondiali. E se l'Italia non piace piu? A noi cosa rimane?

[3] Ultimo punto: come si può realisticamente pensare di riqualificare un operaio manifatturiero in un produttore di satelliti? Riqualificare vuol dire ri-educare le nuove generazioni, processo che dura 40 anni! Inoltre, per mantenere il vantaggio tecnologico sulla Cina, sarebbe necessario investire in R&D molto di piu di quanto venga fatto.

[4] Credo che un mix di problemi economici e incapacità dei politici porterà presto l'Italia alla disoccupazione (i salari in Italia sono troppo "sticky", col piffero che calano!).

 

Andiamo per ordine.

[0] Non è solo che i beni cinesi a minor costo generano risparmio di risorse che possono essere utilizzate in altre attività (che è vero). Va anche e sempre ricordato IL VINCOLO DI BILANCIO DEI "CINESI" (qui "Cina" e "cinesi" sta per qualsiasi paese che non sia l'Italia e con il quale si commerci via import/export). Ossia: se i "cinesi" (virgolettato per l'ultima volta) producono merci per valore aggiunto di 100 o ben le vendono a terzi o se le consumano. Se se le consumano, non "tolgono" il posto a nessuno. Se le vendono a terzi, questi terzi dovranno pur acquistare quelle merci con qualcosa, no? Non solo, i cinesi dovranno pur voler comprare qualcosa con ciò che guadagnano, o no? Detto altrimenti: o ci fanno credito per sempre su tutto (whow!) o per ogni 100 che ci vendono deve esserci, a lungo andare, 100 che ci comprano. Qui sento già il piccolo Voltremont (che è purtroppo penetrato, come uno stridulo baco, nella testa di 4/5 degli italiani) ribadire saputello: ma se ci triangolano comprando le loro merci in Germania o in India!? L'unica triangolata, in quel caso, sarebbe la logica: perché i tedeschi, vendendo ai cinesi, quei 100 di valore aggiunto da loro prodotto e guadagnato, dove lo spendono? Spero ci si sia capiti una volta per sempre: si chiama vincolo di bilancio ...

[1] Un mito si aggira nel dibattito sul commercio internazionale: le economie di scala legate alla dimensione del paese. Fantasie: non esiste un pelo di evidenza statistica o storica (ancor meno teorica) che tali economie di scala esistano, prima ancora di essere empiricamente rilevanti. Per svariate ragioni. (i) Le economie di scala sono a livello di impianto o di impresa. Basta guardare dove l'innovazione e la crescita della produttività sono avvenute negli ultimi decenni per capire che, anche a livello micro, le economie di scala si esauriscono presto: pensate all'industria del software, alle bio-tecnologie, alle medicine ed alle tecnologie mediche, eccetera. Domina il piccolo ed il medio, quache volta il grande: il gigantesco non c'è mai. Ora pensate ai "disastri" e vedrete accadere l'opposto. (ii) Se le economie di scala dovute alla dimensione del paese in cui l'azienda "risiede" o "ha la propria sede" fossero rilevanti, le aziende USA avrebbero massacrato quelle europee (e del resto del mondo) da un secolo a questa parte. Gli esempi sono a iosa, quindi lascio al lettore continuare con essi. (iii) Ammesso e non concesso che le economie di scala siano rilevanti nel processo di cambio tecnologico (di nuovo, l'esperienza contraddice questa ipotesi) l'unico fattore determinante sarebbe la dimensione del mercato. Se così fosse allora è MOLTO BENE, per le aziende di un paese piccolo come l'Italia, avere accesso ad un gigantesco mercato come quello cinese perché questo permette loro di avvantaggiarsi delle (supposte) economie di scala. Senza accesso al mercato cinese tali economie di scala non possono essere sfruttate e si rimane meno produttivi! (iv) Infine se il fattore che conta per le supposte economie di scala è la moneta comune o qualcosa del genere, allora vale la pena notare che lo spazio europeo oggi ha mezzo miliardo di persone. Grande abbastanza per qualsiasi, supposta, economia di scala. Anche di quelle che non si sono mai viste sino ad ora.

[2] Chi ha detto che occorre concentrarsi su questo o su quello? Queste sono le cretinate che raccontano a Confindustria, ai ministeri e, probabilmente, in giro per le università italiane. Io non faccio il programmatore centrale e non so su cosa ci si debba o non ci si debba concentrarsi. Io mi concentro su ciò che so fare bene e cerco di farlo al meglio, competendo con gli altri che fanno la stessa cosa in giro per il mondo. Mi sembra l'unico approccio possibile e razionale. Cosa dovranno produrre le imprese italiane fra 10 o 20 anni, se lo scopriranno da sole. Cosa dovranno creare gli italiani se lo scopriranno pure da soli. Il problema è creare loro le opportunità perché lo facciano, non dirgli cosa devono fare. Ragazzi miei, liberisti immaginari e dirigisti reali ...

[3] Infatti, non è questo che va fatto e nessuno auspica che si debba fare. Il processo di creazione distruttiva ha i suoi costi ed i suoi tempi (40 anni son decisamente troppi, diciamo che 10 anni bastano e avanzano per formare un lavoratore tecnologicamente avanzato). Il problema italiano non è cosa fare con i 40enni, ma cosa fare con i 30enni, i 20enni o financo i "10enni"! È a costoro che le classi dirigenti del Bel Paese non stanno offrendo alcuna prospettiva. È a costoro che scuola ed università insegnano poco o niente. È a costoro a cui viene caricato sulle spalle un fardello impositivo sempre più pesante mentre gli si stringe al collo un cappio regolativo-dirigista-sindacale che potrebbe strozzare un bue! Avete bisogno d'un cambio drastico ora per poter sperare di esser tornati in pista fra 10 anni!

[4] E rieccoci con il solito vizietto mentale del padronato medievale italiano, ossia che il problema sono i "salari troppo alti"! NO, il problema è la produttività troppo bassa! Non scherzo: da sempre uno dei problemi di fondo dell'economia italiana è stata la sua bassa produttività. Questa è il prodotto sia di una forza lavoro scarsamente qualificata (in media, ovviamente) sia di una classe imprenditoriale di bassissimo livello (fatte salve le solite eccezioni). Le due cose, ovviamente, sono figlie di un paese terzomondista, corporativo, medievale, eccetera. Non ho voglia di rifare qui la storia economica dell'ultimo secolo, ma la fantasia padronal-medievale secondo cui il problema sono i salari troppo alti tale è, una fantasia. Perché, appunto, in un'economia di mercato la risposta ai salari alti è innovare per aumentare la produttività (se si è capaci di farlo) o chiudere (cosi "imparano" i "sottoposti" troppo esigenti!) o andarsene laddove sono adeguatamente bassi (Cina, Romania, eccetera). Invece in Italia la risposta è consistita prima in corporativismo padronale e collateralismo politico, poi in svalutazioni competitive e "politiche dei redditi" ...

Anche perché basta guardare i dati per capire che i salari NON sono troppo alti: sono le imposte, le tasse ed i contributi ad esserlo! Non facciamo confusione, ragazzi: lo sviluppo italiano non verrà da una "riduzione" dei salari, magari concertata fra le "parti sociali" ed il "governo". Questo, ovviamente, proporrà Voltremont, e Marcegaglia approverà, il prossimo autunno, ma quei due fanno il lavoro per cui son pagati.

P.S. Lettere, negli ultimi tempi, ne arrivano parecchie sia a me che agli altri redattori. Mi scuso per tutti e con tutti per le mancate risposte: cercate di capire, mancano sia il tempo che le conoscenze adeguate. Poiché sui temi sollevati in questa pensavo di avere qualcosa da dire ne ho approfittato.

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Ci sono 99 commenti

 

P.S. Lettere, negli ultimi tempi, ne arrivano parecchie sia a me che agli altri redattori...Poiché sui temi sollevati in questa pensavo di avere qualcosa da dire ne ho approfittato.

 

Grazie,

SV

 

Anche perché basta guardare i dati per capire che i salari NON sono troppo alti: sono le imposte, le tasse ed i contributi ad esserlo! Non facciamo confusione, ragazzi: lo sviluppo italiano non verrà da una "riduzione" dei salari, magari concertata fra le "parti sociali" ed il "governo". Questo, ovviamente, proporrà Voltremont, e Marcegaglia approverà, il prossimo autunno, ma quei due fanno il lavoro per cui son pagati.

 

Cavolo no! E cosa poi! E' possibile che capiti sul serio una cosa del genere?

Michele, timing perfetto, sto andando ora in classe a spiegare ai ragazzi i vantaggi del commercio internazionale ;-)

Un piccolissimo contributo con un esempio concreto, riferito ad un bene che tutti conoscono.

Negli anni '90 c'è stato il boom delle mountain bike, nel padovano, ad esempio  sono fioriti piccoli laboratori che montavano o verniciavano biciclette. Contemporaneamente l'unione europea istituiva pesantissimidazi antidumping contro la cina.

La protezione ha impedito lo sviluppo di (almeno) un'efficiente industria della bicletta nonostante marchi e tradizioni blasonate. Già all'inizio degli anni 2000 la tecnologia cinese superava quella europea. Certo c'erano economie di scala, ma essenzialmente dovute al fatto che la protezione europea teneva in piedi piccoli produttori inefficienti qui da noi. Mentre noi tenevamo in piedi piccoli laboratori in cina costruivano enormi impianti di montaggio e verniciatura.

Imprenditori straccioni (che si illudevano di fare soldi "disegnando" od attaccando etichette) e banche insipienti ed ignoranti hanno fatto il resto distruggendo l'industria italiana delle biciclette.

[0] Io avrei una perplessità che potrà forse ricordare i mercantilisti del XVI secolo: ho l'impressione che i cinesi non acquistino beni di consumo ma piuttosto beni d'investimento. Non acquistano bottiglie di vino, ma vigne, non abiti firmati ma industrie di tessili e confezioni. Nel frattempo acquistano diritti sulle materie prime (si comprano l'Africa - e pagano in contanti senza fare domande), chiudendo i conti in maniera asimmetrica. Nel giro di una generazione molto semplicemente ci diranno: accomodatevi fuori che ci abbiamo da lavorare.

PS. Non è la prima volta che succede: i siti archeologici cinesi rigurgitano di monete d'argento romane e medievali inviate in loco per pagare manufatti e spezie, molto apprezzati dagli europei.

E dopo che han comprato le vigne il vino a chi lo venderebbero?

E chi manderebbero a lavorare nelle vigne? Se han voglia di investire in Italia si accomodino, non potrà venircene che bene.

Stesso discorso sulle materie prime: che ci farebbero con le materie prime africane se non venderle (grezze o lavorate poco importa) a chi non le ha?

I monopoli possono essere un problema, ma a parte scenari apocalittici tipo che la produzione di petrolio dimezza in due mesi (manco su Topolino arrivano a tanto) o monopoli di materie insostituibili, alquanto difficili da organizare, chi se ne frega di chi detiene i diritti di sfruttamento? Se crediamo che stiano facendo affari d'oro dobbiamo solo metterci in concorrenza.

 

[0] Io avrei una perplessità che potrà forse ricordare i mercantilisti del XVI secolo: ho l'impressione che i cinesi non acquistino beni di consumo ma piuttosto beni d'investimento. Non acquistano bottiglie di vino, ma vigne, non abiti firmati ma industrie di tessili e confezioni. Nel frattempo acquistano diritti sulle materie prime (si comprano l'Africa - e pagano in contanti senza fare domande), chiudendo i conti in maniera asimmetrica.

 

A) Chiamali scemi... B) Che cosa ci impedisce di fare lo stesso, a parte l'avere dimenticato la favola della cicala e la formica?

Comunque non temere, se la stanno velocemente scordando anche loro. Guarda, io vivo a Hong Kong, e nei periodi in cui nella Mainland e' festa non vedo che code di turisti che parlano mandarino davanti a negozi come questo, o questo, o questi due. E non che nella Mainland manchino i negozi: il fatto e' che qui a HK non si paga l'IVA, la' si'... Il padre di una mia amica nata a Shanghai, che vive tutt'ora la', non fa che lamentare le tendenze consumistiche delle nuove generazioni e il conseguente imminente declino del paese :-)

 

Nel giro di una generazione molto semplicemente ci diranno: accomodatevi fuori che ci abbiamo da lavorare.

 

Ho i miei dubbi: negli anni '80 (quando le ossessioni mercantiliste si concentravano sul Giappone, e Lee Iacocca pionierizzava la moda dei salvataggi delle case automobilistiche coi soldi dei contribuenti in nome del patriottismo economico contro il nemico nipponico) tutti si preoccupavano di acquisti giapponesi di assets all'estero con operazioni che poi finirono malissimo per i compratori, tipo quello del Rockefeller Center da parte di Mitsubishi, o di Columbia Pictures da parte di Sony (poi soprannominato "la vendetta di Pearl Harbor": writeoff nel 1994 di 1.7 miliardi di dollari sui 3.4 pagati nel 1989 :-) ).

 

PS. Non è la prima volta che succede: i siti archeologici cinesi rigurgitano di monete d'argento romane e medievali inviate in loco per pagare manufatti e spezie, molto apprezzati dagli europei.

 

Questa fu anche la scusa per le vendite di oppio che causarono le omonime guerre. Potrebbe essere un'idea: mandiamo Voltremont a fare il pusher? :-)

 

 

PS. Non è la prima volta che succede: i siti archeologici cinesi rigurgitano di monete d'argento romane e medievali inviate in loco per pagare manufatti e spezie, molto apprezzati dagli europei.

 

Magari fosse così: vuol dire che ci venderebbero quello che producono in cambio della versione moderna delle monete romane e medievali, ossia carta straccia con scritto sopra ECB in tante lingue!

Ma, purtroppo, non è così - e nemmeno era stato così: faresti la cortesia di segnalarmi dove sia documentato che i siti archeologici cinesi rigurgitano evidenza di tesaurizzazione superiore a quella prodotta dai siti greci, egizi e romani o anche solo dai galeoni spagnoli dei secoli XVI-XVIII? - e non può essere così! Basta andare in Cina (mi domando quanti siano andati a vedere la Cina per davvero, in questa italietta che ne parla continuamente) per rendersi conto che ai cinesi piace consumare tanto quanto i milanesi o i palermitani.

Eppoi basta la logica: cosa ci fai con i beni d'investimento, se non produrre beni di consumo?

Michele, questo post è un'opera buona. Serve a chiarire ai molti che non se ne rendono conto - obnubilati da un pubblico dibattito sui temi economici che tocca inenarrabili abissi di qualità, e spaventati dalle difficoltà attuali - alcuni elementi di base che parrebbero banali ma, a quanto pare, non lo sono.

Consentimi solo un paio di aggiunte.

Al punto [2] tu dici, correttamente, che nessuno può sapere a priori su che cosa sia opportuno concentrarsi e, dunque, che ciascuno debba fare al meglio secondo le proprie capacità (anche di valutazione delle future necessità, il che ha molto a che fare con l'essere imprenditore anziché, ad esempio, medico del SSN). Ciò implica, ovviamente, che sia il caso di consegnare il Gosplan all'oblio della storia, anche nelle versioni attuali che impazzano nelle menti bacate di entusiasti fautori della green economy o di sostenitori dei programmi quali Industria 2015. Allora, sia chiaro ancora una volta che il compito di un governo è solo - e dici poco! - mettere il sistema imprenditoriale nelle condizioni di operare al meglio, non solo in termini di snellimento burocratico e di efficienza delle infrastrutture (prima tra tutte quella che deve garantire il rispetto della legalità), ma anche per quanto riguarda l'innovazione, unica strada unanimemente considerata necessaria per avere un futuro: non servono commissioni d'esperti - astrologhi? - basta consentire alle imprese di trattenere al loro interno risorse da investire. Chi le utilizzerà bene ce la farà, per gli altri ...... già ben disse Schumpeter!

Poi, al punto [4], ricordi una banale verità che risalta dalla semplice osservazione dei dati: non si può dire che siano i salari troppo alti, ma i costi per le aziende in rapporto al prodotto, il che dipende dal peso di oneri fiscali e contributivi e da una produttività non adeguata, perché cresciuta meno che altrove. Questo è ben noto anche all'interno delle associazioni imprenditoriali, tant'è che sul punto si alzano moltissime voci a ricordarlo chiedendo interventi a ciò mirati. Ma il problema, la cui genesi risiede in una complessa struttura d'interessi corporativi - di cui felicissimo esempio sono gli ordini professionali - ma pure in quella pesante inerzia culturale che porta a considerare "cosa buona e giusta" il metodo della "concertazione" e portatrice di equità la gestione pubblica dei servizi locali, si risolve sempre e solo se chi governa decide di occuparsi di ciò che gli compete e null'altro: regole e rispetto delle stesse, in modo che la macchina funzioni al meglio. E, contestualmente, nello stesso modo che citavo poc'anzi: lasciando alle imprese la possibilità economica di investire in R&D - via maestra per accrescere la produttività - invece che prosciugarne le risorse per pagare gli amici degli amici e le inefficienze strutturali.

Qui, siamo ancora fermi al concetto di "padrone grasso ed egoista" e di redistribuzione, a prescindere da quanto ci sia da distribuire .....

 

solo per dire che la risposta al 4 punto merita un'ovazione. complimenti

 

solo per dire che la risposta al 4 punto merita un'ovazione. complimenti

 

Si', pero' della bassa produttivita' sono corresponsabili i rappresentanti dei lavoratori e i loro referenti politici, che nel rapporto produttivita'/salari si sono sempre sforzati di aumentare i denominatore senza aumentare maggiormente' il numeratore (anzi spesso cercando di diminuirlo, opponendo gli aumenti di merito, il monitoraggio dei nullafacenti etc.).

Io riassumo il mio pensiero in poche parole:

Ma perchè il mio problema dovrebbe essere la Cina (e non lo è), e non il mio dirimpettaio che lavora per le ASL campane, piangendo miseria, ma vendendo con ricarichi del 3000/100 (trenta volte il costo iniziale..), e di cui, alla fine, pago i suoi (stratosferici e garantiti) profitti ?

Io vendo e venderò fino a quando sarò competitivo con l'azienda di canicattì, come quella di canton, se investo in sviluppo farò delle cose, se non investo presto o tardi mi mangiano, e non mi interessa da dove arriva lo squalo.

Sui salari/produttività ho già detto altre volte che in Italia si confonde il salario con il costo del lavoro, che la produttività differisce moltissimo a seconda dei settori produttivi: noi produciamo ancora tessile e calzature, settori a bassa intensità di capitale, alta intensità di lavoro e produttività quasi costante (bassa). Abbandonare quei settori al loro destino affinchè o si innovino (ammesso e non concesso sia possibile) o spariscano mi sembra il minimo, cosa succederà loro lo deciderà il mercato , non il Gosplan di Via XX Settembre..

Professor Boldrin,

Grazie mille per la sua esauriente risposta. Mi rimangono tuttavia poche perplessita' alle quali sono sicuro sara' capace di dare una altrettanto brillante risposta.(Non ho ancora capito bene come quotare. Ho messo le virgolette. Spero si capisca lo stesso.)

[0] Ok, capito. Grazie.

[1] Ok, mi ha convinto anche qua.

[2] "Io non faccio il programmatore centrale e non so su cosa ci si debba o non ci si debba concentrarsi".

Concordo. Ma la mia prospettiva era quella di un operatore/imprenditore. Cioe' NON era una domanda di Politica Economica. Mi faccio proprio la domanda "strategica" che si dovrebbero fare gli italiani (anche senza aspettare 10 o 20 anni).

 "Ragazzi miei, liberisti immaginari e dirigisti reali ..."

Mi dia pure del confuso o della capra ignorante! Ma dirigista... :)

[3] Concordo totalmente.

[4] "...che il problema sono i "salari troppo alti"! NO, il problema è la produttività troppo bassa! "

Forse sono un po un illuso ma a Macro 1 mi e' stato detto che i salari in equilibrio sono uguali alla produttivita' marginale del lavoro. Quindi dire che i salari sono troppo alti (evidentemente rispetto al loro valore di equilibrio cioe' alla produttivita' del lavoro) o dire che la produttivita' e' troppo bassa (evidentemente rispetto ai salari che vengono incassati) non dovrebbe essere la stessa cosa?

Se gli italiani sono pigri e lavorano poco, di per se questo non dovrebbe essere un problema. Potremmo fare gli sguatteri d'Europa. Lavare i cessi dei tedeschi per intenderci. Diventa un problema quando "costano" piu della loro produttivita' marginale. (anche a causa dei costi fiscali,etc.)

Poi certo se vogliamo migliorare le condizioni di vita dobbiamo aumentare la produttivita'! Ma la gente capira' di lavorare troppo poco solo quando verra' pagata poco. Finche' ricevono stipendi non allineati alla loro produttivita', non saranno mai incentivati a darsi da fare!

Dove sbaglio?

Grazie ancora per aver risposto alla mia lettera!! I miei piu cari saluti.

Allora, siamo d'accordo su (quasi) tutto. Su [2] non so proprio rispondere, né credo che alcuno lo sappia onestamente fare. Ogni "imprenditore italiano", ossia ogni "italiano" farà individualmente il meglio che sa fare, non vedo alternativa. Siccome di italiani ce ne sono 60 milioni, complicato dare consigli.

Poi c'è la parte politica, ossia cosa devono fare gli italiani COLLETTIVAMENTE, ma a quello abbiamo dato risposta già altre volte ed eviterei di ripetermi se non per ribadire che NON STA ALLA POLITICA DECIDERE COSA UN PAESE DEBBA PRODURRE.

[4] Spero davvero che a Macro 1 non siano così schematici, altrimenti vanno rimandati. Il mercato del lavoro è in equilibrio quando il salario reale uguaglia domanda ed offerta, punto. Se poi risulta anche uguale alla produttività marginale del lavoro, è un caso fortuito che dipende dal tipo di tecnologia (meglio, dalla rappresentazione matematica che di essa diamo) oltre che dalla specifica struttura di mercato, eccetera. Nel caso di contratti intertemporali il salario non uguaglia mai la MPL (Boldrin and Horvath, JPE 1995) ...In ogni caso, tutto questo ha implicazioni zero per la crescita.

Continuiamo il ragionamento: la differenza, positiva o negativa, fra salario e produttività (in media, più che al margine) determina il reddito da capitale. Se questo è alto a sufficienza, il capitale è contento, se non lo è se ne va. Se i salari sono troppo alti, o bassi, rispetto alla produttività media di chi li percepisce, allora avremo licenziamenti/assunzioni. In genere licenziamenti/assunzioni avvengono rapidamente (basta chiudere la fabbrica ed andare altrove, succede anche in Italia e succede spesso), quindi sono poche le situazioni in cui il salario e la produttività sono lontani uno dall'altro per tempi lunghi. Si dà però il fatto che SE il salario è più o meno uguale alla produttività e quest'ultima è bassa allora anche il salario sarà basso ... mi spiego?

La crescita da dove viene? Viene dalla produttività e solo da essa. I salari non sono la causa della crescita, né della sua mancanza. I salari sono solo il riflesso della medesima. Inutile concentrarsi sui salari, quelli si aggiustano da soli. Concentriamoci sulla produttività: come farla crescere? Perché, anche se i salari fossero sempre uguali alla MPL quando quest'ultima è bassa sempre salari da fame sarebbero, mi spiego?

Mi chiedi dove sbagli. Semplice: confondi pubblico con privato ed il salario netto con quello lordo. I salari NETTI del privato sono bassi mentre il costo del lavoro, nel privato, è molto più alto del salario netto. Siccome la produttività non cresce, i salari netti non crescono. Questo non è dovuto al fatto che ci sia rigidità al margine, al margine ci sono i precari quindi le nuove imprese che si creano hanno tutta la flessibilità salariale che vogliono. Solo che da un lato i lavoratori assumibili non sono molto produttivi (detto brutale: il giovane medio italiano sa far ben poco di utile, in media ovviamente) e, dall'altro, occorre tassarli a sangue per pagare spesa pubblica e pensione. Costoro, che già son poco produttivi, di fronte al misero salario NETTO dicono: ma chi me lo fa fare? I migliori se ne vanno e quelli che restano gli sforzi per far crescere la produttività non fanno di certo. Fine della storia.

Poiché ignori queste distinzioni non noti che le cause della mancata crescita sono (a) la bassa produttività delle imprese italiane (che non sembrano più capaci, in media, di accrescerla: perché?) e, (b) le tasse ed i contributi pagate dai dipendenti del privato, che servono per mantenere chi non fa una minchia però fanno fuggire chi sa fare qualcosa ed ha voglia di farlo. Abbassare i salari dei lavoratori del privato (perché è lì che il ragionamento si applica) con qualche misura "politico-sindacale" (tipo accordo delle maledette parti sociali) non farà lavorare di più chi già non fa una minchia. Farà solo scappare o lavorare di meno chi già produce per tutti. Mi spiego? [Domanda per i vecchietti: quale slogan di 40 anni fa sto parafrasando?]

 

 

Se gli italiani sono pigri e lavorano poco, di per se questo non dovrebbe essere un problema [...] Ma la gente capira' di lavorare troppo poco solo quando verra' pagata poco. Finche' ricevono stipendi non allineati alla loro produttivita', non saranno mai incentivati a darsi da fare!

 

E' un commento piuttosto marginale il mio, ma non capisco perchè si confonda spesso produttività con tempo speso a lavorare. Gli italiani non lavorano così poco in termini di tempo rispetto agli altri europei (v. qui). Semmai il problema è che sono in pochi a lavorare e nel tempo che trascorrono lavorando producono poco. Quanta gente tira tardi in ufficio solo per intenti dimostrativi (verso i capi) o per arrotondare con lo straordinario, senza produrre nulla di utile!

Una curiosita': ho potuto vedere direttamente come gli asiatici (in realta' quelli che ho potuto vedere di persona erano coreani, non cinesi, ma credo che l'approccio sia lo stesso) trattano il personale nei luoghi di lavoro in Africa. Il concetto di "diritti dei lavoratori", "sicurezza sul luogo di lavoro", "rispetto dell'ambiente e delle norme locali", "remore nel commercio di sostanze o merci pericolose" e "tutele in caso di incidente" non avevano alcun significato per quello che ho potuto vedere io (lo so, io non faccio statistica, ma le stesse descrizioni spaventose dell'organizzazione del lavoro e di come vengono condotti i cantieri e gli affari dei cinesi in generale mi sono stati riferiti da amici sparsi per l'Africa).

Il termine che meglio si adattava a descrivere le condizioni dei lavoratori che ho visto era quello di "schiavi", con tanto di punizioni corporali e pestaggi, celle di contenimento, lavoratori in piedi in mezzo al piazzale esposti al pubblico ludibrio con un cartello al collo per intere giornate (e dopo un po' svenivano), contratti di lavoro di 4 anni di fila senza ferie, a 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana, confinati nel deserto a 250 km dalla piu' vicina citta' per 60 dollari al mese...

Contemporaneamente, a fare cose un pelo (ma non molto) piu' specializzate, ho potuto vedere che noi europei, con la stessa tipologia di maestranze, avevamo un approccio decisamente molto diverso, se non a livello di quello che si ha in Italia, quantomeno rispettoso delle leggi locali (certamente piu' permissive per l'impresa rispetto a quelle italiane, ma le punizioni corporali e tutto il resto non sono mai venute in mente a nessuno.

Posso aggiungere che se un gruppo di operai viene rapito, l'impresa europea spende risorse per riportarli a casa, quella cinese manda un altro gruppo di tecnici e chi si e' visto ci e' visto (a dire la verita' l'impresa europea manda anche "esperti della sicurezza", se necessario, per proteggere i propri lavoratori, quelle cinesi manco gli passa per l'anticamera del cervello).

Insomma, la gestione dei dipendenti che ho potuto vedere era decisamente spaventosa (ci sono stati casi di operai che si sono suicidati impiccandosi ad un camion, sdraiandocisi sotto con un cappio al collo fissato all'assale, per quanto possa sembrare incredibile).

Questo si traduceva in un rapporto costo/produttivita' delle maestranze che le nostre non ottenevano (noi ci siamo salvati perche' avevamo un lavoro piu' qualificato da svolgere, ma ho l'impressione che di qui a pochi anni, vista la quantita' di cinesi che studia nelle universita' occidentali, questo vantaggio verra' spazzato via).

Insomma, competere con i cinesi, per quello che ho visto io, e' competere con gente che usa regole diverse dalle nostre, improponibili all'opinione pubblica occidentale e che, se dell'occorrenza, non ha problemi a sacrificare delle vite umane per raggiungere i propri scopi.

So che in passato anche noi occidentali non ci siamo fatti molti scrupoli (ed anche adesso in certi paesi se ne vedono di tutti i colori), ma credo che ripristinare la schiavitu' per stare al passo con gli asiatici non possa essere una soluzione proponibile attualmente.

Insomma per quanto riguarda l'Africa, noi occidentali in breve ne verremo tagliati fuori, se non lo siamo gia', mentre per la competizione negli altri paesi non riesco proprio ad essere ottimista.

Quale puo' essere la ricetta per non finire a fare gli schiavi pure noi?

 

 

in realta' quelli che ho potuto vedere di persona erano coreani, non cinesi, ma credo che l'approccio sia lo stesso [...]

Insomma, competere con i cinesi, per quello che ho visto io, e' competere con gente che usa regole diverse dalle nostre[...]

 

Le due frasi qui sopra mi paiono in contraddizione...

Comunque, le regole che i coreani che hai visto applicavano con i contactors locali erano probabilmente quelle comunemente applicate in quel paese (altrimenti nessuno ci sarebbe andato a lavorare). Personalmente non ho mai creduto alle dichiarazioni di diritti universali: se sono tanto universali, perche' nessuno le applicava solo qualche secolo fa? Quel che conta e' "the Law of the Land",  e sta alle autorita' locali far applicare norme consistenti con il grado di sviluppo del tempo e del luogo. Se la cosa non piace, meglio starsene in posti piu' tranquilli.

 

Quale puo' essere la ricetta per non finire a fare gli schiavi pure noi?

 

La schiavitu' non e' un tipo di rapporto sociale consistente con societa' sviluppate, ma lo e' in societa' preindustriali, e infatti fu abolita solo dopo la rivoluzione industriale. Come gia' aveva previsto Aristotele nel De Republica Atheniensium", "Se ogni macchina utensile, quando comandata o di sua spontanea volonta', potesse fare il lavoro che le spetta (proprio come le creazioni di Dedalo movendosi da sole, o i tripodi di Efesto andavano spontaneamente al loro sacro lavoro), se i telai dei tessitori tessessero da soli, allora non vi sarebbe bisogno di apprendisti per i mastri, o di schiavi per i signori." Io credo sia da ingenui fare le verginelle in merito a quel che accade in posti come gran parte dell'Africa, dove il metodo standard di risolvere i conflitti e' sterminare gli avversari col machete e lo stato di diritto e' rappresentato da persone tipo Idi Amin, Mobutu a Mugabe. Dovesse ritornare un "Medioevo prossimo venturo" (o decidessimo di spostarci a vivere nell'Africa contemporanea e vivere da locali, non da espatriati) sarebbe il caso di preoccuparci, altrimenti non credo.

Non ho voglia di mettermi a polemizzare con Enzo, al quale tutto ciò che è cinese sembra oro colato.

Nemmeno ho voglia di mettermi a polemizzare con Gilberto che, sulla base di "sentito dire" riferiti a coreani fa inferenze piuttosto drastiche e drammatiche per ciò che riguarda i cinesi.

Il senso comune ed alcuni decenni di osservazioni suggeriscono che entrambi esagerino: né è tutto oro ciò che cola in Cina (molto spesso è liquame), né i cinesi sono dei mostri dediti alla schiavizzazione dell'universo, nonostante il sostanziale e quasi "fisiologico" razzismo che li caratterizza.

Il fatto è che NON sono quelle le questioni. Che i cinesi (o gli indonesiani, gli indiani o i tailandesi ...) siano "buoni" o "cattivi" non è rilevante in questo contesto. È rilevante, forse, politicamente e moralmente. Se decidiamo che la Cina è uno stato criminale e razzista che schiavizza chi può e decidiamo di chiudere qualsiasi rapporto economico con essa, come si fece con il SudAfrica, io magari non ho da eccepire nulla (o magari sì, ma non c'entra). Ma questo fatto nulla ha a che fare con il ragionamento economico qui svolto e con il commercio internazionale.

Vogliamo fare il possibile affinché, a causa delle sue ripetute violazioni dei diritti umani, la Cina venga isolata dal resto del mondo? Facciamolo o fatelo, meglio. Isoliamoli, invadiamoli, osteggiamoli: ma l'economia non c'entra nulla di nulla, anzi economicamente questo ci farebbe danno.

Finché producono e commerciano con noi conviene A NOI produrre e commerciare con loro. Conviene a NOI, ripeto a NOI: me ne sto fottendo nel modo più assoluto degli interessi dei cinesi o di chiunque altro. Che nel commerciare con noi alcuni di loro ci guadagnino ed altri ci perdano (quelli di loro che finiscono schiavizzati, per esempio) in questo momento non mi interessa.

Il mio argomento considera solo il nostro sporco interesse commerciale.

[Caveat; a dire il vero il mio argomento considera solo lo sporco interesse di quelli fra di noi che a commerciare con loro non ci perdono ... anche fra noi ci sono quelli che, a commerciare con i cinesi, ci perdono ... io sostengo siano una sparuta minoranza.]

Rimane solo un altro caveat, però è importante. Ed è il seguente: permettendo alla Cina di commerciare con noi le permettiamo di svilupparsi economicamente e tecnologicamente. Se fosse vero ciò che pochi argomentano ma svariati sospettano, ossia che le classi dirigenti cinesi coltivano un folle sogno imperiale di dimensione mondiale, allora far questo non sarebbe una bella idea. Perché lo sviluppo economico e tecnologico implica anche quello militare. Se avete ragione di credere che gli Han abbiano l'intenzione di controllare militarmente il mondo, allora siete giustificati a far loro la guerra preventiva ed a rifiutarvi di commerciare con la Cina. Se davvero le loro sono intenzioni imperiali, allora meglio che rimangano comunisti e morti di fame per sempre, amen.

Siccome io non ne sono certo ed ho tanti amici e studenti cinesi che mi vogliono bene e persino mi onorano, mi prendo questo rischio e rimango favorevole a commerciare con loro.

Ma ammetto che a tarda notte, in svariate occasioni in cui li avevo fatti bere un po' più del normale, anche a me è sorto un angosciante dubbio ... ed ho tirato un sospiro di sollievo al pensiero che, dopo tutto, ho anche un passaporto blu e parte delle mie imposte servono per mantenere in servizio permanente effettivo queste.

 

il libro è ottimo, le critiche son corredate da dati, la lettura è scorrevole, ma sul confronto con la cina c'è un problema che è sottovalutato: non è tanto il salario come dato che è, paragonato a quello europeo, basso che dà fastidio, ma la - secondo me- quasi totale mancanza di vincoli produttivi bruxelliani  o simili (salubrità luoghi, qualità prodotti e metodi di lavorazione ISOxxx...), le tutele del lavoratore in genere e sopratutto la leva del cambio che Pechino si guarda bene da voler lasciar fluttuare e tiene inchiodato a livelli  da paese fermo e non in espansione (mi sembra tra l'altro che qui su NfA ci sia gia stata piu di una discussione in merito).

Vi riporto poi un discorso, riguardo alla produzione in genere ma riferito al miele in particolare, che spiega come mai, secondo me i dazi non sono in toto da abolire e talvolta la protezione di talune categorie di prodotti è da farsi , il discorso appartiene a Maroni, è del 2002-2003 ed è stato fatto alla fiera di montichiari.

"Un produttore di miele del bresciano, se vuole vendere miele al negoziante sotto casa affinchè quest'ultimo lo rivenda, deve seguire tutte le regole e crismi che la legislazione italiana ed europea sul miele impongono: trattamento alimentare, locali salubri, analisi del prodotto e quant'altro. un croato ( a caso) se vuole produrre miele non deve rispettare tutte queste regole, se non vuole avere problemi basta che il consumo del suo miele non comporti danni per la salute, ma non è tenuto a rispettare le stesse regole che il produttore italiano deve rispettare" è o no una distorsione il fatto che si permetta l'importazione di prodotti che non hanno gli stessi standard di produzione o quantomeno simili? il discorso fatto sulle biciclette qualche intervento piu sopra è giusto, ma se il prezzo del prodotto è inficiato da fattori quali leva del cambio manovrata a piacere (o inchiodata a piacere) e tutele zero del lavoratore, allora non è del tutto corretto dire che il proteggere una "industria" europea da chi gioca con carte truccate è cosa vergognosa ed ignobile

poi ci sono paesi, USA compresi ove dei furbetti fan concorrenza a prodotti italiani non basandosi su qualità dei prodotti ma sfruttando apparenze visive e marchi che sembrano quelli veri (come quel tale in canada che ha registrato "prosciutto di parma" in modo da fregare i produttori parmensi, o i salami etc etc etc) La concorrenza è un bene, i vincoli dovrebbero essere i meno possibili, ma le regole di base dovrebbero essere quantomeno paragonabili e i cambi liberi

E daje! Ma com'e' che ogni volta che mi trovo a parlare della situzione italiana mi sento dire: eh ma noi abbiamo la pasta piu' buona, i pomodori piu' buoni, le borsette migliori e un sacco di tempo libero! Il problema non e' che le borsettte siano belle o brutte o i pomodori buoni o cattivi, il problema e' se con le borsette e i pomodori che vendi ci fai o no i soldi, cioe' se la gente e' disposta o no a pagarli un occhio della testa i tuoi pomodori. Se si', tutto bene e ti comprati la Porche. Se no ti attacchi e vai in autobus. Tutte le storie protezionistiche vengon fuori perche' forse le borsette bellissime si comincia a far fatica a venderele a 500 euro e allora invece di dire "minchia, saran belle ma non me le comprano, quindi o abbasso il prezzo tagliando sui costi, o le faccio a parita' di costo ancora piu' belle, o mi accontento di profitti piu' bassi" si inizia a dire "non e' colpa delle mie borsette bellissime, e' colpa dei consumatori che non capiscono una fava"...e avanti a mettere dazi per spolpare il consumatore stupido e ignorante...E se invece l'impiegato con 1500 euro di stipendio mensile e famiglia a carico fosse tutto tranne che imbecille, e capisse benissimo che a lui di spendere 50 euro per il miele strafico proprio non conviene, meglio il miele da 10 ma comunque dignitoso? Guarda che il tuo ragionamento non ha nulla a che fare con le truffe alimentari (diciamo assimmetria informativa sulla qualita' del prodotto, nel qual caso una regolamentazione forse ci sta). Non mi hai detto "il nostro miele non fa star male, mentre i croati  scrivono sull'etichetta che il loro miele e' fatto secondo i canoni ISOxxx ma poi non e' vero e lo dipingono col colorante giallo che ti fa venire il cancro". Hai detto tu che "basta che il consumo del suo miele non comporti danni per la salute". Sai che c'e'? se io fossi un produttore di borsette farei un legge che obbliga tutti i cittadini/e a comprare solo borsette di Prada, che son le migliori no (e' che i cittadini non lo capiscono)?. Che benevolente che sono verso i miei concittadini, eh?

E poi 'sta storia del manipolare il cambio. Allora, a parte che devo ancora trovare qualcuno che mi spieghi cosa sia mai il cambio di equilibrio o quello di squilibrio...ma tu credi davvero che un Paese si arricchisca manipolando il cambio? Certo che, nel breve periodo, qualche movimento al cambio una banca centrale glielo puo' far fare per migliorare le esportazioni (e dare la solita botta al consumatore che importa, e a far andare i capitali all'estero come prestito agli stranieri che la roba la comprano). Ma mi dispiace tanto darti questa brutta notizia: nel medio periodo tutto quello che conta per il reddito di un Paese e' quanto sia la sua produttivita', cioe' quanto valore riesce a produrre in rapporto ai costi che sopporta. Punto. L'Italia ha fatto "svalutazioni competitive" per almeno 15 anni al fine di riaggiustare il suo cambio reale alla sua alta inflazione e qualche temporanea botta al PIL (come nel '92-93) e' riuscita a darla. Ma eccoci qua, dopo 20 anni e ancora la produttivita' e' la stessa. E che bene che si sta! Magia di quel pezzo di carta che si chiama moneta, eh?

Scusa il tono, ma queste fregnacce le racconta la Lega ad ogni comizio di imprenditori del Nordest. E' questa la nuova classe dirigente del Nord? Apposto siamo (siete)!

 

Mi chiedo se Maroni avrebbe fatto un discorso del genere nel 1950, in riferimento alla concorrenza sleale che, con i suoi metodi di produzione schiavistici, la FIAT stava allora facendo a Ford, General Motors e Chrysler ...

No, Maroni ha torto come ha torto Voltremont. Temo proprio che in Italia il lavaggio del cervello sia oramai riuscito a livello di massa.

Se ci saranno le forze, ci si ritorna questo week end con un post ad hoc. Ora devo fare le tasse, che faccio parte di quel 10% della popolazione USA che paga il 75% del totale delle imposte dirette ...

vero, una volta i furboni eravamo noi: in valtrompia  e valsabbia col tondino ad esempio si facevano sconti sulle partite di ferro mascherate da penali per finti ritardi(ti serviva un lotto di ferro per il 10? allora te lo vendo a 100, ma sul contratto segno che devo consegnarlo il 5, così te lo consegno il 10 con una penale di 20 che per te acquirente risulta alla fine uno sconto), pero non si può negare che è difficile giocare contro qualcuno che può produrre in maniere e con caratteristiche  di prodotto che magari al compratore non interessano (quanti si preoccupano di come è prodotta la borsetta che comprano e delle condizioni del lavoratore? nessuno! costa meno e la si compra), ma che il tuo stato non ti permette di ignorare (prova a non pagare i contributi INPS, dopo 20 gg inizian le raccomandate..)

Gli stati uniti poi non son questi santoni della concorrenza libera mondiale : su ferro e altri prodotti fan la guerra all'ue coi dazi anche per via degli ogm e sui marchi italiani giocan sporco, come pure ripicche sui vini (vedi all'invasione dell'iraq coi francesi e le "liberty fries" -senza sapere forse che le french fries son belghe-) è troppo sperare in fair play?

buona dichiarazione!

Salve a tutti è un po' che leggo e ora provo a dare il mio contributo, considerando le mie conoscenze in campo economico mi aspetto di essere corretto e contraddetto spesso, almeno si impara.

Finito il preambolo stucchevole da newbe la mia considerazione è questa:

Perché tutto questo terrore della Cina ora, mentre per gli USA, o il Giappone no? Mi spiego, l'Italia non è più il centro economico del mondo da quanto? Dalla fine delle Repubbliche Marinare? (o forse nemmeno da allora?)

Siamo sempre stati attaccati a qualche locomotiva estera, a volte più a volte meno, non si potrebbe valutare la Cine in quest'ottica? Essere partner dei cinesi invece che concorrenti?

O forse esiste una qualche strategia (valdia) per azzoppare il drago? E poi, sarebbe una buona idea?

 

 

Perché tutto questo terrore della Cina ora, mentre per gli USA, o il Giappone no? Mi spiego, l'Italia non è più il centro economico del mondo da quanto? Dalla fine delle Repubbliche Marinare? (o forse nemmeno da allora?)

 

Perche' la classe dirigente del piffero che l'Italia si ritrova (politici, sindacalisti e "imprenditori" assistiti) non ha capito che non si puo' viaggare in prima classe col biglietto di seconda, e invece di porre le condizioni per muovere la produzione su fasce alte di mercato ha preferito adagiarsi sul passato: cioe' in prodotti a basso valore aggiunto che l'Italia tradizionalmente riusciva a esportare a causa dei bassi salari, delle quote all'import e delle periodiche svalutazioni competitive. Ora le quote all'import sono largamente scomparse (vedi p.es. la fine del Multi-Fibre Arrangement nel 2005), le svalutazioni sono state rese impossibili dall'ingresso nell'Euro, e indovina cos'e' restato a farci competere con produttori a basso costo come la Cina...

E il bello e' che invece di cambiare registro (magari dando la colpa ai dirigenti passati, che e' lo standard in politica e stavolta sarebbe pure giustificato) e riconoscere il danno fatto da molti decenni di protezionismo e corporativismo, gli attrezzi che stanno ora al governo rivendicano la validita' di queste scelte demenziali! Giorni fa ad Annozero Voltremont rispondeva alle critiche di Piercamillo Falasca (uno dei pochi liberali all'interno del PdL) ripetendo la solita solfa che l'Italia sta meglio del resto dell'Europa perche' la' l'economia era drogata dal credito (ma sulla Germania, che e' anch'esso un paese esportatore, ha saputo solo balbettare che "la Germania e' la Germania", come se tutto dipendesse dal parlare tedesco anziche' dall'esportare BMW anziche' calzini), e che se qualcosa va male e' per colpa delle "liberalizzazioni fatte dalla sinistra". Poveri noi.

 

a) non è questione che la legge funzioni o meno ma el fatto che chi la applica sia piu o meno partigiano o piu o meno persuaso a favorire la parte compatriota (vedi le migliaia di casi in ballo in cina per copiature) però di norma si, hai ragione tu, ma non era questo che intendevo

b) non faccio colpa al croato del miele di prima se ha meno burocrazia, dico che è concorrenza sleale che lui possa vendere in europa senza sottostare alle stesse regole: se a regole pari o comparabili io perdo contro di te è un conto, se a regole non comparabili io perdo, non si possono certo fare miracoli o vendendo perennemente "sottocosto", chiudo dopo 4 mesi e non per mancanza di capacità mie, ma perchè il gioco è truccato

c) Pechino influenza il cambio con acquisti di moneta estere (davvero, credo che altrove qui su NfA se ne sia parlato ma credo che in qualuque articolo sulle riserve di pechino se ne parli) e immette sul mercato estero moneta nazionale  attraverso acquisti di divise estere, in tal modo credo riesca  a non creare inflazione all'interno e tiene bassa la valutazione mondiale, e siccome è grande, potente commercialmente e potenzialmente autosufficiente, e soprattutto, ha buona parte di debito USA, nessun dubbio sul perchè gli venga permesso farlo

d) la produttività italica lascia a desiderare, e ripeto: se a condizioni comparabili o non tanto differenti loro ci battono è un conto, è giusto e onore al vincitore, ma il trucco è davvero lapalissiano e per restaurare una certa parità di condizioni di gioco, non per il favorire i settori nazionali a prescindere,qualcosa va pur studiato

 

c) Pechino influenza il cambio con acquisti di moneta estere (davvero, credo che altrove qui su NfA se ne sia parlato ma credo che in qualuque articolo sulle riserve di pechino se ne parli) e immette sul mercato estero moneta nazionale  attraverso acquisti di divise estere, in tal modo credo riesca  a non creare inflazione all'interno e tiene bassa la valutazione mondiale, e siccome è grande, potente commercialmente e potenzialmente autosufficiente, e soprattutto, ha buona parte di debito USA, nessun dubbio sul perchè gli venga permesso farlo

 

Scusa, ma mi spieghi un po' meglio che cosa intendi? La moneta nazionale Pechino non la "immette" affatto sul mercato estero, dato anche che lo Yuan non e' convertibile in conto capitale; le divise estere le ha perche' quello che vende le e' pagato in divise estere! In parte le utilizza per comprare quel che importa, e con il resto accumula riserve valutarie. Queste sono investite in misura limtata in assets esteri (tramite una finanziaria di stato chiamata CIC, China Investment Corporation, costituita nel 2007 sul modello di altri "fondi sovrani" come GIC e Temasek di Singapore), il GPF norvegese, il KIA del Kuwait e decine di altri).

Al momento la Cina ha riserve valutarie di circa 2500 miliardi di dollari, di cui si stima che circa i due terzi siano espresse in dollari; CIC ha una dotazione di qualche centinaio di milioni, quindi una frazione neppure tanto grande del totale. Il resto e' per lo piu' investito in titoli di stato, e va ad alimentare il debito pubblico di vari governi, il principale dei quali e' quello degli Stati Uniti. In altre parole: la Cina sta comportandosi come un venditore che fa credito a clienti spendaccioni, e nel frattempo accumula cambiali -- e si assume il rischio che tali clienti un giorno dicano che non possono pagare, e/o si stampino in cantina i soldi per pagare (pertanto deprezzando il loro debito). Ti pare una mossa tanto diabolica?  A me sembra un po' da polli, e il bello e' che i dirigenti cinesi se ne rendono conto.

Qual e' quindi il motivo per cui continuano? E' opinione popolarmente diffusa che lo facciano per mantenere bassi i prezzi all'export e guadagnare un "vantaggio sleale". Ma considera un importante fatto: tra la meta' e i due terzi della popolazione cinese vive ancora nelle campagne, e non vede l'ora di inurbarsi e guadagnare di piu' in fabbrica. E' questo, e non la repressione politica dei diritti sindacali come si pensa in Europa, che tiene i salari relativamente bassi (anche se in crescita): l'eccedenza di manodopera rappresenta quello che un marxista della vecchia scuola chiamerebbe "esercito industriale di riserva". Quest'eccedenza di offerta di forza-lavoro fa' si' che se la Cina rivalutasse rapidamente lo Yuan, la riduzione della produzione per l'export forzerebbe un abbassamento dei salari interni anziche' una perdita di competitivita' internazionale. In altri termini, i costi di produzione in Yuan si abbasserebbero, e resterebbero circa uguali in termini di valute straniere; l'unico risultato pratico sarebbe deflazione interna. Questo e' gia' successo, e in un paese con eccesso di capacita' ben inferiore a quello della Cina: e' il caso del Giappone dopo l'Accordo del Plaza del 1985, quando quel paese si lascio' convincere ad abbracciare la rivalutazione dello Yen per fare un favore agli Stati Uniti. Risultato: decenni di deflazione, crisi finanziaria e stagnazione che si trascina fino ai giorni attuali. E' questo l'incubo principale per i dirigenti di Pechino, che hanno scommesso il loro futuro sullo sviluppo economico e non possono permettersi di rallentarne la corsa per paura di finire come il loro ex-colleghi in URSS ed Est Europa. Un incubo minore, ma sempre importante, e' quello dell'instabilita' finanziaria che si potrebbe venire a creare con uno Yuan convertibile in conto capitale se un'improvvisa crisi economica causasse una fuga di capitali. La Cina si scampo' gli effetti della Crisi Asiatica del 1998 proprio grazie alla non-convertiblita', e all'epoca venne lodata per non avere svalutato dagli stessi che ora si lamentano che la non-convertibilita' impedisca una rivalutazione.

Per finire, una nota sul "permesso di farlo". La politica monetaria di ogni paese (che tra le altre cose determina direttamente o indirettamente i tassi di cambio) non e' MAI decisa dal mercato, ma dal locale governo: e' una delle piu' importanti componenti della sovranita' nazionale. E a parte cio', un sistema di cambi fissi ottenuto tramite vincoli alla convertibilita' in conto capitale non e' poi questa abominazione mai vista: era parte del sistema di Bretton Woods creato dagli omonimi accordi nel secondo dopoguerra e durato fino alla crisi del 1972 (e periodicamente rimpianto dai Voltremont della terra che sstematicamnete invocano "una nuova Bretton Woods"); in in molti paesi occidentali, i limiti ai movimenti di capitali attraverso i confini nazionali furono gradualmente smantellati solo nel corso degli anni 80.

 

b) non faccio colpa al croato del miele di prima se ha meno burocrazia, dico che è concorrenza sleale che lui possa vendere in europa senza sottostare alle stesse regole: se a regole pari o comparabili io perdo contro di te è un conto, se a regole non comparabili io perdo, non si possono certo fare miracoli o vendendo perennemente "sottocosto", chiudo dopo 4 mesi e non per mancanza di capacità mie, ma perchè il gioco è truccato

 

Insomma vorresti che l'euroburocrazia in salsa amatriciana venisse imposta in altri stati. Capisci che questo è oltre che implausibile anche irragionevole, no?
Il gioco è si truccato ma chi bara lo hai in casa. Invece di cercare soluzioni protezioniste o improbabili imposizioni burocratiche a stati terzi, perché non impegnarsi a far pressioni ai propri candidati politici affinché aboliscano questi impedimenti burocratici?
Ok, lo so, con la democrazia rappresentativa sarà molto difficile che questo succeda, ma non hai scelta.

A cosa serve per il prodotto finale tutta quella burocrazia? A niente, infatti il croato la evita e ti vende un buon miele ugualmente.

 

Mi sono testé registrata allo scopo di ringraziare. Ho studiato lettere, e forse a causa di questa formazione l'economia mi è sempre stata terribilmente indigesta. Leggendo NfA sta diventando pian piano sempre più chiara, e persino bella. L'ultimo post di Boldrin è un chiaro esempio del perché.
Torno a fare la lurker, grazie ancora.

[2] mi ricorda tanto i recenti incentivi settoriali...

Un paio di considerazioni personali sulla "concorrenza sleale".

In alcuni commenti ho notato la tendenza di vedere negli "altri" (coreani, cinesi, croati o chi per essi) la tendenza ad avvantaggiarsi del mancato rispetto delle regole per buttare fuori mercato i concorrenti onesti.

Nella mia, seppur breve, esperienza lavorativa nel settore metalmeccanico ho notato che comportamenti sleali li si trova anche a casa nostra e per un motivo molto semplice: siamo un mercato "price sensitive" dove ci si fa concorrenza al massimo ribasso, perchè in tanti fanno prodotti a bassissimo valore aggiunto e bisogna abbassare i costi di produzione.

Così ci si affidanda a conto terzisti "cantinari" di dimensioni piccole o piccolissime e ci si trova in queste situazioni (aziende italiane):

  • condizioni disumane di lavoro, vedi settore pulitura dei metalli, con macchine senza protezioni in ambienti insalubri (gente che lavora letteralmente coperta di polvere di alluminio)
  • utilizzo massiccio di manodopera in nero (dove per entrare nel capannone anonimo dell' "azienda") devi suonare il clacson ed aspettare che da dentro controllino che non ci sia la polizia...
  • impianti produttivi vecchi, in molti casi autocostruiti dalla stessa azienda (non vi dico con che risultati da terzo mondo) senza accorgimenti di sicurezza o sistemi di abbattimento inquinanti "pro forma" (tanto per fare scena, poi li tengono spenti perchè costa farli funzionare)
  • scarsissima pianificazione della produzione ed addestramento personale inesistente o fai-da-te

Il paradosso è che queste micro realtà lavorano magari per aziende (medie o grandi) ipercertificate e che ricevono controlli periodici dall'arpa e dalla GdF. I piccoli si salvano perchè spesso non sono oggetto di controlli o, quando lo sono, cercano di tappare il problema con un intervento di facciata.

La cosa triste poi è che negli ultimi anni ho portato soltanto in paesi emergenti know how ed impianti avanzati ad alto grado di automazione, perchè in Italia non c'è mercato... Paradossalmente, ci si trova in paesi con un basso costo della manodopera ad installare impianti ad alta produttività che richiedono al massimo 5 persone per gestire un capannone da 100m mentre in Italia ci si ritrova con impianti vecchi e rattoppati che richiedono 20 persone per produrre la metà. O con la condizione pietosa dei conto terzisti di cui sopra.

---

Divagando su altri settori spenderei due parole sul come lavorano certi elettricisti in ambito civile: delle certificazioni di conformità (che prima ancora che essere carta significano collaudo e controlli) farlocche e delle "bestemmie tecniche" che si vedono realizzate in giro.... ecco anche questa gente che non è in grado di lavorare secondo la legge e la norma tecnica (perchè non si aggiorna o per semplice incapacità) spinge i prezzi al ribasso e butta fuori dal mercato chi invece lavora bene: usare materiali adeguati, produrre documentazione tecnica corretta ed attenersi alle norme costa.

Il cliente non se ne accorge fintanto che non succede qualcosa e saltan fuori le magagne...

E anche in questo caso è possibile che chi ha sbagliato non paghi: per un impianto civile difettoso hanno chiamato in tribunale me (ex proprietario) e non hanno fatto nulla (nemmeno interpellato) chi lo aveva costruito e certificato con tutte le responsabilità del caso secondo la vecchia legge 46/90....

Quanto detto sopra, purtroppo, è parte integrante di quel "made in Italy" che comprende anche tanta gente seria.

 

Per chi lavora nell'industria, quelle riportate nell'articolo di sotto sono ovvieta`.

Per gli altri... non so.

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/16-aprile-2010/america2-outsourcing-inversione-U.shtml

 

 

 

Non solo, i cinesi dovranno pur voler comprare qualcosa con ciò che guadagnano, o no?

 

Questo specifico punto meriterebbe un approfondimento.

Mi sbaglio o se i guadagni fossero estremamente concentrati in poche mani, potrebbe non essere così ovvio che chi guadagna voglia utilizzarne l'intero ammontare per "comprarsi qualcosa"?

Prendiamo l'ipotesi estrema (assurda, ma tanto per intenderci): un unico abilissimo cinese, il signor Han, si prende tutto il guadagno, dopodiché, spendendo una quota risibile di questo guadagno, vive da supernababbo. Ma tutto il resto lo mette nel materasso o lo accumula in qualche banca di Antigua anche perché, pur amando il signor Han spendere 5000 euro a cena al ristorante, e pur essendo abilissimi gli imprenditori della ristorazione a mungerlo, le cene nella vita del signor Han sono pur sempre solo qualche decina di migliaia.

(Ovviamente l'ipotesi estrema opposta prevede che tutti i cinesi guadagnino il minimo: e allora sì, in questo secondo caso, i cinesi dovrebbero spendere complessivamente tutti i loro guadagni per sopravvivere, pur a parità di guadagni totali con il caso precedente).

In altri termini l'eventuale concentrazione dei guadagni non metterebbe - almeno a livello teorico - un po' di sabbia nel meccanismo ipotizzato, sia che si triangoli attraverso la Germania, sia che si tratti direttamente di Italia-Cina?

O anche, allontanandoci per un attimo dal commercio internazionale e dalle vicende del signor Han, se i 10/100/1000 più ricchi d'Italia invece di investire o di spendere i loro guadagni, si limitassero ad accumularli nel materasso o a versarli in conti bancari di qualche paradiso fiscale, questo non incepperebbe un po' il circolo virtuoso descritto?

 

 

 

 

Marco, ha già detto VincenzoP molto chiaramente. A meno che la gente tenga DAVVERO E LETTERALMENTE, carta moneta nei cassetti di casa o nel frigo, qualsiasi processo di accumulazione di ricchezza implica che "qualcosa" venga comprato. Considera alcuni esempi:

- se li metti in banca questa dovrà investirli perché rendano almeno l'interesse che ti paga, no?  Qualcuno, con quei soldi, qualcosa dovrà comprare: la carta moneta non genera magicamente dei rendimenti (a meno di deflazione generalizzata e persistente, cosa rarissima);

- se li investi in debito pubblico, stai finanziano spesa pubblica;

- se compri azioni stai finanziando investimenti;

- se compri gioielli, tappeti, quadri, rubinetteria dorata, metalli preziosi, ville con vulcani, puttane, cocaina, champagne, arazzi e curiazzi, sempre i prodotti del lavoro di qualcuno stai acquistando ...

... eccetera.

Con una eccezione: se investi sempre e solo in derivati, allora tu (direttamente) non stai acquistando nessun bene specifico. È un po' come se tu stessi passando tutto il tempo al casinò, senza mangiare/bere e facendo sempre scommesse. Però, anche qui, alla fin fine la cosa deve finire. Perché, o ben vinci sempre (ed allora sbanchi, diventi l'uomo più ricco del mondo e poi .. poi cosa fai con tutti quei soldi? Te li tieni in frigo?) oppure qualche volta perdi, ed allora i tuoi soldi vengono dati ad un altro che, bene anche lui passa il tempo a giocare solo con derivati oppure li investe da qualche parte. Poiché, tipicamente, l'altro che ti ha venduto il derivato è uno che ha fatto un investimento "produttivo" (quello che sottostà al derivato medesimo) è chiaro che tutte le volte in cui la scommessa la perdi tu una parte dei tuoi soldi va ad uno che "investe per davvero" (esempi: quelli che avevano assicurato MBS via CDS, quelle volte che hanno pagato hanno finanziato l'acquisto di una casa; quelli che avevano assicurato i comuni con swaps sugli interessi, se i tassi fossero saliti anziché scesi avrebbero pagato ai comuni che avrebbero speso quei soldi, eccetera).

In sostanza, la distribuzione del reddito non altera il ragionamento nell'aggregato. Però, e questo è importante, lo altera nella composizione della domanda. Il tipo di beni che verranno acquistati cambia a seconda della distribuzione del reddito: cambiamenti drastici nella medesima, o in quella della ricchezza come avvenuto a seguito del crollo dei mercati immobiliari, cambiano drasticamente la COMPOSIZIONE della domanda. Il che spiega disoccupazione e crisi: muratori, imbianchini, produttori di mobili e frigoriferi, agenti immobiliari e via dicendo hanno perso il lavoro ...

Marco, prendiamo nota di questa cosa, che è MOLTO rilevante :-)

P.S. Vedo che nel tuo secondo commento hai già notato l'eccezione costituita dai derivati. Non ve ne sono altre: i conti nelle varie isole non sono semplicemente "frigoriferi" al sole, ma veicoli per trasferire i fondi in questione in progetti d'investimento evitando il controllo fiscale e conseguente carico. Dal punto di vista della "domanda di beni" non sono diversi dal conto in banca all'UniCredit :-) Idem per gli investimenti in azioni, che vanno a finanziare l'attività dell'azienda in cui investi. Insomma, qualsiasi investimento genera domanda, anche se diversa in composizione da quella che il consumo genera. Le "scommesse pure" (derivati e partite di poker) non generano direttamente domanda. Ma come è improbabile un mondo in cui la gente passi tutto il tempo a giocare a poker, e nient'altro, così è improbabile un mondo in cui non si faccia altro che acquistare e vendere derivati.

 

 

quei soldi dovrà investirli, che vuol dire prestare soldi a qualcun altro (aziende, stati),

 

Investire soldi, se non ricordo male, oltre che prestare soldi a qualcun altro (tipo obbligazioni o titoli di stato) potrebbe voler dire anche acquisire quote di compagnie (tipo azioni) tralasciando i derivati per semplicità. Ma non è questo il punto.

Il mettere i soldi nel materasso sarà improbabile, ma chi se ne importa? Da un punto di vista teorico funziona lo stesso. Possiamo o non possiamo domandarci cosa succederebbe se chi ha i soldi li tenesse lì senza spenderli? E allora facciamolo: cosa succederebbe?

Se il materasso piace poco, perché improbabile, si prendano i più probabili conti correnti in banche di Antigua o delle Isole Cayman. Se i maggiori patrimoni del pianeta invece di essere spesi fossero semplicemente versati in conti off-shore, (magari anche solo per evadere il fisco senza re-investirli come già di fatto in parte succede), questo rallenterebbe, sia pure di poco, il modello di circolo virtuoso ipotizzato da Boldrin?

Colgo la maliziosità del riferimento all'uguaglianza, ma dell'aspetto etico e sociale non me ne potevo curare di meno nell'esporre i dubbi che mi erano sorti. Vero è che chi dispone di poco capitale, non può permettersi di immobilizzarne, mentre chi ne ha di più può eventualmente farlo, ma della cosa mi importava solo in funzione dell'efficienza del modello descritto.

In un conflitto commerciale tra due grandi compagnie, una amministrata da un fondo di investimento e una - che so - da un singolo tycoon thailandese, dovremmo fare il tifo per la prima, perché in linea di massima spalma i guadagni su più persone non particolarmente abbienti che poi - più verosimilmente - saranno immediatamente obbligate a spenderne una bella fetta dandoci - alla fin fine, qualsiasi lavoro facciamo - da lavorare, mentre nel caso del tycoon saremmo costretti ad aspettare che il miliardario si degni di investire il capitale?

 

 

 

 

Se il materasso piace poco, perché improbabile, si prendano i più probabili conti correnti in banche di Antigua o delle Isole Cayman. Se i maggiori patrimoni del pianeta invece di essere spesi fossero semplicemente versati in conti off-shore, (magari anche solo per evadere il fisco senza re-investirli come già di fatto in parte succede), questo rallenterebbe, sia pure di poco, il modello di circolo virtuoso ipotizzato da Boldrin?

 

Ma anche in Antigua o Cayman le banche mica mettono i soldi sotto giganteschi materassi offshore, o li investono in locali piantagioni di banane: in genere si tratta di filiali di grosse banche internazionali, che riinvestono onshore i capitali raccolti offshore. Infatti spesso neanche hanno loro codici SWIFT per ricevere i bonifici: ti dicono "mandate i soldi sul conto a nostro nome nella banca XYZ di Londra/Francoforte/New York/ etc., e nella causale specificate il vostro nome e numero di conto con noi". Almeno qualche anno fa Barclays, e successivamente la sua JV con CIBC chiamata First Caribbean International Bank (ora controllata unicamente da CIBC) offriva servizi di "banca virtuale" in Bahamas a banche che volevano raccogliere depositi offshore ma erano troppo piccole per metter su una presenza propria.

Spero di non dire una cazzata gigantesca, ma credo che anche se il signor Han tenesse i soldi in un deposito stile PdP credo cambierebbe poco.

Oggi i soldi son solo carta straccia, valgono solo perchè circolano in quantità limitate, e se il signor Han li accumula ne aumenta il valore, consentendo alle banche centrali di stamparne altrettanti senza finire come lo Zimbabwe.

Quindi potremmo comprare (meglio, potrebbero le banche centrali) tutti i prodotti delle Han industries (dovrà pur produrre qualcosa per arricchirsi tanto) con dei pezzi di carta colorata che possiamo stampare a volontà e con pochissimo sforzo.E se non li vendesse Han qualcun'altro lo farebbe e neghi l' ipotesi di partenza.

Poi certo, quando Han muore e gli eredi cominciano a spendere ed investire hai iperinflazione, a meno che il governo cinese sia abbastanza saggio da sterilizzarla (che so, mettendo limiti a quanto uno può spendere/investire in un'anno, o tassare al 100% le eredità sopra un tot e bruciando i soldi così ottenuti dall' eredità Han).

Se il materasso piace poco, perché improbabile, si prendano i più probabili conti correnti in banche di Antigua o delle Isole Cayman. 

Credo ci sia un equivoco di fondo, che però mi pare ricorra spesso. Le banche (alle Cayman, a Roma, a Beijing, a NY...ovunque) di mestiere raccolgono depositi e ne investono una gran parte in "attività" o, in altre parole, usano una porzione dei depositi per fare prestiti (dal mutuo subprime alla linea di credito per il joe the plumber, all'acquisizione di partecipazioni nella società di ingegneria biomedica tal dei tali). Quindi solo decidendo di depositare i soldi in banca il meccanismo lo alimenti. Se letteralmente ti tieni i soldi nel materasso, allora il meccanismo non lo alimenti.

 

 

Provate a dare un'occhiata a questi grafici. Sono una mia elaborazione su un confronto tra produttività e costo del lavoro tra Cina e USA. Se non ho fatto cazzate, questi dati dicono:

1-A parità di produttività, la Cina avrebbe maggiori salari per ora.

2-In Cina i salari aumentano più della produttività, mentre negli USA è il contrario.

Si, è vero, ci sono spiegazioni semplici a questo. Tipo che in Cina i salari partono da un livello bassissimo, eppure, se non ci sono errori nel mio ragionamento (non intendendomi io di produttività), per ottenere la stessa produttività in Cina ci vogliono più operai. Al prezzo medio dei salari, il numero di operai cinesi che uguaglia la produttività USA costerebbe più del singolo operaio USA.

Se queste cose che dico avessero un senso (potrebbero non averlo...), allora ci sono grosse possibilità di competere con i cinesi anche sul costo del lavoro, basta focalizzarsi sulla produttività (come diceva Michele mi pare). I cinesi, hanno questo svantaggio di salari che tendono a crescere più della produttività mentre, almeno in US, la cosa è opposta. Questo non dovrebbe favorire il capitale e gli investimenti?

Alessio, grafici molto interessanti. Che, dalla metà degli anni '90 del secolo scorso, la produttività del lavoro negli USA sia aumentata leggermente più dei salari è cosa che molti hanno sostenuto (vado di fretta ma se necessario cerco references). Uno dei problemi chiave è se i salari sono davvero lordi in questi calcoli o sono al netto dei costi di assicurazione sanitaria. Esiste tutta una letteratura che sostiene, basically, che tutti i guadagni di produttività che non si son riflessi nei salari son finiti a pagare i maggiori costi di assicurazione sanitaria.


Sul resto, per interpretare meglio i tuoi dati sarebbe necessario che tu spiegassi che dati usi, esattamente. In particolare: le tue misure di "produttività" COME sono calcolate? Grazie.