Autarchia a 5 Stelle

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Anche se è passato un po’ di tempo, ritengo utile soffermarsi sulle parole che Di Battista ha condiviso con il mondo a mezzo Facebook verso la fine di Agosto.

 

Sono i diritti che ci rendono esseri umani, cittadini sovrani e non sudditi. Noi vogliamo sovranità. E la sovranità non è né di destra né di sinistra. È nostra. Vogliamo mangiare quel che produciamo e produrre quel che si mangia. Vogliamo sovranità alimentare. Non olio tunisino o arance marocchine. Vogliamo una nostra moneta stampata da una nostra banca. Perché la moneta è dei popoli, non delle banche private. Vogliamo sovranità monetaria. E vogliamo sovranità politica. Basta con l'intermediazione dei partiti. Ognuno deve diventare politico di se stesso altrimenti è finita.

Dato il peso (sicuramente mediatico) dell’individuo e la gravità di queste affermazioni, vale la pena prenderne nota e farci anche qualche riflessione, per ovvia che possa sembrare.

In poche righe, il Nostro descrive un programma politico che ha un solo nome: autarchia.  Questo programma ha tre pilastri:

  1. azzeramento del commercio alimentare con l’estero

  2. ritorno alla Lira

  3. azzeramento delle organizzazioni politiche (presumo rimarrà solo il “non-partito”)

Se tutto questo vi ricorda degli eventi successi in Italia nel periodo che va dagli anni ‘20 agli anni ‘40 del secolo scorso, sappiate che è perché è proprio così.

Ma cosa succederebbe se si attuasse quello che dice Di Battista?

Innanzitutto l’Italia dovrebbe produrre tutto il cibo di cui ha bisogno, ma non un grammo di più (dai, contiamo anche le scorte per gli imprevisti).  Questa affermazione può implicare due casi:

  • Caso 1: non produciamo abbastanza cibo; riusciamo evidentemente a nutrirci perché produciamo altro (beni o servizi) che vendiamo in cambio di moneta con la quale compriamo da altri derrate alimentari.  Questo si può verificare (caso 1.a) perché non abbiamo scelta dal momento che non ci sono abbastanza risorse naturali per coltivare tutto il cibo di cui abbiamo bisogno o perché (caso 1.b) abbiamo scoperto che ci conviene far coltivare ad altri la verdura e noi preferiamo fare altri lavori meglio pagati.  Nel caso 1.a il programma di Di Battista è semplicemente irrealizzabile (ormai l’agro pontino è stato bonificato), mentre nel caso 1.b vuol dire togliere risorse ad attività più produttive per riallocarle alla produzione di cibo, cosa che diminuisce la produttività (siamo già troppo produttivi, meglio non esagerare) e di conseguenza aumenta la nostra povertà.

  • Caso 2: produciamo troppo cibo e quindi destiniamo parte delle risorse naturali a beneficiare lo Straniero™, poco importa che così facendo ci venga corrisposta una controparte in moneta corrente di cui possiamo disporre come meglio crediamo.  Dal momento che le risorse impiegate nella produzione di cibo non sono allocate su altro possiamo dedurre che non ci siano altre attività che possano portare un valore aggiunto paragonabile, quindi quelle che verrano liberate per ridurre la produttività alimentare (di nuovo, siamo troppo produttivi!) dovranno essere dedicate a lavori che porteranno meno guadagno, aumentando di conseguenza la nostra povertà.

Chiaramente è un mix dei due casi, in particolare quando pensiamo che vista l’eterogeneità dei beni alimentari è verosimile immaginare che alcuni verranno prodotti in eccesso per il commercio estero e altri verranno importati perché non prodotti (sia per impossibilità o per scarsa convenienza) sul suolo nazionale.  

Volendo essere più precisi, non è facile reperire i dati sul commercio internazionale di beni alimentari, perlomeno non con un impegno di risorse proporzionato alla scrittura di un breve articolo come questo, ma qualcosa è possibile fare.  Ci sono poi problemi metodologici: confrontiamo Euro?  Quantità?  Calorie?  Sono confrontabili 1.000 € di caviale importato con 1.000 € di pasta esportata?  Tagliamo la testa al toro e confrontiamo Euro e quantità (in peso): solo considerando l’Unione Europea, in entrambi casi abbiamo una bilancia commerciale in attivo (non sono stupito); assumiamo che questo sia la situazione anche a livello globale.  L’effetto generale aggregato sarà quello del caso 2, o almeno così sembrerebbe, con risorse che verrebbero liberate a forza da un surplus di produzione e destinate ad altro; evidentemente, come dicevamo, in cambio di un minor compenso netto globale, altrimenti si sarebbero riallocate autonomamente.

La sostanza è quindi (ma lo sarebbe anche se la nostra bilancia commerciale fosse in deficit) che il programma di Di Battista (d’ora in avanti “PDB”) non ha come output altro che non sia l’impoverimento del nostro già misero Paese (anche se la carenza maggiore che si soffre non è quella di beni materiali, ma con il PDB si può ovviare anche a questo).

Inoltre, dal momento che abbiamo bisogno del commercio estero per importare perlomeno energia e materie prime non alimentari, sarebbe interessante sapere come si pensa, all’interno del PDB, di ottenere il surplus produttivo per accedere ai suddetti scambi.

Riguardo alla sovranità monetaria, proprio qui ne avevo già parlato e detesto ripetermi.  Mi si permetta però di notare che per fortuna il PDB prevede l’abolizione di una discreta fetta del commercio estero, perché dubito che detta valuta sarebbe utilizzabile a tale scopo.  Il Nostro dice “sovranità monetaria” intendendo “svalutazione competitiva”, che altro non è che sinonimo di “abbassiamo i salari con decisioni unilaterali per far costare di meno i nostri prodotti”.  In pratica all’estero dovranno comprare i nostri prodotti (non quelli alimentari, però) a prezzi più bassi, ottenuti pagando di meno (in termini reali) i lavoratori italiani.  In sostanza, diamo risorse allo Straniero™ facendo pagare il conto agli Italiani.  Comunque, anche qui la conseguenza diretta del PDB è maggiore povertà.

Il terzo punto del PDB è quello con meno conseguenze indirette dal punto di vista macroeconomico, ma è significativo che vengano stigmatizzate le associazioni a fini politici: i partiti non piacciono, e nell’Italia a 5 Stelle non devono esistere.  Sembrerebbe che non ci sia nulla da eccepire in questa posizione, dopotutto non ha mica stigmatizzato il fatto che ognuno possa avere la propria idea politica, ma mi permetto un’analogia economica: un punto fondamentale delle democrazie occidentali è la difesa delle minoranze, in politica come in economia.  In economia si cerca di evitare le perdite secche dovute ai monopoli (ad esempio) attraverso normative antitrust, che solo qualcuno di particolarmente disonesto può pensare che siano un qualcosa di comunista: serve concorrenza, le rendite di posizione provocano inefficienza portando guadagni indebiti a chi ne gode e perdite secche a chi ne è escluso.  La chiave è fondamentalmente una: difendere chi è più debole.  E’ un gioco sottile, come per tutto ciò che deve crescere: va protetto dai vantaggi indebiti che possono avere quelli più grossi di lui ma non dalle difficoltà fisiologiche che deve affrontare per poter crescere.

Possiamo stare per molto tempo a discutere dove fissare l’asticella, ma non è questo il punto ora.  Il punto è difendere il pluralismo, e in politica esistono organismi in grado di aggregare le voci di quelli che da soli non ne avrebbero di abbastanza potenti; si chiamano partiti.  Dire che queste strutture non debbano esistere è come dire “ognuno per se” e lasciare l’agone politico alla legge del più forte.  Anche qui, si può (si deve) imparare dal passato e limare il concetto e l’inquadramento giuridico dei partiti, i modi in cui si finanziano e quant’altro, ma dire che non debbano esserci è equivalente dire “non ci interessano i vostri progetti politici; noi abbiamo la voce più forte e non vogliamo che altri ci impediscano di usarla per comandare”.  Vuol dire addio a qualunque tipo di pluralismo e il benvenuto al pensiero unico, o meglio alla sua completa mancanza (ma comunque unica).

Ma in conclusione, che Italia sogna Di Battista?  Volendo ridurre il tutto a categorie economiche possiamo riassumere così: prima riduciamo il peso economico (e quindi politico) dei gruppi di interesse italiani, e poi gli rendiamo praticamente impossibile esprimersi. Insomma un’Italia povera, con un’economia di sussistenza e in cui, paradossalmente ma non troppo, la gente sia esclusa dalla vita politica del Paese a beneficio di un gruppo di pochi con idee confuse in merito alla Grandezza™ della Nazione™ e ai meccanismi dell'economia. Non male. Se vi ricorda qualcosa di quanto avvenuto da queste parti circa 90 anni fa è perché è proprio così.

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Commenti

Ci sono 24 commenti

è lo slogan che troneggia spesso sul palco da dove questi sprovveduti saltimbanchi distrbuiscono le loro pensate al popolo sovrano che li acclama; lo slogan andrebbe sottotitolato "così intanto ci prendiamo un vitalizio".

Ma la democrazia è la democrazia e molti regimi del secolo scorso sono passati attraverso elezioni. Che fare? Argomentare, argomentare, argomentare sperando di innescare qualche dubbio. E questo mi sembra il pregio maggiore di questo articolo.

 

 Argomentare, argomentare, argomentare sperando di innescare qualche dubbio.

 

però bisogna argomentare al livello del'interlocutore, una cosa penosa, difficilissima e di esito incerto, se non controproducente. parlare  di aerodinamica o di statistica, posto che si sia in grado, al vicino di posto che ha paura dell'aereo, non funziona; va un po' meglio se mostri cortese indifferenza o malcelato stupore. meglio ancora, per lui e per noi, addormentarsi di botto mentre si sta ancora rullando.

in campo alimentare, non a caso scelto sempre da tutti gli arruffoni incapaci, le nevrosi non sono da meno e la strategia equivalente, secondo me, sarebbe solo ripetere un paio di slogan, mostrando che non abbiamo tempo da perdere, che "così non si fa". ai barbudos, si ricordi che produciamo il doppio del vino che riusciamo a bere e che se vogliono dar seguito al programma di governo, che raddoppino il loro consumo. i padri, quelli che hanno responsabilità,  hanno altre incoerenze che non gli quadrano, altri esempi che non riescono più a dare.

 

Vogliamo mangiare quel che produciamo e produrre quel che si mangia.

 

La visione è dantesca. In particolare canto diciottesimo. Inno alla coprofagia?

Meglio ancorra, ricordando il padre ultrafascista, la visione è anche pasoliniana, quella delle ultime giornate di Salò. 

così diventiamo tutti vegani, che va anche di moda

...io che sono ottimista pensavo: vabbè, abbiamo i 5 stelle ma almeno non rischiamo che dei neofascisti vincano le elezioni come in Francia, Austria ecc.

Ma evidentemente noi quello che ci risparmiamo in termini di neofascismo lo paghiamo con gli interessi in paleofascismo. Cioè, in tutta sincerità non credo che Marine LePen o nessuno nell'FPO sia arrivato a dire un'enormità simile.

Il PDB è il paradigma del c.d. "sovranismo" che in quel passaparola globalizzato che è Facebook è l'arma definitiva contro il declino italico e individua nelle multinazionali, manco a dirlo, affamatrici dei popoli, e di conseguenza le organizzazioni sovranazionali che curano i loro interessi, la causa di tutti i mali.

Il PDB, tra l'altro, non sarebbe praticamente realizzabile dato che la produzione nazionale è largamente insufficiente. Cito Dario Bressanini: "L’Italia dipende dall’estero per il 40 per cento del grano duro, per il 70 per cento del grano tenero, per il 25 per cento del mais, per il 90 per cento della soia e per il 50 per cento delle carni. Ogni anno la nostra bilancia agroalimentare è in rosso per circa dieci miliardi di euro."

Sebbene sia curioso di sapere se questa insufficienza sia colmabile attraverso la riconversione di altri tipi di coltura.

La sensazione è che i numeri riferiti a Bressanini siano riportati in maniera poco corretta (ho cercato questa affermazione e ho trovato solo Dagospia, quindi metterei la tara di un certo amore per le frasi a effetto); nello specifico credo che quei "circa 10 miliardi" si riferiscano non al saldo netto della bilancia commerciale del settore, ma a quanto spendiamo per importare beni alimentari: solo dall'UE ne importiamo quasi 6, quindi come ordine di grandezza non siamo lontani.  Chiaramente poi c'è da mettere in conto le esportazioni: in Europa vendiamo circa il 15% in più di quanto acquistiamo.

Ma ribadisco, stiamo parlando del nulla:

1) stiamo confrontando Euro per comodità, ma non è nemmeno chiaro COSA dobbiamo confrontare (peso, euro, calorie, etc...)

2) una parte dell'import è funzionale all'export (importiamo grano per produrre pasta da esportare)

3) non tutti i terreni sono adatti a tutte le colture, quindi dobbiamo contare questo vincolo in eventuali "riconversioni"

4) distinguere se la proposta è più folle perché meno attuabile o perché più autolesionista mi sembra una questione di lana caprina che non cambia il giudizio sulla proposta stessa

Da soli 8 mesi scarsi è ricorso il 90° anniversario della morte di Gobetti, e quindi capita a fagiolo una citazione: « il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l' autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco[11] ». Piero Gobetti, "Elogio della ghigliottina", in: La rivoluzione liberale, n. 34/1922. Ovvero: questo articolo spiega perché e per come i 5 Stelle siano destinati a vincere le elezioni in questo paese "che vale poco".

Penso che se chiedessimo ai Parlamentari chi fu Piero Gobetti, nessuno saprebbe rispondere. Però morì giovanissimo ed elogiare la ghigliottina appartiene a quell'età. Io, che pure mi sono nutrito della sua Rivoluzione Liberale, e sono giunto ai socialisti passsando per i Rosselli, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Gaetano Salvemini, il Mondo di Pannunzio, Gramsci, ecc., non pavento alcuna ghigliottina ma la lotta politica basata sulla ragione, ipotizzando che le persone possano cambiare opinione, alla luce di fatti documentati.

Dovremmo sapere tutti, come va a finire governando con l'economia "di Stato".

L'Italia , se vuole risorgere, deve stravolgere le sue regole gestionali, lontane anni luce da quelle dei paesi civili.

Cominciando dalla riduzione drastica del NUMERO delle Leggi , scrivendo le nuove con una logica ed un italiano decenti ed evitando il più possibile gli slalom legislativi.