Un appello con molti assenti

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Marcox

La ripresa dei lavori all'università si accompagna alle usuali proteste contro il governo per la gestione dei fondi da destinare alla ricerca. Fra le vistose assenze denunciate in un appello che circola sul web e firmato da illustri e meno illustri docenti italiani, una in particolare mi colpisce: l'autocritica.

Un appello si aggira per il web. La versione ufficiale si può trovare qui, mentre una versione più o meno arrabbiata dello stesso si può leggere qui.

Alcuni docenti, come scritto nell’appello, protestano vibratamente contro la cosiddetta riforma Gelmini. Le vibrazioni sono prodotte da quanto è incorporato nel D.L. 112/08, convertito nella legge 133/08, e che, a loro dire, produrrebbe effetti drammatici sull’Università Italiana. Affermano infatti gli illustri firmatari:

Come già hanno denunciato molti Dipartimenti, Facoltà, gruppi di docenti, si tratta di misure che sottraggono risorse alla ricerca, riducono il personale docente e amministrativo, restringono lo spazio vitale dell'Università sancendone l'emarginazione irreversibile nella vita del Paese.

Insomma, la fine della civiltà occidentale, molto ma molto peggio dello tsunami MBS questa MSG.

Per chi conosce i riti dell'università italiana, però, l'incipit parrebbe in realtà annunciare qualcosa di già visto: infatti ogni anno assistiamo agli allarmi della classe docente che minaccia di sospendere la didattica o di interrompere la ricerca. Da questo punto di vista dunque, niente di nuovo sul fronte universitario.

Ma i rettori e i professori continuano:

“La riduzione al 20% del turnover delle unità del personale non significa soltanto uno sfoltimento senza precedenti di tante discipline specialistiche in cui la cultura italiana primeggia nel mondo. È tutto il processo di rinnovamento del corpo docente italiano - gravato da una anzianità elevata - ad essere compromesso per i decenni a venire. A tanti nostri valentissimi giovani l'avvenire nella ricerca e nell'insegnamento viene definitivamente precluso.”

Le prime scontate reazioni alla lettura del brano citato sono: ma chi ha prodotto l’invecchiamento della classe docente italiana? Chi ha consentito che nei concorsi si producessero quei baronati che hanno portato la situazione al livello attuale? Perché i nostri professori e rettori parlano come se loro fossero all’università come semplici spettatori e non come parti che hanno, in diversa misura e certamente con responsabilità diverse, preso parte a configurarla quale essa è oggi? Ma davvero una riforma o una circolare ministeriale possono avere avuto la colpa di produrre lo sfascio che è sotto gli occhi di tutti? Se l’età media è cresciuta nelle università lo si deve non al taglio dei fondi ma, credo, a quell’idea per cui, per avere il "tuo" posto, ti devi mettere in fila, e aspettare che il concorso ti venga assegnato solo dopo che quelli che sono in fila davanti a te (per anzianità o per portaborsismo o per una combinazione delle due cose) sono stati già sistemati. Altrimenti, cosa nell’attuale legislazione impedirebbe di assumere giovanissimi ricercatori?

I firmatari scrivono, inoltre:

“Il principio della convertibilità della Università in fondazioni private - sancito dall'art. 16 della Legge - costituisce senza dubbio il più grave attacco mai condotto contro l'autonomia e il futuro stesso dell'Università italiana. Non viene soltanto auspicata la ritirata dello Stato dalle sue funzioni storiche nel garantire la formazione superiore e la riproduzione delle sue classi dirigenti. È un progetto velleitario, imitazione tardiva di una stagione ideologica oggi in rovina nel Paese stesso in cui essa è nata. Trasporre l'esperienza delle Università private americane in Italia significa in realtà condannare tanto le Università pubbliche che private a un sicuro destino di irrilevanza.”

Insomma leggiamo che la riforma Gelmini non sarebbe una riforma da discutere in accordo o disaccordo. No, tale riforma sembrerebbe essere il male assoluto. Essa fa parte di un progetto neoliberista che ormai, si sa, è fallito ovunque, anche nel paese guida. Peccato che, nel paese dove è fallito, abbiano le migliori università del mondo nelle quali lavora una percentuale sostanziale dei migliori scienziati del mondo! Se quella è rovina, voglio anch'io andare in rovina (e magari sottolineare che se Wall Street cade, piazza Affari e paraggi non stanno certo solidamente in piedi ...)

Quest riforma, comunque, implica che lo stato abdicherebbe alla sua funzione di formazione delle classi dirigenti non investendo in prima persona su di esse e lasciando che siano le fondazioni o soggetti non statali a gestire le università. Mi chiedo: anche se fosse vero (purtroppo non sembra esserlo) cosa ci sarebbe di male? Perché le "classi dirigenti" le deve formare "lo stato"? Siamo nella Russia di Lenin, o forse i firmatari hanno letto troppo, ed a rovescio, Althusser?

Andiamo con ordine:

  • Tutto il passo citato è secondo me un esempio di statalismo culturale. Quando i nostri dicono che dovrebbe essere compito dello stato creare le elites, hanno forse in mente Napoleone che nel 1810 fonda la Normale di Pisa sul modello dell’École Normale Supérieure di Parigi? E chi l’ha detto che le elites si formano esclusivamente all’università? E poi: poniamo che il modello napoleonico che loro adombrano abbia funzionato fino a pochi anni fa, quali sarebbero le elites risultato di questa programmazione? Io, piuttosto, ribalterei la cosa così. Molte delle elites che oggi abbiamo in "sella" al paese, politicamente ma non solo, vengono proprio dall’Università italiana, napoleonica o meno che sia ma certo di stato. Niente male, come risultato. Se lo Stato italiano e la sua università hanno davvero avuto una funzione storica di formazione e promozione delle elites nazionali (e, probabilmente, l'hanno avuta, assieme alla chiesa cattolica, il partito comunista, confindustria ed i sindacati) tale funzione ha avuto risultati così modesti (per essere gentili) da rendere difficilmente auspicabile che debba ancora essere la spesa pubblica statale la fonte primaria di finanziamento per la formazione delle nuove elites. Se davvero la qualità delle elites dipende dalle fonti di finanziamento (cosa che i firmatari dell'appello chiaramente assumono) allora l'esperienza storica suggerisce che è molto meglio cambiare fonte di finanziamento.
  • L’anti-americanismo, neanche a dirlo, tocca un’altra vetta. Invece di accostarsi con curiosità ad esperienze economiche e culturali di gestione dell'università assai più fruttuose della nostra, i firmatari parlano come se il progetto Gelmini fosse un tentativo di americanizzare la società italiana. Insomma, invece di imparare dall’esperienza di università straniere americane e non, si lamenta la possibile esportazione di un modello che è chiaramente risultato, per molti versi, preferibile al nostro. Le università amerikane sono, dopotutto, strapiene di italiani mentre non vale lo stesso per quelle italiane! Che sia perché tutti gli italiani sono stupidi ed amano andare nei posti cattivi, mentre gli americani lo sono pure perché non vanno nei posti buoni? È questa l'ipotesi di lavoro? Son un po' tonte tutte, le masse, ma noi illuminati, noi no ...

Si potrebbe, alla luce di quanto argomentato nell'appello, fare dunque così:

  • Vista la penuria di fondi e la mancanza di altre risorse (vade retro le private!) i docenti universitari potrebbero decidere di a) bloccare gli avanzamenti di stipendio automatici per un periodo indeterminato e, b) ridurre gli stipendi attualmente erogati. La misura potrebbe apparire un tantino populista, e forse nemmeno dirimente, ma sarebbe certamente un segnale chiarissimo che tutti fanno sacrifici, soprattutto coloro che più di tutti beneficiano del sistema attuale. L’abbiamo chiesto ai piloti, chiediamolo anche ai docenti ordinari in cattedra da tempo.
  • Affidare la valutazione scientifica delle eventuali pubblicazioni (sostenute con soldi pubblici) alladiaspora della ricerca italiana, che non avrebbe certo limitazioni di comprensione linguistica della produzione scientifica nostrana.
  • Si dovrebbe inoltre incentivare chi ha più di 65 anni ad andare immediatamente in pensione. Poi, se volessero e nei casi di particolare prestigio, i docenti potrebbero anche continuare a lavorare come emeriti nelle università, ma senza oneri per lo stato.
  • Bisognerebbe inoltre ammettere che alcune sedi universitarie non hanno le risorse per fare ricerca e dunque sarebbe preferibile concentrare le poche risorse disponibili su centri universitari che hanno una tradizione di ricerca solida e credibile. Sarebbe meglio, dunque, avere la laurea triennale diffusa, e la specialistica concentrata solo dove la sua frequenza possa essere significativa nella formazione dello studente.

Ovviamente questi punti finali sono idee di poco momento, da buttare via a favore di idee migliori o più dettagliate, a patto che i docenti universitari (firmatari o meno ch'essi siano dell'appello che m'ha spinto a scrivere queste note) ammettano: a) il loro sostanziale concorso di colpa nella situazione attuale; b) la necessità che anche loro facciano sacrifici; c) la possibilità che fra le misure da adottare vi sia un loro (pre)-pensionamento.

 

 

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Commenti

Ci sono 36 commenti

Ho molto rispetto per gli pseudonimi (visto che li uso anch'io) ma se Marcox ha una carica importante in università forse non è opportuno che abbia opinioni segrete sull'università che esprime in forma anonima. Se invece la carica è altrove, no problem.

C'è una terza ipotesi: non ha nessuna carica importante, anzi è l'ultima ruota del carro in un posto dove i baroni regnano sovrani ed il nepotismo impera ... Siccome, per ragioni sue, non può andarsene, gli abbiamo noi stessi consigliato l'uso dell'anonimato. Abbiamo provato sulla nostra pelle la pochezza dei baroni italioti. Non vedo alcuna ragione per farla provare ad altri.

 

 

L'anonimato lo abbiamo suggerito noi, e ti assicuro che e' opportuno

Tratto dal Vostro articolo: La carrozza di Luigi XV..trovo si adatti perfettamente a chiunque abbia un posto di lavoro a tempo indeterminato nell'università, baroni compresi ovviamente..

"...il suo ruolo prestigioso lo aveva ottenuto grazie al sostegno di Madame de Pompadour, favorita del re.

Insomma, un’intricata ragnatela di complicità alimentate dai

ricatti, un diabolico intreccio perverso che però teneva assieme il

regno. Eliminarli, così ragionò Choiseul, avrebbe irrimediabilmente

compromesso il precario equilibrio sul quale tutto si reggeva. Un

cambiamento radicale non avrebbe evitato la catastrofe del regno,

avrebbe solo anticipato la sua distruzione. Né avrebbe avuto senso che

proponesse lui di cambiare le regole di un’amministrazione

sconsiderata, la stessa che gli aveva permesso di ottenere prebende e

privilegi, onori e carica. Da uomo avveduto e di notevole intelligenza,

comprese che porre rimedio a quei guasti non era possibile e rispose al

re che la decisione più saggia consisteva nel lasciare le cose come

stavano.Quando Madame du Barry

divenne la favorita di Luigi XV prendendo il posto della defunta

Pompadour, il re si sbarazzò di Choiseul. Lo esiliò nelle sue terre

dove morì in tarda età coperto di debiti, quattro anni prima della

Rivoluzione Francese...."

 

 

il re si sbarazzò di Choiseul. Lo esiliò nelle sue terre

dove morì in tarda età coperto di debiti, quattro anni prima della

Rivoluzione Francese....

 

si ma questo non succede

 

Secondo voi, il giovane Alberto in gita in Amerika, di chi sarà mai figlio?

 

ma è anche attore! it.movies.yahoo.com/artisti/-/albertofloresdarcais/index-300816.html

cmq repubblica non è un ente statale nonostante incassi fior di quattrini dallo stato.

chissà cosa si riuscirà a fare con delle bellissime ed autonome fondazioni che incassano soldi senza nessuna valutazione e li gestiscono in libertà assoluta. faville.

 

 

Buone le proposte. Ma la numero 3 non è già stata messa in atto? O forse solo in alcune università e non universalmente appunto :) Aggiungo che il ricavato derivato dall'autotassazione dei professori potrebbe essere dirottato per alzare il magro stipendio dei ricercatori.

Però la numero 2 mi sembra perfetta per quanto poco praticabile.


Aggiungo solo, ma non è inerente al testo dell'appello: mi pare che le mobilitazioni più grandi arrivino dai ricercatori precari che "a causa di Brunetta" non saranno rinnovati (sto cercando dettagli). Vero però è che ricercatori e dottorandi sono decisamente più autocritici dell'appello citato.


Intanto ascolto Radio 1 dove c'è il dibattito segnalato ieri.

 

 

Io preferisco mantenere il mio nome (potete trovarlo sul mio blog), e spero di non aver affatto bisogno mai di alcun anonimato. Se poi qualcuno mi metterà i bastoni tra le ruote, pazienza, magari raggiungerò i nostri amici al di là dell'oceano.

Io non ho firmato l'appello, nè intendo farlo. Gli argomenti del post mi sembrano sostanzialmente corretti. Però, ammetterete che chiamare i provvedimenti del governo con la parola "riforma" è veramente ridicolo. Il provvedimento del governo è un taglio e basta. Non si riforma un bel niente. L'università italiana rimane com'è, solo con meno soldi. Chiamarla riforma, come fa l'anonimo autore, mi sembra davvero un'offesa.

Quanto alla riduzione degli scatti di anzianità, è uno dei provvedimenti in atto, e come al solito sfavorisce i giovani, mentre ai vecchi non gliene frega niente. Infatti, diminuire da 2 a 3 anni gli scatti di anzianità è più deleterio per un giovane, che ha tutta la carriera davanti e che quindi a fine carriera guadagnerà molto ma molto meno, che per un vecchio che ormai vicino alla pensione ha pochissimo da perdere. Quello che conta è l'integrale! Ho riportato <a href="http://scacciamennule.blogspot.com/2008/07/sui-tagli-agli-stipendi-dei-professori.html">qui </a> un conto approssimativo fatto dai colleghi Ingegneri dell'Università di Pisa. E soprattutto, questo taglio non è sostituito da nient'altro (che ne so, premi di produzione basati sulla valutazione dei risultati, o altro). Quindi, al sottoscritto che è diventato associato da poco, è stata improvvisamente tagliata l'aspettativa di stipendio futura, senza sostituirla con nient'altro. 

Va beh, ci sacrifichiamo volentieri se vediamo all'orizzonte una riforma. Ma la riforma dov'è? Le fondazioni? O perbacco, in effetti c'è la fila di privati che vuole mettere soldi nell'Università, e i docenti cattivi ributtano indietro la proposta. Tutti pronti a mettere milioni di euro in un'attività altamente remunerativa come l'Università! A parte gli scherzi, in realtà ancora non si è visto nessuno. Volete saperlo? secondo me nessuno verrà mai a bussare alla porta di una Università italiana per spenderci (perderci) soldi, a meno che non si veda un ritorno di altro tipo... ma lasciamo perdere. 

Infine: l'unico modo di riformare l'università italiana è di istituire una o più agenzie per la valutazione e distribuire i fondi in base ai risultati. Quindi abolire i concorsi che a quel punto risulterebbero inutili, e trasformare tutti i contratti con i docenti in contratti di diritto privato fra Università e docente stesso. La riforma che modestamente propongo sta scritta <a href="http://scacciamennule.blogspot.com/2008/09/universit-una-modesta-proposta.html">qui</a>, e non è una novità. Argomenti del genere, credo, sono stati esposti da persone più illustri di me su questo e su altri blog. Però, per fare una cosa del genere, come primo atto bisogna mettere su un serio sistema di valutazione. E che fa il ministro Gelmini come primo atto? affossa l'ANVUR, l'agenzia per la valutazione, unica e striminzita creatura di Mussi. 

Concludendo: l'università italiana fa schifo anche per colpa dei docenti. Non concordo con l'appello, perché inutilmente ideologico e corporativo. Ma il governo non sta andando nella direzione giusta, e questo bisogna dirlo forte.

 

Ehm... fra "ultima ruota del carro" e "professore associato" c'e' una sostanziale differenza, non trovi? Poi boh, non conosco ne' te ne' Marco: mi baso solo su quanto scritto qui sopra.

Sostanzialmente d'accordo con quello che dici, cmq.

 

 

 

non so. penso che volendo, ma dico senza molto sforzo, avrebbero potuto scrivere una riforma davvero decente, magari non rivoluzionaria ma decente. invece, come al solito, hanno buttato tutto in merda.

vabbeh. siccome la legge è già passata la gelmini non si sente in dovere di discuterne. lei è impegnata adesso con il problema degli insegnanti di religione vincolati al volere del vescovo e magari si lancerà nella discussione del provvedimento del 2003 che garantisce la privacy dei voti ai maggiorenni. alle prime avvisaglie (mediatiche) di protesta arriverà il secco: "ci sono frange che preferiscono la protesta alla proposta" oppure un più educato "i moderati ci ripensino". 

Nel migliore dei casi invece questo:

"Ci sono due Italie: quella che lavora, progetta e vuole essere pagata

meglio. Poi ci sono piccole frange che preferiscono protestare e

mantenere lo status quo: lasciamoli stare"

sul tuo blog ho trovato questo:

 

Le condizioni degli atenei

italiani sono molto variabili. Non era possibile modulare i tagli - ad

esempio in base al merito - invece di stabilire una stretta cospicua

per tutti?

"Ogni ateneo è una realtà a sé, lo so

perfettamente. Per questo stiamo studiando i margini per non ripartire

la decurtazione indistintamente tra tutti gli atenei, ma in base ad

appositi indicatori che saranno individuati in accordo con la

Conferenza dei rettori. Stiamo già lavorando all'individuazione di

criteri più idonei e efficaci per ripartire nel 2009 le risorse - e

conseguentemente i tagli - sulla base di indicatori di merito. Inoltre

i mancati finanziamenti del Fondo ordinario verranno compensati dal

Fondo straordinario, istituito per premiare gli atenei migliori".

 

questa faccenda è identica al taglio degli insegnanti (perchè affollano le aule) promettendo che nel 2012 i soldi risparmiati saranno usati per premiare il merito. 2012??

però fosse vero si potrebbe iniziare a farsi un'idea di questi "appositi indicatori di merito".

vabbeh... si farà per forza viva lei

 

 

 

 

Io preferisco mantenere il mio nome (potete trovarlo sul mio blog), e spero di non aver affatto bisogno mai di alcun anonimato. Se poi qualcuno mi metterà i bastoni tra le ruote, pazienza, magari raggiungerò i nostri amici al di là dell'oceano.

 

Fai bene e in effetti questa storia dell'anonimato mi rompe le scatole assai...ma è così. Cmque grazie per l'incoraggiamento: in tre righe speri di non essere mai in una situazione come la mia (e ti capisco ovviamente) e poi chiarisci che tu non lo faresti mai (anche qui fai benissimo)...il punto è solo (e poi giuro che non riapro più una cosa così personale) è il caso di girare cosi il coltello? :-)

Preciso inoltre che sono vice-ultima ruota del carro.

 

Però, ammetterete che chiamare i provvedimenti del governo con la parola "riforma" è veramente ridicolo.

 

In effetti quando si usa la parola riforma sembra si alluda a qualcosa di positivo o collegato ad un piano di lungo di respiro che ha una sua logica, proponimenti chiari e stabili, tutte cose, che devo ammetterlo, non sembrano presenti MAI nelle decisioni politiche nostrane, in qualunque campo. In merito alla questione dell'università direi che si, si vuole fare cassa, ma anche questo potrebbe essere una riforma se serve a eliminare le spese inutili; certo non avrebbe quel grado di organicità che ci aspettiamo da una "riforma" ma sarebbe cmque un tentativo di limitare i danni, erariali almeno. Io credo che al ministero, ma non solo, pensino che l'unico modo per far ripartire tutto sia mettere il sistema universitario con le spalle al muro, o come qualcuno ha detto, starving the beast.

 

Quanto alla riduzione degli scatti di anzianità, è uno dei provvedimenti in atto, e come al solito sfavorisce i giovani, mentre ai vecchi non gliene frega niente. Infatti, diminuire da 2 a 3 anni gli scatti di anzianità è più deleterio per un giovane, che ha tutta la carriera davanti e che quindi a fine carriera guadagnerà molto ma molto meno, che per un vecchio che ormai vicino alla pensione ha pochissimo da perdere. Quello che conta è l'integrale!

 

Quello che conta, anzi che non dovrebbe contare affatto, è pensare che tutto in futuro sarà come lo stanno progettando ora con risorse e leggi e numeri sempri uguali. Stiamo parlando di una riforma, o controriforma, che sarà poi seguita da altre, la finanziaria si fa ogni anno. Chi l'ha detto che le risorse saranno sempre le stesse? Chi ha detto che non potranno aumentare?

 

Va beh, ci sacrifichiamo volentieri se vediamo all'orizzonte una riforma. Ma la riforma dov'è? Le fondazioni? O perbacco, in effetti c'è la fila di privati che vuole mettere soldi nell'Università, e i docenti cattivi ributtano indietro la proposta. Tutti pronti a mettere milioni di euro in un'attività altamente remunerativa come l'Università! A parte gli scherzi, in realtà ancora non si è visto nessuno. Volete saperlo? secondo me nessuno verrà mai a bussare alla porta di una Università italiana per spenderci (perderci) soldi, a meno che non si veda un ritorno di altro tipo... ma lasciamo perdere. 

 

Uno si sacrifica quando o lui, o chi paga, non può fare altrimenti. Stiamo parlando di sacrifici, o di scambi più o meno convenienti? Come disse un noto relatore di Firenze sulle pensioni, il biscotto ce lo siamo mangiati e gli spazi per cedere solo a condizioni ritenute migliori si sta restringendo sempre più. E poi azzardo una cosa, permettimi: se nessuno verrà mai a bussare alla nostra porta, qualche ragione ci sarà? Sarebbe come dire, ma faccio un esempio per fare, che se una grossa compagnia aerea pubblica non se la compra nessuno alle condizioni che poniamo noi, che siamo sul mercato, allora l'unica cosa che si può immaginare è che sia lo stato a intervenire.

 

Infine: l'unico modo di riformare l'università italiana è di istituire una o più agenzie per la valutazione e distribuire i fondi in base ai risultati. Quindi abolire i concorsi che a quel punto risulterebbero inutili, e trasformare tutti i contratti con i docenti in contratti di diritto privato fra Università e docente stesso. La riforma che modestamente propongo sta scritta <a href="http://scacciamennule.blogspot.com/2008/09/universit-una-modesta-proposta.html">qui</a>, e non è una novità. Argomenti del genere, credo, sono stati esposti da persone più illustri di me su questo e su altri blog. Però, per fare una cosa del genere, come primo atto bisogna mettere su un serio sistema di valutazione. E che fa il ministro Gelmini come primo atto? affossa l'ANVUR, l'agenzia per la valutazione, unica e striminzita creatura di Mussi.

 

Sul primo punto credo, ma (come disse qualcuno più in alto di me) si sbalio corigetemi, che già ora le commissioni di concorso potrebbero essere costituite, in parte, da docenti chiamati dall'estero...magari italiani per la questione della lingua. Ma quanti l'hanno mai fatto?

In merito al contratto, la ministra, in un intervista che non trovo, propone effettivamente di legare una parte dello stipendio alla produttività, in  una direzione come quella tu auspichi.

 

Sul sito de iMille è apparso un articolo di contenuti analoghi. Leggetevi anche i commenti, che sono anche più radicali dell'articolo. 

 

Sto per fare un intervento cinico, talmente cinico che gia' mi sto sul culo da solo.

 

a) il loro sostanziale concorso di colpa nella situazione attuale; b) la necessità che anche loro facciano sacrifici; c) la possibilità che fra le misure da adottare vi sia un loro (pre)-pensionamento. 

 

Se davvero riponi delle speranze nel baronato sei messo male. Allo stesso modo knulp, che aspetta che arrivi una illuminazione divina al ministero di questo o dei futuri governi; state tutti aspettando godot. L'universita' italiana ha bisogno di una rivoluzione, non di una riforma, e le rivoluzioni da che mondo e' mondo non sono mai partite dall'alto.

Un giovane che sia neo-dottorando o neo-ricercatore (*) non puo' far finta di non sapere a cosa sarebbe andato incontro nel momento in cui ha accettato di fare carriera accademica in italia; si deve rendere conto di aver fatto una scelta sbagliata (peraltro al momento meno opportuno). Avete colpevolmente accettato di vincere quel concorso, passando come interno? Avete colto la mela, benvenuti nella tana del bianconiglio.

L'unica vostra speranza a questo punto e' far forza su quella parte del sistema meno corrotta, quelli che hanno iniziato da poco e han deciso di provare a ingoiare i rospi, piangendo sotto le coperte nel buio della loro cameretta. Prima di chiedere quanti professori sarebbero disposti a rinunciare ai loro privilegi pero', chiediamo quanti sarebbero disposti a fare un concorso da ricercatore o da associato abbandonando il privilegio di essere "candidato interno". Quanti risponderebbero "e perche' proprio io? Il sistema funziona cosi' per tutti e non saro' io da solo a cambiarlo".

L'altra strada, ma solo per alcuni campi, e' far leva sugli investitori privati; quelle associazioni filantropiche che da anni contribuiscono con soldoni ad un sistema malato e ancora non ho capito se ne sono consapevoli o no. Se adottasero almeno loro un criterio di merito serio, le cose inizierebbero ad andare meglio.

 

(*) gli associati non li includo nemmeno perche' per arrivare li' si son gia' macchiati la coscienza abbastanza da non aver piu' titolo per parlare.

 

 

caro Gilestro,

il tuo intervento in effetti mi fa un po tristezza, perché si vede che hai abbandonato le speranze. Se davvero è come tu la prospetti, allora buttiamo tutto via e andiamo tutti all'estero, e condanniamo questo paese alle TV. Io ancora ci credo un pochino, e quindi ho deciso di restare. Si vede che sono un inguaribile romantico, o forse solo un giovane incosciente.

Io i fondi di solito me li cerco in europa, progetti EU, ne abbiamo beccati parecchi negli ultimi anni e quindi stiamo bene. Non aspetto alcun godot: se a un certo punto mi romperò troppo le palle, mi troverò un'altro lavoro in italia o all'estero.

Ho fatto la gavetta da ricercatore a tempo determinato, una cosa che

si è inventata la mia Università per pagare ricercatori su fondi di

ricerca invece che sull'FFO: contratto di 4 anni rinnovabile una sola

volta. Dopo 6 anni sono diventato associato: idoneo in un concorso a Padova, e poi sono stato chiamato a Pisa, quindi non ero propriamente interno. Chiaramente, il mio concorso era deciso nel momento in cui si è chiuso il bando. E allora? Non mi sembra di aver scavalcato nessuno. Chi vuole confrontarsi con me è il benvenuto: la lista delle mie pubblicazioni è sul mio sito, su google scholar si può vedere l'impatto delle mie pubblicazioni. A 37 anni mi sento ancora in grado di competere nel mondo della ricerca, anche se non vincerò mai un Turing Award.

I concorsi sono una presa in giro. Sono cose da URSS. Io non capisco perché ci si ostini a inventare metodi per controllare i lavori delle commissioni, e poi non si controlli affatto quello che avviene dopo che il docente è stato assunto. Quando è stato istituito il CIVR l'idea era che a regime una percentuale del FFO fosse distribuita secondo i risultati della valutazione. Il CIVR era un meccanismo limitatissimo e andava sicuramente ristrutturato, o anche solo migliorato: invece si è deciso di fermare tutto. Ma ci eravamo quasi, ti assicuro. Perché un governo forte con una persona intelligente non potrebbe ricominciare da lì? Che ci vuole? Io sono di sinistra, ma questo governo ha tutte le carte in regola per forzare la mano ai baroni: ha i numeri per farlo, è meno ideologizzato di quello di prima, e forse (dico forse) i vecchi baroni hanno meno influenza su di esso. Lo so che sono un povero illuso a dire queste cose, ma ti assicuro che ci manca poco così per cambiare le carte in tavola.

E allora, che ti devo dire? io aspetto (godot o qualcuno per lui) e intanto ne parlo con gli amici e con voi (che spero di poter annoverare fra i miei amici). Magari, non si sa mai, a forza di parlarne in giro, a qualcuno lassù viene l'idea giusta. 

 

Da Wikipedia

 

Il ciclo della vita kamba è suddiviso in gradi d’età che non dipendono

strettamente dall’età anagrafica ma dai riti di passaggio che

sanciscono lo status sociale di ogni essere umano kamba. Le classi

d’età costituiscono dei gruppi corporativi che comprendono tutti i

membri della società iniziati nello stesso periodo. Gli individui sono

raggruppati in base a dei criteri d’età e possono quindi appartenere

anche a gruppi di discendenza e gruppi territoriali differenti.

L’appartenenza ad una classe d’età implica specifici rapporti sociali,

culturali e di solidarietà verso i membri della propria classe ed anche

verso gli individui esterni.

 

 

[...] Sono soprattutto gli anziani a ricoprire questi ruoli preminenti e

prestigiosi nella comunità kamba. Il sistema sociale kamba è, infatti,

una gerontocrazia incentrata sull’estremo rispetto e sulla totale

obbedienza agli anziani.

 

Che differenza c'è tra i kamba e l'università italiana? entrambe funzionano sulle base della classi d'età?


http://cbr.debord.ortiche.net/letterasullostatuto-6-07-08.htm

 

Tutti i membri del Senato sanno benissimo che, a fronte di circa 3.000 unità

di personale strutturato, questo Ateneo conta un numero di non strutturati stimato

tra le 3.000 e le 6.000 persone.

 

 

Nella situazione attuale, con una piccola eccezione per i dottorandi, non esiste

alcuna possibilità da parte della maggior parte delle persone che fanno

ricerca a Bologna di partecipare ad alcun processo decisionale, né sulle

linee e gli indirizzi di ricerca, né sugli aspetti economici e finanziari,

né sul raccordo tra ricerca e didattica.

 

si potrebbe iniziare da qui: regole di rappresentanza per permettere un vero autogoverno dell'università e, nello stesso tempo, carriera e fondi concessi in base ai risultati.

 

 

ciao Giorgio.

Non direi che sei cinico, dici il vero...anche se non capisco la tua clausola contro gli associati...voglio dire l'unico associato che ha risposto a me e a te non mi sembra meriti strali così pesanti...ha messo chiaramente a disposizione le sue pubblicazioni e i suoi titoli e fondamentalmente ci dà ragione...quindi io farei economia di disaccordo, visto che qui è possibile.

 

Se davvero riponi delle speranze nel baronato sei messo male. Allo stesso modo knulp, che aspetta che arrivi una illuminazione divina al ministero di questo o dei futuri governi; state tutti aspettando godot. L'universita' italiana ha bisogno di una rivoluzione, non di una riforma, e le rivoluzioni da che mondo e' mondo non sono mai partite dall'alto.

Un giovane che sia neo-dottorando o neo-ricercatore (*) non puo' far finta di non sapere a cosa sarebbe andato incontro nel momento in cui ha accettato di fare carriera accademica in italia; si deve rendere conto di aver fatto una scelta sbagliata (peraltro al momento meno opportuno). Avete colpevolmente accettato di vincere quel concorso, passando come interno? Avete colto la mela, benvenuti nella tana del bianconiglio.

 

Sul baronato, non ho nessuna speranza tanto che propongo che  a) vadano via velocemente, e b) siano giudicati da chi non è stato succube di giochetti e ricattini. Se questo non ti sembra abbastanza, bah non so cosa vuoi proporre? La rivoluzione? Io pure non sono insensibile a cose tipo fiat iustitia pereat mundus...ma non mi sembrano praticabili...già si facesse quel poco che i commenti indicano sarebbe abbastanza.

Poi guarda, fare sparate tipo "tutti gli associati sono corroti, tutti i corrotti meritano un...." servono solo a esasperare guerre fra storie personali dalle quali è meglio stare fuori.

Poi c'è anche chi cerca di andarsene e magari  gli tolgono i finanziamenti  (italiani) che si era cercato quando ancora stava finendo il dottorato, a due giorni dalla partenza quando aveva già il biglietto in tasca (non per modo di dire)...tutto è possibile, ma non intristiamoci, abbiamo un sacco di risorse ancora, tipo l'ironia.

Ti immagini se gli studenti andassero sotto i rettorati e sollevassero cartelli con scritte come "L'università di stato, si abbatte non si cambia!" oppure "Padroni e studenti uniti nelle fondazioni"...secondo me li confondiamo e passano dalla nostra parte.

PS: quasi mi dimenticavo di quella bella immagine evocativa:-) :

 

L'unica vostra speranza a questo punto e' far forza su quella parte del sistema meno corrotta, quelli che hanno iniziato da poco e han deciso di provare a ingoiare i rospi, piangendo sotto le coperte nel buio della loro cameretta.

 

 

 

 

chiediamo quanti sarebbero disposti a fare un concorso da ricercatore o

da associato abbandonando il privilegio di essere "candidato interno"

 

Io non vedo l'ora che qualcuno possa dirmi "abbiamo dato il posto ad un altro/a invece che a te perché lui/lei è indubitabilmente più bravo/a di te" invece che "abbiamo dato il posto ad un altro/a invece che a te perché lui/lei è indubitabilmente più ammanicato/a di te". Restare fuori (e quindi andarmi a cercare un posto da un'altra parte o cambiare del tutto mestiere) perchémi è passato avanti qualcuno più bravo lo potrei accettare. Restare fuori perché il concorso da ricercatore è così pilotato che solo il prescelto sa quali documenti bisogna inviare, a chi mandarli e dove si terrà l'esame invece mi fa un po' più male...

 

Come segnalato ieri, stamattina a Radio Anch'io han parlato dell'universita'. Ospiti: Perotti, mussi, valditara, marietti (pro-rettore sapienza); molti interventi di gente da casa che seguiva piu' o meno la solita solfa. Se a chiamare era uno studente/dottorando/ricercatore lamentava la situazione con toni veritieri. Quando chiamavano ordinari e rettori era un prendere le distanze sottolineando che si', il sistema va male, ma ci sono ottime realta' che vanno segnalate (dove? dico io)

Alcune perle da segnalare

Marietti (prorettore alla sapienza) al minuto 36:00 del podcast: "la valutazione della ricerca e' sacrosanta e la vogliamo tutti, anzi, per favore fatela al piu' presto possibile. Mi raccomando pero': non andiamo a farci valutare da docenti stranieri perche' e poco dignitoso andare a dire agli altri valutateci voi perche' noi non siamo capaci!". Per chi non fosse familiare col sistema, segnalo che questa e' una incredibile cazzata che dimostra o ignoranza o malafede. Fa parte della vita quotidiana di ogni ricercatore essere valutato e valutare colleghi di tutto il mondo. E' routine ogni volta che si invia una pubblicazione ad una rivista. Inoltre quasi tutti gli istituti hanno un cosiddetto SAB (Scientic Advisory Board) composto da scienziati indipendenti di ogni parte del mondo il cui compito e' fornire giudizi obiettivi sull'operato del complesso e/o dei singoli. Probabilmente Marietti non sa come funziona il sistema delle pubblicazioni in Italia e nel mondo oppure nel suo SAB vorrebbe la sora lella.

Non sono mancate in finale le falsita' dei dati per cui per numero di pubblicazioni l'Italia sia al terzo posto al mondo; e qui avrebbe dovuto essere il giornalista a fare controllare i fatti e ristabilire la verita'. Invece il conduttore ha cercato attivamente di spostare la discussione da li' sostenendo che non e' il caso di andare a impuntarsi. Come se i numeri fossero una questione soggettiva.

Mussi al minuto 41:10 del podcast: "e ovviamente ha ragione Marietti e torto Perotti. Capita spesso a Perotti di aver torto su dati di fatto. Noi abbiamo pochi ricercatori, spendiamo poco ma abbiamo eccellenti risultati sulla base delle valutazioni internazionali. E questo e' un dato appurato, confermato da tutti gli studi."

Valditara ha annunciato tra le proposte la solita misura populista e fondamentalmente inutile e cioe' quella di vietare agli atenei di assumere persone imparentate con qualcuno che abbia gia' un ruolo all'interno di quell'universita'. Ha poi chiuso difendendo i tagli e dicendo: "e' inutile continuare a versare acqua in un otre bucato. La riforma attuale va vista in quell'ottica."

 

 

Sono sostanzialmente d'accordo col tuo intervento.

I docenti universitari sono i primi responsabili dello sfascio del sistema universitario italiano, sfascio che complessivamente esiste come documentato da R.Perotti, a fronte di risorse statali investite approssimatamente ragionevoli come entita' cui pero' corrispondono risultati scadenti se confrontanti con quelli di altri Stati. Le responsabilita' dello Stato e dei politici consistono nell'aver messo su un sistema che - combinato con la scarsa qualita' delle elites intellettuali italiane - ha incentivi perversi: le universita' sono autonome e i rettori sono elettivi ma i fondi agli atenei sono sostanzialmente indipendenti dalla produzione scientifica e dai risultati didattici, per cui vincono le elezioni i rettori che garantiscono promozioni veloci agli elettori interni. Il sistema non ha incentivi ad essere produttivo scientificamente e didatticamente, e nemmeno dal punto di vista della ricerca tecnologica, ha solo incentivi a chiedere piu' soldi dallo Stato, concorsi per promuovere gli interni e per assumere amici e familiari. Poi c'e' la degenerazione ideologica tutta italiana per cui all'interno dell'universita' domina la visione statalista: lo Stato deve finanziare, fissare tutte le regole e valutare: i privati che siano gli studenti e le loro famiglie, o imprenditori interessati alla ricerca tecnologica devono essere tenuti fuori, non deve essere permesso loro di influenzare in alcun modo ne' con le loro scelte ne' con i loro soldi il sistema universitario.

Vorrei aggiungere uno spunto di riforma a quelle elencate da te.  Secondo me uno dei difetti basilari del sistema italiano di universita' ed enti di ricerca e' il fatto che lo Stato si limita ad assegnare le risorse indivise ad enti ed atenei, poi all'interno di questi ultimi esattamente le stesse persone che useranno i fondi decideranno anche come spartirseli. Negli USA il sistema e' completamente diverso: atenei ed enti di ricerca hanno solo fondi minimi di funzionamento, poi praticamente ogni docente individualmente o in piccoli gruppi deve farsi finanziare la ricerca da enti finanziatori (per Fisica DOE e NSF) che si avvalgono di "peer review" gratuite di esperti. Ovviamente non e' banale fare la valutazione a questo livello di granularita', alla fine c'e' commistione tra esperti e percettori dei fondi, ma almeno gli enti finanziatori e il loro personale che alla fine sceglie come allocare i fondi sono sostanzialmente indipendenti dai percettori finali dei fondi.

Secondo me e' questo sistema e questa granularita' di valutazione che assicura che ogni docente abbia forti incentivi ad assumere in piena liberta' e indipendenza e senza vincoli statal-burocratici i migliori ricercatori. Inoltre, siccome una percentuale dei fondi di ricerca viene girata al dipartimento di appartenenza, anche i docenti di ogni dipartimento hanno un forte incentivo ad assumere docenti di qualita' per tenure-track e tenure. Ovviamente il sistema da solo non e' sufficiente, e' necessaria anche una buona qualita' delle elites intellettuali, che l'Italia non ha.  In Italia ci sarebbe bisogno per esempio anche di norme specifiche contro l'assunzione di familiari, perche' la pressione sociale dei colleghi e' insufficiente in molti atenei e in molte facolta'. In Italia dovrebbero esserci anche norme specifiche contro le promozioni interne, o meglio sufficienti penalizzazioni economiche a scoraggiare il fenomeno e allo stesso tempo incentivare fortemente reclutamento e promozione di personale scientificamente produttivo.

 

Mi piacerebbe capire meglio come è finanziata la ricerca in Fisica negli SU. Le "grants" del DOE e della NSF finanziano anche i grandi progetti come gli acceleratori?

Approfitto per informarvi che l'ipotesi di trasformare gli scatti biennali in scatti triennali contenuta nel dl 112 è definitivamente tramontata: nella legge di conversione c'è solo una microsospensione degli scatti del 2009, ampiamente recuperata in seguito. Del resto era chiaro a tutti che la previsione del rallentamento degli scatti non era diretta ai professori, ma piuttosto a spaventare i magistrati.

 

<em> <em>

i profeti ...

 

I RETTORI PER IL DIALOGO COL GOVERNO. MA NON LA RdB....


 

25 luglio 2008 - da La Repubblica


Tagli del governo nelle università ora i rettori sono pronti al dialogo Pasquino: no al muro contro muro. Critici i sindacati

di BIANCA DE FAZIO


Napoli - Hanno lanciato strali contro i provvedimenti economici del governo.

Hanno minacciato lo stop delle attività didattiche e di ricerca. Hanno sottoscritto documenti di denuncia e di protesta.

Ma adesso i rettori delle università italiane, e di quelle campane, sospendono la mobilitazione fino all´autunno.

Puntano sulla trattativa col ministro Gelmini, sui

tavoli di confronto, più che sulla protesta a viva voce. Sperano che

rientri loro in tasca, in qualche modo, quel che il collegato alla

Finanziaria taglia drasticamente. Ieri mattina si è riunita la Crui, la

conferenza dei rettori, ed ha ribadito la "valutazione fortemente

negativa sul significato complessivo del provvedimento" varato dal

governo.

"Un provvedimento - spiegano i rettori degli atenei

campani - che penalizza soprattutto le università di regioni

economicamente deboli".

Si ipotizza la trasformazi ne degli atenei in

fondazioni di diritto privato, ad esempio, ma "qui da noi sarebbe

un´operazione impossibile, visto il contesto sociale ed economico".

"Qui a Salerno - racconta il rettore Raimondo Pasquino, che è anche

vicepresidente della Crui - abbiamo una Fondazione. Ma in 7 anni

nessuno è venuto a darci un soldo.

E non è solo un problema nostro: persino il

Politecnico di Milano rifiuta l´idea di reggersi grazie ad una

fondazione". I rettori campani si sono incontrati ancora ieri, per

ribadire il loro no alla manovra, ma poi si sono allineati alla scelta

della Crui: procedere adagio. Bocciare, ad esempio, almeno per il

momento, l´ipotesi avanzata anche qui da noi di presentare, tutti i

rettori insieme, le dimissioni dai loro incarichi.

"Abbiamo preferito la via del dialogo - spiega Pasquino - Non è il momento del muro contro muro.

Ma non c´è alcun ammorbidimento da parte nostra nei

confronti delle scelte del governo. Vogliamo, però, dialogare con il

Paese, far capire a tutti che le università, visti i tagli, non

potranno sopravvivere. Ma lo vogliamo fare col garbo di chi sceglie il

dialogo".

"Stiamo spiegando le nostre ragioni", aggiunge

Pasquino, "ci stiamo facendo interpreti del disagio dei giovani, ad

esempio: di concorsi non potremo farne più, e non ci sarà posto per i

giovani ricercatori. Ma è necessario che anche le famiglie lo

capiscano, e che si sforzino, con noi, di far ragionare il mondo della

politica: se le università non saranno più pubbliche, per molte

famiglie sarà impossibile mantenere i figli agli studi".

<em>Ma non la pensano tutti così. Sempre da Salerno, ad

esempio, si fanno sentire le rappresentanze sindacali di base

dell´università (ndr. RdB/CUB Università), che polemizzano con chi

vuole trattare: "Mentre dagli atenei emerge con sempre maggior

chiarezza la rivendicazione di stralcio delle misure del decreto

riguardanti l´università, la Crui è disposta a confrontarsi con il

ministro Gelmini. <em>

<em>Non sappiamo se è a questo tavolo che va attribuito

l´emendamento al decreto Brunetta che limiterebbe a una sola tornata

l´allungamento a tre anni della periodicità degli scatti biennali per

la docenza. Ma è significativo che l´unica "concessione" fatta finora

riguardi solo la docenza". <em>

<em>Come già avvenne ai tempi della Moratti, proseguono i

sindacati, "la disponibilità della Crui rischia di preparare un

ennesimo arretramento del movimento di difesa dell´università pubblica".<em>

 

 

"Qui a Salerno - racconta il rettore Raimondo Pasquino, che è anche vicepresidente della Crui - abbiamo una Fondazione. Ma in 7 anni nessuno è venuto a darci un soldo. ... E non è solo un problema nostro: persino il Politecnico di Milano rifiuta l´idea di reggersi grazie ad una fondazione".  

Chissa' come mai i privati si rifiutano di dargli soldi...

 

(28 settembre 2008) - Corriere della Sera

DEFICIT RIMOSSO IL CAPO DELLA RAGIONERIA. IL RETTORE AL PERSONALE: SITUAZIONE DIFFICILE

Siena, buco di 80 milioni: l' Università ora rischia il crac


L' Inpdap chiede due anni di contributi non versati. Stipendi a rischio. L' ateneo ha anche debiti nei confronti della Cassa depositi e prestiti e del Monte dei Paschi per 180 milioni Tra i banchi e in cattedra 20.000 I conti


DAL NOSTRO INVIATO SIENA - Otto secoli di sapere che rischiano di fare crac. Di essere inghiottiti in una voragine di bilancio da far venire le vertigini. Si parla di 80 milioni di euro, ma potrebbero essere anche 100. Una montagna di debiti, un bilancio groviera. Numeri da far saltare il banco, e pure qualche testa illustre. La Siena del Palio, del Monte dei Paschi e dei turisti a bocca aperta scopre di avere qualcosa di malato nel grembo. La sua università. Un gioiellino che arriva direttamente dalla notte dei tempi: 1240, pieno Medioevo. Che ha gareggiato con Bologna in una sfida del sapere che ha attraversato i secoli. E che ora, con quasi 20 mila studenti e una raggiera di facoltà che va da medicina a scienze matematiche, passando per lettere e ingegneria, si colloca per qualità accademica tra i top degli atenei italiani. Senza considerare l' indotto in termini economici: tra studenti in trasferta, affitti e movimento commerciale, la sola presenza dell' ateneo muove a Siena alcuni punti del Pil locale. Un ben di dio a rischio, adesso che i conti sono rotolati giù dalle scale. Al punto che ieri, quando sono arrivati gli stipendi per i 2.300 dipendenti, qualcuno ha brindato, forse non sperandoci più. Lo stesso rettore, Silvano Focardi, 62 anni, alla guida dell' istituzione dal 2006, pur garantendo sulla «stabilità» dell' ateneo e sulla tenuta dell' attività «di ricerca e formazione», è stato costretto a riconoscere in una lettera inviata al personale che «la situazione è difficile», arrivando ad augurarsi «di poter fugare ogni timore sul futuro della nostra università». Non è ancora chiaro da dove nasca il profondo rosso. Anche perché a Siena, a parte qualche isolata voce, l' argomento è stato a lungo tabù. Pare che una delle cause principali sia il mancato versamento all' ente previdenziale Inpdap dei contributi per i dipendenti. Quasi due anni senza pagare («L' alternativa - è scritto in una relazione al bilancio 2005 - era non dare gli stipendi»), con il risultato che ora l' ateneo si trova costretto a restituire la bellezza di 80 milioni rateizzati in 10 anni. A ciò si aggiungerebbe anche una situazione debitoria nei confronti della Cassa depositi e prestiti e del Monte dei Paschi per 180 milioni scaglionati fino al 2016. Domani si riunirà il Cda dell' ateneo, poi toccherà al Senato accademico e solo dopo il rettore potrà fornire le prime risposte al personale. Grandi vie di fuga non se ne vedono. L' ipotesi che va per la maggiore è quella di ricorrere all' ingente patrimonio immobiliare dell' ateneo (circa un miliardo di euro), vendendone o affittandone parte. Intanto rotolano le prime teste. E affiorano veleni. Il responsabile della ragioneria è stato sollevato dall' incarico e il suo posto è stato preso dal direttore amministrativo in persona, Loriano Bigi. I sindacati sono sul piede di guerra e hanno chiesto «un tavolo permanente di negoziato». Il Pd, che esprime il sindaco Maurizio Cenni, si chiede il perché di un simile buco «considerando che la nostra università, a differenza delle altre, riceve risorse dalla Fondazione Monte dei Paschi», circa 9 milioni l' anno. La Lega chiede il commissariamento. L' ex preside di ingegneria Antonio Vicino, che si candidò per il posto di rettore alle ultime elezioni, si domanda sul Corriere di Siena «come sia possibile che una situazione così sia sfuggita al controllo dell' amministrazione e quali sono le responsabilità». E Luigi Berlinguer, ex ministro ed ex rettore a Siena tra l' 85 e il ' 94, si dice «sconcertato dall' ammontare del disavanzo». C' è chi parla di assunzioni di massa per motivi politici. Chi di eccesso di personale. Esce di tutto, ora. Ma solo un anno e mezzo fa il rettore Focardi aveva reso pubblica la situazione di bilancio lasciata dal suo predecessore (Piero Tosi, uscito di scena per un' inchiesta relativa ad un concorso). I numeri dicevano che, dal 2002 al 2006, il disavanzo era passato da 7 a 49 milioni di euro. La corsa verso il burrone era già iniziata.

Alberti Francesco




 

 

Il principio della convertibilità della Università in fondazioni private - sancito dall'art. 16 della Legge - costituisce senza dubbio il più grave attacco mai condotto contro l'autonomia e il futuro stesso dell'Università italiana

 

Mi perito di segnalare - nuovamente - che il Portogallo ha recentemente adottato una legge organica sul regime giuridico delle istituzioni di istruzione superiore che prevede (Artt. 129-137) la possibilità di trasformare, a richiesta, le Università statali in fondazioni. Si tratta di un Governo socialista, e il Ministro, Josè Mariano Gago, è (per chi non lo sapesse) il migliore Ministro dell'Istruzione e della ricerca in Europa - era Ministro anche nel 2000 all'epoca dell'accordo sulla Strategia di Lisbona.

E comunque, il modello di Università come Fondazione non è "particolarmente" amerikano, casomai e' Inglese. In Gran Bretagna tutte le Università sono Fondazioni; nessuna è una Pubblica Amministrazione, ne ho già scritto ad esempio qui e qua.

Il concetto di fondazione è promosso in Europa, non solo da Mariano o dalla Gelmini, per rendere giuridicamente esplicito il concetto di autonomia-responsabilità, e per ottenere con il regime giuridico di diritto privato quello che non si potrà mai avere con quello di diritto pubblico/Amministrazione Pubblica. In particolare, bisognerà (a pena di non comprendere il punto fondamentale) rendere i docenti lavoratori dipendenti della singola Università mediante contratto di lavoro al di fuori del regime pubblicistico.

Non mi dilungo ora, ma rimarco l'estrema lontananza del testo dell'appello citato rispetto ai ragionamenti che hanno corso in Europa, nonchè l'ideologismo anni '70 molto demodè.

Renzino l'Europeo 

 

 

Grazie per l'utilissima segnalazione dell'esperienza portoghese e per gli articoli, che mi sembrano molto interessanti. Vorrei però far notare che, mentre in Portogallo preparano una legge organica, probabilmente pensata, discussa in parlamento, messa a punto in mesi di studio, insomma una vera riforma, in Italia si va avanti per proposte estemporanee affidate all'estro del ministro di turno, votate in parlamento sotto la minaccia della fiducia. Se la Gelmini sta copiando Mariano, beh, a mio parere lo sta facendo male!

 

Mi sembra di capire che questo blog sia frequentato fondamentalmetne da

professori (meglio se di economia) e ci tenevo a farvi sapere la mia

opinione di studente fuorisede a tutto questo dibattito sperando che le

mie idee siano utili a qualcuno. Ci tengo a sottolineare che non so

molto sulle segrete stanze della gestione economica delle universita'

in quanto sono totalmente precluse agli studenti il cui compito e'

accettare le decisioni imposte dall'alto e magari ringraziare perche'

ci hanno comunicato che da oggi le regole sono unilaterlamente cambiate

(togliendoci "l'oneroso" lavoro di scoprirlo da soli.

 

Sono d'accordo nel dire che parte dello sfascio e' colpa dei

professori, in quanto premiano il paraculismo invece delle idee e sono

sicuro che mai nessuno abbia intenzione di far fare ricerca ad un

giovane che magari ha una buona intuizione ma diversa da quella dei

baroni di turno, in quanto, e' noto, sono i soli detentori della

CONOSCENZA, penso che il caso Aliaga

(http://www.justresponse.net/doctoral_torture.html) sia un ottimo

spaccato del problema.

 

Io

credo che pero' non siano stati solo i docenti ad aver sfasciato il

sistema, sono colpevoli anche quelli che non hanno denunciato la

decadenza e quelli che non hanno preso provvedimenti, quindi di nuovo

professori e governo. Anche gli studenti avrebbero dovuto denunciare lo

sfascio,ma il 98% e' troppo terrorizzato delle ritorsioni che tutti i

professori all'unisono gli avrebbero loro scatenato addosso (vedi

ancora Aliaga), come dire, quando un uomo con un fucile incontra un

uomo disarmato, l'uomo disarmato e' un uomo morto.

 

Il

governo lo fa chi vince le elezioni, e chi vince le elezioni? Chi fa i

favori, chi fa le assunzioni, chi fa le leggicine comode per il

popolino ma scomode per la collettivita' ecc. Non credo che sia colpa

tanto delle universita'che hanno formato una casta dirigente di

imbecilli, io credo che sia colpa soprattutto degli italiani di essersi

piegati ad una casta dirigenti di imbecilli. Bastava non chiedere

favori, assunizioni e leggicine, bastava avere la maturita' di capire

che la villettopoli sul mare fa decadere la qualita' del turismo e

quindi (per lo meno) gli introiti sul lungo periodo, che le assunzioni

dei leccaculo aumentano la spesa pubblica (e sviliscono la persona,

costretta a leccare il culo tutta la vita), bastava pretendere e dare

un minimo di trasparenza d onesta'. Per questo credo che lo sfascio

dell'universita' sia solo la declinazione accademica del piu' grande

sfascio della morale italiana, intesa come insieme di principi che

regolano la vita privata. I meccanismi di contrasto a questo sfascio

sono intervenuti a frittata fatta, bisognava ripulirsi seriamente venti

anni fa (almeno).

 

Per quanto rigurada la trasformazione

dell'universita' ad ente privato, anche qui sono poco d'accordo con la

legge. Sottolineo la mia ignoranza in materia di reperimento fondi,ma

chi ci garantisce l'indipendenza della ricerca? Cioe' se assumiamo che

le onde elettromagnetiche fanno male alla salute, chi avrebbe interesse

a studiare il loro impatto sulla salute? Nessuno, altrimenti le aziende

potrebbero essere costrette a spendere piu' soldi in sicurezza del

prodotto e meno in gadgets.Inoltre, scusatemi, ma chi dovrebbe

finanziare questa ricerca? Il mio prof. di economia ci ha fatto la

testa cosi' a lezione a dire che un gran numero di imprese italiane

puntano su strategie di costo invece che di qualita' quindi perche'

dovrebbero sprecare soldi ad innovare quando e' molto piu' comodo

campicchiare con contratti precari, delocalizzazioni magari qualche bel

cartello ed un po' di lobbing politico? Non dimentichiamoci inoltre che

le imprese grosse italiane sono spesso vicine ad ambienti ambigui, chi

mi dice che con la strada dei finanziamenti  le universita' non

finiscano per giustificare (piu' di quanto gia' fanno) comportamenti

senza senso (es. considerare il ponte di Messina un progetto serio)

pena la perdita dei finanziamenti?

 

Se quindi

l'universita' non riesce a trovare i finanziamenti, chi mi dice che

questo non si traduca in un'impennata delle tasse universitarie? Le

universita' americane sono di alto livello, ma mi sembra non siano per

tutti, Stanford chiede 36K $ l'anno, la Sapienza circa 1K euro, non so

se ci siano sconti per Stanford ma di sicuro non tutti quelli che

andranno all'universita' potranno pensare solo a studiare, dovranno

anche lavorare ed in Italia lavorare e studiare vuol dire laurearsi con

il triplo del tempo mentre si e' sfruttati come cameriere in qualche

bettola "per studenti" che magari nenache paga le tasse. Nel frattempo,

il proprio titolo di studi e' diventato vecchio, oppure si ha un'eta'

troppo alta per essere assunti con certezza.

 

Infine la

terza proposta mi piace poco, ritengo che la triennale sia poco piu' di

carta straccia perche' non insegna nulla di specifico e non garantisce

un'autonomia ed un avanzamento di carriera, inoltre, al termine della

triennale, lo studente e' traghettato in un non-stato, non e' un

laureato peche' non puo' firmare progetti ma deve comunque sostenere

spesso un test di ingresso come se venisse dal liceo; non e' un

non-laureato, perche' se si iscrive alla specialistica (magari da

un'altra universita') gli scaricano 6M di debiti in materie inutili (ai

fini della specializzazione), inoltre alla triennale ha comunque perso

tempo a fare tesi e tirocinio con conseguente slittamento del tempo di

iscrizione. Il risultato e' solo tempo e denaro sprecato dietro a

cartacce e fuffa. Fosse per me la triennale la toglierei, prevederi un

percorso (opzionale) di uscita per quelli che vogliono lavorare subito

(che sono pochi), oppure tornerei alla semplice laurea e diploma di

laurea, dove al diploma di laurea si affida la stessa potenza della

attuale triennale, cosi' la si pianta di avere lauree in legge

allungate di un anno e lauree in ingegneria.zip

Delocalizzare le

specialistiche vuol dire piu' fuori sede, quindi piu' soldi spesi dalle

famiglie, quindi meno laureati seri, piu' speculazione sugli affitti e

sui trasporti, piu' ignoranza diffusa ecc. Puo' funzionare solo se le

famiglie vengono aiutate (ahaha che ridere), vero e' che se le

specialistiche delle piccole universita' hanno solo professori assunti

per nomina politica che non sanno neanche loro quello che stanno

insegnando, il problema non sussiste....

Effettivamente, le

risorse sarebbero piu' concentrate in pochi punti e se assumiamo che in

quei pochi punti non ci siano baroni sul libro paga di multinazionali

il cui unico motivo d'essere e' mantenere in vita modelli di business

obsoleti invece di migliorare la qualita' della vita (si pensi alle

major della musica ed il DRM) e se la triennale fosse formativa tanto

quanto una laurea vecchio ordinamento e se le famiglie possano

permettersi 3 figli fuorisede contemporaneamente allora l'idea potrebbe

funzionare in toto.

 

A me sembra che questa riforma sia

solo un metodo rapido per trovare i soldi per regalare Alitalia ai

soliti amici senza tagliare i privilegi delle solite caste e senza far

notare agli italiani l'assuridita' della soluzione per Alitalia.

 

Scusatemi

per la logorrea di quello che alla fine e' diventato uno sfogo, e se

siete stati cosi' pazienti da seguirmi fin qui, vi ringrazio

sentitamente!

 

 

Per quanto rigurada la trasformazione

dell'universita' ad ente privato, anche qui sono poco d'accordo con la

legge. Sottolineo la mia ignoranza in materia di reperimento fondi,ma

chi ci garantisce l'indipendenza della ricerca? Cioe' se assumiamo che

le onde elettromagnetiche fanno male alla salute, chi avrebbe interesse

a studiare il loro impatto sulla salute? Nessuno, altrimenti le aziende

potrebbero essere costrette a spendere piu' soldi in sicurezza del

prodotto e meno in gadgets.Inoltre, scusatemi, ma chi dovrebbe

finanziare questa ricerca?

 

Rispondo solo su questo, non ho tempo per approfondire tutto quello che scrivi ma qui si possono citare velocemente alcuni dati, restringendo solo per semplificare il confronto tra il sistema degli Stati Uniti con quello italiano.

Negli USA una minoranza di universita', tra cui molte delle migliori, sono private, tuttavia sono un tipo particolare di impresa privata, sono fondazioni senza fini di lucro. Inoltre, i loro fondi specie per ricerca pura di punta, vengono comunque dallo Stato in maniera preponderante. Quindi la loro ricerca pura e' libera esattamente come in Italia. Il fatto che siano enti privati non significa tanto che perseguano scopi privati ma piuttosto che hanno maggiore autonomia, maggiore capacita' di attrarre e gestire donazioni e contributi privati, maggiore capacita' di competere in base al merito della ricerca e didattica prodotta per i fondi statali. La maggioranza delle universita' USA puo' essere considerata statale (non conosco i dettagli formali tuttavia) tuttavia ha autonomia per alcuni aspetti comparabile con quelle private e sostanzialmente i vari Atenei anche statali sono in competizione tra loro per ottenere fondi in base ai risultati prodotti. Con questo sistema gli USA hanno nella popolazione attiva circa 6 volte piu' laureati che in Italia, quindi non e' vero che il loro sistema sia meno "democratico" del nostro, anzi il loro sistema di borse di studio e di valutazione del merito e' enormemente piu' democratico ed efficace del sistema statale italiano, basta anche solo documentarsi aneddoticamente alla storia personale di Obama e di sua moglie. A parte le costose universita' private, che comunque hanno borse di studio che premiano i poveri meritevoli piuttosto che dare gli alloggi universitari al figlio dell'orefice evasore come in Italia, l'80% circa dei laureati USA vengono da universita' statali che per i residenti dello Stato hanno costi probabilmente 2-3 volte quelli italiani, ma che le famiglie possono permettersi in misura superiore all'Italia perche' guadagnano di piu' e vengono tassate meno.

Concludendo, sistemi universitari dove le universita' siano in parte fondazioni private senza scopi di lucro funzionano nettamente meglio del sistema universitario italiano, producono piu' laureati, aiutano meglio i poveri meritevoli, premiano maggiormente il merito.  Grazie al maggior numero di laureati e alla loro qualita' determinata dagli incentivi al merito, gli USA hanno un PIL pro-capite nettamente superiore all'Italia, un numero di premi Nobel pro-capite assegnati a ricercatori nati in tutto il mondo ma che lavorano e sono stati valorizzati dalle universita' USA nettamente superiore all'Italia, un numero di brevetti tecnologici pro-capite nettamente superiore a quello italiano.

In Italia si fa molta retorica, si cerca di spaventare la gente per poter continuare a spendere male i soldi dello Stato, anche assumendo parenti e amici, ma non si fanno quasi mai confronti onesti. Se vuoi maggiori dettagli anche quantitativi puoi leggere i lavori di Roberto Perotti, uno dei migliori esperti dei mali dell'universita' italiana e dei meriti del sistema universitario USA, sistemi che conosce entrambi perche' insegna alla Bocconi e alla Columbia.

 

Ti rispondo solo su un paio di punti:

 

Per quanto rigurada la trasformazione

dell'universita' ad ente privato, anche qui sono poco d'accordo con la

legge. Sottolineo la mia ignoranza in materia di reperimento fondi,ma

chi ci garantisce l'indipendenza della ricerca? Cioe' se assumiamo che

le onde elettromagnetiche fanno male alla salute, chi avrebbe interesse

a studiare il loro impatto sulla salute? Nessuno, altrimenti le aziende

potrebbero essere costrette a spendere piu' soldi in sicurezza del

prodotto e meno in gadgets.

 

 Per esempio potrebbero finanziarla aziende che si occupano di sicurezza (se chi fabrica apparecchi deve spendere, qualcun' altro dovrà incassare), o le associazioni ambientaliste.

 

Effettivamente, le

risorse sarebbero piu' concentrate in pochi punti e se assumiamo che in

quei pochi punti non ci siano baroni sul libro paga di multinazionali

il cui unico motivo d'essere e' mantenere in vita modelli di business

obsoleti invece di migliorare la qualita' della vita (si pensi alle

major della musica ed il DRM) e se la triennale fosse formativa tanto

quanto una laurea vecchio ordinamento e se le famiglie possano

permettersi 3 figli fuorisede contemporaneamente allora l'idea potrebbe

funzionare in toto.

 

Se a pagare sono delle multinazionali private, tranquillo che vogliono risultati, ed il barone deve far fruttare ogni euro che gli danno.Detesto i DRM e li trovo un po' ridicoli, ma si puo' fare dell' ottima ricerca applicata cercando di farne uno che funzioni.

Ovviamente puo' capitare che il barone riesca a vender fumo o che sostenerlo sia considerato lobbying del suo padrino politico piuttosto che R&D, ma per il poco che ho visto della ricerca nelle nostre università (da ingegnere) un rapporto con l' industria puo' solo far bene.

 

La proposta di abbassare il limite di età per il pensionamento obbligatorio ricorda l' assioma vetero-sindacalista e vetero-sinistrese secondo cui i posti di lavoro sono un dato e se si manda qualcuno in pensione si crea un posto di lavoro per qualcun altro, con il risultato che l' Italia è fra i paesi sviluppati quello con il tasso di attività e di occupazione più basso, senza che questo ci abbia particolarmente giovato quanto a livelli di disoccupazione. In realtà si fanno i conti senza l' oste, dove l' oste in questo caso è il vincolo di bilancio del settore pubblico allargato. Se un professore di ruolo con un' anzianità superiore ai 40 anni va in pensione il suo reddito varia di poco, dato l' elevato tasso di rimpiazzo del nostro attuale sistema pensionistico nel caso specifico. In più viene anticipato il pagamento della liquidazione che in caso di dipartita in servizio (la cui probabilità cresce con gli anni) sarebbe stata quantomeno fortemente decurtata (per quanto ne so) nel caso di trasferimento ai familiari aventi diritto. Quindi il risparmio verrebbe ad essere ben modesto comunque. La differenza è che il pensionato, a differenza di chi rimane in servizio attivo, riceve più o meno lo stesso reddito per non fare niente. Non si vede il vantaggio. A meno che ovviamente il docente in questione sia totalmente rimbischerito (cosa che comunque può capitare ad età ben inferiori) e che quindi il suo contributo lavorativo abbia un valore negativo, caso certamente possibile, ma oggigiorno all' età di 65 anni, fino al vecchio limite di 75, scarsamente probabile, tenuto conto del miglioramento delle condizioni di salute in età avanzata. Diversamente potrebbe essere il caso se, come succede in altri paesi, il sistema pensionistico fosse meno generoso e il tasso di rimpiazzo molto più basso. Per quanto riguarda l' esempio americano, cui l' autore spesso fa riferimento, mi consta che il limite di età per rimanere in servizio è stato rimosso e quindi la decisione di pensionarsi o no è affidata alla discrezione del docente, che rimane attivo finchè crede nell' istituzione universitaria.