L'apertura domenicale degli esercizi commerciali: alcune riflessioni e un po' di teoria economica

/ Articolo / L'apertura domenicale degli esercizi commerciali: alcune riflessioni e un po' di teoria economica
  • Condividi

Questo post è sollecitato da almeno due discussioni su facebook con due amiche, separatamente, entrambe preoccupate della sempre maggiore prevalenza di aperture domenicali negli esercizi commerciali in Italia.

Ci ho pensato parecchio e confesso di non avere ancora le idee chiare su come strutturare l'argomentazione, ma ci provo. Il disagio delle mie due amiche deriva, presumo, da un misto di solidarietà verso i lavoratori del settore e di nostalgia per i tempi in cui la vita era scandita da ritmi regolari, la settimana divisa in comparti nettamente distinti fra lavoro e riposo. È un progresso poter consumare 24 ore su 24? Credo che distinguere questi due aspetti possa aiutare.

I lavoratori del settore commerciale

Cominciamo dunque dall'affrontare i problemi dei lavoratori del settore che si sono trovati, nel giro di pochi mesi, di fronte ad un drastico cambiamento di condizioni lavorative. Molti sono stati costretti ad accettare la turnazione domenicale e festiva in cambio di una piccola o spesso nulla compensazione monetaria. In questo periodo di crisi prolungata, senza alternative accettabili.

Non credo sia in discussione la moralità del lavoro domenicale: esistono eserciti di persone che hanno sempre lavorato nei giorni di festa per il beneficio di chi riposa: operatori del turismo, conduttori di treni e autobus, pasticcieri, baristi, preti, dottori ed infermiere ... Il problema non è il lavoro domenicale in sé, ma la transizione per chi si trova in un settore soggetto a cambiamento. La situazione di questi lavoratori non è dissimile da quella sperimentata continuamente da chi lavora in industrie soggette ad innovazione. L'innovazione, in questo caso è l'apertura domenicale; poco importa che l'idea fosse pre-esistente: aprire di domenica era vietato da leggi e/o regolamenti in precedenza, ma ora non lo è più. Eliminare questo divieto corrisponde ad una innovazione che cambia le condizioni lavorative, o perché le condizioni lavorative peggiorano, come nel caso delle aperture domenicali, o perché la domanda del prodotto scompare del tutto, come in molte altre industrie soggette a processi innovativi. Gli esempi sono innumerevoli. Peggio si sono trovati gli stampatori di dischi in vinile all'introduzione del compact disk. Peggio i programmatori del motore di ricerca Altavista (e chi se lo ricorda?) quando Google diventò il motore dominante. Peggio i lavoratori di Myspace dopo l'avvento di Facebook. Nessuno si sognerebbe in questi casi di pretendere di mantenere tecnologie o processi obsoleti. Rimangono però i problemi per chi subisce l'innovazione. Sorgono spontanee alcune domande. 

Ma l'innovazione non dovrebbe farci stare tutti meglio? L'innovazione fa stare meglio quasi tutta la popolazione tranne i lavoratori delle industrie diventate obsolete, che devono reinventarsi un lavoro o accettare condizioni lavorative o salariali peggiori. Le aperture domenicali degli esercizi commerciali sono una comodità per chi non riesce a fare la spesa durante la settimana, ma un peso, spesso insopportabile, per le cassiere e commesse abituate ad avere le domeniche libere. Come confrontare i vantaggi degli uni con il peso degli altri? Qualcuno risolve la questione sostenendo che esistono altri vantaggi, collettivi, oltre a quelli personali. 

Le aperture domenicali non sono un modo per sollecitare i consumi e per rilanciare l'economia? Domanda difficile; nessun economista crede che basti "consumare" per rilanciare l'economia, ma qualcuno pensa che la crescita derivi da maggiori consumi. Nel caso dei supermercati, è ragionevole pensare che la domanda di cibo e beni di consumo domestico sia abbastanza fissa; chi compra la frutta di domenica finirà per comprarne meno di Martedì. Questo è vero, ma non vanno sottovalutati guadagni di efficienza in senso lato: se so che posso fare la spesa di Domenica, al Martedì posso fare cose che non avrei fatto altrimenti: posso stare più a lungo al lavoro, posso portare i bambini a scuola di pianoforte, il che beneficia sia i bambini, sia gli insegnanti di musica, sia i produttori di pianoforti. Insomma si creano opportunità che non sarebbero state possibili nel regime precedente.

Ma non si tratta di vantaggi minuscoli rispetto al peso sopportato dalle commesse? Quando troveranno il tempo di dedicarsi alla loro famiglia? Domande difficili, perché chiedono di comparare vantaggi e svantaggi di persone diverse. A naso, uno potrebbe dire che nel lungo periodo si specializzeranno in queste professioni persone che non hanno figli da accudire la Domenica, o comunque persone che non hanno particolarmente a cuore riposare di Domenica piuttosto che di Martedì. Oppure persone con figli che preferiscono avere un giorno infrasettimanale libero per accompagnarli alla lezione di musica. Nessuno si è mai preoccupato dei figli dei pasticcieri, anche perché questi ultimi sapevano fin dall'inizio, quando hanno scelto la loro professione, che i pasticcini la gente li compra la domenica dopo la messa. I commessi dei supermercati invece devono gestirsi una transizione difficile.

Un cambiamento sostanziale delle condizioni contrattuali non è del tutto diverso da un licenziamento e andrebbe trattato in modo simile, facendo attenzione a possibili abusi. In un sistema ideale, come quello proposto da chi ha in mente sistemi di flexsecurity, la transizione dovrebbe essere coperta da una assicurazione sulla disoccupazione che protegga i consumi di chi si trova in condizioni simili e finanzi, per chi lo voglia, un apprendistato per chi è disposto a cambiare professione. Tutto questo, lo ammetto, non è senza costi, perché la gente è legata al proprio lavoro. Esistono, ovviamente, persone che non possono essere protette da questi meccanismi, come i piccoli esercenti travolti dall'impossibilità di tenere sempre aperti i loro piccoli negozi. La situazione di queste persone è più difficile anche perché si tratta di persone che conducono un'attività imprenditoriale che è per sua natura rischiosa. A queste persone non resta che reinventare il proprio lavoro e trovare una nicchia in cui specializzarsi per mantenere la propria attività. Anche qui negli Stati Uniti, dominati dai centri commerciali e dai supermercati aperti 24 ore, esistono piccoli negozi che riescono a sopravvivere grazie al supporto al cliente e alla specializzazione. 

I ritmi regolari della vita di un tempo

Non so se ho convinto gli scettici, ma passiamo alla seconda fonte di disagio: la perdita del mondo romantico in cui la Domenica deve (semplificando) essere dedicata al riposo. L'apertura domenicale è frutto del consumismo e della frenesia moderna che ci porta a spendere e consumare, ogni giorno. È progresso questo?. Di primo acchito questa è una posizione anti-libertaria. L'obiezione immediata facebook-style sarebbe: "chi ti obbliga a fare la spesa di domenica? Lasciala fare a chi vuole farlo e vai a farti la scampagnata". Ma c'è un problema più serio. La scampagnata io me la godo se la faccio con i miei amici. Se i miei amici e i miei vicini fanno lo shopping di domenica o peggio se devono lavorare (quelli che fanno lo shopping di domenica non sono miei amici), non c'è nessuno che venga a fare il pic-nic in collina con me. Questa è una obiezione più seria, trattata nella ricerca di alcuni economisti. Per semplicità considero qui risolto il problema (descritto nella sezione precedente) della "transizione" per i lavoratori correntemente impiegati nel settore. 

Un'idea, presentata per esempio in un paper di Glaeser, Scheinkman e Sacerdote (Journal of the European Economic Association, 2003in inglese come tutti gli articoli che linkerò in seguito) è che in presenza di interazioni sociali esistono "complementarietà" fra le scelte delle persone. In parole povere, se io scelgo di prendermi una giornata libera al Martedì per andare a fare una passeggiata in montagna, lo stesso cerca di fare il mio amico perché è più bello passeggiare assieme che da soli. Il problema è come coordinarsi. Come facciamo se uno dei nostri capi ci concede la giornata libera il Martedì e l'altro la Domenica? Se queste "complementarietà" sono sufficientemente forti, allora può avere senso per un governo benevolente obbligare i suoi cittadini a prendere tutti il giorno di riposo lo stesso giorno (per esempio la Domenica), perché le perdite di efficienza che derivano dall'obbligare a non lavorare chi vuole farlo sono più che compensate dal guadagno di "benessere" derivante dal fare la gita tutti assieme. La regolamentazione governativa risolve il problema di coordinamento e tutti sono felici (tranne qualche raro a-sociale che si ostina a pretendere di lavorare la Domenica). 

Questo in teoria. Empiricamente, gli economisti cercano di studiare queste domande analizzando per esempio le differenze fra le attitudini al lavoro fra Stati Uniti ed Europa. Negli Stati Uniti si lavora di più (e non solo di Domenica), ma non è sempre stato così: all'inizio del XX secolo e fino alla prima guerra mondiale si lavorava di più in Europa. Le ore medie annuali lavorate dagli anni Sessanta e fino all'inizio dei Settanta erano più o meno le stesse in Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, ma il divario è poi aumentato (vedi figura). Difficile pensare dunque che si tratti di differenze culturali. 

Secondo alcuni (Ed Prescott, per esempio, in questo articolo del 2004, anch'esso in inglese), il divario attuale è quasi interamente spiegato dalle differenza fra i tassi marginali sulle imposte sui redditi. Se gli europei pagassero le tasse degli americani, lavorebbero di più. Alesina, Glaeser e Sacerdote in un articolo del 2006, sostengono che le stime di Prescott, basate sulla calibrazione di un modello "macro" economico richiedono una "reattività" (noi la chiamiamo elasticità) dell'offerta di lavoro ai cambiamenti di tasse e salari che non trova riscontro nella maggioranza degli studi microeconomici (cioé che si basano su dati individuali), con qualche eccezione a noi vicina. In sostanza, secondo i tre economisti, quando si guarda ai dati di come gli individui reagiscono ad un aumento delle imposte, non si riscontrano cambiamenti nell'offerta di lavoro così grandi come quelli che riscontra Prescott.

Alesina, Glaeser e Sacerdote suggeriscono che le differenze inter-continentali sono in realtà spiegate principalmente dalla maggiore forza dei sindacati nel vecchio continente e da maggiore regolamentazione del lavoro, che impone chiusure domenicali e feste comandate più che negli Stati Uniti. Come riconciliare le due visioni? Una possibilità è l'esistenza di un "moltiplicatore sociale" come suggerito dalla teoria descritta sopra. Individualmente un lavoratore può reagire poco ad un aumento di imposte - e questo è quello che risulta dagli studi microeconomici , ma collettivamente (a livello "macro"), siccome troviamo beneficio dal lavorare meno - ma assieme - l'effetto è grande. 

Come spiegato sopra, la regolamentazione del riposo e delle vacanze non è necessariamente un male, perché ci piace andare al cinema e a mangiare la pizza con gli amici, non da soli. Le regolamentazioni servono ad aiutare a coordinarci ad andarci i Sabati e le Domeniche piuttosto che i Martedì. Se così fosse, potrebbe essere vero che gli europei lavorano meno perché sono tassati di più come sostiene Prescott, ma è soprattutto vero, sostengono Alesina & Co., che gli americani lavorano di più perché, in assenza di regolamentazione sul vacanze e riposo settimanale, non riescono a coordinarsi per andare in vacanza assieme.  Vorrebbero lavorare meno e sarebbero più felici facendolo assieme, ma non sanno cosa fare a casa da soli, quindi meglio lavorare. 

A mio parere personale, questo ragionamento è limitato ed insoddisfacente. È sicuramente meglio mangiare la pizza con gli amici che da soli, ma per farlo non devo necessariamente obbligare tutto il resto del pianeta a prendere il giorno di vacanza lo stesso giorno in cui lo facciamo io e la mia cerchia di compari. Anche la scelta degli amici è "endogena": se condividono i miei valori, avranno già scelto lavori con riposo domenicale, dei quali esiste abbondante domanda (questo è un ulteriore costo nella transizione, perché gli amici me li sono già scelti, eravamo abituati ad andare al cinema di domenica, ora loro non possono più). Il mondo non vive in un'anarchia totale riguardo quale giorno della settimana sia dedicato al riposo. Anche negli Stati Uniti, le scuole, molti uffici e negozi sono chiusi il Sabato e soprattutto la Domenica, ed esiste, entro certi limiti, la possibilità di scegliere il lavoro anche secondo queste dimensioni. Ora che non si fanno più le vacanze solo in Agosto nemmeno in Italia, numerose famiglie riescono a coordinarsi per fare le vacanze assieme, risparmiando, in altri periodi dell'estate e delll'anno. 

C'è poi un'ultimo aspetto, quello della libertà personale e d'impresa. Davvero crediamo che sia opportuno che il governo o il parlamento decidano chi possa e cosa si possa fare un certo giorno della settimana? Se un commerciante vuole lavorare, ed un consumatore acquistare, o fare qualsiasi attività durante un particolare giorno della settimana, perché lo stato dovrebbe avere la capacità di impedirglielo? A me sembra assurdo e pericoloso, perché lascerebbe spazio a limitazioni molto più gravi. Questo aspetto mi sembra dominante rispetto ai deboli vantaggi derivanti dal coordinamento. 

Lo stesso ragionamento dovrebbe valere per chi si sente a disagio di fronte all'esigenza consumistica di avere tutto, subito, a disposizione. Alla fine, ogni argomento contrario all'apertura sbatte contro la libertà personale, che non impedisce a chi lo vuole di vivere liberamente, riunendosi con chi la pensa allo stesso modo. 

Tornando alle preoccupazioni per i lavoratori costretti alle domeniche in negozio. Se avessi amiche/amici nel settore, darei loro un avvertimento ed un consiglio. L'avvertimento è che nonostante le proteste e un inizio forse dal successo limitato, non torneremo al regime precedente. Fare la spesa quando si vuole (magari la Domenica sera, di ritorno dal pic-nic in montagna) è una comodità cui diventa difficile rinunciare dopo averla sperimentata per un po'. Lo stesso vale, ovviamente, per i servizi pubblici, le banche, etc... (che oramai, dove internet funziona, non necessitano nemmeno di strutture fisiche "aperte" durante la settimana e di impiegati allo sportello). Il consiglio è che se davvero il riposo domenicale è irrinunciabile, forse occorre cominciare a cercare un lavoro diverso.  Un consiglio triste, penoso, irriverente, ma davvero non c'è alternativa. L'innovazione è anche distruttiva e la state subendo come molti altri. 

Un grazie a Cinzia e Valeria per aver sollecitato questo post. Un pensiero speciale a Marina, che ha venduto la sua pasticceria anche per avere la domenica libera e ora fa la vicedirettrice di un piccolo supermercato con turni domenicali; e ad Alberto, proprietario di un negozio di giocattoli e prodotti per bambini, fra l'incudine dell'offerta di qualità che solo un piccolo commerciante può dare, ed il martello della grande distribuzione standardizzata, aperta tutti i giorni e tutte le ore. Ha scelto di ingrandirsi ed aprire un negozio di medie dimensioni. Non so se sia aperto di Domenica. 

Indietro

Commenti

Ci sono 56 commenti

L'articolo è molto carino. un pò tecnico, ma così ci piace.

Sul punto della specializzione del lavoratore a seguito dell'innovazione. Io riporto la mia esperienza. Durante l'università ho lavorato con un contratto (regolare) da week-endista presso una nota catena commerciale. Eravamo in tantissimi universitari. Qualcuno aveva addirittura un contratto indeterminato da week-endista. ed il salario era buono. 16 ore tra sabato e domenica. I commessi strutturati invece ruotavano nei week-end e lavoravano regolarmente durante la settimana. La cosa funziona alquanto bene. Ed era tutto fatto con le norme attuali del mercato del lavoro. quindi l'intuzione dell'autore "a naso" è giustissima.

la tragedia italiana è che molte aziende forse non fanno ruotare i proprio dipendenti. lavorare 6/7 ore al giorno per 6 giorni (inclusi i week end) non è la stessa cosa di 8 ore per 5. soprattutto non dovrebbe essere retribuito in maniera uguale. L'innovazione quind in questo caso sembra essere dal lato domanda (per servizi la domenica), mentre l'offerta stenta ad adeguarsi. o meglio, le imprese reagiscono, ma non adeguatamente. e scaricano l'onere sui lavoratori.

La situazione che descrivi non sembra sostenibile. Se tutti gli imprenditori del settore sono cosi' poco lungimiranti e tutti i lavoratori hanno a cuore la turnazione, dovrebbero col tempo emergere e fare piu' profitti imprenditori che ruotano i loro impiegati a 8 ore su 5 giorni. Fare piu' profitti significa anche potersi permettere di abbassare i prezzi, rendendo la vita piu' difficile agli imprenditori poco lungimiranti. 

 

Non so se ho convinto gli scettici

 

Ma lo scopo di questo articolo è quello di far cambiare idea agli altri o di sviluppare un dibattito/dialogo/discussione in cui l'idea la potresti cambiare anche tu? Ti metti in gioco oppure no? Perché altrimenti argomentare il contrario è tempo perso in partenza.

Concordo in linea generale col prof. Moro. Dico in linea generale perchè nella maggioranza dei casi, qui in Italia, credo funzioni così (non ho numeri sottomano ma la sensazione "da bar" è questa):

"Abbiamo deciso di tenere aperta la domenica; se vi va bene, è così, altrimenti quella è la porta".

E se si imbocca quella porta, qui e in questo momento storico, non se ne trovano molte altre di aperte.

Andrea, so che non appoggi le idee di Richard Florida, non di meno i suoi venti anni di raccolta dati (assieme a molte agenzie governative USA e Canadesi) hanno fatto emergere che la generazione 2.0 ha idee molto chiare di come vuole lavorare e non vuole essere ingabbiata  piu' in lavori 9 to 5 ,ma desidera un lavoro flessibile e magari connesso via cyberspace cosi' da lavorare quando e come gli pare per poter liberare tempo da dedicare a altro da fare nella vita.

Vivendo in America da molto tempo come te...ho potuto capire che in realta' queste aperture domenicali magari generano un "boom" iniziale per novita'...ma la massa della gente di Domenica fa altro perche' le abitudini non si cambiano e perche' anche se la spinta al consumismo ci stimola a buttare soldi in shopping in realta' c'e' di meglio nella vita da fare di Domenica.

Leggere Andrea è sempre molto stimolante e mi fa piacere che in questo caso sia andato oltre la necessità di introdurre meccanismi che non limitino il commercio o la libertà dei clienti di fare acquisti in maniera più comoda. L'estensione del servizio può creare occasioni di nuova occupazione, ma più spesso vedo che impone una nuova organizzazione di vita a chi, quando ha scelto di fare il commesso/a (e non il ristoratore o l'infermiere tanto per citare due categorie che per definizione lavorano anche di festa) non sapevano di dover lavorare di domenica. Bello sarebbe se la flexsecurity permettesse loro di sostenerli finchè trovano un altro lavoro, ma lo trovo utopistico e oggi in realtà non c'è così tanta possibilità di cambiare e la maggior libertà di scegliere i giorni in cui comprare si scontra con un cambiamento imposto all'organizzazione del lavoro e difficilmente contrastabile data la necessità primaria di non perdere la propria fonte di reddito, qualunque sia. Ma questo è solo un tema. La questione centrale secondo il mio punto di vista è chiederci quale società vogliamo. Andrea la tocca in questo post e mi fa piacere e tocca anche il tema della libertà di impresa. E allora, visto che i commercianti hanno la possibiltà di aprire anche di festa perchè non concederla domani anche a chi lavora nel settore dei servizi? Perchè non andare in banca o a fare le pratiche auto anche nel week-end? Anche questa sarebbe libertà. Non è un atteggiamento discriminante? E visto che ci siamo perchè lo Stato non apre le poste (società al 100% pubblica) anche di domenica? Sarebbe lecito chiederselo. E sarebbe lecito chiedersi anche se questa società del consumo (o dei servizi) aperta senza limiti favorirebbe la crescita (ne dubito!) e soprattutto la società che vogliamo. Anche questo ha il dovere di chiedersi un Governo quando emana i propri provvedimenti. Credo che mai come oggi abbiamo bisogno di sentirci comunità, e ritrovarsi a far spese la domenica non corrisponde esattamente alla mia idea di 'fare comunità'. Ma forse è proprio questo l'obiettivo: sfaldare la società, addomesticandola con l'illusione di una maggiore 'libertà'.

Non c'e' nessuna controindicazione teorica (a parte, ovviamente, quella descritta nel post) ad estendere la flessibilita' in tutti i settori. Nelle banche non c'e' probabilmente per qualche regolamentazione bancaria che proibisce transazioni finanziarie nei weekend. Non hanno alcun motivo di esistere. Sulle poste, un flash: qui in Amerika sono in rosso (oramai nessuno spedisce piu' lettere) e come soluzione hanno proposto di chiudere uffici postali e consegne di posta il sabato. Molto probabilmente lo faranno. Va detto che questo non comportera' grossi disagi: l'assurdita' di pagare le bollette alle poste (peraltro a costi non indifferenti) e' tutta italiana.

Un commento a parte merita il tuo bisogno di di "sentrici comunita'". Non mi e' chiaro come le aperture domenicali impediscano il soddisfacimento di questo bisogno. Se lo condividi con qualche famiglia di amici, starete lontani dai centri commerciali nei giorni e ore che ritenete opportune. Da un certo punto di vista, capisco l'esigenza di fare partecipi e convincere gli altri dei tuoi valori. Dall'altro dubito che questo sia ottenibile per decreto legislativo. 

Aggiungerei poi: chi ha detto che bisogna fare comunita' la domenica? Tutto il mondo? In Israele la fanno il sabato, rimettiamo la decisione a livello regionale, nazionale, continentale...? Io comunita' la faccio il Venerdi' sera con 3 famiglie quando andiamo a scuola a prendere i nostri figli, e rimaniamo nel parco giochi qualche ora per poi spesso andare a cena assieme. Non capisco come facciano i negozi aperti la domenica ad impedirmi di fare comunita'. E questo aprirebbe un altro discorso: sostengo da tempo che in Amerika le scuole abbiano sostituito le chiese come luogo del "fare comunita'": nelle scuole le famiglie trovano opportunita' di incontro, volontariato, formazione personale che vanno ben oltre l'educazione dei figli ... e le scuole sono chiuse di Domenica... ma questo discorso e' per un'altra volta

Sarà un'obiezione da Facebook, ma se mi costringete ad andare a fare la spesa venerdì o giovedì, trafelato, stanco e sbuffante invece che domenica, dici che la mia vita sarà più piena di senso e più bella?

L'informazione è che le banche stanno cambiando: in alcune località, prevalentemente turistiche, ci sono sportelli aperti il sabato pomeriggio; Intesa Sanpaolo ha manifestato l'intenzione di aprire sportelli al sabato mattina (magari nel frattempo ne chiude un po' perché eccedono le esigenze di presenza sul territorio e colloca in esubero un po' di dipendenti).

Il dubbio: ma il governo deve decidere per noi quale società volere? non sarebbe meglio che ci lasciasse la libertà di vivere come ci pare, semmai offrendo opportunità a chi, nei fatti, subisce costrizioni?

Grazie dell'informazione sulle banche. La qual cosa mi fa pensare che la società dei consumi e dei servizi aperta 'h24' per così dire, veda nei negozi solo l'inizio. Quanto al fatto che un governo pensi a quale società voglia costruire di fatto, visto l'andazzo, l'ha già scelta. E' la società delle lobby e dei grandi potentati economici. Altro che libertà di vivere come ci pare.

Una cosa non mi e' chiara di questa idea-proposta. La maggior flessibilità richiesta ai lavoratori sarebbe a fronte di qualche corrispettivo (economico o di altra natura)?

non c'è nessuna idea-proposta. La pratica è emersa spontaneamente dopo la rimozione di barriere regolamentari che impedivano l'apertura domenicale. Qualche imprenditore avrà convinto i propri commessi a turnarsi la domenica in cambio di corrispettivo, qualche altro no, presumo, forte del fatto che mancano le opportunità di lavoro alternativo, e cosciente del rischio che i lavoratori scontenti, specie quelli più bravi, prima o dopo trovano impieghi più soddisfacenti. 

È chiaro che lavorare la Domenica è una scomodità per la maggioranza della popolazione. A regime (e cioé escludendo i problemi derivanti dalla transizione per i dipendenti attuali) i casi sono due: o (1) esistono abbastanza persone per le quali non risulta un gran peso lavorare la Domenica; in questo caso la paga sarà uguale a quella dei dipendenti infra-settimanali, o (2) questo tipo di preferenze sono troppo rare nella popolazione, per cui gli esercenti dovranno per forza elargire compensazioni più elevate per chi fa il turno domenicale, a fronte magari di una maggiorazione dei prezzi dei prodotti. Questo è sostenibile solo se la popolazione è disposta a sostenere questi più alti prezzi, cosa che succede a sua volta se la comodità di poter fare la spesa tutti i giorni è significativa.  

Il piccolo negoziante (come il sottoscritto) ha già capito che l'apertura domenicale (salvo in periodi dell'anno ben precisi) non è conveniente. E pertanto va in gita fuori porta lasciando che "la massa" si rechi dove possibile (centri commerciali). Non è una tragedia.

E' una questione di economicità, strategie e scelte. Ognuno fa le sue.

 

Edoardo Perez

A me non pare poco rilevante. Amici e fidanzate o mariti si scelgono, ma non si cambiano così facilmente (astenersi da facili battute, please). In un regime orario estremamente flessibile, i cambiamenti a cui si verrebbe continuamente sottoposti imporrebbero costi non indifferenti per chi si ritrova "de-sincronizzato" rispetto alla vita sociale. Poi sono d'accordo che, empiricamente, è difficile che tutto ad un tratto i ritmi collettivi vengano sconvolti e messi in discussione ogni anno. En passant, è già stato accennato, ma giova ricordare che le stesse aperture domenicali dei supermercati sono in parte state ridimensionate.  Non mi chiedete statistiche, ma una nota catena di GDO nella mia città ha deciso di tenere chiuso la domenica uno dei due punti vendita, dopo un periodo di sperimentazione abbastanza lungo che deve averli convinti della non redditività.

Conclusione: sì alla flessibilità, ma che almeno sia compensata economicamente o con forme di recupero del tempo. Sì anche alla flessibilità che si avvale di lavoratori che, per preferenze o contingenze di vita personale, sono disposti a lavorare di domenica o di sera (e che magari non lo sarebbero negli orari "normali"). No alla flessibilità imposta senza compensazioni.

 

PS: sono contento di rivedere un buon tema di discussione qui su NfA che da qualche tempo mi aveva deluso perché ridotto ormai a megafono di FiD

Su tutti i punti esposti, facendo anche rilevare la differenza ogettiva tra Centri Commerciali italiani ed USA: in Italia mediamente TUTTO costa di piu' nei centri commerciali che non sotto casa o dove si e' abituati da sempre a fare la spesa. Le donne che lavorano prediligono il centro commerciale, pur sapendo che costa di piu', per la comodita' di fare una unica fermata a fine giornata lavorativa invece che tre o quattro. In America invece, i negozietti sono carissimi e Walmart e' la mecca del bargin...nevetheless, proprio walmart sta chiuso per Natale , tanto per dire.

 

Quello che io vedo empiricamente e' come detto sopra...alla lunga l'apertura domenicale non paga perche', giustamente, la gente ha di meglio da fare che consumare.

 

Sarebbe bello che Andrea Moro adesso passasse ad esaminare anche la distorsione del mondo lavoro operata dalla connessione on line 24/7. Introdotta come la mantra che dava a tutti piu' flessibilita', in realta' in america e' diventata la fonte per un lavoratore attaccato al suo "desk" costantemente...essere sempre disponibili rende schiavi e se si e' lavoratori dipendenti (chiunque sia il tuo boss, perfino il USARMY) non esiste l'opzione "off". Amici miei mi dicono che se spengono il blakberry per tre ore...poi la mole di lavoro e' raddoppiata...allora si al lavoro da casa via connessione on line ma rispetto dell'orario normale di lavoro, non schiavitu'  cybernetica.

 

PS: veramente grazie per questo topic etico di cui si sentiva la mancanza

Il mondo reale sconta situazioni ben più complesse.

La mobilità nel lavoro è fortemente limitata dal contesto sociologico e non incentrata sul solo fattore economico.

In condizioni normali, ci sono lavoratori che preferiscono anche retribuzioni (monetarie o reali) inferiori piuttosto che cambiare lavoro sia per il contesto (colleghi) sia per l'appagamento personale (soddisfazione). In conclusione vi è una forte resistenza al cambiamento che le variazione di imposta non vanno e non andranno ad intaccare perché - in genere - non rientrano nei parametri di valutazione del lavoratore. Questo porta i soggetti a dover accettare anche malavoglia l’imposizione alla turnazione a prescindere dall’utilità e dalle preferenze.

Poi c'è da considerare il contesto delle piccole imprese a conduzione familiare (caratteristiche dell’economia italiana) dove il rapporto di lavoro a volte è vissuto non solo come scambio di corrispettivi lavoro/salario ma anche come legame personale.

In periodi di crisi come questo, inoltre la flessibilità diventa estrema rigidità e la visione diventa di breve periodo per cui “meglio un uovo oggi che la gallina domani”. Allo stesso modo, il datore di lavoro, pensando a breve, considera l'opportunità del momento e potrebbe trascurare la possibilità che il dipendente scontento lasci il lavoro. Del resto tutto è orientato nel breve periodo. Le banche prestano (se lo fanno) a breve, le tasse vanno pagate subito (e pure in anticipo), la vendita deve essere fatta nel più breve tempo possibile altrimenti i prodotti rischiano di divenire invendibili, ecc...

 

Sull'opportunità dell'apertura domenicale, effettivamente vi è utilità della collettività, ma alla lunga porterebbe alla concentrazione e a posizioni dominanti andando – nei fatti -  a limitare la concorrenza: il gestore di una negozio con qualche dipendente avrà costi relativi maggiori di un grande magazzino con una pluralità di dipendenti che possono facilmente turnare divenendo marginale e quindi spazzato via dal minimo incremento di costi fissi.

 

I risvolti negativi del consumismo (innegabili a mio avviso) non si possono battere con la riduzione delle giornate di apertura dei negozi imponendo la chiusura ex-lege, ma dovrebbero entrare nella formazione culturale dell'individuo. Quindi, il decisore pubblico, se lo ritiene importante, può intervenire sull’informazione / formazione culturale (pubblicità progresso, scuola, ecc..) ottenendo in questi casi risultati non immediati ma sul lungo periodo, sempre nell’interesse collettivo cercando di ottimizzare il benessere sociale. 

 

@frandero

una riflessione molto interessante...e la pratica sembra confermare la tendenza e il suo diventare definitva. e pensare che i teorici neokeynesiani come Pasinetti e Harrod avevano concluso che a fronte dell'innovazione, una crescita in equilibrio avrebbe implicato una riduzione dell'onere lavorativo procapite...

sulla teoria, ma in pratica la figura sopra sembra confermarlo, no? Dagli anni sessanta le ore lavorate sono diminuite di un buon 20% in europa e 10% negli usa, ed il tenore di vita e' certamente aumentato. 

Di quello stile che non si vedeva da un po' di tempo. Grazie.

 

L' argomento mi riguarda molto da vicino, visto che mi è capitato e spesso mi capita di lavorare la domenica.

 

Tra l' altro in alcuni dei supermercati dove ho lavorato girava voce che le aperture domenicali causassero solo perdite, e l' unico motivo per cui vengono fatte è per non perdere il cliente ( immagino che per voi significhi conservare il market share ) - e aggiungo che stessa cosa accade in alcune fasce orarie del periodo estivo-.

Questo è l' unico punto che mi mette un po' di dubbi sull' efficienza della cosa.

 

allora non e' una perdita. Magari lo e' per quel giorno, ma non lo e' nell'arco dell'anno. Se fosse una perdita nell'arco dell'anno, chi lo fa fallisce. 

 

a) per molti anni sono stato pendolare: al normale orario di lavoro si aggiungeva il tempo di viaggio, e così per la spesa (e altro) c'era solo il sabato. Avere anche una possibilità di domenica mi avrebbe fatto comodo.

 

b) cosa vi piace fare nel tempo libero? Se state a casa a leggere un libro o su NfA OK, ma se vi piace ad esempio andare a sciare o al mare lo fate molto più comodamente di martedì o di mercoledì che di sabato o di domenica quando sulle piste o sulle spiagge c'è una folla allucinante.

 

Il problema, come è stato correttamente fatto notare è la transizione; organizzare una società in base 7/7 anzichè 5+2 è un poco più complicato ma secondo me i vantaggi superano gli svantaggi. Occorrerebbe un illuminato accompagnamento della transizione.

Un articolo molto interesante, anch'io mi interrogo da tempo sulla libertà di orario di negozi e servizi.

 

 

C'è poi un'ultimo aspetto, quello della libertà personale e d'impresa. Davvero crediamo che sia opportuno che il governo o il parlamento decidano chi possa e cosa si possa fare un certo giorno della settimana? Se un commerciante vuole lavorare, ed un consumatore acquistare, o fare qualsiasi attività durante un particolare giorno della settimana, perché lo stato dovrebbe avere la capacità di impedirglielo?

 

Questa frase però mi lascia perplesso, perchè trovo difficile affermare che la Legge non debba limitare la libertà di impresa di poter aprire quanto vuole, senza includere nella discussione anche l'orario di lavoro.

Una persona dovrebbe essere libera di lavorare quante ore vuole?

i lavoratori erano "liberi" di lavorare anche 16 ore al giorno, in condizioni pessime, senza vincoli di età (si iniziava a lavorare a 6 anni e si finiva quando mancavano le forze), senza ferie, giorni di malattia retribuiti, maternità, ecc.

La libertà, ovviamente, consisteva nel fatto che o accettavi queste condizioni o un altro morto di fame prendeva il tuo posto e tu finivi in mezzo alla strada.

Ma si sa, il libero mercato è efficiente, la mano invisibile vede e provvede, ecc., peccato che dopo arrivarono quei comunisti ante-litteram dei sindacati e dei labour parties ad imporre i loro lacci e lacciuoli regolativi...

Ma per fortuna è arrivata la crisi. Quale migliore occasione per prendere lezioni di liberismo da paesi avanzati come la Cina? O mangi questa minestra o ti butti dal tetto della Foxconn!


e non voglio addentrarmici piu' di tanto. Ognuno puo' pensarla come vuole

 

Una persona dovrebbe essere libera di lavorare quante ore vuole?

 

Non sono pochi i giorni della mia carriera in cui ho lavorato 15 ore e piu'. Le settimane in cui ho lavorato 60 e piu' ore. L'ho fatto, sempre, per scelta mia. Avrei trovato piuttosto bizzarro che chiunque, tantomeno un governo o una legge me lo avesse impedito. 

vi garantisco che è MOLTO meglio avere negozi aperti anche di domenica. La comodità di poter acquistare quello che serve, in ogni momento, diventa uno dei piccoli piaceri della vita, e una delle cose che si notano di più quando si torna in Italia.

 

Comunque ci sono alcuni punti importanti da considerare:

 

a) è comunque un aumento di ore di apertura, che si traduce in aumento di ore lavorate (e quindi possibilmente in aumento di occupazione).

b) dall'altro lato, ritengo non adeguata la compensazione delle ore straordinarie o festive in Italia. Qui negli US gli straordinari vengono pagati al 50% in più della paga base, che mi sembra il minimo per compensare il disagio.

 

Anni fa mia moglie ha lavorato per un periodo da Macy's, era normale che i turni comprendessero spesso le domeniche ma ci si organizzava senza problemi...

c'è un aspetto da non sottovalutare, rispetto all'affermazione è ragionevole pensare che la domanda di cibo e beni di consumo domestico sia abbastanza fissa. Il turista (con il suo fatturato) è attivo sette giorni su sette ed infatti prima della riforma attuale, già esistevano in Italia deroghe per le località a vocazione turistica. Un secondo aspetto, minore ma non per questo nullo, è la relazione sul confine tra due giurisdizioni: una con apertura domenicale e l'altra no. Si crea un flusso domenicale di consumatori dal paese in cui i negozi sono chiusi verso quello con i negozi aperti. La domanda si sposta, sia tramite i turisti in senso lato (vacanze, culturale, svago anche per un solo fine settimana) , sia per il turismo commerciale come di centri specializzati tappa di grandi tour operator.

Ho letto il Suo commento sul recupero di produttività che si può ipotizzare nei giorni feriali se le persone sanno di poter fare la spesa alla domenica.

 

Ma nessuno ha mai pensato a quali recuperi di produttività ci sarebbero se si eliminassero i ridicoli orari di alcuni uffici pubblici, del tipo Lunedì-Mercoledì-Venerdì dalle 10.30 alle 11.30. Magari sostituendoli piuttosto con un bel tutti i giorni dalle 12.30 alle 14.00/ Lunedì-Martedì-Mercoledì dalle 17.30 alle 19.00...

 

Le risulta che vi siano stati dibattiti in questo senso?

 

Sempre in attesa della digitalizzazione della PA, ovviamente...